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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 5 maggio 1988, n....

Date post: 31-Jan-2017
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sezione I civile; sentenza 5 maggio 1988, n. 3321; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P.M. Di Renzo (concl. conf.); Prefettura di Brescia (Avv. dello Stato Polizzi) c. Manenti. Cassa Pret. Roveto 23 febbraio 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 1863/1864-1867/1868 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181312 . Accessed: 28/06/2014 11:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.171 on Sat, 28 Jun 2014 11:43:03 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 5 maggio 1988, n. 3321; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P.M. Di Renzo (concl. conf.); Prefettura di Brescia

sezione I civile; sentenza 5 maggio 1988, n. 3321; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P.M. Di Renzo(concl. conf.); Prefettura di Brescia (Avv. dello Stato Polizzi) c. Manenti. Cassa Pret. Roveto 23febbraio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1863/1864-1867/1868Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181312 .

Accessed: 28/06/2014 11:43

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1863 PARTE PRIMA 1864

Nell'eventuale succedersi di decreti ex art. 317 bis il giudice,

pur pronunciando sempre in materia di affidamento e di potestà sugli stessi figli minorenni degli stessi genitori naturali, non pro nuncia mai in idem; ogni provvedimento, infatti, incide su di un

momento diverso del rapporto genitori-figlio, diverso anche per il solo fatto che i figli, per essere cresciuti, non sono più quelli di prima.

Il giudice, quindi, non è mai legato a quanto può avere deciso

in precedenza; come nel merito, così per quanto riguarda i pro blemi di giurisdizione e di competenza.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile sotto ogni profilo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 maggio 1988, n. 3321; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P.M. Di Renzo

(conci, conf.); Prefettura di Brescia (Avv. dello Stato Polizzi) c. Manenti. Cassa Pret. Roveto 23 febbraio 1983.

sanzioni amministrative e depenalizzazione — Illecito ammini

strativo — Errore — Rilevanza — Estremi — Condizioni (L. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 3).

Poiché l'errore su norma diversa da quella che prevede l'illecito

amministrativo, concretantesi in errore sul fatto, ha efficacia esimente solo se incolpevole, l'agente, per superare la presun zione a suo carico, deve dimostrare di aver commesso il fatto

(o l'omissione) senza colpa. (1)

Svolgimento del processo. — Con ordinanza in data 14 dicem

bre 1982 il prefetto di Brescia disponeva la confisca dell'autobus

«Setra», telaio n. 101770151, di proprietà di Manenti Vittorio,

perché colto in circolazione senza che fosse stata rilasciata la car

ta di circolazione.

Il Manenti proponeva opposizione davanti il Pretore di Rove

to, il quale, con la sentenza indicata in epigrafe, l'accoglieva an nullando l'ordinanza e disponendo la restituzione dell'autobus in

sequestro. Osservava il pretore, dopo aver dato atto «del libretto di circo

lazione tedesco prodotto in traduzione italiana», che l'art. 3, 2°

(1) Prendendo le mosse da alcuni rilievi di Cass. 19 gennaio 1985, n. 138, Foro it., 1985, I, 420, con nota di richiami, la corte è giunta a formulare l'enunciazione riassunta in massima attraverso una articolata disamina delle possibili implicazioni dell'art. 3 1. n. 689 del 1981. «Per tanto» — ha rilevato conclusivamente la sentenza — «anche se si tratti di illeciti amministrativi costituenti ab origine delitti dolosi o di contrav venzioni a carattere soltanto doloso (art. 43, ultimo comma, c.p.), l'erro re sul fatto esclude la responsabilità unicamente se esso non sia dovuto a colpa dell'agente, ossia al mancato impiego dell'ordinaria diligenza da

parte di costui. Una volta accertato che il fatto integrante l'illecito ammi nistrativo sia stato posto in essere con coscienza e volontà (art. 3 1. n. 689 del 1981), la colpa si presume, così come si presume nelle contravven zioni, sicché — se già non risulti dagli atti — incombe sull'agente l'onere di provare di avere commesso il fatto (o l'omissione) senza colpa e, quin di, eventualmente di essersi determinato a compierlo per errore incolpevole».

