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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 17 luglio 1987, n....

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sezione I civile; sentenza 17 luglio 1987, n. 6293; Pres. F.E. Rossi, Est. Vignale, P.M. Leo (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Semerini) c. Fall. Bonomi. Cassa App. Bologna 29 marzo 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 463/464-467/468 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181089 . Accessed: 25/06/2014 04:10 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.92 on Wed, 25 Jun 2014 04:10:06 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 17 luglio 1987, n. 6293; Pres. F.E. Rossi, Est. Vignale, P.M. Leo (concl. conf.); Min. finanze (Avv.

sezione I civile; sentenza 17 luglio 1987, n. 6293; Pres. F.E. Rossi, Est. Vignale, P.M. Leo (concl.conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Semerini) c. Fall. Bonomi. Cassa App. Bologna 29 marzo1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 463/464-467/468Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181089 .

Accessed: 25/06/2014 04:10

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PARTE PRIMA

n. 80), e dall'altra che una responsabilità precontrattuale può es

sere configurata anche a carico della p.a. (sent. n. 3410/80, id.,

Rep. 1980, voce Contratti della p.a., n. 9; 2980/75, id., Rep.

1975, voce Giurisdizione civile, n. 102; 2691/72, id., Rep. 1972, voce Contratti della p.a., n. 15).

Quest'ultimo principio, tuttavia, postula che ricorrano anche

nei confronti della p.a. i presupposti che il diritto comune richie

de perché possa ravvisarsi nella singola fattispecie il procedimen to (privatistico) di formazione del contratto, il quale se non

presuppone sempre la sequenza: proposta-accettazione, prevedendo l'ordinamento fattispecie in cui il contratto si perfeziona adottan

do una sequenza diversa (es. art. 1327 c.c.), deve pur sempre trattarsi del procedimento di formazione del contratto che inte

ressa le parti contraenti. Il che non si verifica nel caso in esame, nel quale la dedotta violazione del dovere di buona fede della

p.a. viene fatta valere con riguardo al procedimento amministra

tivo di scelta del futuro contraente.

È noto infatti che, mentre i soggetti privati godono di piena libertà nella scelta degli altri soggetti con i quali intendono con

cludere i contratti, la p.a. deve adottare al riguardo un apposito

procedimento che ha la funzione di garantire che il soggetto con

trattuale si costituisca con il soggetto che fornisce le maggiori

garanzie ed alle condizioni più convenienti per l'autorità ammini

strativa (interesse pubblico direttamente tutelato dalle relative nor

me che perciò sono di azione). La licitazione privata è prevista nei casi richiamati dagli art.

38 e 39 del regolamento di esecuzione della legge sulla contabilità

generale dello Stato (r.d. 23 maggio 1924 n. 827), e cioè nei casi

di urgenza e per opere o forniture che debbano essere affidate

a ditte specializzate. In tali casi la p.a. rivolge un invito ad alcune

ditte che risultino idonee in base a valutazioni eseguite caso per caso e, come spesso accade, a ditte la cui idoneità risulti dall'i

scrizione in appositi elenchi tenuti dalla stessa amministrazione.

Il concorso, con forme per lo più analoghe a quelle dei pubblici

incanti, si svolge tra tali ditte e la scelta avverrà secondo il crite

rio della maggiore convenienza economica.

Ora non soltanto in tale procedimento non sussistono ancora

le parti contraenti cui si riferisce l'art. 1337 c.c., ma non può

neppure — richiamando l'indirizzo giurisprudenziale che ravvisa

in tale norma un'applicazione dei principi sulla responsabilità aqui liana (sent. n. 1705/83, id., Rep. 1983, voce Contratti agrari, n. 150; 2385/74, id., Rep. 1974, voce Contratto in genere, n.

106; 2459/66, id., Rep. 1966, voce Obbligazioni e contratti, n.

