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sezione I civile; sentenza 24 novembre 1988, n. 6311; Pres. Falcone, Est. Caturani, P.M. LoCascio (concl. diff.); Soc. coop. edilizia Adriatica (Avv. Vitucci, Franceschini) c. Marcone (Avv.Moscarini). Cassa App. L'Aquila 12 giugno 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1141/1142-1147/1148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183920 .
Accessed: 25/06/2014 04:45
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La norma non può essere interpretata nel senso che il patto
contrario possa desumersi dal fatto che il socio ha assunto in
proprio e per l'intero ammontare un debito della società, ammes
sa al concordato preventivo, nei confronti di taluno dei creditori.
Il patto contrario all'efficacia del concordato della società nei
confronti dei soci illimitatamente responsabili — vale a dire il
patto contrario alla liberazione del socio dal pagamento della dif
ferenza tra la percentuale concordataria e l'intero ammontare del
debito — deve essere un patto inserito nella proposta di concor
dato, approvato dai creditori con le maggioranze di cui all'art.
177 1. fall., e, infine, omologato dal tribunale fallimentare. In
tal modo esso opera in favore di tutti i creditori in applicazione
del principio della par condicio credilorum proprio di tutte le
procedure aventi carattere concorsuale e quindi anche del concor
dato preventivo. Ne consegue che il patto concluso dal socio al di fuori della
procedura con uno o più creditori, in quanto posto in essere per
un motivo illecito comune ad entrambe le parti, è a sua volta
illecito e quindi nullo (art. 1345, 1418, 2° comma, c.c.).
Non può quindi affermarsi che il socio a responsabilità limita
ta, nel momento in cui assume per sé il debito sociale sarebbe
da considerare un coobbligato ed in quanto tale responsabile per
l'intero ammontare del debito ai sensi del 1° comma dell'art. 184
1. fall., poiché per quanto riguarda i soci a responsabilità illimita
ta è applicabile invece il 2° comma che, come si è visto, estende
loro l'efficacia del concordato preventivo in ogni caso, salvo pat
to contrario.
È quindi logicamente preferibile l'interpretazione che — esclu
dendo una contraddizione in termini della legge — non compren
de fra i «coobbligati» cui fa riferimento il 1° comma, e contro
i quali i creditori concordatari conservano integri i propri diritti,
i soci a responsabilità illimitata i quali beneficiano degli effetti del concordato preventivo in ogni caso, anche quando abbiano
sottoscritto in proprio un chirografo di credito (e sempre che si
tratti di un debito sociale e non personale: cfr. la sentenza n.
5719/77, id., Rep. 1977, voce Concordato preventivo, n. 45) a
garanzia di un debito della società di persone, a meno che non
sussista, come richiede la legge, il patto contrario.
7. - Ove si tenga conto dei precedenti rilievi ne discende che
coglie nel segno la critica della ricorrente alla sentenza impugnata
nel punto in cui ha ritenuto perfettamente valido ed operante
inter partes l'impegno assunto da essa di pagare per intero il de
bito della società ammessa al concordato preventivo in favore
del creditore concordatario società di fatto f.lli Guglielmetti, al
di fuori della procedura di concordato ed in pendenza della stessa.
8. - In conclusione, mentre vanno respinti il primo, il secondo,
il terzo ed il quinto motivo del ricorso, in accoglimento del quar
to motivo si impone la cassazione dell'impugnata sentenza con
rinvio ad altro giudice che si designa in altra sezione della Corte
d'appello di Milano, la quale, nel decidere la controversia, si at
terrà ai seguenti principi di diritto:
«Poiché salvo patto contrario, da concludersi in sede concor
dataria con la maggioranza dei creditori, il concordato preventi
vo della società di persone ha efficacia nei confronti dei soci
illimitatamente responsabili, ai sensi dell'art. 184, 2° comma, 1.
fall., il 1° comma della stessa disposizione — secondo cui i credi
tori concordatari conservano impregiudicati i diritti contro i coob
bligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso — va interpretato, in coerenza con la statuizione del 2° comma,
nel senso che tra i coobbligati ivi prescritti non sono compresi
i soci con responsabilità illimitata dalla società ammessa alla pro
cedura, i quali sono liberati anch'essi come la società di cui fan
no parte, col pagamento della percentuale concordataria.
Ove poi il contratto assuntivo del debito (per l'intero) in favore
di uno o più creditori sia intervenuto in pendenza della procedura
di concordato preventivo (e quindi dopo il decreto di ammissione
alla procedura) il contratto è radicalmente nullo per motivo illeci
to comune alle parti (art. 1345, 1418, 2° comma, c.c.) in quanto
posto in essere in violazione del principio della par condicio cre
ditorium, che domina l'intera procedura».