L'impostazione non diverge, nella sostanza, da quella di molti giudici di merito (ad es. Pret. Milano 10 aprile 1984, id., 1985,1, 602, con ampia nota di richiami), per i quali «l'identità della formula impiegata nell'art. 3, 1° comma, 1. n. 689 del 1981, rispetto a quella contenuta nell'art. 42, 4° comma, c.p., consente di richiamare in toto le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina penalistica a proposito dell'elemento

soggettivo nelle contravvenzioni», anche se non può negarsi alla corte il merito di aver svolto i suoi rilievi nell'ambito di un più organico conte sto argomentativo. Comunque, l'osservazione di carattere generale, se condo cui «deve ritenersi insito, seppure inespresso, nei principi generali contenuti nel capo I sezione I della 1. n. 689 del 1981 un precetto analogo a quello fissato, per la legge penale, nell'art. 5 c.p.», sebbene formulata in una pronunzia, come quella in epigrafe, successiva a Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364, id., 1988, I, 1385, con nota di G. Fiandaca, Princi pio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: «prima let tura» della sent. n. 364/88, si è riferita al testo originario del menzionato art. 5, senza tener conto, quindi, della dichiarazione, della ripetuta sent, n. 364 del 1988, di illegittimità della norma, per violazione degli art. 2, 3, 1° e 2° comma, 25, 2° comma, e 27, 1° e 3° comma, Cost., nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge pe nale l'ignoranza inevitabile.

Il Foro Italiano — 1988.

comma, 1. 689 del 1981, «recepisce il principio dell'efficacia scu

sante dell'errore incolpevole sul fatto e, quindi, dell'errore di di

ritto che abbia cagionato un errore sul fatto, stante l'assenza di

ogni indicazione circa l'oggetto immediato dell'errore e il rilievo

assegnato alla sola circostanza che esso comunque integri un er

rore sul fatto». Indi il pretore riteneva che «nella fattispecie il

trasgressore fosse incorso in un simile errore, relativamente alla

richiamata e non più valida carta di circolazione straniera».

Ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, la prefettura di Brescia. Non si è costituito il Manenti.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo la prefettura ricorrente denuncia la violazione dell'art. 3 1. n. 689 del 1981

ed omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione.

La prefettura ricorrente sostiene che il pretore «ha omesso di

considerare una serie di elementi di particolare rilevanza ai fini

della valutazione della buona fede del Manenti: in primo luogo l'autobus sequestrato dai carabinieri nel novembre del 1982 era

stato introdotto in Italia e sdoganato due anni prima, l'autobus

montava la targa appartenente all'autovettura Citroen CX di pro

prietà dell'opponente ed infine questi aveva affermato nell'atto

di opposizione di aver richiesto all'ufficio provinciale della moto

rizzazione il certificato necessario per ottenere la carta di circola

zione, riconoscendo così implicitamente di essere a conoscenza

della necessità di tale documentazione».

«Non avendo fatto il pretore cenno in motivazione a tali fatti, la sentenza impugnata è viziata per omessa motivazione su un

aspetto di decisiva rilevanza ai fini del decidere».

Con il secondo mezzo la prefettura di Brescia deduce ancora,

seppure sotto altro profilo, la violazione della predetta norma

osservando che «nel caso di specie non ricorre un errore sul fatto

e che comunque la 1. n. 689 del 1981 attribuisce rilevanza scusan

te all'errore solo quando esso riguardi il fatto, come emerge evi

dente della differente formulazione della norma in parola rispetto a quella dell'art. 47 c.p.».

I due motivi vanno esaminati congiuntamente. Il ricorso deve

essere accolto nei limiti che risulteranno dalla seguente motivazione.