172) — ravvisarsi nella relazione che intercorre tra i partecipanti alla gara e la p.a. una relazione specifica di contiguità, un rap

porto personalizzato da cui possa farsi discendere un obbligo di

buona fede dell'autorità amministrativa. La preventiva selezione

dei concorrenti esplica, invero, la funzione di garantire meglio l'interesse della p.a. alla conclusione del contratto più convenien

te, ma non circoscrive la gara tra i contraenti nel senso previsto dall'art. 1337 c.c. poiché si é ancora nella fase che precede la

individuazione del (futuro) contraente. Ed in questa fase non può discorrersi di affidamento ragionevole nella conclusione del con

tratto per i singoli partecipanti alla gara, i quali conoscono la

propria offerta, ma non quella degli altri e quindi non possono

esprimere una preventiva valutazione circa l'esito vittorioso del

procedimento, anche se possono augurarsi ovviamente di riuscire

a prevalere sugli altri. D'altro canto, l'ammettere a carico della

p.a. le conseguenze che l'art. 1337 c.c. ricollega alla violazione

del dovere di buona fede, anche nel corso del procedimento am

ministrativo volto alla sceltra del contraente, implicherebbe il ri

conoscimento di un diritto del singolo partecipante alla

prosecuzione del procedimento amministrativo che invece non sus

siste per la illustrata direzione delle norme che lo disciplinano secondo l'ordinamento giuridico (cfr. la sentenza delle sezioni unite

di questa corte, 26 giugno 1986, n. 4251, id., Rep. 1986, voce

Opere pubbliche, n. 125). Le precedenti considerazioni dimostrano che non merita alcuna

censura la impugnata sentenza allorché ha escluso che potesse

profilarsi nella specie una responsabilità precontrattuale della Ancc

nei confronti della ricorrente anche dopo l'annullamento giurisdi zionale dei provvedimenti amministrativi che avevano interrotto

il corso della licitazione privata e la stipula di un contratto a

trattativa privata con altro soggetto. È noto, invero, che il giudicato amministrativo di annullamen

to non ha il potere di modificare la consistenza della situazione

Il Foro Italiano — 1988.

soggettiva fatta valere in giudizio che rimane immutata di interes

se legittimo. Per quanto concerne infine le doglianze relative alla affermata

soppressione della rivista e le ragioni poste a base della dedotta

violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'Ance, esse non

incidono sulla soluzione accolta dalla corte d'appello per difetto

del requisito della decisorietà (art. 360, n. 5, c.p.c.) e comunque

rimangono assorbite nei precedenti rilievi. Il ricorso deve essere,

pertanto, respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 luglio

1987, n. 6293; Pres. F.E. Rossi, Est. Vignale, P.M. Leo (conci,

conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Semerini) c. Fall. Bono

mi. Cassa App. Bologna 29 marzo 1983.

Fallimento — Accertamento del passivo — Credito d'imposta —

Pendenza di giudizio davanti alle commissioni tributarie — In

sinuazione tardiva — Ammissione con riserva — Esclusione — Sospensione del processo di ammissione al passivo (Cod.

proc. civ., art. 295; r.d. 16 marzo 1942 n 267, disciplina del

fallimento, art. 55, 95, 101; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602,

disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 45).

La domanda di insinuazione tardiva proposta dall'amministra

zione finanziaria (nella specie, relativa a tributo indiretto) è

ammissibile pur se abbia ad oggetto un credito per il cui accer

tamento già penda controversia innanzi alle commissioni tribu

tarie, ma, nel caso di contestazione del curatore, il credito non

può essere ammesso con riserva e il giudizio innanzi al tribuna

le fallimentare deve essere sospeso fino alla decisione definitiva del contenzioso tributario. (1)

(1) La sentenza affronta, ex professo, risolvendolo in senso negativo, il solo tema dell'ammissibilità che un credito di natura tributaria, per il cui accertamento penda controversia innanzi alle commissioni tributa

rie, fatto valere con il procedimento dell'insinuazione tardiva, possa esse re ammesso con riserva al passivo di un fallimento.

