sezione I civile; sentenza 5 maggio 1988, n. 3321; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P.M. Di Renzo(concl. conf.); Prefettura di Brescia (Avv. dello Stato Polizzi) c. Manenti. Cassa Pret. Roveto 23febbraio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1863/1864-1867/1868Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181312 .
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1863 PARTE PRIMA 1864
Nell'eventuale succedersi di decreti ex art. 317 bis il giudice,
pur pronunciando sempre in materia di affidamento e di potestà sugli stessi figli minorenni degli stessi genitori naturali, non pro nuncia mai in idem; ogni provvedimento, infatti, incide su di un
momento diverso del rapporto genitori-figlio, diverso anche per il solo fatto che i figli, per essere cresciuti, non sono più quelli di prima.
Il giudice, quindi, non è mai legato a quanto può avere deciso
in precedenza; come nel merito, così per quanto riguarda i pro blemi di giurisdizione e di competenza.
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile sotto ogni profilo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 maggio 1988, n. 3321; Pres. Falcone, Est. Tilocca, P.M. Di Renzo
(conci, conf.); Prefettura di Brescia (Avv. dello Stato Polizzi) c. Manenti. Cassa Pret. Roveto 23 febbraio 1983.
sanzioni amministrative e depenalizzazione — Illecito ammini
strativo — Errore — Rilevanza — Estremi — Condizioni (L. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 3).
Poiché l'errore su norma diversa da quella che prevede l'illecito
amministrativo, concretantesi in errore sul fatto, ha efficacia esimente solo se incolpevole, l'agente, per superare la presun zione a suo carico, deve dimostrare di aver commesso il fatto
(o l'omissione) senza colpa. (1)
Svolgimento del processo. — Con ordinanza in data 14 dicem
bre 1982 il prefetto di Brescia disponeva la confisca dell'autobus
«Setra», telaio n. 101770151, di proprietà di Manenti Vittorio,
perché colto in circolazione senza che fosse stata rilasciata la car
ta di circolazione.
Il Manenti proponeva opposizione davanti il Pretore di Rove
to, il quale, con la sentenza indicata in epigrafe, l'accoglieva an nullando l'ordinanza e disponendo la restituzione dell'autobus in
sequestro. Osservava il pretore, dopo aver dato atto «del libretto di circo
lazione tedesco prodotto in traduzione italiana», che l'art. 3, 2°
(1) Prendendo le mosse da alcuni rilievi di Cass. 19 gennaio 1985, n. 138, Foro it., 1985, I, 420, con nota di richiami, la corte è giunta a formulare l'enunciazione riassunta in massima attraverso una articolata disamina delle possibili implicazioni dell'art. 3 1. n. 689 del 1981. «Per tanto» — ha rilevato conclusivamente la sentenza — «anche se si tratti di illeciti amministrativi costituenti ab origine delitti dolosi o di contrav venzioni a carattere soltanto doloso (art. 43, ultimo comma, c.p.), l'erro re sul fatto esclude la responsabilità unicamente se esso non sia dovuto a colpa dell'agente, ossia al mancato impiego dell'ordinaria diligenza da
parte di costui. Una volta accertato che il fatto integrante l'illecito ammi nistrativo sia stato posto in essere con coscienza e volontà (art. 3 1. n. 689 del 1981), la colpa si presume, così come si presume nelle contravven zioni, sicché — se già non risulti dagli atti — incombe sull'agente l'onere di provare di avere commesso il fatto (o l'omissione) senza colpa e, quin di, eventualmente di essersi determinato a compierlo per errore incolpevole».
L'impostazione non diverge, nella sostanza, da quella di molti giudici di merito (ad es. Pret. Milano 10 aprile 1984, id., 1985,1, 602, con ampia nota di richiami), per i quali «l'identità della formula impiegata nell'art. 3, 1° comma, 1. n. 689 del 1981, rispetto a quella contenuta nell'art. 42, 4° comma, c.p., consente di richiamare in toto le soluzioni elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina penalistica a proposito dell'elemento
soggettivo nelle contravvenzioni», anche se non può negarsi alla corte il merito di aver svolto i suoi rilievi nell'ambito di un più organico conte sto argomentativo. Comunque, l'osservazione di carattere generale, se condo cui «deve ritenersi insito, seppure inespresso, nei principi generali contenuti nel capo I sezione I della 1. n. 689 del 1981 un precetto analogo a quello fissato, per la legge penale, nell'art. 5 c.p.», sebbene formulata in una pronunzia, come quella in epigrafe, successiva a Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364, id., 1988, I, 1385, con nota di G. Fiandaca, Princi pio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: «prima let tura» della sent. n. 364/88, si è riferita al testo originario del menzionato art. 5, senza tener conto, quindi, della dichiarazione, della ripetuta sent, n. 364 del 1988, di illegittimità della norma, per violazione degli art. 2, 3, 1° e 2° comma, 25, 2° comma, e 27, 1° e 3° comma, Cost., nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge pe nale l'ignoranza inevitabile.