L'art. 3 1. n. 689 de! 1981, dopo aver disposto, nel 1° comma, che «nella violazione cui è applicabile una sanzione amministrati

va ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, co

sciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa», stabilisce, nel

2° comma, che «nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non

è determinato da sua colpa».

Quest'ultima disposizione, considerando esclusivamente l'erro

re sul fatto, ha implicitamente escluso ogni rilevanza esimente

dell'errore (sempre che non sia inevitabile) sulla norma che pre vede il fatto addebitato come violazione amministrativa e pertan to si deve ritenere insito, seppure non espresso, fra i principi

generali contenuti nel capo I, sez. I, della 1. n. 689 del 1981 pre cetto analogo a quello fissato, per la legge penale, nell'art. 5 c.p. Ne consegue l'assoluta irrilevanza giuridica di qualsiasi atteggia mento soggettivo, quali la conoscenza, l'ignoranza, l'errore (an che se incolpevole), circa l'illiceità amministrativa di un determinato

fatto concreto. Ma la questione che si dibatte in questa contro versia è se l'errore su una legge diversa da quella che prevede l'illecito amministrativo, quando si risolva in errore su un ele

mento di fatto dell'illecito stesso, escluda o meno la responsabili tà dell'agente non contenendo il trascritto art. 3 1. n. 689 del 1981 una norma corrispondente a quella posta nell'ultimo com

ma dell'art. 47 c.p. Proprio sulla base di tale rilievo l'ammini

strazione ricorrente contesta la fondatezza della soluzione positiva, accolta dalla sentenza impugnata.

Osserva la corte che la norma del 3° ed ultimo comma dell'art. 47 c.p. («l'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costi

tuisce il reato»), seppure variamente spiegata e giustificata dalla

dottrina, costituisce un corollario, logicamente conseguente, del

principio codificato nel 1 ° comma dello stesso articolo («l'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agen te»), onde essa sarebbe univocamente e necessariamente deduci bile dal sistema ove, per ipotesi, non fosse così espressamente formulata, non integrando un'eccezione al precetto dell'art. 5 c.p., limitato alla sola legge penale incriminatrice. Nell'ipotesi conside rata dall'ultimo comma dell'art. 47 c.p. l'errore investe, sia pure di riflesso e cioè a causa di un'esatta interpretazione di una nor ma giuridica diversa da quella incriminatrice e di questa non inte

grativa, la fattispecie concreta o un suo elemento previsto come

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

essenziale, costituito per l'esistenza del reato e non coinvolge af

fatto, perciò, la norma penale che descrive il modello astratto

del reato.

In sostanza, nell'ipotesi in esame l'agente si determina a porre in essere il fatto costitutivo dell'illecito nel convincimento erro

neo che una norma extrapenale lo configuri in modo da non cor

rispondere a quello previsto nel precetto penale. Tale ipotesi si

distingue dalla situazione contemplata nel 1° comma dello stesso

art. 47 in quanto in quest'ultimo l'errore s'incentra sull'entità

naturale e fenomenica del fatto o di un suo elemento essenziale

si da far ritenere da parte dell'agente l'uno o l'altro diverso da

quello assunto nella norma penale, nell'altra, invece, l'errore ca

de sul significato di una norma extrapenale che disciplina (ai fini

diversi da quelli incriminatori) l'azione di conseguenza, si river

bera sull'azione stessa, creduta così, inesattamente, dall'agente non riconducibile all'azione costitutiva del reato. Ma nell'una e