Il Foro Italiano — 1989 — Parte 1-22.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 24 novem
bre 1988, n. 6311; Pres. Falcone, Est. Caturani, P.M. Lo
Cascio (conci, diff.); Soc. coop, edilizia Adriatica (Avv. Vi
tucci, Franceschini) c. Marcone (Aw. Moscarini). Cassa App.
L'Aquila 12 giugno 1984.
Impugnazioni civili in genere — Impugnazione incidentale tardi
va — Processo a due parti — Soccombenza parziale — Limiti
oggettivi all'impugnazione incidentale tardiva — Insussistenza
(Cod. proc. civ., art. 334).
Nei processi a due parti, in caso di soccombenza ripartita l'am
missibilità della impugnazione incidentale tardiva non è sogget
ta ad alcuna limitazione di carattere oggettivo. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 18 ago
sto 1981, Gianfranco Marcone convenne innanzi al Tribunale di
Teramo la società cooperativa srl Adriatica per sentir dichiarare
la nullità o comunque l'inefficacia della delibera assunta dal con
siglio di amministrazione del 18 luglio 1981 con la condanna del
l'ente al risarcimento dei danni.
A sostegno della domanda dedusse la mancata specificazione
della causa giustificativa del provvedimento di esclusione e negò
di avere commesso atti pregiudizievoli per la compagine sociale
ovvero di avere omesso di osservare le deliberazioni sociali o le
disposizioni statutarie (art. 12, lett. b e c, dello statuto).
Nella resistenza della cooperativa, il tribunale, con sentenza del
14 maggio 1983, accolse la domanda principale dichiarando la
nullità della deliberazione impugnata.
(1) Era ora!
A forza di martellare la «prevalente» «più autorevole» «dominante»
dottrina è riuscita non solo a scalfire le sicurezze della Corte di cassazio
ne (v. in tal senso sent. 28 febbraio 1987, n. 2149, Foro it., 1988, I,
1966, con osservazioni di M. Orsenigo, e in Giur. it., 1989, I, 1, 201,
con nota di C. Rapisarda), ma a provocare il tanto atteso ribaltamento
di un indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato e risalente as
sai indietro nel tempo. , Con estrema semplicità la sentenza in rassegna prende le mosse dalla
situazione di «disagio interpretativo che l'indirizzo tradizionale suscita»
a causa delle incertezze applicative insite sia nella nozione di capo di
sentenza («talora considerata come capo di domanda, talaltra come riso
luzione di questione controversa») sia nella distinzione tra insorgenza del
l'interesse ad impugnare e la sua rilevanza ed attualità. Rileva quindi che «i tempi sono ormai maturi per una revisione critica della interpreta zione dell'art. 334 c.p.c. seguita da questa corte, fondata sulla premessa che la norma postuli l'esistenza di limiti oggettivi all'ammissibilità del
l'impugnazione incidentale tardiva».
Dopo aver ricordato che sono fuori dal thema decidendum «sia i limiti
soggettivi pur previsti dall'art. 334 sia la disciplina del ricorso incidentale
condizionato», ed avere delimitato l'indagine all'ipotesi più semplice di
processo a due parti con soccombenza ripartita, inizia il preannunciato riesame critico, i cui passaggi principali sono costituiti: a) dal rinvenire
(sulle orme della motivazione di Cass. 13 gennaio 1982, n. 179, Foro
it., Rep. 1982, voce Inpugnazioni civili, n. 154, e in Giur. it., 1983, I,
1, 296, con nota di A. Cerino Canova) il fondamento dell'art. 334 «nel
la duplice esigenza di ristabilire, da un lato, davanti al giudice del grava
me l'equilibrio tra le rispettive posizioni delle parti e, dall'altro, di favorire
l'accettazione delle sentenze impugnabili»; b) dal constatare, di conse
guenza, «che la norma in esame, cosi come è stata concepita nel sistema
di diritto processuale vigente, non tollera limiti oggettivi di sorta»; c) dal
l'awalorare tale conclusione sulla base di una sintetica ma penetrante analisi storica; d) dall'affermare che l'art. 334 è espressione esso stesso
di una regola e non già di una eccezione, ove si abbia riguardo agli inte
ressi che la norma mira a tutelare; e) dal concludere con assoluta chiarez
za affermando «che l'unico limite di carattere oggettivo che la norma
prevede è l'unità formale della sentenza contenente una pluralità di capi
sulle domande delle parti», ancorché la autonomia di tali capi sia massi
ma «come accade quando contro la stessa parte siano proposte nel mede
simo processo più domande non altrimenti connesse (c.d. cumulo di
domande) ex art. 104 c.p.c.». Il Foro italiano, che anche in questi ultimi anni si era particolarmente
impegnato nel tentativo di scuotere le certezze giurisprudenziali sull'art.
