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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 24 novembre 1988,...

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sezione I civile; sentenza 24 novembre 1988, n. 6311; Pres. Falcone, Est. Caturani, P.M. Lo Cascio (concl. diff.); Soc. coop. edilizia Adriatica (Avv. Vitucci, Franceschini) c. Marcone (Avv. Moscarini). Cassa App. L'Aquila 12 giugno 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 1141/1142-1147/1148 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183920 . Accessed: 25/06/2014 04:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 04:45:28 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 24 novembre 1988, n. 6311; Pres. Falcone, Est. Caturani, P.M. LoCascio (concl. diff.); Soc. coop. edilizia Adriatica (Avv. Vitucci, Franceschini) c. Marcone (Avv.Moscarini). Cassa App. L'Aquila 12 giugno 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1141/1142-1147/1148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183920 .

Accessed: 25/06/2014 04:45

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La norma non può essere interpretata nel senso che il patto

contrario possa desumersi dal fatto che il socio ha assunto in

proprio e per l'intero ammontare un debito della società, ammes

sa al concordato preventivo, nei confronti di taluno dei creditori.

Il patto contrario all'efficacia del concordato della società nei

confronti dei soci illimitatamente responsabili — vale a dire il

patto contrario alla liberazione del socio dal pagamento della dif

ferenza tra la percentuale concordataria e l'intero ammontare del

debito — deve essere un patto inserito nella proposta di concor

dato, approvato dai creditori con le maggioranze di cui all'art.

177 1. fall., e, infine, omologato dal tribunale fallimentare. In

tal modo esso opera in favore di tutti i creditori in applicazione

del principio della par condicio credilorum proprio di tutte le

procedure aventi carattere concorsuale e quindi anche del concor

dato preventivo. Ne consegue che il patto concluso dal socio al di fuori della

procedura con uno o più creditori, in quanto posto in essere per

un motivo illecito comune ad entrambe le parti, è a sua volta

illecito e quindi nullo (art. 1345, 1418, 2° comma, c.c.).

Non può quindi affermarsi che il socio a responsabilità limita

ta, nel momento in cui assume per sé il debito sociale sarebbe

da considerare un coobbligato ed in quanto tale responsabile per

l'intero ammontare del debito ai sensi del 1° comma dell'art. 184

1. fall., poiché per quanto riguarda i soci a responsabilità illimita

ta è applicabile invece il 2° comma che, come si è visto, estende

loro l'efficacia del concordato preventivo in ogni caso, salvo pat

to contrario.

È quindi logicamente preferibile l'interpretazione che — esclu

dendo una contraddizione in termini della legge — non compren

de fra i «coobbligati» cui fa riferimento il 1° comma, e contro

i quali i creditori concordatari conservano integri i propri diritti,

i soci a responsabilità illimitata i quali beneficiano degli effetti del concordato preventivo in ogni caso, anche quando abbiano

sottoscritto in proprio un chirografo di credito (e sempre che si

tratti di un debito sociale e non personale: cfr. la sentenza n.

5719/77, id., Rep. 1977, voce Concordato preventivo, n. 45) a

garanzia di un debito della società di persone, a meno che non

sussista, come richiede la legge, il patto contrario.

7. - Ove si tenga conto dei precedenti rilievi ne discende che

coglie nel segno la critica della ricorrente alla sentenza impugnata

nel punto in cui ha ritenuto perfettamente valido ed operante

inter partes l'impegno assunto da essa di pagare per intero il de

bito della società ammessa al concordato preventivo in favore

del creditore concordatario società di fatto f.lli Guglielmetti, al

di fuori della procedura di concordato ed in pendenza della stessa.

8. - In conclusione, mentre vanno respinti il primo, il secondo,

il terzo ed il quinto motivo del ricorso, in accoglimento del quar

to motivo si impone la cassazione dell'impugnata sentenza con

rinvio ad altro giudice che si designa in altra sezione della Corte

d'appello di Milano, la quale, nel decidere la controversia, si at

terrà ai seguenti principi di diritto:

«Poiché salvo patto contrario, da concludersi in sede concor

dataria con la maggioranza dei creditori, il concordato preventi

vo della società di persone ha efficacia nei confronti dei soci

illimitatamente responsabili, ai sensi dell'art. 184, 2° comma, 1.

fall., il 1° comma della stessa disposizione — secondo cui i credi

tori concordatari conservano impregiudicati i diritti contro i coob

bligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso — va interpretato, in coerenza con la statuizione del 2° comma,

nel senso che tra i coobbligati ivi prescritti non sono compresi

i soci con responsabilità illimitata dalla società ammessa alla pro

cedura, i quali sono liberati anch'essi come la società di cui fan

no parte, col pagamento della percentuale concordataria.