nell'altra ipotesi l'errore investe — così come è stato osservato

da un'autorevole dottrina — la realtà esistente fuori della norma

incriminatrice, ossia il fatto nella sua entità fenomenica, per cui

il principio posto nell'ultimo comma dell'art. 47 esattamente vie

ne considerato da una larga corrente di dottrina come una speci

ficazione o uno svolgimento di quello codificato nel 1° comma

dello stesso articolo e pertanto già rientrante nella disciplina ge

nerale di tale comma. Certo, occorre esaminare attentamente se

la norma extrapenale rimanga una norma distinta da quella pena

le o sia, invece, rivolta ad integrare il precetto incriminatore, se,

cioè, sia destinata a regolare rapporti e situazioni di natura diver

sa da quella penale, o, invece, a concorrere alla disciplina degli

illeciti, poiché nella seconda ipotesi la norma c.d. extrapenale (ad

es. civile, amministrativa, ecc.) viene a costituire in effetti, an

ch'essa, una norma penale, con la conseguenza che ogni sua in

terpretazione erronea deve essere ritenuta irrilevante ai sensi

dell'art. 5 c.p. Va aggiunto che secondo un diffuso indirizzo di

dottrina l'ultima parte dell'art. 47 sarebbe suscettibile di trovare

applicazione pure nelle ipotesi in cui l'errore sul fatto derivi dal

l'inesatto intendimento di norme penali non incriminatrici, di prin

cipi non giuridici (sociali, etici, del costume, ecc.) e di disposizioni

di diritto straniero ed internazionale, giacché da un lato ricorre

rebbero i presupposti che «sorreggono l'analogia nel diritto pena

le (medesimezza di ratio ed applicazione in bonam partem)» e

dall'altro non si determinerebbe «una limitazione arbitraria od

eccessiva alla disciplina dell'art. 5 c.p.»

Orbene, se la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 47 c.p.

è già implicita in quella generale del 1° comma dello stesso arti

colo (al pari, del resto, secondo la dottrina prevalente, delle altre

disposizioni contenute sempre nel medesimo articolo) si da pale

sarsi superflua (in dottrina si parla di disposizione ad abundan

tiam), non si vede proprio perché una disposizione analoga non

possa e non debba dedursi dalla disposizione del 2° comma del

l'art. 3 1. n. 689 del 1981, la quale sul piano precettistico e con

cettuale, oltre che sostanzialmente sotto il profilo letterale,

riproduce, per gli illeciti punibili con sanzioni amministrative, il

principio posto nel 1° comma dell'art. 47 c.p. È incontestabile

che la normativa sui «principi generali» recepita nel capo I, sez.

I, della 1. n. 689 del 1981 è mutuata, con gli opportuni e necessari

adeguamenti, dalla corrispondente normativa del codice penale. Non solo, entrambe le normative sono rivolte a disciplinare illeci

ti, sia pure punibili con sanzioni d'indole diversa, e tutte due

sono pervase dai principi di legalità (art. 1 c.p. e art. 1 1. n.

689 del 1981, art. 25 Cost.) e del favor rei e proprio quest'ultimo

principio caratterizza in modo particolare ed assorbente la rile

vanza discriminante accordata dalle due normative all'errore sul

fatto, si sia questo esplicitato in modo diretto od indiretto. Si

deve pure osservare al riguardo che un cospicuo numero delle

violazioni amministrative costituivano ab origine illeciti penali e

che non sempre le sanzioni amministrative si rivelano per il tras

gressore meno gravose di talune sanzioni penali (si pensi, ad es.,

appunto, alla confisca di un autocarro), onde anche ai fini della

loro applicabilità si pone l'esigenza di attribuire adeguata consi

derazione alla buona fede del trasgressore (come nell'ipotesi del

l'errore comunque incidente sul fatto) quando ciò non si pone

in contrasto (e non vi si pone la qualificazione esimente dell'erro

re sul fatto determinato da inesatta interpretazione di norma di

versa da quella che prevede l'illecito amministrativo) con il precetto

sull'irrilevanza dell'ignoranza o dell'errore della norma incrimi

natrice e sanzionatoria della violazione amministrativa.