Il Foro Italiano — 1988.
comma, 1. 689 del 1981, «recepisce il principio dell'efficacia scu
sante dell'errore incolpevole sul fatto e, quindi, dell'errore di di
ritto che abbia cagionato un errore sul fatto, stante l'assenza di
ogni indicazione circa l'oggetto immediato dell'errore e il rilievo
assegnato alla sola circostanza che esso comunque integri un er
rore sul fatto». Indi il pretore riteneva che «nella fattispecie il
trasgressore fosse incorso in un simile errore, relativamente alla
richiamata e non più valida carta di circolazione straniera».
Ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, la prefettura di Brescia. Non si è costituito il Manenti.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo la prefettura ricorrente denuncia la violazione dell'art. 3 1. n. 689 del 1981
ed omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione.
La prefettura ricorrente sostiene che il pretore «ha omesso di
considerare una serie di elementi di particolare rilevanza ai fini
della valutazione della buona fede del Manenti: in primo luogo l'autobus sequestrato dai carabinieri nel novembre del 1982 era
stato introdotto in Italia e sdoganato due anni prima, l'autobus
montava la targa appartenente all'autovettura Citroen CX di pro
prietà dell'opponente ed infine questi aveva affermato nell'atto
di opposizione di aver richiesto all'ufficio provinciale della moto
rizzazione il certificato necessario per ottenere la carta di circola
zione, riconoscendo così implicitamente di essere a conoscenza
della necessità di tale documentazione».
«Non avendo fatto il pretore cenno in motivazione a tali fatti, la sentenza impugnata è viziata per omessa motivazione su un
aspetto di decisiva rilevanza ai fini del decidere».
Con il secondo mezzo la prefettura di Brescia deduce ancora,
seppure sotto altro profilo, la violazione della predetta norma
osservando che «nel caso di specie non ricorre un errore sul fatto
e che comunque la 1. n. 689 del 1981 attribuisce rilevanza scusan
te all'errore solo quando esso riguardi il fatto, come emerge evi
dente della differente formulazione della norma in parola rispetto a quella dell'art. 47 c.p.».
I due motivi vanno esaminati congiuntamente. Il ricorso deve
essere accolto nei limiti che risulteranno dalla seguente motivazione.
L'art. 3 1. n. 689 de! 1981, dopo aver disposto, nel 1° comma, che «nella violazione cui è applicabile una sanzione amministrati
va ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, co
sciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa», stabilisce, nel
2° comma, che «nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non
è determinato da sua colpa».
Quest'ultima disposizione, considerando esclusivamente l'erro
re sul fatto, ha implicitamente escluso ogni rilevanza esimente
dell'errore (sempre che non sia inevitabile) sulla norma che pre vede il fatto addebitato come violazione amministrativa e pertan to si deve ritenere insito, seppure non espresso, fra i principi
generali contenuti nel capo I, sez. I, della 1. n. 689 del 1981 pre cetto analogo a quello fissato, per la legge penale, nell'art. 5 c.p. Ne consegue l'assoluta irrilevanza giuridica di qualsiasi atteggia mento soggettivo, quali la conoscenza, l'ignoranza, l'errore (an che se incolpevole), circa l'illiceità amministrativa di un determinato
fatto concreto. Ma la questione che si dibatte in questa contro versia è se l'errore su una legge diversa da quella che prevede l'illecito amministrativo, quando si risolva in errore su un ele
mento di fatto dell'illecito stesso, escluda o meno la responsabili tà dell'agente non contenendo il trascritto art. 3 1. n. 689 del 1981 una norma corrispondente a quella posta nell'ultimo com
ma dell'art. 47 c.p. Proprio sulla base di tale rilievo l'ammini
strazione ricorrente contesta la fondatezza della soluzione positiva, accolta dalla sentenza impugnata.