Ove poi il contratto assuntivo del debito (per l'intero) in favore

di uno o più creditori sia intervenuto in pendenza della procedura

di concordato preventivo (e quindi dopo il decreto di ammissione

alla procedura) il contratto è radicalmente nullo per motivo illeci

to comune alle parti (art. 1345, 1418, 2° comma, c.c.) in quanto

posto in essere in violazione del principio della par condicio cre

ditorium, che domina l'intera procedura».

Il Foro Italiano — 1989 — Parte 1-22.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 24 novem

bre 1988, n. 6311; Pres. Falcone, Est. Caturani, P.M. Lo

Cascio (conci, diff.); Soc. coop, edilizia Adriatica (Avv. Vi

tucci, Franceschini) c. Marcone (Aw. Moscarini). Cassa App.

L'Aquila 12 giugno 1984.

Impugnazioni civili in genere — Impugnazione incidentale tardi

va — Processo a due parti — Soccombenza parziale — Limiti

oggettivi all'impugnazione incidentale tardiva — Insussistenza

(Cod. proc. civ., art. 334).

Nei processi a due parti, in caso di soccombenza ripartita l'am

missibilità della impugnazione incidentale tardiva non è sogget

ta ad alcuna limitazione di carattere oggettivo. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 18 ago

sto 1981, Gianfranco Marcone convenne innanzi al Tribunale di

Teramo la società cooperativa srl Adriatica per sentir dichiarare

la nullità o comunque l'inefficacia della delibera assunta dal con

siglio di amministrazione del 18 luglio 1981 con la condanna del

l'ente al risarcimento dei danni.

A sostegno della domanda dedusse la mancata specificazione

della causa giustificativa del provvedimento di esclusione e negò

di avere commesso atti pregiudizievoli per la compagine sociale

ovvero di avere omesso di osservare le deliberazioni sociali o le

disposizioni statutarie (art. 12, lett. b e c, dello statuto).

Nella resistenza della cooperativa, il tribunale, con sentenza del

14 maggio 1983, accolse la domanda principale dichiarando la

nullità della deliberazione impugnata.

(1) Era ora!

A forza di martellare la «prevalente» «più autorevole» «dominante»

dottrina è riuscita non solo a scalfire le sicurezze della Corte di cassazio

ne (v. in tal senso sent. 28 febbraio 1987, n. 2149, Foro it., 1988, I,

1966, con osservazioni di M. Orsenigo, e in Giur. it., 1989, I, 1, 201,

con nota di C. Rapisarda), ma a provocare il tanto atteso ribaltamento

di un indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato e risalente as

sai indietro nel tempo. , Con estrema semplicità la sentenza in rassegna prende le mosse dalla

situazione di «disagio interpretativo che l'indirizzo tradizionale suscita»

a causa delle incertezze applicative insite sia nella nozione di capo di

sentenza («talora considerata come capo di domanda, talaltra come riso

luzione di questione controversa») sia nella distinzione tra insorgenza del

l'interesse ad impugnare e la sua rilevanza ed attualità. Rileva quindi che «i tempi sono ormai maturi per una revisione critica della interpreta zione dell'art. 334 c.p.c. seguita da questa corte, fondata sulla premessa che la norma postuli l'esistenza di limiti oggettivi all'ammissibilità del

l'impugnazione incidentale tardiva».

Dopo aver ricordato che sono fuori dal thema decidendum «sia i limiti

soggettivi pur previsti dall'art. 334 sia la disciplina del ricorso incidentale

condizionato», ed avere delimitato l'indagine all'ipotesi più semplice di

processo a due parti con soccombenza ripartita, inizia il preannunciato riesame critico, i cui passaggi principali sono costituiti: a) dal rinvenire

(sulle orme della motivazione di Cass. 13 gennaio 1982, n. 179, Foro

it., Rep. 1982, voce Inpugnazioni civili, n. 154, e in Giur. it., 1983, I,

1, 296, con nota di A. Cerino Canova) il fondamento dell'art. 334 «nel

la duplice esigenza di ristabilire, da un lato, davanti al giudice del grava

me l'equilibrio tra le rispettive posizioni delle parti e, dall'altro, di favorire

l'accettazione delle sentenze impugnabili»; b) dal constatare, di conse

guenza, «che la norma in esame, cosi come è stata concepita nel sistema

di diritto processuale vigente, non tollera limiti oggettivi di sorta»; c) dal

l'awalorare tale conclusione sulla base di una sintetica ma penetrante analisi storica; d) dall'affermare che l'art. 334 è espressione esso stesso

di una regola e non già di una eccezione, ove si abbia riguardo agli inte

ressi che la norma mira a tutelare; e) dal concludere con assoluta chiarez

za affermando «che l'unico limite di carattere oggettivo che la norma

prevede è l'unità formale della sentenza contenente una pluralità di capi

sulle domande delle parti», ancorché la autonomia di tali capi sia massi

ma «come accade quando contro la stessa parte siano proposte nel mede

simo processo più domande non altrimenti connesse (c.d. cumulo di

domande) ex art. 104 c.p.c.». Il Foro italiano, che anche in questi ultimi anni si era particolarmente

impegnato nel tentativo di scuotere le certezze giurisprudenziali sull'art.