I principi generali stabiliti in materia penale possono trovare

Il Foro Italiano — 1988.

applicazione analogica, sempreché non si tratti di elementi nor

mativi che rispondano ad esigenze peculiari dell'illecito penale, in ordine alla violazione amministrativa colmando le eventuali

lacune della legge che la disciplina, così come non può escludersi

che principi generali da questa contenuti siano, in quanto compa

tibili, estensibili, sempre per analogia, ai reati. A maggior ragio

ne, nei limiti or ora accennati, dalle norme dettate per il reato

possono trarsi utili indicazioni per la miglior esplicazione e la

esatta interpretazione di norme previste per l'illecito amministra

tivo e viceversa, essendo, come già la corte ha sottolineato, il

sistema penale e la 1. n. 689 del 1981 (sulla violazione ammini

strativa) fondati, relativamente ai principi generali, sulla medesi

ma ratio e la seconda, inoltre, mutuata dal primo. In conclusione, dalla norma dell'art. 3, 2° comma, 1. n. 689

del 1981 è deducibile il corollario della rilevanza esimente dell'er

rore (o dell'ignoranza) di una norma diversa da quella che descri

ve il modello astratto dell'illecito amministrativo quando tale errore

si traduce in errore sul fatto. Alla tesi che qui viene accolta sem

bra richiamarsi già la sentenza n. 138 del 1985 (Foro it., 1985,

I, 420) di questa corte, la quale, dopo aver premesso che l'art.

3 della predetta legge configura espressione di un principio gene rale ravvisabile anche nella previgente normativa, ha affermato

che si deve negare l'irrogabilità di sanzione amministrativa per

la vendita di merci senza la prescritta autorizzazione comunale, in violazione della disciplina del commercio di cui alla 1. n. 426

del 1971, in presenza di un erroneo (ma non colpevole) convinci

mento dell'autore dell'infrazione circa la libera commerciabilità

delle merci medesime in relazione alla loro caratteristica.

L'errore che investe il fatto sia direttamente sia tramite un'ine

satta intelligenza di una norma diversa da quella che prevede l'il

lecito amministrativo deve essere, perché acquisti rilevanza

esimente, incolpevole (non sempre, difatti, l'errore presuppone

la colpa e viceversa) e la specificazione dell'esigenza di tale requi

sito sembra, anzi, costituire ie finalità precipua dell'art. 3, 2°

comma, 1. n. 689 del 1981, stante alla sua formulazione letterale.

Il legislatore ha posto l'accento sulla necessità che l'errore non

sia determinato da colpa del trasgressore proprio perché ha av

vertito che, sotto questo profilo, la disciplina dell'illecito ammi

nistrativo non può coincidere compiutamente con quella dell'illecito

penale. Infatti, per la imputazione soggettiva del reato il criterio

ordinario è il dolo, costituendo la colpa (così come ìa preterein

tenzione) criterio eccezionale (art. 42 c.p.), donde il principio sta

bilito nel 1° comma (parte I e II) dell'art. 47 c.p. secondo il

quale l'errore colpevole sul fatto esclude o no la punibilità secon

do che il fatto medesimo sia preveduto come delitto (esclusiva

mente) doloso o (anche) come delitto colposo, oltre che come

contravvenzione (malgrado nella seconda parte della disposizione

si parli esclusivamente di delitto colposo). Invece per l'illecito am

ministrativo, per il quale è riprodotta nel 1° comma dell'art. 3

1. n. 689 del 1981 esattamente l'espressione adoperata, a proposi

to del reato contravvenzionale, nell'ultimo comma dell'art. 42 c.p.

(«ciascuno risponde della propria azione ed omissione, cosciente

e volontaria, sia essa dolosa o colposa»), è indifferente che sia

presente il dolo o la colpa, con la conseguenza che è sufficiente

la sola colpa e che, quindi, l'errore sul fatto, comunque si deter

mini, deve essere sempre, in ogni ipotesi e senza eccezione alcu

na, inescusabile perché esso abbia rilevanza esimente, non essendo

peraltro riscontrabile nella regolamentazione di detto tipo di ille

cito una norma analoga a quella contenuta nell'ultimo comma

dell'art. 43 c.p. Pertanto, anche se si tratti di illeciti amministra

tivi costituenti ab origine delitti dolosi o di contravvenzioni a ca

rattere soltanto doloso (art. 43, ult. comma, c.p.), l'errore sul

fatto esclude la responsabilità unicamente se esso non sia dovuto

a colpa dell'agente, ossia al mancato impiego dell'ordinaria dili

genza da parte di costui.