Osserva la corte che la norma del 3° ed ultimo comma dell'art. 47 c.p. («l'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costi
tuisce il reato»), seppure variamente spiegata e giustificata dalla
dottrina, costituisce un corollario, logicamente conseguente, del
principio codificato nel 1 ° comma dello stesso articolo («l'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agen te»), onde essa sarebbe univocamente e necessariamente deduci bile dal sistema ove, per ipotesi, non fosse così espressamente formulata, non integrando un'eccezione al precetto dell'art. 5 c.p., limitato alla sola legge penale incriminatrice. Nell'ipotesi conside rata dall'ultimo comma dell'art. 47 c.p. l'errore investe, sia pure di riflesso e cioè a causa di un'esatta interpretazione di una nor ma giuridica diversa da quella incriminatrice e di questa non inte
grativa, la fattispecie concreta o un suo elemento previsto come
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
essenziale, costituito per l'esistenza del reato e non coinvolge af
fatto, perciò, la norma penale che descrive il modello astratto
del reato.
In sostanza, nell'ipotesi in esame l'agente si determina a porre in essere il fatto costitutivo dell'illecito nel convincimento erro
neo che una norma extrapenale lo configuri in modo da non cor
rispondere a quello previsto nel precetto penale. Tale ipotesi si
distingue dalla situazione contemplata nel 1° comma dello stesso
art. 47 in quanto in quest'ultimo l'errore s'incentra sull'entità
naturale e fenomenica del fatto o di un suo elemento essenziale
si da far ritenere da parte dell'agente l'uno o l'altro diverso da
quello assunto nella norma penale, nell'altra, invece, l'errore ca
de sul significato di una norma extrapenale che disciplina (ai fini
diversi da quelli incriminatori) l'azione di conseguenza, si river
bera sull'azione stessa, creduta così, inesattamente, dall'agente non riconducibile all'azione costitutiva del reato. Ma nell'una e
nell'altra ipotesi l'errore investe — così come è stato osservato
da un'autorevole dottrina — la realtà esistente fuori della norma
incriminatrice, ossia il fatto nella sua entità fenomenica, per cui
il principio posto nell'ultimo comma dell'art. 47 esattamente vie
ne considerato da una larga corrente di dottrina come una speci
ficazione o uno svolgimento di quello codificato nel 1° comma
dello stesso articolo e pertanto già rientrante nella disciplina ge
nerale di tale comma. Certo, occorre esaminare attentamente se
la norma extrapenale rimanga una norma distinta da quella pena
le o sia, invece, rivolta ad integrare il precetto incriminatore, se,
cioè, sia destinata a regolare rapporti e situazioni di natura diver
sa da quella penale, o, invece, a concorrere alla disciplina degli
illeciti, poiché nella seconda ipotesi la norma c.d. extrapenale (ad
es. civile, amministrativa, ecc.) viene a costituire in effetti, an
ch'essa, una norma penale, con la conseguenza che ogni sua in
terpretazione erronea deve essere ritenuta irrilevante ai sensi
dell'art. 5 c.p. Va aggiunto che secondo un diffuso indirizzo di
dottrina l'ultima parte dell'art. 47 sarebbe suscettibile di trovare
applicazione pure nelle ipotesi in cui l'errore sul fatto derivi dal
l'inesatto intendimento di norme penali non incriminatrici, di prin
cipi non giuridici (sociali, etici, del costume, ecc.) e di disposizioni
di diritto straniero ed internazionale, giacché da un lato ricorre
rebbero i presupposti che «sorreggono l'analogia nel diritto pena
le (medesimezza di ratio ed applicazione in bonam partem)» e
dall'altro non si determinerebbe «una limitazione arbitraria od
eccessiva alla disciplina dell'art. 5 c.p.»
Orbene, se la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 47 c.p.
è già implicita in quella generale del 1° comma dello stesso arti
colo (al pari, del resto, secondo la dottrina prevalente, delle altre
disposizioni contenute sempre nel medesimo articolo) si da pale
sarsi superflua (in dottrina si parla di disposizione ad abundan
tiam), non si vede proprio perché una disposizione analoga non
possa e non debba dedursi dalla disposizione del 2° comma del
l'art. 3 1. n. 689 del 1981, la quale sul piano precettistico e con
cettuale, oltre che sostanzialmente sotto il profilo letterale,
riproduce, per gli illeciti punibili con sanzioni amministrative, il
principio posto nel 1° comma dell'art. 47 c.p. È incontestabile
che la normativa sui «principi generali» recepita nel capo I, sez.