La risposta negativa fornita dalla corte si fonda su una assorbente ar

gomentazione: l'ammissione con riserva di un credito contestato è confi

gurabile solo nel caso di insinuazione tempestiva, posto che una siffatta decisione è incompatibile con il procedimento contenzioso che si radica ex art. 101 1. fall, nel caso di contestazione del curatore.

Ciò va segnalato, in quanto la sentenza non affronta affatto, per risol vere il caso, il tema della natura del credito tributario, posto che il legis latore ha previsto espressamente l'ammissione con riserva dei soli crediti contestati esigibili mediante ruoli (art. 45 d.p.r. 602/73).

Ricondotta la questione in termini cosi generali, scarsi sono i preceden ti che si rinvengono.

Conformi appaiono, in Un caso speculare, Trib. Lanciano 2 luglio 1985, Foro it., 1987, I, 2487, con nota di richiami; mentre Trib. Lucca 21 apri le 1986, Fallimento, 1986, 1154, e Trib. Catania 24 luglio 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Fallimento, n. 499, hanno escluso che il credito tri butario contestato possa essere ammesso al passivo con riserva valoriz zando l'assenza di una norma eguale all'art. 45 d.p.r. 602/73 per le imposte non esigibili mediante ruoli.

La sentenza mostra poi di conformarsi ad un precedente delle sezioni unite (20 gennaio 1970, n. 117, id., Rep. 1970, voce Competenza civile, n. 274) che avevano ritenuto come l'unico strumento giuridico in situa zioni siffatte fosse la sospensione ex art. 295 c.p.c.; il precedente non assume peraltro un significato cosi importante come sembra attribuirgli la riportata sentenza, quanto meno per il fatto che quella pronuncia ven ne resa prima dell'entrata in vigore della riforma tributaria che ha previ sto espressamente l'ammissione con riserva per alcuni crediti tributari contestati.

Il tema specifico relativo alla possibilità di ammettere con riserva un

credito, non solo nella fase dell'udienza di verifica, ma anche nel corso del procedimento di insinuazione tardiva, non risulta adeguatamente ap profondito, né con riferimento ai crediti tributari contestati, né con rife rimento ai crediti condizionali di cui all'art. 55 1. fall.

In senso opposto alla decisione in epigrafe, si veda App. Milano 2

maggio 1974, id., Rep. 1975, voce Fallimento, n. 521, decisione riferita, peraltro, ad un credito condizionale che costituisce una fattispecie assai diversa rispetto ai crediti assimilati ai primi, in virtù di un espresso prov vedimento legislativo.

Il ragionamento della Corte suprema si fonda, infatti, sull'interpreta zione dell'art. 101 1. fall., laddove al giudice delegato è affidato il potere di ammettere il credito, alla prima udienza, solo in assenza di qualsiasi contestazione del curatore, dovendo al contrario dare inizio alla istruzio ne della causa ai sensi dell'art. 175 c.p.c. Di fronte all'osservazione del

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso, l'am

ministrazione finanziaria sostiene l'erroneità della decisione nella

parte in cui ipotizza che motivo d'inammissibilità dell'insinuazio

ne tardiva possa essere la circostanza che il credito era stato con

testato non dal debitore prima dell'apertura del fallimento, ma

dal curatore.

L'amministrazione ricorrente denuncia l'irrilevanza, ai fini pre

detti, della circostanza indicata, giacché anche la contestazione

curatore che assume la pendenza di una controversia tributaria, l'unico rimedio corretto sarebbe, allora, rappresentato dalla sospensione del pro cesso dinanzi al tribunale fallimentare ex art. 295 c.p.c.