334 c.p.c. (v. soprattutto l'amplissimo riesame critico svolto da M. Orse

nigo, Impugnazioni incidentali tardive e limitazioni oggettive: trent'anni

di disorientamenti giurisprudenziali, in Foro it., 1985, I, 1444-1472, in

nota a Cass. 13 luglio 1984, n. 4112 e 12 marzo 1984, n. 1690, su cui

si sofferma anche la sentenza in epigrafe; non è possibile però non ricor

dare i molti costanti interventi svolti sul tema da Agusto Cerino Canova

sulla Giurisprudenza italiana), non può che compiacersi della svolta di

cui è espressione la sentenza che si riporta, ed auspicare che essa sia rapi

damente confermata dalle sezioni unite. [A. Proto Pisani]

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PARTE PRIMA

Notificata la decisione il 15 settembre 1983, il Marcone inter

pose gravame con atto del 22 dicembre 1983 per sentir condanna

re la società convenuta (anche) al risarcimento dei danni da

liquidarsi in separata sede.

La società cooperativa resistette all'atto di appello e spiegò a

sua volta impugnazione incidentale tardiva ai sensi dell'art. 334

c.p.c., depositando in cancelleria comparsa di risposta il 9 no

vembre 1983, al fine di sentir rigettare la pretesa fatta valere dal

la controparte nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado. La Corte d'appello de L'Aquila, con la sentenza qui impugna

ta, in parziale riforma della decisione di primo grado dichiarò

inammissibile l'appello incidentale tardivo della cooperativa ed

in accoglimento dell'appello principale la condannò al risarcimento

dei danni da liquidarsi in separato giudizio. La corte pervenne a tale decisione, osservando che nella specie l'impugnazione inci

dentale era stata proposta contro un capo di pronunzia indipen dente da quello investito dalla impugnazione principale rispetto al quale l'interesse ad impugnare era sorto fin dal momento di

emanazione della sentenza che aveva determinato la soccomben

za, sicché l'impugnazione incidentale era ammissibile solo se pro

posta nei termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c., e che aveva

errato il primo giudice nel respingere la domanda di condanna

generica della cooperativa al risarcimento dei danni, in quanto a tal fine non occorre la prova della sussistenza dei danni, essen

do sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produt tivo di conseguenze dannose, il che nella specie era avvenuto, non essendo risultata l'innocuità dell'atto illegittimo della coope rativa e la conseguente impossibilità che il danno si fosse in con

creto verificato.

Contro la sentenza d'appello ricorre la società cooperativa edi

lizia srl Adriatica in base a due motivi illustrati con memoria; resiste con controricorso Gianfranco Marcone.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo, denunzia

do violazione e falsa applicazione degli art. 334 e 343 c.p.c. e

degli art. 1218 e 1223 c.c. nonché difetto di motivazione (art.

360, nn. 3 e 5, c.p.c.), si assume che la corte d'appello è caduta

in errore di diritto nel dichiarare l'inammissibilità dell'appello in

cidentale tardivo proprosto dalla ricorrente sia perché, a critica

dell'indirizzo attualmente seguito da questa corte, si afferma che

non sussistono per l'impugnato limiti oggettivi all'ammissibilità

dell'impugnazione incidentale tardiva sia perché anche in base al

l'attuale giurisprudenza si sarebbe dovuto riconoscere la connes

sione e/o dipendenza tra i capi della decisione di primo grado

oggetto delle due impugnazioni. 2. - Il principio di diritto, cui si ispira la giurisprudenza di

cp!»r - corte da oltre un ventennio in tema di limiti di carattere

-rtivo all'ammissibilità della impugnazione incidentale tardiva

(art. 334 c.p.c.), è il seguente: «L'art. 334 c.p.c., nel consentire

l'impugnazione incidentale tardiva, presuppone che essa sia diret

ta contro lo stesso capo di sentenza già investito dall'impugnazio ne principale ovvero contro un capo dipendente o connesso, per cui l'interesse sorga proprio dall'impugnazione principale. Al con

trario, quando l'impugnazione incidentale venga proposta contro un capo di pronuncia indipendente da quello investito dall'impu

gnazione principale, rispetto a cui l'interesse ad impugnare sia sorto fin dal momento di emanazione della sentenza che ha già determinato una situazione di soccombenza, l'impugnazione inci dentale dal punto di vista temporale, ma avente natura autono

ma, sarà ammissibile solo se proposta nei termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c.» (tra le più recenti sentenze si possono ricordare

le nn. 5864 e 1193/87, Foro it., Rep. 1987, voce Impugnazioni

civili, nn. 119, 116; 3282/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 101; 3556/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 95; 5417/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 171, e numerosissime altre).