I, della 1. n. 689 del 1981 è mutuata, con gli opportuni e necessari
adeguamenti, dalla corrispondente normativa del codice penale. Non solo, entrambe le normative sono rivolte a disciplinare illeci
ti, sia pure punibili con sanzioni d'indole diversa, e tutte due
sono pervase dai principi di legalità (art. 1 c.p. e art. 1 1. n.
689 del 1981, art. 25 Cost.) e del favor rei e proprio quest'ultimo
principio caratterizza in modo particolare ed assorbente la rile
vanza discriminante accordata dalle due normative all'errore sul
fatto, si sia questo esplicitato in modo diretto od indiretto. Si
deve pure osservare al riguardo che un cospicuo numero delle
violazioni amministrative costituivano ab origine illeciti penali e
che non sempre le sanzioni amministrative si rivelano per il tras
gressore meno gravose di talune sanzioni penali (si pensi, ad es.,
appunto, alla confisca di un autocarro), onde anche ai fini della
loro applicabilità si pone l'esigenza di attribuire adeguata consi
derazione alla buona fede del trasgressore (come nell'ipotesi del
l'errore comunque incidente sul fatto) quando ciò non si pone
in contrasto (e non vi si pone la qualificazione esimente dell'erro
re sul fatto determinato da inesatta interpretazione di norma di
versa da quella che prevede l'illecito amministrativo) con il precetto
sull'irrilevanza dell'ignoranza o dell'errore della norma incrimi
natrice e sanzionatoria della violazione amministrativa.
I principi generali stabiliti in materia penale possono trovare
Il Foro Italiano — 1988.
applicazione analogica, sempreché non si tratti di elementi nor
mativi che rispondano ad esigenze peculiari dell'illecito penale, in ordine alla violazione amministrativa colmando le eventuali
lacune della legge che la disciplina, così come non può escludersi
che principi generali da questa contenuti siano, in quanto compa
tibili, estensibili, sempre per analogia, ai reati. A maggior ragio
ne, nei limiti or ora accennati, dalle norme dettate per il reato
possono trarsi utili indicazioni per la miglior esplicazione e la
esatta interpretazione di norme previste per l'illecito amministra
tivo e viceversa, essendo, come già la corte ha sottolineato, il
sistema penale e la 1. n. 689 del 1981 (sulla violazione ammini
strativa) fondati, relativamente ai principi generali, sulla medesi
ma ratio e la seconda, inoltre, mutuata dal primo. In conclusione, dalla norma dell'art. 3, 2° comma, 1. n. 689
del 1981 è deducibile il corollario della rilevanza esimente dell'er
rore (o dell'ignoranza) di una norma diversa da quella che descri
ve il modello astratto dell'illecito amministrativo quando tale errore
si traduce in errore sul fatto. Alla tesi che qui viene accolta sem
bra richiamarsi già la sentenza n. 138 del 1985 (Foro it., 1985,
I, 420) di questa corte, la quale, dopo aver premesso che l'art.
3 della predetta legge configura espressione di un principio gene rale ravvisabile anche nella previgente normativa, ha affermato
che si deve negare l'irrogabilità di sanzione amministrativa per
la vendita di merci senza la prescritta autorizzazione comunale, in violazione della disciplina del commercio di cui alla 1. n. 426
del 1971, in presenza di un erroneo (ma non colpevole) convinci
mento dell'autore dell'infrazione circa la libera commerciabilità
delle merci medesime in relazione alla loro caratteristica.
L'errore che investe il fatto sia direttamente sia tramite un'ine
satta intelligenza di una norma diversa da quella che prevede l'il
lecito amministrativo deve essere, perché acquisti rilevanza
esimente, incolpevole (non sempre, difatti, l'errore presuppone
la colpa e viceversa) e la specificazione dell'esigenza di tale requi
sito sembra, anzi, costituire ie finalità precipua dell'art. 3, 2°
comma, 1. n. 689 del 1981, stante alla sua formulazione letterale.