334 c.p.c. (v. soprattutto l'amplissimo riesame critico svolto da M. Orse
nigo, Impugnazioni incidentali tardive e limitazioni oggettive: trent'anni
di disorientamenti giurisprudenziali, in Foro it., 1985, I, 1444-1472, in
nota a Cass. 13 luglio 1984, n. 4112 e 12 marzo 1984, n. 1690, su cui
si sofferma anche la sentenza in epigrafe; non è possibile però non ricor
dare i molti costanti interventi svolti sul tema da Agusto Cerino Canova
sulla Giurisprudenza italiana), non può che compiacersi della svolta di
cui è espressione la sentenza che si riporta, ed auspicare che essa sia rapi
damente confermata dalle sezioni unite. [A. Proto Pisani]
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PARTE PRIMA
Notificata la decisione il 15 settembre 1983, il Marcone inter
pose gravame con atto del 22 dicembre 1983 per sentir condanna
re la società convenuta (anche) al risarcimento dei danni da
liquidarsi in separata sede.
La società cooperativa resistette all'atto di appello e spiegò a
sua volta impugnazione incidentale tardiva ai sensi dell'art. 334
c.p.c., depositando in cancelleria comparsa di risposta il 9 no
vembre 1983, al fine di sentir rigettare la pretesa fatta valere dal
la controparte nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado. La Corte d'appello de L'Aquila, con la sentenza qui impugna
ta, in parziale riforma della decisione di primo grado dichiarò
inammissibile l'appello incidentale tardivo della cooperativa ed
in accoglimento dell'appello principale la condannò al risarcimento
dei danni da liquidarsi in separato giudizio. La corte pervenne a tale decisione, osservando che nella specie l'impugnazione inci
dentale era stata proposta contro un capo di pronunzia indipen dente da quello investito dalla impugnazione principale rispetto al quale l'interesse ad impugnare era sorto fin dal momento di
emanazione della sentenza che aveva determinato la soccomben
za, sicché l'impugnazione incidentale era ammissibile solo se pro
posta nei termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c., e che aveva
errato il primo giudice nel respingere la domanda di condanna
generica della cooperativa al risarcimento dei danni, in quanto a tal fine non occorre la prova della sussistenza dei danni, essen
do sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produt tivo di conseguenze dannose, il che nella specie era avvenuto, non essendo risultata l'innocuità dell'atto illegittimo della coope rativa e la conseguente impossibilità che il danno si fosse in con
creto verificato.
Contro la sentenza d'appello ricorre la società cooperativa edi
lizia srl Adriatica in base a due motivi illustrati con memoria; resiste con controricorso Gianfranco Marcone.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo, denunzia
do violazione e falsa applicazione degli art. 334 e 343 c.p.c. e
degli art. 1218 e 1223 c.c. nonché difetto di motivazione (art.
360, nn. 3 e 5, c.p.c.), si assume che la corte d'appello è caduta
in errore di diritto nel dichiarare l'inammissibilità dell'appello in
cidentale tardivo proprosto dalla ricorrente sia perché, a critica
dell'indirizzo attualmente seguito da questa corte, si afferma che
non sussistono per l'impugnato limiti oggettivi all'ammissibilità
dell'impugnazione incidentale tardiva sia perché anche in base al
l'attuale giurisprudenza si sarebbe dovuto riconoscere la connes
sione e/o dipendenza tra i capi della decisione di primo grado
oggetto delle due impugnazioni. 2. - Il principio di diritto, cui si ispira la giurisprudenza di
cp!»r - corte da oltre un ventennio in tema di limiti di carattere
-rtivo all'ammissibilità della impugnazione incidentale tardiva
(art. 334 c.p.c.), è il seguente: «L'art. 334 c.p.c., nel consentire
l'impugnazione incidentale tardiva, presuppone che essa sia diret
ta contro lo stesso capo di sentenza già investito dall'impugnazio ne principale ovvero contro un capo dipendente o connesso, per cui l'interesse sorga proprio dall'impugnazione principale. Al con
trario, quando l'impugnazione incidentale venga proposta contro un capo di pronuncia indipendente da quello investito dall'impu
gnazione principale, rispetto a cui l'interesse ad impugnare sia sorto fin dal momento di emanazione della sentenza che ha già determinato una situazione di soccombenza, l'impugnazione inci dentale dal punto di vista temporale, ma avente natura autono
ma, sarà ammissibile solo se proposta nei termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c.» (tra le più recenti sentenze si possono ricordare
le nn. 5864 e 1193/87, Foro it., Rep. 1987, voce Impugnazioni
civili, nn. 119, 116; 3282/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 101; 3556/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 95; 5417/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 171, e numerosissime altre).