3. - Lo stato della giurisprudenza, anche se appare in prevalen za formalmente univoco nell'adottare il suddetto principio, risen

te delle incertezze che sono insite nella nozione di capo di sentenza, talora considerata come capo di domanda, talaltra come risolu

zione di questione controversa (su cui cfr. amplius in questo stes so paragrafo), sicché, pur in nome di quell'unico principio che si afferma di voler applicare, sono frequenti le decisioni che tra loro divergono nella valutazione di fattispecie sostanzialmente

identiche. Costituiscono evidente menifestazione del disagio interpretati

vo che l'indirizzo tradizionale suscita, ad esempio, le sentenze

nn. 1690/84 e 4112/84 (id., 1985, I, 1443), che, pur richiamando

Il Foro Italiano — 1989.

il principio accennato, sono pervenute ad una diversa soluzione

del problema attinente alla connessione tra il capo di sentenza

relativo alla sorte capitale ed il capo relativo agli interessi ed alla

rivalutazione monetaria.

La prima decisione ha infatti ritenuto inammissibili l'impugna zione incidentale tardiva riflettente la decorrenza degli interessi

e la rivalutazione, avendo ravvisato un interesse autonomo del

l'impugnazione insorto con la stessa emanazione della sentenza, onde non poteva farsi valere perché tardivo dopo che la contro

parte aveva impugnato il capo di decisione relativo alla sorte ca

pitale. La seconda decisione è pervenuta ad una soluzione diametral

mente opposta in base ad una nozione di capo di sentenza intesa

come questione controversa, cui fece già richiamo la sentenza n.

75/75 (id., Rep. 1975, voce Appello civile, n. 34) e che fu poi

ripresa dalla n. 179/82 (id., Rep. 1982, voce Impugnazioni civili, n. 154), la quale, per superare le difficoltà interpretative insite

nella nozione di capo di sentenza, ha utilizzato il diverso criterio

del tema di indagine sottoposto al giudice ed in base ad esso

ha ritenuto inammissibile il ricorso incidentale tardivo riflettente

il tema della entità della somma capitale attribuita alla creditrice

perché del tutto autonomo concettualmente rispetto al ricorso prin

cipale che concerneva il diverso tema della svalutazione monetaria.

Altra tendenza giurisprudenziale, nel ravvisare il nesso di con

nessione e/o dipendenza tra capi di sentenza fa riferimento all'in

teresse ad impugnare intendendo la relativa nozione in maniera

diversa dalla giurisprudenza prevalente. Tale indirizzo ha osser

vato che l'impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c. è

ammessa non solo quando investa lo stesso capo di sentenza og

getto dell'impugnazione principale, ma anche quando riguardi un

capo dipendente o connesso, l'interesse alla cui riforma od an

nullamento, pur insorto al momento dell'emanazione della sen

tenza, sia divenuto rilevante ed attuale soltanto per effetto

dell'impugnazione principale (sent. n. 4007/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 148). Il che, postulando un interesse sempre esistente

al momento dell'emanazione della sentenza per entrambe le parti

soccombenti, fa insorgere nuovi problemi interpretativi che atten

gono alla distinzione tra l'insorgenza dell'interesse ad impugnare e la sua rilevanza ed attualità.

Le difformità di giurisprudenza si riproducono in materia di

lavoro, relativamente al complessivo trattamento del lavoratore; mentre la sent. n. 5050/79 (id., Rep. 1979, voce Cassazione civi

le, n. 292), ha ritenuto inammissibile il ricorso incidentale tardivo

del lavoratore che si doleva della negazione del suo diritto all'in

quadramento nella categoria richiesta rispetto al ricorso principa le del datore di lavoro che aveva censurato il riconoscimento al

lavoratore del trattamento economico connesso allo svolgimento di mansioni superiori, la sent. 3698/81 (id., 1981, I, 2174, seguita dalla 374/83, id., 1983, I, 1628) è andata in diverso avviso, po nendo le premesse di una più lata interpretazione dell'art. 334.

Ha osservato la suddetta sentenza che il rapporto di dipendenza o di connessione tra capi di sentenza va valutato non astratta

mente, bensì' con riferimento alla natura e alla integrazione degli interessi a tutela dei quali venne proposta la causa nonché all'as

setto complessivo dato ad essi con la sentenza impugnata. Si è

affermato, pertanto, che in materia di controversia di lavoro, al

lorché le contrapposte pretese, fatte valere rispettivamente con

l'impugnazione principale e con quella incidentale, attengono tut

te alla determinazione del complessivo trattamento economico e

giuridico dovuto al lavoratore, è da riconoscere la sussistenza del

menzionato rapporto fra tali impugnazioni nonostante che cia

scuna di esse muova da propri e specifici presupposti di fatto

o involga questioni diverse.

4. - In mancanza sia di un indirizzo univoco sia di precisi indi rizzi anche se tra loro divergenti rispetto ai quali possa profilarsi la possibilità di una scelta, ritiene il collegio, in conformità alla

recente sentenza 2149/87 (id., 1988, I, 1966), che i tempi siano

ormai maturi per una revisione critica della interpretazione del

l'art. 334 c.p.c., seguita da questa corte, fondata sulla premessa che la norma postuli l'esistenza di limiti oggettivi all'ammissibili

tà dell'impugnazione incidentale tardiva.