Il legislatore ha posto l'accento sulla necessità che l'errore non
sia determinato da colpa del trasgressore proprio perché ha av
vertito che, sotto questo profilo, la disciplina dell'illecito ammi
nistrativo non può coincidere compiutamente con quella dell'illecito
penale. Infatti, per la imputazione soggettiva del reato il criterio
ordinario è il dolo, costituendo la colpa (così come ìa preterein
tenzione) criterio eccezionale (art. 42 c.p.), donde il principio sta
bilito nel 1° comma (parte I e II) dell'art. 47 c.p. secondo il
quale l'errore colpevole sul fatto esclude o no la punibilità secon
do che il fatto medesimo sia preveduto come delitto (esclusiva
mente) doloso o (anche) come delitto colposo, oltre che come
contravvenzione (malgrado nella seconda parte della disposizione
si parli esclusivamente di delitto colposo). Invece per l'illecito am
ministrativo, per il quale è riprodotta nel 1° comma dell'art. 3
1. n. 689 del 1981 esattamente l'espressione adoperata, a proposi
to del reato contravvenzionale, nell'ultimo comma dell'art. 42 c.p.
(«ciascuno risponde della propria azione ed omissione, cosciente
e volontaria, sia essa dolosa o colposa»), è indifferente che sia
presente il dolo o la colpa, con la conseguenza che è sufficiente
la sola colpa e che, quindi, l'errore sul fatto, comunque si deter
mini, deve essere sempre, in ogni ipotesi e senza eccezione alcu
na, inescusabile perché esso abbia rilevanza esimente, non essendo
peraltro riscontrabile nella regolamentazione di detto tipo di ille
cito una norma analoga a quella contenuta nell'ultimo comma
dell'art. 43 c.p. Pertanto, anche se si tratti di illeciti amministra
tivi costituenti ab origine delitti dolosi o di contravvenzioni a ca
rattere soltanto doloso (art. 43, ult. comma, c.p.), l'errore sul
fatto esclude la responsabilità unicamente se esso non sia dovuto
a colpa dell'agente, ossia al mancato impiego dell'ordinaria dili
genza da parte di costui.
Una volta accertato che il fatto integrante l'illecito amministra
tivo sia stato posto in essere con coscienza e volontà (art. 3 1.
n. 689 del 1981), la colpa si presume, così come si presume nelle
contravvenzioni sicché — se già non risulti dagli atti — incombe
sull'agente l'onere di provare di avere commesso il fatto (o l'o
missione) senza colpa e, quindi, eventualmente di essersi determi
nato a compierlo per errore incolpevole. Ora la sentenza impugnata, dopo aver esattamente affermato
che nella figura dell'errore incolpevole sul fatto, previsto dall'art.
3, 2° comma, 1. n. 689 del 1981, si deve ricomprendere l'errore
di diritto che abbia cagionato un errore sul fatto, ha ritenuto
che il Manenti «sia incorso in un simile errore, relativamente alla
richiamata e non più valida carta di circolazione», annullando
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1867 PARTE PRIMA 1868
di conseguenza l'ordinanza di confisca. Certo, in linea astratta
può integrare l'ipotesi esistente di errore su una norma diversa da quella che prevede l'illecito amministrativo qui considerato (art. 58, 8° comma, d.p.r. n. 393 del 1959) l'aver l'agente ritenuto
efficace in Italia il libretto di circolazione rilasciato in Germania
per inesatta interpretazione di una norma nazionale o straniera
o internazionale (al riguardo la citata sentenza di questa corte n. 138 del 1985); senonché il giudice di merito non ha affatto
motivato l'esistenza dell'errore in cui esso afferma meramente es
sere incorso il Manenti. Non solo, ma ha omesso il pretore di
considerare le circostanze indicate nel primo motivo del ricorso a questa corte (che l'autobus era stato sdoganato due anni prima, che esso montava la targa appartenente ad un'autovettura, che il Manenti aveva già richiesto all'ufficio provinciale della moto
rizzazione il certificato di approvazione necessario per ottenere
la carta di circolazione), le quali potrebbero eventualmente esclu
dere il requisito dell'incolpevolezza del preteso errore e la stessa
esistenza dell'errore. Di conseguenza la sentenza impugnata è in
ficiata dal vizio di omessa motivazione circa l'affermato errore e la sua scusabilità e in relazione a tale profilo essa va cassata
con rinvio al Pretore di Brescia.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 marzo
1988, n. 2595; Pres. Scanzano, Est. Pannella, P.M. Di Ren
zo (conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Tallarida) c. Soc. Costruzioni edilizie Imperi (Avv. Adonnino). Cassa
Comm. trib. centrale 6 luglio 1983, n. 1787.