3. - Lo stato della giurisprudenza, anche se appare in prevalen za formalmente univoco nell'adottare il suddetto principio, risen
te delle incertezze che sono insite nella nozione di capo di sentenza, talora considerata come capo di domanda, talaltra come risolu
zione di questione controversa (su cui cfr. amplius in questo stes so paragrafo), sicché, pur in nome di quell'unico principio che si afferma di voler applicare, sono frequenti le decisioni che tra loro divergono nella valutazione di fattispecie sostanzialmente
identiche. Costituiscono evidente menifestazione del disagio interpretati
vo che l'indirizzo tradizionale suscita, ad esempio, le sentenze
nn. 1690/84 e 4112/84 (id., 1985, I, 1443), che, pur richiamando
Il Foro Italiano — 1989.
il principio accennato, sono pervenute ad una diversa soluzione
del problema attinente alla connessione tra il capo di sentenza
relativo alla sorte capitale ed il capo relativo agli interessi ed alla
rivalutazione monetaria.
La prima decisione ha infatti ritenuto inammissibili l'impugna zione incidentale tardiva riflettente la decorrenza degli interessi
e la rivalutazione, avendo ravvisato un interesse autonomo del
l'impugnazione insorto con la stessa emanazione della sentenza, onde non poteva farsi valere perché tardivo dopo che la contro
parte aveva impugnato il capo di decisione relativo alla sorte ca
pitale. La seconda decisione è pervenuta ad una soluzione diametral
mente opposta in base ad una nozione di capo di sentenza intesa
come questione controversa, cui fece già richiamo la sentenza n.
75/75 (id., Rep. 1975, voce Appello civile, n. 34) e che fu poi
ripresa dalla n. 179/82 (id., Rep. 1982, voce Impugnazioni civili, n. 154), la quale, per superare le difficoltà interpretative insite
nella nozione di capo di sentenza, ha utilizzato il diverso criterio
del tema di indagine sottoposto al giudice ed in base ad esso
ha ritenuto inammissibile il ricorso incidentale tardivo riflettente
il tema della entità della somma capitale attribuita alla creditrice
perché del tutto autonomo concettualmente rispetto al ricorso prin
cipale che concerneva il diverso tema della svalutazione monetaria.
Altra tendenza giurisprudenziale, nel ravvisare il nesso di con
nessione e/o dipendenza tra capi di sentenza fa riferimento all'in
teresse ad impugnare intendendo la relativa nozione in maniera
diversa dalla giurisprudenza prevalente. Tale indirizzo ha osser
vato che l'impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c. è
ammessa non solo quando investa lo stesso capo di sentenza og
getto dell'impugnazione principale, ma anche quando riguardi un
capo dipendente o connesso, l'interesse alla cui riforma od an
nullamento, pur insorto al momento dell'emanazione della sen
tenza, sia divenuto rilevante ed attuale soltanto per effetto
dell'impugnazione principale (sent. n. 4007/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 148). Il che, postulando un interesse sempre esistente
al momento dell'emanazione della sentenza per entrambe le parti
soccombenti, fa insorgere nuovi problemi interpretativi che atten
gono alla distinzione tra l'insorgenza dell'interesse ad impugnare e la sua rilevanza ed attualità.
Le difformità di giurisprudenza si riproducono in materia di
lavoro, relativamente al complessivo trattamento del lavoratore; mentre la sent. n. 5050/79 (id., Rep. 1979, voce Cassazione civi
le, n. 292), ha ritenuto inammissibile il ricorso incidentale tardivo
del lavoratore che si doleva della negazione del suo diritto all'in
quadramento nella categoria richiesta rispetto al ricorso principa le del datore di lavoro che aveva censurato il riconoscimento al
lavoratore del trattamento economico connesso allo svolgimento di mansioni superiori, la sent. 3698/81 (id., 1981, I, 2174, seguita dalla 374/83, id., 1983, I, 1628) è andata in diverso avviso, po nendo le premesse di una più lata interpretazione dell'art. 334.
Ha osservato la suddetta sentenza che il rapporto di dipendenza o di connessione tra capi di sentenza va valutato non astratta
mente, bensì' con riferimento alla natura e alla integrazione degli interessi a tutela dei quali venne proposta la causa nonché all'as
setto complessivo dato ad essi con la sentenza impugnata. Si è
affermato, pertanto, che in materia di controversia di lavoro, al
lorché le contrapposte pretese, fatte valere rispettivamente con
l'impugnazione principale e con quella incidentale, attengono tut
te alla determinazione del complessivo trattamento economico e
giuridico dovuto al lavoratore, è da riconoscere la sussistenza del
menzionato rapporto fra tali impugnazioni nonostante che cia
scuna di esse muova da propri e specifici presupposti di fatto
o involga questioni diverse.
4. - In mancanza sia di un indirizzo univoco sia di precisi indi rizzi anche se tra loro divergenti rispetto ai quali possa profilarsi la possibilità di una scelta, ritiene il collegio, in conformità alla
recente sentenza 2149/87 (id., 1988, I, 1966), che i tempi siano
ormai maturi per una revisione critica della interpretazione del
l'art. 334 c.p.c., seguita da questa corte, fondata sulla premessa che la norma postuli l'esistenza di limiti oggettivi all'ammissibili
tà dell'impugnazione incidentale tardiva.