I rilievi che seguono, poiché riguardano l'interpretazione di una

norma contenuta nel capo I del titolo III del codice di procedura civile riflettente le impugnazioni in genere, valgono sia per l'ap pello che per il ricorso (per cassazione) incidentale tardivo.

Rimangono invece fuori dal thema decidendum sia i limiti sog

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

gettivi pur previsti dall'art. 334 sia la disciplina del ricorso inci

dentale condizionato, mentre la fattispecie normativa che si con

sidera, per i fini del presente giudizio, è quella più semplice

caratterizzata da un processo a due parti, definito con sentenza

rispetto alla quale si è verificata una impugnazione principale della

parte, parzialmente soccombente ad una impugnazione incidenta

le tardiva dell'impugnato, anch'esso parzialmente soccombente.

5. - Una indagine che intende porre in evidenza gli aspetti più

significativi che vengono in rilievo nella interpretazione dell'art.

334 c.p.c., specie per far risaltare il fondamento giuridico della

norma e la tutela degli interessi processuali da essa derivanti, do

vrebbe ripercorrere le tappe di un iter logico il quale è da tempo

scandito da un indirizzo dottrinale che attualmente può dirsi as

solutamente dominante. Poiché i punti essenziali di tale orienta

mento si ritrovano nella giurisprudenza di questa corte che si è

occupata del tema, senza peraltro farne scaturire conseguenze ri

lavanti in ordine alla decisione della controversia, è opportuno

prendere le mosse dalla motivazione della sentenza 179/82 cit.

che costituisce la manifestazione più tangibile dell'apertura della

giurisprudenza all'indirizzo dottrinale prevalente. La sentenza ha

rinvenuto il fondamento della norma nella duplice esigenza di

ristabilire da un lato davanti al giudice del gravame l'equilibrio

fra le rispettive posizioni delle parti e, dall'altro, di favorire l'ac

cettazione delle sentenze impugnabili ed ha testualmente osserva

to: «di vero, la parte, la quale sia ad un tempo vittoriosa e

soccombente (ad esempio perché la sua domanda è stata accolta

solo in parte o perché è stata rigettata la sua domanda ed è stata

respinta anche quella riconvenzionale avversaria), pur se ha un

interesse all'impugnazione immediata della sentenza in quanto par

zialmente soccombente può però essere indotta ad astenersene dalla

valutazione del risultato globale ed unitario del giudizio, insieme

favorevole e sfavorevole, e può, in esito a tale valutazione e pure

per amore di quiete, essere disposta ad accettare la sentenza stes

sa, purché anche l'avversario l'accetti e, quindi, a condizione di

potere proporre l'impugnazione nel caso che anche l'avversario

la proponga . . . Ove infatti mancasse la tutela della impugnazio

ne incidentale tardiva, sorgerebbe per entrambe le parti la neces

sità di premunirsi ed entrambe sarebbero spinte a prendere

l'iniziativa di un giudizio di impugnazione . . .».

Non solo risulta dalla motivazione che la pronuncia ha avuto

chiaro il meccanismo attraverso cui la norma intende tutelare l'in

teresse processuale dell'impugnato, ma, come emerge dal passo

successivo che si riproduce anch'esso fedelmente, la corte ha esat

tamente individuato il contenuto di questo interesse: «l'interesse

a proporre l'impugnazione incidentale tardiva, provocato dalla

impugnazione principale nel soggetto nei cui confronti questa viene

proposta, è un interesse diverso o quanto meno distinto da quello

che avrebbe potuto indurre lo stesso soggetto ad impugnare per

primo»; . . . «dalla soccombenza nasce un generico interesse ad

impugnare, preesistente a quello specifico a proporre l'impugna

zione incidentale tardiva, il quale ultimo sorge per effetto della

impugnazione principale proposta dall'altra parte, diretta a mo

dificare la regolamentazione delle contrapposte pretese contenuta

nella sentenza impugnata». 6. - Dall'ampia analisi che la sentenza in esame ha compiuto,

recependo i risultati ai quali da tempo è pervenuta la dottrina

più autorevole in tema di interpretazione dell'art. 334 c.p.c., si

desumono elementi tali, che inducono ad abbandonare l'indirizzo

tradizionale della giurisprudenza ed a riconoscere che la norma

in esame, cosi come è stata concepita nel sistema di diritto pro

cessuale vigente, non tollera limiti oggettivi di sosta.