Una volta accertato che il fatto integrante l'illecito amministra

tivo sia stato posto in essere con coscienza e volontà (art. 3 1.

n. 689 del 1981), la colpa si presume, così come si presume nelle

contravvenzioni sicché — se già non risulti dagli atti — incombe

sull'agente l'onere di provare di avere commesso il fatto (o l'o

missione) senza colpa e, quindi, eventualmente di essersi determi

nato a compierlo per errore incolpevole. Ora la sentenza impugnata, dopo aver esattamente affermato

che nella figura dell'errore incolpevole sul fatto, previsto dall'art.

3, 2° comma, 1. n. 689 del 1981, si deve ricomprendere l'errore

di diritto che abbia cagionato un errore sul fatto, ha ritenuto

che il Manenti «sia incorso in un simile errore, relativamente alla

richiamata e non più valida carta di circolazione», annullando

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1867 PARTE PRIMA 1868

di conseguenza l'ordinanza di confisca. Certo, in linea astratta

può integrare l'ipotesi esistente di errore su una norma diversa da quella che prevede l'illecito amministrativo qui considerato (art. 58, 8° comma, d.p.r. n. 393 del 1959) l'aver l'agente ritenuto

efficace in Italia il libretto di circolazione rilasciato in Germania

per inesatta interpretazione di una norma nazionale o straniera

o internazionale (al riguardo la citata sentenza di questa corte n. 138 del 1985); senonché il giudice di merito non ha affatto

motivato l'esistenza dell'errore in cui esso afferma meramente es

sere incorso il Manenti. Non solo, ma ha omesso il pretore di

considerare le circostanze indicate nel primo motivo del ricorso a questa corte (che l'autobus era stato sdoganato due anni prima, che esso montava la targa appartenente ad un'autovettura, che il Manenti aveva già richiesto all'ufficio provinciale della moto

rizzazione il certificato di approvazione necessario per ottenere

la carta di circolazione), le quali potrebbero eventualmente esclu

dere il requisito dell'incolpevolezza del preteso errore e la stessa

esistenza dell'errore. Di conseguenza la sentenza impugnata è in

ficiata dal vizio di omessa motivazione circa l'affermato errore e la sua scusabilità e in relazione a tale profilo essa va cassata

con rinvio al Pretore di Brescia.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 marzo

1988, n. 2595; Pres. Scanzano, Est. Pannella, P.M. Di Ren

zo (conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Tallarida) c. Soc. Costruzioni edilizie Imperi (Avv. Adonnino). Cassa

Comm. trib. centrale 6 luglio 1983, n. 1787.

Fabbricati (imposta sul reddito dei) — Esenzione venticinquenna le — Abitazioni di lusso — Qualificazione (L. 2 luglio 1949

n. 408, disposizioni per l'incremento delle costruzioni edilizie, art. 13; 1. 2 febbraio 1960 n. 35, agevolazioni tributarie in ma

teria di edilizia, art. 1; d.m. 4 dicembre 1961, determinazione delle caratteristiche delle abitazioni di lusso; d.m. 2 agosto 1969, caratteristiche delle abitazioni di lusso).