Si annotano poi diverse altre pronunce in cui si è stabilito che il credito dell'amministrazione finanziaria per il cui accertamento penda ricorso in nanzi alle commissioni tributarie, può trovare riconoscimento nel falli mento con l'ammissione con riserva, senza affrontare, ex professo, il tema della riserva correlata ad insinuazioni tardive; il fatto che vi siano tali

pronunce, costituisce la prova più evidente che si è ritenuto possibile ap porre la riserva anche al termine del procedimento contenzioso e non solo in sede di verifica dei crediti.

In questo senso, Cass. 29 maggio 1984, n. 3273, id., Rep. 1985, voce

cit., n. 447; 15 dicembre 1983, n. 7400, id., Rep. 1984, voce cit., nn.

376, 380; 19 giugno 1974, n. 1806, id., Rep. 1975, voce cit., n. 486 (citata in motivazione come precedente conforme, mentre tale decisione costitui sce la «pietra angolare» della giurisprudenza di legittimità sull'argomento della ammissione con riserva, pur se anche tale pronuncia è intervenuta in una controversia maturata in epoca antecedente alla riforma tributa

ria); 24 novembre 1970, n. 2483, id., 1971, I, 1981; Trib. Perugia 25 febbraio 1987, Fallimento, 1987, 882; Trib. Padova 10 gennaio 1986, ibid., 193; App. Catania 20 dicembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n.

473; Trib. Milano 15 luglio 1982, ibid., n. 475. Per Trib. Messina 21

febbraio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 351, nel caso di contestazione, il credito né può essere ammesso con riserva, né può venire disposta la

sospensione. In dottrina, in senso conforme alla sentenza n. 6293/87, Morellini, Crediti tributari in contestazione ed effetti della relativa do manda di ammissione al passivo fallimentare, in Giur. it., 1986, I, 2, 433; in senso contrario, A. Rossi, L'ammissione nel passivo fallimentare dei crediti per imposte e sanzioni pecuniarie dopo la riforma tributaria, in Giur. comm., 1984, I, 328.

Si sono altresì occupati dell'argomento, senza però esaminare in parti colare l'aspetto della riserva correlata alla insinuazione tardiva, Pajardi, Fallimento e fisco, id., 1985, I, 477; Scanzano, La verifica fallimentare dei crediti d'imposta, in Fallimento, 1983, 398; Del Vecchio, I crediti

condizionali nelle procedure concorsuali, in Giur. comm., 1983, I, 353; Lo Cascio, Imposte dirette e indirette: procedure concorsuali e conten

zioso tributario, id., 1982, I, 633; Lo Moro Banzi, L'ammissione al pas sivo con riserva, Padova, 1981, 224 ss.; Bonfanti, La formazione dello

stato passivo neI fallimento, Milano, 1981, 99; tutti questi autori si sono

occupati del problema come posto dopo l'entrata in vigore del d.p.r. 602/73.

In generale, sull'applicazione dell'istituto della sospensione nella fase

di accertamento del passivo, cfr. Ragusa Maggiore, Diritto fallimentare, Napoli, 1974, II, 613, — favorevole — e Provinciali, Trattato di dir.

fall., Milano, 1974, II, 1487 — contrario —; per Rossi, op. cit., 324, l'istituto della sospensione è invocato erroneamente, atteso che la contro

versia tributaria non è pregiudiziale alla domanda di insinuazione, ma

corre su di un binario parallelo (determinato dalla diversità della giurisdi

zione), di talché al giudice delegato compete valutare se il credito è effica

ce ed opponibile nei confronti della massa, mentre la commissione tributaria deve accertare Van ed il quantum debeatur.

La sentenza 6293/87, come si è accennato, trascura un ulteriore argo mento che avrebbe condotto alla medesima conclusione, quello fondato

sulla norma di cui all'art. 45 d.p.r. 602/73 e al significato da attribuire

alla omissione di una disposizione di contenuto consimile nel testo nor mativo dedicato ad altri tributi, e in particolare all'Iva.