Se si ammette che: a) la disposizione tende a rendere più age

vole per entrambe le parti l'accettazione della sentenza; ti) che

l'interesse dell'impugnato ad impugnare a sua volta in via inci

dentale la sentenza, anche quando per lui è scaduto il termine

ovvero ha fatto ad essa acquiescenza è interesse che va tenuto

distinto dall'interesse all'impugnazione della sentenza e sorge sol

tanto dall'impugnazione principale, tendente a modificare l'asset

to di interessi che l'impugnato, in mancanza dell'altrui

impugnazione, avrebbe accettato, si deve convenire che, ai fini

dell'ammissibilità dell'impugnazione incidentale tardiva, sono sol

tanto tre i requisiti richiesti dalla norma: 1) la soccombenza con

creta (e non meramente teorica) e parziale; 2) l'impugnazione

principale della controparte; 3) l'ammissibilità della medesima (art.

334, 2° comma, c.p.c.).

È necessario quindi chiedersi come mai, pur avendo fatto al

II Foro Italiano — 1989.

l'indirizzo dottrinale dominante tante concessioni il precedente

in esame sia rimasto poi ancorato alla giurisprudenza tradiziona

le, sia pure foggiando in luogo del criterio che fa riferimento

ai capi di sentenza quello dei temi svolti da entrambe le impugna

zioni (che non devono essere tra loro autonomi e staccati), ripro

ponendo in tal guisa tutte le difficoltà interpretative che il criterio

tradizionale ha suscitato nella pratica giudiziaria. 7. - Le ragioni che hanno indotto la sentenza a confermare

la precedente giurisprudenza risultano ampiamente svolte nella

motivazione, ma esse non sono insuperabili. Si è anzitutto osservato che il dato letterale della norma (che

non ha riprodotto l'art. 485, ultimo comma, c.p.c. del 1865 che

consentiva l'appello incidentale «da qualunque capo della senten

za») impone all'interprete il compito di fissare il rapporto che

deve sussistere tra l'oggetto delle due impugnazioni, al fine di

evitare che la sua indiscriminata utilizzazione consenta di riporta

re nel giudizio di gravame tutta la materia del giudizio di primo

grado, vanificando cosi l'aspirazione, particolarmente viva negli

ordinamenti modermi, all'immutabilità della sentenza.

Una interpretazione della norma che ne intenda cogliere l'inti

ma finalità non può prescindere da una indagine di carattere sto

rico, la quale soltanto può consentire di valutare convenientemente

il significato che essa oggi assume nel sistema processuale vigente.

Nel diritto romano giustinianeo l'appello produceva un effetto

devolutivo assoluto indipendentemente dall'atteggiamento proces

suale dell'appellato (Giustiniano, 39 Cod. de appell. 7, 62). Il

principio rimase immutato nel diritto comune mentre subì una

prima incrinatura soltanto nella prassi dell'ordinamento francese

che introdussse l'appello incidentale per porre nel processo le parti

su di un piede di eguaglianza rispetto al nuovo principio della

personalità dell'appello accolto da quell'ordinamento (code de pro

cedure civile del 1806). Poiché fu introdotto per ovviare alle con

seguenze della personalità dell'appello, si comprende come l'appello

incidentale sin dalle sue origini non tollerasse limiti di sorta. Non

solo nella relazione Pisanelli al codice di procedura civile del 1865

esso fu giustificato sempre con il riferimento all'effetto devoluti

vo, ma la dottrina dell'epoca pose l'accento, in particolare, sul

fatto che nessuna limitazione poteva sussistere per l'appellato, dato che «la lite si intende continuata ... su tutta la materia

che formò oggetto del precedente esame».

Si pervenne cosi alla formulazione dell'art. 485 di quel codice,

il cui ultimo comma fu cosi concepito: «Anche quando sia scadu

to il termine per l'appello principale, l'appellato può proporre

l'appello incidentale da qualunque capo della sentenza». Fu con

questa norma legislativamente consacrato il principio per cui l'am

missibilità dell'appello incidentale non era soggetta a limiti di ca

rattere oggettivo. Ora è vero che l'attuale formulazione dell'art.

334 non contiene quell'inciso, ma da tale circostanza non è lecito

desumere alcuna modificazione del precetto normativo nel diritto

processuale vigente.

Infatti, non solo di limiti oggettivi non si è discorso nella rela

zione al progetto preliminare del codice di procedura civile (Ro

ma 1937, 352) né nella relazione al re (4025), il che già costituisce

un elemento di notevole importanza nella interpretazione del te

sto di legge, ma, quel che maggiormente interessa sottolineare

è che l'art. 334 non contiene alcun riferimento a limitazioni og

gettive di sorta, onde non è lecito all'interprete ritenere che la

norma le abbia previste in ossequio a discutibili affermazioni che

fanno capo all'aspirazione all'immutabilità della sentenza negli

ordinamenti moderni. Se è vero, infatti, che la nuova interpreta

zione dell'art. 334 che si sostiene in questa sede sembra ritardare

la formazione del giudicato rispetto a quanto non si verificasse

secondo la precedente giurisprudenza, è vero altresì che da una

parte quel ritardo non sarebbe ingiustificato perché provocato dalla

esigenza di tutelare gli interessi dell'impugnato in maniera da evi

tare che il medesimo sia posto in balia dell'impugnante (il quale,

secondo il precedente indirizzo, potrebbe togliere al primo qual

siasi possibilità di insorgere contro la sentenza, notificando il pro

prio gravame nell'ultimo giorno utile per l'impugnazione), e

dall'altro non è neanche esatto che la diversa interpretazione del

l'art. 334 determini quel ritardo che il precedente indirizzo tende

rebbe invece ad evitare.