Ai fini dell'esenzione venticiquennale dalla soppressa imposta sul

reddito dei fabbricati, di cui agli art. 13 l. 2 luglio 1949 n. 408 e 1, 2° comma, I. 2 febbraio 1960 n. 35, la qualificazione di abitazione «di lusso» va effettuata sulla scorta delle caratte ristiche indicate nei d.m. 4 dicembre 1961 e 2 agosto 1969, e non con riferimento alle categorie A/1 e A/8, individuatrici

della rendita catastale relativa al tipo di abitazione. (1)

(1) Non constano precedenti esattamente in termini; v., comunque, Comm. trib. centrale 26 aprile 1968, n. 96668, Foro it., Rep. 1968, voce Fondiaria sui terreni e sui fabbricati (imposta), n. 34, che, preso atto della ricorrenza delle caratteristiche proprie delle case di abitazione di lusso, a norma dei d.m. 7 gennaio 1950 e 4 dicembre 1961, esclude il beneficio dell'esenzione venticinquennale di cui all'art. 13 1. 408/49.

La decisione ora cassata è riassunta id., Rep. 1983, voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 46.

La decisione in epigrafe censura il «riferimento erroneo a regole giuri diche non applicabili nella fattispecie», indotto dall'art. 1 1. 21 ottobre 1964 n. 1013 (ora abrogata), istitutiva dell'imposta speciale sul reddito dei fabbricati di lusso. Con specifico riguardo a tale ultima imposta, la rilevanza delle categorie catastali A/1 e A/8 è evidenziata in Comm. trib. centrale 11 dicembre 1984, n. 10961, id.. Rep. 1985, voce cit., n. 24; 1° marzo 1984, n. 2114, id., Rep. 1984, voce cit., n. 40; 17 novembre 1983, n. 6856, id., 1984, I, 1007, con nota di richiami.

Nella complessità della materia considerata, forniscono un ulteriore con tributo di chiarezza le meno recenti Cass. 8 ottobre 1979, n. 5198, id., Rep. 1979, voce cit., n. 53; 13 settembre 1979, n. 4755, id., Rep. 1980, voce cit., n. 36; 17 luglio 1979, n. 4166, id., Rep. 1979, voce cit., n. 57; 15 giugno 1979, n. 3556, ibid., n. 58; 25 giugno 1979, n. 3526, id., Rep. 1980, voce cit., n. 35; 23 febbraio 1979, n. 1209, id., Rep. 1979, voce cit., n. 60.

Va segnalata, inoltre, Comm. trib. centrale 11 luglio 1978, n. 12296, ibid., n. 63, secondo la quale le disposizioni ministeriali che definiscono le caratteristiche delle abitazioni di lusso, ai fini della 1. 408/49, non pos sono valere per la classificazione delle unità immobiliari nel catasto urbano.

Contiene implicazioni di indubbio interesse, rispetto alle problematiche affrontate dalla sentenza che si riporta, Cass. 13 marzo 1976, n. 910,

Il Foro Italiano — 1988.

Svolgimento del processo. — La s.a.s. Cei (costruzioni edilizie

Imperi di Ugo Imperi e C.), costruiti in Roma alla via delle No

cette 11 villini, ottenne diniego, nell'ottobre 1976, dall'ufficio delle

imposte dirette quanto all'esenzione venticinquennale dell'impo

st^ sul reddito dei fabbricati.

Il rifiuto, fondato sulla disposizione legislativa originaria —

art. 13 1. 408/49 — richiamata dal 2° comma dell'art. 1 1. 35/60

secondo cui l'agevolazione tributaria non spetta alle costruzioni

che abbiano il carattere di abitazioni di lusso, fu incentrato sulla

norma dell'art. 1 d.m. 2 agosto 1969, che considera abitazioni

di lusso quelle realizzate su aree destinate dagli strumenti urbani

stici, adottati ed approvati, a «ville», «parco privato» ovvero a

costruzioni qualificate dai predetti strumenti come «di lusso».