I rilievi che seguono, poiché riguardano l'interpretazione di una
norma contenuta nel capo I del titolo III del codice di procedura civile riflettente le impugnazioni in genere, valgono sia per l'ap pello che per il ricorso (per cassazione) incidentale tardivo.
Rimangono invece fuori dal thema decidendum sia i limiti sog
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
gettivi pur previsti dall'art. 334 sia la disciplina del ricorso inci
dentale condizionato, mentre la fattispecie normativa che si con
sidera, per i fini del presente giudizio, è quella più semplice
caratterizzata da un processo a due parti, definito con sentenza
rispetto alla quale si è verificata una impugnazione principale della
parte, parzialmente soccombente ad una impugnazione incidenta
le tardiva dell'impugnato, anch'esso parzialmente soccombente.
5. - Una indagine che intende porre in evidenza gli aspetti più
significativi che vengono in rilievo nella interpretazione dell'art.
334 c.p.c., specie per far risaltare il fondamento giuridico della
norma e la tutela degli interessi processuali da essa derivanti, do
vrebbe ripercorrere le tappe di un iter logico il quale è da tempo
scandito da un indirizzo dottrinale che attualmente può dirsi as
solutamente dominante. Poiché i punti essenziali di tale orienta
mento si ritrovano nella giurisprudenza di questa corte che si è
occupata del tema, senza peraltro farne scaturire conseguenze ri
lavanti in ordine alla decisione della controversia, è opportuno
prendere le mosse dalla motivazione della sentenza 179/82 cit.
che costituisce la manifestazione più tangibile dell'apertura della
giurisprudenza all'indirizzo dottrinale prevalente. La sentenza ha
rinvenuto il fondamento della norma nella duplice esigenza di
ristabilire da un lato davanti al giudice del gravame l'equilibrio
fra le rispettive posizioni delle parti e, dall'altro, di favorire l'ac
cettazione delle sentenze impugnabili ed ha testualmente osserva
to: «di vero, la parte, la quale sia ad un tempo vittoriosa e
soccombente (ad esempio perché la sua domanda è stata accolta
solo in parte o perché è stata rigettata la sua domanda ed è stata
respinta anche quella riconvenzionale avversaria), pur se ha un
interesse all'impugnazione immediata della sentenza in quanto par
zialmente soccombente può però essere indotta ad astenersene dalla
valutazione del risultato globale ed unitario del giudizio, insieme
favorevole e sfavorevole, e può, in esito a tale valutazione e pure
per amore di quiete, essere disposta ad accettare la sentenza stes
sa, purché anche l'avversario l'accetti e, quindi, a condizione di
potere proporre l'impugnazione nel caso che anche l'avversario
la proponga . . . Ove infatti mancasse la tutela della impugnazio
ne incidentale tardiva, sorgerebbe per entrambe le parti la neces
sità di premunirsi ed entrambe sarebbero spinte a prendere
l'iniziativa di un giudizio di impugnazione . . .».
Non solo risulta dalla motivazione che la pronuncia ha avuto
chiaro il meccanismo attraverso cui la norma intende tutelare l'in
teresse processuale dell'impugnato, ma, come emerge dal passo
successivo che si riproduce anch'esso fedelmente, la corte ha esat
tamente individuato il contenuto di questo interesse: «l'interesse
a proporre l'impugnazione incidentale tardiva, provocato dalla
impugnazione principale nel soggetto nei cui confronti questa viene
proposta, è un interesse diverso o quanto meno distinto da quello
che avrebbe potuto indurre lo stesso soggetto ad impugnare per
primo»; . . . «dalla soccombenza nasce un generico interesse ad
impugnare, preesistente a quello specifico a proporre l'impugna
zione incidentale tardiva, il quale ultimo sorge per effetto della
impugnazione principale proposta dall'altra parte, diretta a mo
dificare la regolamentazione delle contrapposte pretese contenuta
nella sentenza impugnata». 6. - Dall'ampia analisi che la sentenza in esame ha compiuto,
recependo i risultati ai quali da tempo è pervenuta la dottrina
più autorevole in tema di interpretazione dell'art. 334 c.p.c., si
desumono elementi tali, che inducono ad abbandonare l'indirizzo
tradizionale della giurisprudenza ed a riconoscere che la norma
in esame, cosi come è stata concepita nel sistema di diritto pro
cessuale vigente, non tollera limiti oggettivi di sosta.