Hanno espressamente riconosciuto che anche i crediti contestati relativi

all'imposta sul valore aggiunto possono venire ammessi al passivo del

fallimento con riserva, interpretando analogicamente l'art. 45 d.p.r. 602/73, Cass. 29 maggio 1984, n. 3273, cit.; Trib. Perugia 25 febbraio 1987, cit.; Trib. Padova 10 gennaio 1986, cit.; contra, da ultimo, Trib. Catania

24 luglio 1985, cit.; Trib. Milano 28 febbraio 1985, cit. In altra fattispe cie, Trib. Genova 21 dicembre 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n.

364, ha, invece, evidenziato le ragioni per le quali la disciplina legislativa in materia di Irpef è diversa rispetto a quella dell'Iva.

In dottrina, Rossi, op. cit., 334, reputa che anche i crediti per imposte

indirette, Iva, Invim, imposta di registro, possano venire ammessi al pas sivo con riserva; cfr. sul punto anche Abbate, Crediti d'Iva contestati

avanti al giudice tributario e loro ammissione nel passivo fallimentare, in Legisl. giur. trib., 1982, 1374.

La sentenza dà poi per scontata la risoluzione del problema relativo

alla natura concorsuale del credito per sanzione d'imposta relativa a fatti

accaduti ante fallimento, uniformandosi ad un indirizzo, a livello di giu dici di legittimità, ormai consolidato (cfr. Cass. 29 settembre 1987, n.

7318, Fallimento, 1987, 1252; 20 giugno 1987, n. 5441, ibid., 1235; 30

Il Foro Italiano — 1988.

originariamente proveniente dal debitore deve essere in ogni caso

fatta propria dal curatore per aver peso nel giudizio fallimentare.

Rileva, inoltre, che la disciplina del fallimento assicura a tutti

i creditori di concorrere alla formazione del passivo pur dopo la chiusura delle operazioni di verifica, senza alcuna limitazione

per i crediti condizionati riguardo ai quali non dovrebbe sussiste

re ragione per negare l'operatività della norma sugli accantona

menti. Quanto, poi, ai crediti contestati (che a quelli condizionati

marzo 1987, n. 3055, ibid., 823; 9 febbraio 1987, n. 1375, ibid., 923; 8 settembre 1986, n. 5472, Foro it., Rep. 1986, voce cit.; n. 319; 20

giugno 1986, n. 4104, ibid., n. 320; 9 maggio 1986, n. 3088, ibid., n.

321; 30 novembre 1985, n. 5980, id., 1986, I, 3100, ed ivi per ulteriori

riferimenti).

* * *

La riportata sentenza non può non lasciare al lettore una qualche for ma di perplessità, non tanto di ordine logico, quanto, piuttosto, di ordine

pratico, a meno di coordinarla necessariamente e acriticamente all'orien tamento giurisprudenziale formatosi in tema di chiusura del fallimento in costanza di controversie pendenti in materia di accertamento del passivo.

Il problema posto dalla Cassazione presenta aspetti di enorme rilevan za sul piano della prassi: infatti, nella maggioranza dei casi, l'ammini

strazione finanziaria aziona la propria pretesa con la domanda tardiva, di guisa che aderire all'orientamento della Suprema corte significa preve dere un consistente aumento dei giudizi sospesi e, al contempo, diagnosti care un allungamento della durata delle procedure.

Se la scelta della sospensione è intrinsecamente esatta, occorre valutare se sia anche giustificabile sul piano pratico, ovvero se la scelta della riser va non sia più opportuna.

V'è da chiedersi se in tale pronuncia vi sia la consapevolezza delle con

seguenze che discendono dalla soluzione prescelta. Se il credito tributario contestato viene ammesso al passivo con riserva,

l'amministrazione è ampiamente tutelata, sia che tale credito venga equi

parato al credito condizionale tout court (cfr. Scanzano, op. cit., 398; Del Vecchio, op. cit., 356), sia che la parificazione venga rapportata all'art. 95, 3° comma, 1. fall. (cfr. Rossi, op. cit., 319), in quanto in

entrambe le ipotesi si esclude che il creditore debba interporre opposizio ne ex art. 98 1. fall. (cfr. Cass. 1806/74, cit.) e si ammette il diritto all'ac

cantonamento tanto nei riparti parziali che in quello finale. In particolare il curatore può chiudere il fallimento, ma deve accantonare le quote nel

rispetto della par condicio creditorum.