Percorsi i gradi della giurisdizione tributaria, la Commissione

tributaria centrale con decisione del 20 maggio 1983 (6 luglio 1983,

1787, Foro it., Rep. 1983, voce Fabbricati (imposte sul reddito

dei), n. 46), ora impugnata, escluse che i villini de quibus potes sero considerarsi abitazioni di lusso, sul rilievo che l'Ute (ufficio tecnico erariale) aveva loro attribuito la categoria A/7 (abitazio ne in villini) mentre a considerazione opposta si sarebbe giunti se fossero stati classificati nella categoria A/1 (abitazione di tipo

signorile) o A/8 (abitazioni in ville): uniche categorie cosiderate di lusso dalla 1. 21 ottobre 1964 (ora abrogata), istitutiva dell'im

posta speciale sul reddito dei fabbricati di lusso.

Contro tale pronuncia l'amministrazione delle finanze ha pro

posto ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo. La

s.a.s Cei ha presentato controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo la ricorrente am

ministrazione, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 13 1. 2 luglio 1949 n. 408, 1 1. 2 febbraio 1960 n.35, 79

t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., si duole che la Commissione tributaria centrale nell'escludere che «i villini» inclusi dall'ufficio tecnico erariale nella categoria A/7

siano abitazioni di lusso e, perciò, nel considerarli fruitori dell'e

senzione fiscale venticinquennale dall'imposta sui fabbricati ai sensi

dell'art. 13 1. 2 luglio 1949 n. 408, abbia erroneamente fatto in

crociare disposizioni legislative e decreti ministeriali, applicandol li fuori dai rispettivi campi di attuazione.

La censura è fondata. È opportuno premettere: 1) che il legis latore, dapprima con la 1. 408/49 e successivamente col la 1. 2

febbraio 1960 n. 35, al fine di incrementare le costruzioni edili

zie, introdusse una serie di agevolazioni fiscali, tra cui l'esenzione

dal pagamento dell'imposta sui fabbricati (inizialmente per un

periodo di venticinque anni, art. 13 1. 408/49, e, di poi, per pe riodi decrescenti secondo le regole fissate dall'art. 1 1.35/60), li

mitatamente alle case di abitazione non aventi le caratteristiche di «abitazioni di lusso»; 2) che il medesimo legislatore rimise alla valutazione del ministro per i lavori pubblici la determinazione

delle caratteristiche per la classifica delle abitazioni di lusso. Il ministro, con due decreti consecutivi, l'uno del 4 dicembre

1961 e l'altro del 2 agosto 1969, specificò in modo evidente due distinte categorie: la prima costituita da caratteristiche di «natura esterna» alle costruzioni; la seconda costituita da catatteristiche di «natura interna» ad esse.

Con riferimento al d.m. 4 dicembre 1961, la prima categoria è indicata dal n. 1, che specifica: sono considerate abitazioni di lusso la case costruite nelle aree destinate dal piano regolatore a ville signorili e a parco privato.

Con riferimento al d.m. 2 agosto 1969, la prima categoria si

rinviene indicata nei nn. 1, 2, 3, 7. Al primo numero è sancito: sono considerate abitazioni di lusso quelle realizzate su aree de stinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a «vil

id., 1977, I, 169, con nota di M. Gagliardi, in materia di imposta di

registro. Per la prassi amministrativa, cfr. circ. min. fin., dir. gen. imp. dir.,

1° dicembre 1962, n. 201330, id., Rep. 1963, voce Fondiaria sui terreni e sui fabbricati (imposta), n. 6, e circ. min. fin., dir. gen. tasse, 3 agosto 1959, n. 25/12/1887, id., Rep. 1959, voce cit., n. 1.

In dottrina, v. M. Duni, Caratteristiche dì lusso ed esenzione venticin quennale dalla imposta sui fabbricati, in Riv. giur. edilizia, 1969, II, 199; F. Martinenghi, L'imposta sui fabbricati e le esenzioni - Manuale prati co4, Pirola, Milano, 1960; A. Jacondini, I fabbricati di nuova costruzio ne e la I. 2 febbraio I960 n. 35, in Rass. imp. dir., 1960 283; A. Sacristano, Imposta sui fabbricati - Brevi cenni (I. 2 luglio 1949 n. 408), in Nuova riv. trib., 1955, 347.

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