Se si ammette che: a) la disposizione tende a rendere più age
vole per entrambe le parti l'accettazione della sentenza; ti) che
l'interesse dell'impugnato ad impugnare a sua volta in via inci
dentale la sentenza, anche quando per lui è scaduto il termine
ovvero ha fatto ad essa acquiescenza è interesse che va tenuto
distinto dall'interesse all'impugnazione della sentenza e sorge sol
tanto dall'impugnazione principale, tendente a modificare l'asset
to di interessi che l'impugnato, in mancanza dell'altrui
impugnazione, avrebbe accettato, si deve convenire che, ai fini
dell'ammissibilità dell'impugnazione incidentale tardiva, sono sol
tanto tre i requisiti richiesti dalla norma: 1) la soccombenza con
creta (e non meramente teorica) e parziale; 2) l'impugnazione
principale della controparte; 3) l'ammissibilità della medesima (art.
334, 2° comma, c.p.c.).
È necessario quindi chiedersi come mai, pur avendo fatto al
II Foro Italiano — 1989.
l'indirizzo dottrinale dominante tante concessioni il precedente
in esame sia rimasto poi ancorato alla giurisprudenza tradiziona
le, sia pure foggiando in luogo del criterio che fa riferimento
ai capi di sentenza quello dei temi svolti da entrambe le impugna
zioni (che non devono essere tra loro autonomi e staccati), ripro
ponendo in tal guisa tutte le difficoltà interpretative che il criterio
tradizionale ha suscitato nella pratica giudiziaria. 7. - Le ragioni che hanno indotto la sentenza a confermare
la precedente giurisprudenza risultano ampiamente svolte nella
motivazione, ma esse non sono insuperabili. Si è anzitutto osservato che il dato letterale della norma (che
non ha riprodotto l'art. 485, ultimo comma, c.p.c. del 1865 che
consentiva l'appello incidentale «da qualunque capo della senten
za») impone all'interprete il compito di fissare il rapporto che
deve sussistere tra l'oggetto delle due impugnazioni, al fine di
evitare che la sua indiscriminata utilizzazione consenta di riporta
re nel giudizio di gravame tutta la materia del giudizio di primo
grado, vanificando cosi l'aspirazione, particolarmente viva negli
ordinamenti modermi, all'immutabilità della sentenza.
Una interpretazione della norma che ne intenda cogliere l'inti
ma finalità non può prescindere da una indagine di carattere sto
rico, la quale soltanto può consentire di valutare convenientemente
il significato che essa oggi assume nel sistema processuale vigente.
Nel diritto romano giustinianeo l'appello produceva un effetto
devolutivo assoluto indipendentemente dall'atteggiamento proces
suale dell'appellato (Giustiniano, 39 Cod. de appell. 7, 62). Il
principio rimase immutato nel diritto comune mentre subì una
prima incrinatura soltanto nella prassi dell'ordinamento francese
che introdussse l'appello incidentale per porre nel processo le parti
su di un piede di eguaglianza rispetto al nuovo principio della
personalità dell'appello accolto da quell'ordinamento (code de pro
cedure civile del 1806). Poiché fu introdotto per ovviare alle con
seguenze della personalità dell'appello, si comprende come l'appello
incidentale sin dalle sue origini non tollerasse limiti di sorta. Non
solo nella relazione Pisanelli al codice di procedura civile del 1865
esso fu giustificato sempre con il riferimento all'effetto devoluti
vo, ma la dottrina dell'epoca pose l'accento, in particolare, sul
fatto che nessuna limitazione poteva sussistere per l'appellato, dato che «la lite si intende continuata ... su tutta la materia
che formò oggetto del precedente esame».
Si pervenne cosi alla formulazione dell'art. 485 di quel codice,
il cui ultimo comma fu cosi concepito: «Anche quando sia scadu
to il termine per l'appello principale, l'appellato può proporre
l'appello incidentale da qualunque capo della sentenza». Fu con
questa norma legislativamente consacrato il principio per cui l'am
missibilità dell'appello incidentale non era soggetta a limiti di ca
rattere oggettivo. Ora è vero che l'attuale formulazione dell'art.
334 non contiene quell'inciso, ma da tale circostanza non è lecito
desumere alcuna modificazione del precetto normativo nel diritto
processuale vigente.
Infatti, non solo di limiti oggettivi non si è discorso nella rela
zione al progetto preliminare del codice di procedura civile (Ro
ma 1937, 352) né nella relazione al re (4025), il che già costituisce
un elemento di notevole importanza nella interpretazione del te
sto di legge, ma, quel che maggiormente interessa sottolineare
è che l'art. 334 non contiene alcun riferimento a limitazioni og
gettive di sorta, onde non è lecito all'interprete ritenere che la
norma le abbia previste in ossequio a discutibili affermazioni che
fanno capo all'aspirazione all'immutabilità della sentenza negli
ordinamenti moderni. Se è vero, infatti, che la nuova interpreta
zione dell'art. 334 che si sostiene in questa sede sembra ritardare
la formazione del giudicato rispetto a quanto non si verificasse
secondo la precedente giurisprudenza, è vero altresì che da una
parte quel ritardo non sarebbe ingiustificato perché provocato dalla
esigenza di tutelare gli interessi dell'impugnato in maniera da evi
tare che il medesimo sia posto in balia dell'impugnante (il quale,
secondo il precedente indirizzo, potrebbe togliere al primo qual
siasi possibilità di insorgere contro la sentenza, notificando il pro
prio gravame nell'ultimo giorno utile per l'impugnazione), e
dall'altro non è neanche esatto che la diversa interpretazione del
l'art. 334 determini quel ritardo che il precedente indirizzo tende
rebbe invece ad evitare.