La prevalente dottrina ha avuto modo di sottolineare che l'eli

minazione di qualsiasi limite di carattere oggettivo all'ammissibi

lità dell'impugnazione incidentale tardiva, anziché moltiplicare le

controversie costituisce una remora alla instaurazione di un nuo

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 24 novembre 1988, n. 6311; Pres. Falcone, Est. Caturani, P.M. Lo Cascio (concl. diff.); Soc. coop.

PARTE PRIMA

vo giudizio da parte dell'impugnante principale. Questo, in base

ad una valutazione complessiva dell'assetto di interessi contenuto

nella sentenza che lo vede sia pure parzialmente vittorioso, dovrà

essere più cauto nell'impugnare la decisione nella parte a sé sfa

vorevole, ben sapendo che, in seguito all'impugnazione inciden

tale tardiva della controparte (in tesi sempre ammissibile dal punto di vista oggettivo), quell'assetto di interessi, che può soddisfare

le sue aspettative, potrebbe essere radicalmente mutato, trasfor

mando la sua soccombenza parziale in soccombenza totale. È que sto fattore di rischio calcolato che costituisce un notevole detergente alla mancata accettazione della sentenza da entrambe le parti.

Quindi, non solo la propugnata interpretazione dell'art. 334 giu stificherebbe di per sé un ritardo nella formazione del giudicato, ma quel ritardo è in realtà più apparente che concretamente veri

ficabile come ipotesi legata alla nuova interpretazione. Anzi, de

ve ritenersi che, in definitiva, l'interpretazione della norma aderente

al testo normativo ed al suo fondamento giuridico, essendo fon

data sull'accettazione della sentenza, che è diretta ad agevolare

per entrambe le parti, anticipa anziché ritardare la formazione

del giudicato su tutta quanta la materia controversa esaminata

dalla sentenza inter partes. 8. - Un altro argomento utilizzato per ritenere che non possono

essere esclusi i limiti oggettivi all'ammissibilità dell'impugnazione incidentale tardiva è stato il richiamo del carattere eccezionale

della norma che richiederebbe una interpretazione restrittiva; ma

trattasi di una affermazione che non tiene conto della ratio del

l'art. 334 e della tutela degli interessi che la disposizione intende

realizzare.

A ben vedere, ove si tenga conto della tutela di questi interessi, la norma non deroga ad alcuna regola generale: la decadenza

del diritto di impugnazione è infatti da essa previsto con riferi

mento all'impugnazione principale, mente la tutela dell'interesse

dell'impugnato e dell'interesse ad una accettazione (totale) della

sentenza giustificano il meccanismo processuale attraverso cui l'in

teresse ad impugnare di quest'ultimo presuppone che l'assetto di

interessi contenuto nella sentenza sia rimesso in discussione dalla

impugnazione principale. L'art. 334 contiene quindi esso stesso

uha regola ma non deroga ad alcuna regola generale. La regola è dell'impugnazione incidentale è strettamente ancorata come suoi

unici presupposti alla soccombenza parziale e all'ammissibilità del

l'impugnazione principale. Se questa non può avere ingresso nel processo, l'impugnazione

incidentale tardiva non ha più ragion d'essere, dato che è venuto

meno il pericolo (per l'impugnato) di una modifica dell'assetto

di interessi contenuto nella sentenza che questi ha mostrato di

condividere (nonostante la soccombenza parziale), non avendo

interposto contro di essa impugnazione principale ovvero avendo

prestato alla medesima acquiescenza. E questo meccanismo pro cessuale trova una conferma di carattere normativo nello stesso

capoverso dell'art. 334 che in tal caso prevede che, «se l'impu

gnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione in

cidentale perde ogni efficacia».

È quindi inaccettabile la tesi della natura eccezionale della nor

ma, la quale, oltretutto, impone si la interpretazione restrittiva, ma non giustifica l'individuazione di limiti (oggettivi) di applica zione, che non solo da essa non si desumono, ma anche non

coincidono con il fondamento stesso della disposizione normativa.

9. - Devesi quindi affermare che l'unico limite di carattere og

gettivo che la norma prevede è — come è stato acutamente osser

vato in dottrina — l'unità formale della sentenza contenente una

pluralità di capi sulle domande delle parti, la quale «è sufficiente

a creare quel nesso tra le varie pronunce che giustifica l'ammis

sione dell'impugnazione incidentale anche oltre il termine o no

nostante l'acquiescenza, perché nella visione pratica delle parti l'unità del processo assorbe e fonde come elementi di un tutto

le varie domande che vi furono proposte, senza che si possa di

stinguere tra domande connesse e domande autonome».