Fabbricati (imposta sul reddito dei) — Esenzione venticinquenna le — Abitazioni di lusso — Qualificazione (L. 2 luglio 1949
n. 408, disposizioni per l'incremento delle costruzioni edilizie, art. 13; 1. 2 febbraio 1960 n. 35, agevolazioni tributarie in ma
teria di edilizia, art. 1; d.m. 4 dicembre 1961, determinazione delle caratteristiche delle abitazioni di lusso; d.m. 2 agosto 1969, caratteristiche delle abitazioni di lusso).
Ai fini dell'esenzione venticiquennale dalla soppressa imposta sul
reddito dei fabbricati, di cui agli art. 13 l. 2 luglio 1949 n. 408 e 1, 2° comma, I. 2 febbraio 1960 n. 35, la qualificazione di abitazione «di lusso» va effettuata sulla scorta delle caratte ristiche indicate nei d.m. 4 dicembre 1961 e 2 agosto 1969, e non con riferimento alle categorie A/1 e A/8, individuatrici
della rendita catastale relativa al tipo di abitazione. (1)
(1) Non constano precedenti esattamente in termini; v., comunque, Comm. trib. centrale 26 aprile 1968, n. 96668, Foro it., Rep. 1968, voce Fondiaria sui terreni e sui fabbricati (imposta), n. 34, che, preso atto della ricorrenza delle caratteristiche proprie delle case di abitazione di lusso, a norma dei d.m. 7 gennaio 1950 e 4 dicembre 1961, esclude il beneficio dell'esenzione venticinquennale di cui all'art. 13 1. 408/49.
La decisione ora cassata è riassunta id., Rep. 1983, voce Fabbricati (imposta sul reddito dei), n. 46.
La decisione in epigrafe censura il «riferimento erroneo a regole giuri diche non applicabili nella fattispecie», indotto dall'art. 1 1. 21 ottobre 1964 n. 1013 (ora abrogata), istitutiva dell'imposta speciale sul reddito dei fabbricati di lusso. Con specifico riguardo a tale ultima imposta, la rilevanza delle categorie catastali A/1 e A/8 è evidenziata in Comm. trib. centrale 11 dicembre 1984, n. 10961, id.. Rep. 1985, voce cit., n. 24; 1° marzo 1984, n. 2114, id., Rep. 1984, voce cit., n. 40; 17 novembre 1983, n. 6856, id., 1984, I, 1007, con nota di richiami.
Nella complessità della materia considerata, forniscono un ulteriore con tributo di chiarezza le meno recenti Cass. 8 ottobre 1979, n. 5198, id., Rep. 1979, voce cit., n. 53; 13 settembre 1979, n. 4755, id., Rep. 1980, voce cit., n. 36; 17 luglio 1979, n. 4166, id., Rep. 1979, voce cit., n. 57; 15 giugno 1979, n. 3556, ibid., n. 58; 25 giugno 1979, n. 3526, id., Rep. 1980, voce cit., n. 35; 23 febbraio 1979, n. 1209, id., Rep. 1979, voce cit., n. 60.
Va segnalata, inoltre, Comm. trib. centrale 11 luglio 1978, n. 12296, ibid., n. 63, secondo la quale le disposizioni ministeriali che definiscono le caratteristiche delle abitazioni di lusso, ai fini della 1. 408/49, non pos sono valere per la classificazione delle unità immobiliari nel catasto urbano.
Contiene implicazioni di indubbio interesse, rispetto alle problematiche affrontate dalla sentenza che si riporta, Cass. 13 marzo 1976, n. 910,
Il Foro Italiano — 1988.
Svolgimento del processo. — La s.a.s. Cei (costruzioni edilizie
Imperi di Ugo Imperi e C.), costruiti in Roma alla via delle No
cette 11 villini, ottenne diniego, nell'ottobre 1976, dall'ufficio delle
imposte dirette quanto all'esenzione venticinquennale dell'impo
st^ sul reddito dei fabbricati.
Il rifiuto, fondato sulla disposizione legislativa originaria —
art. 13 1. 408/49 — richiamata dal 2° comma dell'art. 1 1. 35/60
secondo cui l'agevolazione tributaria non spetta alle costruzioni
che abbiano il carattere di abitazioni di lusso, fu incentrato sulla
norma dell'art. 1 d.m. 2 agosto 1969, che considera abitazioni
di lusso quelle realizzate su aree destinate dagli strumenti urbani
stici, adottati ed approvati, a «ville», «parco privato» ovvero a
costruzioni qualificate dai predetti strumenti come «di lusso».