La prevalente dottrina ha avuto modo di sottolineare che l'eli
minazione di qualsiasi limite di carattere oggettivo all'ammissibi
lità dell'impugnazione incidentale tardiva, anziché moltiplicare le
controversie costituisce una remora alla instaurazione di un nuo
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PARTE PRIMA
vo giudizio da parte dell'impugnante principale. Questo, in base
ad una valutazione complessiva dell'assetto di interessi contenuto
nella sentenza che lo vede sia pure parzialmente vittorioso, dovrà
essere più cauto nell'impugnare la decisione nella parte a sé sfa
vorevole, ben sapendo che, in seguito all'impugnazione inciden
tale tardiva della controparte (in tesi sempre ammissibile dal punto di vista oggettivo), quell'assetto di interessi, che può soddisfare
le sue aspettative, potrebbe essere radicalmente mutato, trasfor
mando la sua soccombenza parziale in soccombenza totale. È que sto fattore di rischio calcolato che costituisce un notevole detergente alla mancata accettazione della sentenza da entrambe le parti.
Quindi, non solo la propugnata interpretazione dell'art. 334 giu stificherebbe di per sé un ritardo nella formazione del giudicato, ma quel ritardo è in realtà più apparente che concretamente veri
ficabile come ipotesi legata alla nuova interpretazione. Anzi, de
ve ritenersi che, in definitiva, l'interpretazione della norma aderente
al testo normativo ed al suo fondamento giuridico, essendo fon
data sull'accettazione della sentenza, che è diretta ad agevolare
per entrambe le parti, anticipa anziché ritardare la formazione
del giudicato su tutta quanta la materia controversa esaminata
dalla sentenza inter partes. 8. - Un altro argomento utilizzato per ritenere che non possono
essere esclusi i limiti oggettivi all'ammissibilità dell'impugnazione incidentale tardiva è stato il richiamo del carattere eccezionale
della norma che richiederebbe una interpretazione restrittiva; ma
trattasi di una affermazione che non tiene conto della ratio del
l'art. 334 e della tutela degli interessi che la disposizione intende
realizzare.
A ben vedere, ove si tenga conto della tutela di questi interessi, la norma non deroga ad alcuna regola generale: la decadenza
del diritto di impugnazione è infatti da essa previsto con riferi
mento all'impugnazione principale, mente la tutela dell'interesse
dell'impugnato e dell'interesse ad una accettazione (totale) della
sentenza giustificano il meccanismo processuale attraverso cui l'in
teresse ad impugnare di quest'ultimo presuppone che l'assetto di
interessi contenuto nella sentenza sia rimesso in discussione dalla
impugnazione principale. L'art. 334 contiene quindi esso stesso
uha regola ma non deroga ad alcuna regola generale. La regola è dell'impugnazione incidentale è strettamente ancorata come suoi
unici presupposti alla soccombenza parziale e all'ammissibilità del
l'impugnazione principale. Se questa non può avere ingresso nel processo, l'impugnazione
incidentale tardiva non ha più ragion d'essere, dato che è venuto
meno il pericolo (per l'impugnato) di una modifica dell'assetto
di interessi contenuto nella sentenza che questi ha mostrato di
condividere (nonostante la soccombenza parziale), non avendo
interposto contro di essa impugnazione principale ovvero avendo
prestato alla medesima acquiescenza. E questo meccanismo pro cessuale trova una conferma di carattere normativo nello stesso
capoverso dell'art. 334 che in tal caso prevede che, «se l'impu
gnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione in
cidentale perde ogni efficacia».
È quindi inaccettabile la tesi della natura eccezionale della nor
ma, la quale, oltretutto, impone si la interpretazione restrittiva, ma non giustifica l'individuazione di limiti (oggettivi) di applica zione, che non solo da essa non si desumono, ma anche non
coincidono con il fondamento stesso della disposizione normativa.
9. - Devesi quindi affermare che l'unico limite di carattere og
gettivo che la norma prevede è — come è stato acutamente osser
vato in dottrina — l'unità formale della sentenza contenente una
pluralità di capi sulle domande delle parti, la quale «è sufficiente
a creare quel nesso tra le varie pronunce che giustifica l'ammis
sione dell'impugnazione incidentale anche oltre il termine o no
nostante l'acquiescenza, perché nella visione pratica delle parti l'unità del processo assorbe e fonde come elementi di un tutto
le varie domande che vi furono proposte, senza che si possa di
stinguere tra domande connesse e domande autonome».