Il che dimostra plasticamente che anche nelle ipotesi in cui mas

sima è l'autonomia dei capi di domanda, come accade quando contro la stessa parte siano proposte nel medesimo processo più domande non altrimenti connesse (c.d. cumulo di domande) ex

art. 104 c.p.c. e quindi è massima l'autonomia dei capi della sen

tenza, l'impugnazione incidentale tardiva può trovare applicazio ne concreta.

10. - In conclusione, in base ai precedenti rilievi ne consegue

Il Foro Italiano — 1989.

che, erroneamente, la corte d'appello ha ritenuto nel caso in esa

me l'inammissibilità dell'appello incidentale tardivo della ricor

rente. Si impone pertanto, in accoglimento del primo motivo e

dichiarato assorbito il secondo che riguarda la domanda accesso

ria di risarcimento dei danni, la cassazione dell'impugnata sen

tenza con rinvio ad altro giudice che si designa nella Corte

d'appello di Roma, la quale nel decidere la controversia si atterrà

ai criteri innanzi enunciati.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 novem

bre 1988, n. 6236; Pres. Falcone, Est. Sensale, P.M. Donna

rumma (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato

Palatiello) c. Caroli (Avv. Pallotta). Conferma Comm. trib.

centrale 19 aprile 1986, n. 3391.

Redditi (imposte sui) — Dor su redditi da lavoro autonomo —

Riscossione avvenuta mediante autotassazione — Istanza di rim

borso — Normativa applicabile — Decorso del termine di no

vanta giorni — Successivo provvedimento di diniego —

Impugnabili (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, revisione della

disciplina del contenzioso tributario, art. 16; d.p.r. 29 settem

bre 1973 n. 602, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul

reddito, art. 38).

Ai rimborsi dell'Ilor su redditi da lavoro autonomo, riscossa me

diante versamento diretto per 'autotassazione', si applica l'art.

16, 3° comma (testo originario), d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636;

pertanto, nel caso in cui la restituzione di tale tributo venga

richiesta, invece, a norma dell'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973

n. 602, il decorso del termine di novanta giorni dalla relativa

istanza non integra la fattispecie del silenzio-rifiuto e, conse

guentemente, non pregiudica l'impugnabilità del successivo prov vedimento di diniego espresso dall'intendente di finanza. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 ottobre

1988, n. 5866; Pres. Falcone, Est. Sensale, P.M. Donnarum

ma (conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Pala

tiello) c. Mercuri. Cassa Comm. trib. centrale 2 dicembre 1985, n. 10239.

(1) Nello stesso senso, v. Cass. 28 ottobre 1988, nn. 5867 (annotata da Lambert, in Fisco, 1988, 7610), 5869 (annotata da Tesauro, in Bol lettino trib., 1988, 1807), 5870, 5871, 5872, 5873, 5874, Foro it., Mass., 875, 876.

La decisione, fondata sul medesimo assunto caratterizzante la sentenza sub II (v. infra, nota 2), resa alla stessa udienza, si coordina con Cass. 7 giugno 1988, nn. 3854, 3855, ibid., 566, e 5 maggio 1988, n. 3220, ibid., 487, citata in motivazione, riguardanti una questione strettamente connessa.

La pronunzia confermata — nelle conclusioni, ma non anche nelle ar

gomentazioni: Comm. trib. centrale 19 aprile 1986, n. 3391, id., Rep. 1986, voce Tributi in genere, n. 784 — aveva sostenuto la piena autono mia e la prevalenza del provvedimento di diniego, sopravvenuto alla sca denza del termine di novanta giorni.

Sono a favore dell'impugnabilità del provvedimento espresso, anche Comm. trib. centrale 8 maggio 1985, n. 4416, ibid., n. 720, e 23 aprile 1985, n. 3687, ibid., n. 719.

Secondo Comm. trib. I grado Asti 10 febbraio 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 719, il termine per ricorrei*e alle commissioni tributarie inizia a decorrere dalla data di notificazione del provvedimento espresso.

Per il caso in cui sia stato proposto ricorso avverso il provvedimento dell'intendente di finanza, successivamente all'impugnazione del silenzio

rifiuto, v. Comm. trib. I grado Mantova 4 ottobre 1980, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1155.

Con riguardo ad una fattispecie in cui il provvedimento dell'ammini strazione ha un contenuto positivo, v. Comm. trib. I grado Bolzano 27

giugno 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n. 689. In dottrina, v. E. Palumbo, Sull'impugnabilità del provvedimento di

diniego di rimborso emanato dopo la formazione del silenzio (nota a Comm. trib. centrale 4416/85, cit.), in Dir. e pratica trib., 1986, II, 686, e, più in generale, A. Messina, Rimborso delle imposte: silenzio e dinie

go espresso, in Bollettino trib., 1987, 1439.

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