Percorsi i gradi della giurisdizione tributaria, la Commissione
tributaria centrale con decisione del 20 maggio 1983 (6 luglio 1983,
1787, Foro it., Rep. 1983, voce Fabbricati (imposte sul reddito
dei), n. 46), ora impugnata, escluse che i villini de quibus potes sero considerarsi abitazioni di lusso, sul rilievo che l'Ute (ufficio tecnico erariale) aveva loro attribuito la categoria A/7 (abitazio ne in villini) mentre a considerazione opposta si sarebbe giunti se fossero stati classificati nella categoria A/1 (abitazione di tipo
signorile) o A/8 (abitazioni in ville): uniche categorie cosiderate di lusso dalla 1. 21 ottobre 1964 (ora abrogata), istitutiva dell'im
posta speciale sul reddito dei fabbricati di lusso.
Contro tale pronuncia l'amministrazione delle finanze ha pro
posto ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo. La
s.a.s Cei ha presentato controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo la ricorrente am
ministrazione, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 13 1. 2 luglio 1949 n. 408, 1 1. 2 febbraio 1960 n.35, 79
t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., si duole che la Commissione tributaria centrale nell'escludere che «i villini» inclusi dall'ufficio tecnico erariale nella categoria A/7
siano abitazioni di lusso e, perciò, nel considerarli fruitori dell'e
senzione fiscale venticinquennale dall'imposta sui fabbricati ai sensi
dell'art. 13 1. 2 luglio 1949 n. 408, abbia erroneamente fatto in
crociare disposizioni legislative e decreti ministeriali, applicandol li fuori dai rispettivi campi di attuazione.
La censura è fondata. È opportuno premettere: 1) che il legis latore, dapprima con la 1. 408/49 e successivamente col la 1. 2
febbraio 1960 n. 35, al fine di incrementare le costruzioni edili
zie, introdusse una serie di agevolazioni fiscali, tra cui l'esenzione
dal pagamento dell'imposta sui fabbricati (inizialmente per un
periodo di venticinque anni, art. 13 1. 408/49, e, di poi, per pe riodi decrescenti secondo le regole fissate dall'art. 1 1.35/60), li
mitatamente alle case di abitazione non aventi le caratteristiche di «abitazioni di lusso»; 2) che il medesimo legislatore rimise alla valutazione del ministro per i lavori pubblici la determinazione
delle caratteristiche per la classifica delle abitazioni di lusso. Il ministro, con due decreti consecutivi, l'uno del 4 dicembre
1961 e l'altro del 2 agosto 1969, specificò in modo evidente due distinte categorie: la prima costituita da caratteristiche di «natura esterna» alle costruzioni; la seconda costituita da catatteristiche di «natura interna» ad esse.
Con riferimento al d.m. 4 dicembre 1961, la prima categoria è indicata dal n. 1, che specifica: sono considerate abitazioni di lusso la case costruite nelle aree destinate dal piano regolatore a ville signorili e a parco privato.
Con riferimento al d.m. 2 agosto 1969, la prima categoria si
rinviene indicata nei nn. 1, 2, 3, 7. Al primo numero è sancito: sono considerate abitazioni di lusso quelle realizzate su aree de stinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a «vil
id., 1977, I, 169, con nota di M. Gagliardi, in materia di imposta di
registro. Per la prassi amministrativa, cfr. circ. min. fin., dir. gen. imp. dir.,
1° dicembre 1962, n. 201330, id., Rep. 1963, voce Fondiaria sui terreni e sui fabbricati (imposta), n. 6, e circ. min. fin., dir. gen. tasse, 3 agosto 1959, n. 25/12/1887, id., Rep. 1959, voce cit., n. 1.
In dottrina, v. M. Duni, Caratteristiche dì lusso ed esenzione venticin quennale dalla imposta sui fabbricati, in Riv. giur. edilizia, 1969, II, 199; F. Martinenghi, L'imposta sui fabbricati e le esenzioni - Manuale prati co4, Pirola, Milano, 1960; A. Jacondini, I fabbricati di nuova costruzio ne e la I. 2 febbraio I960 n. 35, in Rass. imp. dir., 1960 283; A. Sacristano, Imposta sui fabbricati - Brevi cenni (I. 2 luglio 1949 n. 408), in Nuova riv. trib., 1955, 347.
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