L'opzione per la sospensione rende, invece, necessario approfondire il tema dei rapporti fra chiusura del fallimento e pendenza di cause relati

ve all'accertamento del passivo; si tratta cioè di prendere in esame le norme sulla distribuzione dell'attivo, per verificare se il creditore tardivo

(od opponente od impugnato o revocato) sia egualmente tutelato.

L'art. 113 1. fall, prevede che, nei riparti parziali, debbano essere trat

tenute le quote assegnate ai creditori per i quali è stato ordinato l'accan

tonamento (n. 2) e ai creditori i cui crediti sono soggetti a condizione

sospensiva non ancora verificata (n. 3); l'art. 117, a proposito della ripar tizione finale, detta una regola diversa, imponendo la distribuzione di

tutte le somme, ad eccezione di quelle relative alle quote menzionate nel

l'art. 113, n. 3, 1. fall.

L'argomento è stato trattato ampiamente dalla dottrina, in particolar modo con riferimento alla tematica della chiusura del fallimento in pen denza di cause di accertamento dei crediti nei confronti del fallito; l'o

rientamento della giurisprudenza, in un primo momento oscillante, pare

oggi essersi consolidato nel senso di accordare la tutela prevalente alla

posizione del creditore, il cui credito è oggetto di accertamento, piuttosto che alle esigenze di celerità e speditezza delle operazioni concorsuali. Il

revirement della Suprema corte è segnato dalle decisioni 5 marzo 1979, n. 1367, Foro it., 1979, I, 1456, e 21 maggio 1984, n. 3114, id., Rep. 1984, voce Fallimento, n. 451: nella prima pronuncia si sancisce espressa mente il potere del giudice delegato di ordinare, in sede di ripartizione finale, adeguati accantonamenti per i creditori «contestati» (opponenti od impugnati), nella seconda, si afferma, invece, l'esistenza di un obbligo

per il giudice delegato di accantonare le somme necessarie a far fronte

ai crediti che venissero accertati all'esito delle cause di opposizione o im

pugnazione. Il nuovo indirizzo della giurisprudenza di legittimità cui si è uniforma

ta rapidamente buona parte dei giudici di merito, è stato vivacemente

criticato da una parte della dottrina che ha comunque evidenziato come

le conclusioni cui è pervenuta la Suprema corte non possano, tout court, venire ragionevolmente invocate con riferimento alla posizione dei credi

tori tardivi (e la decisione 3114/84 è stata resa proprio in una controver

sia sorta a seguito della proposizione di una insinuazione tardiva da parte di una esattoria), posizione, spesso frettolosamente equiparata a quella dei creditori tempestivi opponenti (pervengono alla conclusione che gli accantonamenti non possono riguardare crediti, il cui accertamento di

pende dall'esito del giudizio conseguente a domanda tardiva, Fanile, L'ob

bligo degli accantonamenti da parte del giudice delegato nella distri

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PARTE PRIMA

sono equiparabili), non dovrebbe costituire motivo d'inammissa bilità della domanda l'incertezza sull'esistenza e sull'ammontare dei crediti, essendo questa destinata ad essere superata proprio con la sentenza pronunciata a conclusione dello stesso giudizio di insinuazione tardiva. La soluzione non potrebbe essere diver

sa, sostiene, infine, la ricorrente, nel caso che la contestazione

riguardi un credito d'imposta, giacché, se non si vogliono creare

disparità di trattamento in contrasto con i principi costituzionali, la circostanza che, per motivi di giurisdizione, l'accertamento del credito non sia possibile innanzi allo stesso tribunale fallimenta

re, dovrebe portare soltanto alla conclusione che il credito debba essere ammesso con riserva oppure che il giudizio di ammissione debba essere sospeso fino alla definizione della controversia tri butaria.