Il che dimostra plasticamente che anche nelle ipotesi in cui mas
sima è l'autonomia dei capi di domanda, come accade quando contro la stessa parte siano proposte nel medesimo processo più domande non altrimenti connesse (c.d. cumulo di domande) ex
art. 104 c.p.c. e quindi è massima l'autonomia dei capi della sen
tenza, l'impugnazione incidentale tardiva può trovare applicazio ne concreta.
10. - In conclusione, in base ai precedenti rilievi ne consegue
Il Foro Italiano — 1989.
che, erroneamente, la corte d'appello ha ritenuto nel caso in esa
me l'inammissibilità dell'appello incidentale tardivo della ricor
rente. Si impone pertanto, in accoglimento del primo motivo e
dichiarato assorbito il secondo che riguarda la domanda accesso
ria di risarcimento dei danni, la cassazione dell'impugnata sen
tenza con rinvio ad altro giudice che si designa nella Corte
d'appello di Roma, la quale nel decidere la controversia si atterrà
ai criteri innanzi enunciati.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 novem
bre 1988, n. 6236; Pres. Falcone, Est. Sensale, P.M. Donna
rumma (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato
Palatiello) c. Caroli (Avv. Pallotta). Conferma Comm. trib.
centrale 19 aprile 1986, n. 3391.
Redditi (imposte sui) — Dor su redditi da lavoro autonomo —
Riscossione avvenuta mediante autotassazione — Istanza di rim
borso — Normativa applicabile — Decorso del termine di no
vanta giorni — Successivo provvedimento di diniego —
Impugnabili (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, revisione della
disciplina del contenzioso tributario, art. 16; d.p.r. 29 settem
bre 1973 n. 602, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul
reddito, art. 38).
Ai rimborsi dell'Ilor su redditi da lavoro autonomo, riscossa me
diante versamento diretto per 'autotassazione', si applica l'art.
16, 3° comma (testo originario), d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636;
pertanto, nel caso in cui la restituzione di tale tributo venga
richiesta, invece, a norma dell'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973
n. 602, il decorso del termine di novanta giorni dalla relativa
istanza non integra la fattispecie del silenzio-rifiuto e, conse
guentemente, non pregiudica l'impugnabilità del successivo prov vedimento di diniego espresso dall'intendente di finanza. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 ottobre
1988, n. 5866; Pres. Falcone, Est. Sensale, P.M. Donnarum
ma (conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Pala
tiello) c. Mercuri. Cassa Comm. trib. centrale 2 dicembre 1985, n. 10239.
(1) Nello stesso senso, v. Cass. 28 ottobre 1988, nn. 5867 (annotata da Lambert, in Fisco, 1988, 7610), 5869 (annotata da Tesauro, in Bol lettino trib., 1988, 1807), 5870, 5871, 5872, 5873, 5874, Foro it., Mass., 875, 876.
La decisione, fondata sul medesimo assunto caratterizzante la sentenza sub II (v. infra, nota 2), resa alla stessa udienza, si coordina con Cass. 7 giugno 1988, nn. 3854, 3855, ibid., 566, e 5 maggio 1988, n. 3220, ibid., 487, citata in motivazione, riguardanti una questione strettamente connessa.
La pronunzia confermata — nelle conclusioni, ma non anche nelle ar
gomentazioni: Comm. trib. centrale 19 aprile 1986, n. 3391, id., Rep. 1986, voce Tributi in genere, n. 784 — aveva sostenuto la piena autono mia e la prevalenza del provvedimento di diniego, sopravvenuto alla sca denza del termine di novanta giorni.
Sono a favore dell'impugnabilità del provvedimento espresso, anche Comm. trib. centrale 8 maggio 1985, n. 4416, ibid., n. 720, e 23 aprile 1985, n. 3687, ibid., n. 719.
Secondo Comm. trib. I grado Asti 10 febbraio 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 719, il termine per ricorrei*e alle commissioni tributarie inizia a decorrere dalla data di notificazione del provvedimento espresso.
Per il caso in cui sia stato proposto ricorso avverso il provvedimento dell'intendente di finanza, successivamente all'impugnazione del silenzio
rifiuto, v. Comm. trib. I grado Mantova 4 ottobre 1980, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1155.
Con riguardo ad una fattispecie in cui il provvedimento dell'ammini strazione ha un contenuto positivo, v. Comm. trib. I grado Bolzano 27
giugno 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n. 689. In dottrina, v. E. Palumbo, Sull'impugnabilità del provvedimento di
diniego di rimborso emanato dopo la formazione del silenzio (nota a Comm. trib. centrale 4416/85, cit.), in Dir. e pratica trib., 1986, II, 686, e, più in generale, A. Messina, Rimborso delle imposte: silenzio e dinie
go espresso, in Bollettino trib., 1987, 1439.
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