Il ricorso è fondato. A norma dell'art. 101 1. fall., i creditori

possono chiedere al giudice delegato l'ammissione di un credito al passivo anche dopo il decreto di esecutività dello stato passivo, fino a che non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo, ma, se il curatore ne contesta l'ammissione o il giudice lo ritiene in

fondato, deve procedersi all'istruzione della causa a norma degli

buzione dell'attivo del fallimento, in Fallimento, 1987, 731; Lugano, Chiu sura del fallimento e accantonamenti:... «perseverare diabolicum», id., 1986, 1016; Id., Ancora sul preteso obbligo di effettuare accantonamenti a favore dei creditori tardivi, id., 1984, 1364; Apice, Accertamento non

definitivo dello stato passivo e chiusura del fallimento, in Giur. comm., 1978, II, 855; anche Tedeschi, Chiusura del fallimento, in Commentario a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977, 28, il quale sostiene la tesi più favorevole ai creditori contestati, esclude che il fallimento pos sa non essere chiuso in presenza di giudizi relativi a domande di insinua zioni tardive; contra, Valignani, La distribuzione integrale dell'attivo in

pendenza di opposizioni ex art. 98 I. fall., in Giur. comm., 1979, II, 348; Tarzia, / riparti parziali fallimentari e i creditori in corso di accerta mento, id., 1977, II, 768).

La lettura dell'art. 112 1. fall, lascia poco spazio a quanti insistono nel riconoscere l'esistenza del diritto del creditore tardivo ad ottenere l'ac cantonamento della quota di attivo corrispondente al proprio credito; lad dove la norma stabilisce che il creditore tardivo partecipa soltanto alle ripartizioni posteriori alla ammissione, con ciò pone una esplicita deroga al principio della retroattività degli effetti della pronuncia alla data della domanda nonché alla intuizione chiovendiana (Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, 137) secondo la quale la durata del processo non deve andare a detrimento dell'attore.

Cosi riassunto, sinteticamente, il quadro normativo di riferimento, due sono le soluzioni che si prospettano; o si aderisce all'orientamento della Cassazione sul punto dei rapporti fra domanda tardiva e ripartizione fi nale dell'attivo (cui adde, Trib. Milano 7 aprile 1987, Dir fallim., 1987, II, 483, con nota di Pajardi; Trib. Genova 13 febbraio 1986, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 559), nel qual caso la pronuncia in rassegna non determinerà alcun pregiudizio alla posizione delle esattorie e dell'ammini strazione finanziaria, ovvero si contesta la tesi della ammissibilità degli accantonamenti per i creditori tardivi ed allora la decisione 6293/87 porta come effetto, il rischio di privare di tutela i crediti tributari contestati.

La soluzione disattesa dalla Cassazione appariva, quindi, più pratica, soprattutto se rapportata alla assimilazione del credito tributario conte stato con il credito condizionale vero e proprio (cfr. Scanzano, La verifi ca fallimentare dei crediti d'imposta, cit., 396) o con il credito portato da sentenza non passata in giudicato — produttiva degli effetti «cautela ri» dell'ammissione provvisoria — (Rossi, L'ammissione ne! passivo falli mentare dei crediti per imposte, cit., 324) posizione che legittima la permanenza dell'accantonamento anche dopo la chiusura del fallimento; non va poi trascurato il fatto che solo il creditore «condizionale», o am messo provvisoriamente, può esprimere il voto nel concordato (art. 127 1. fall.).

Forse, con un limitato sforzo ermeneutico, si potrebbe sostenere che il curatore, quando nel corso della prima udienza del procedimento ex art. 101 1. fall, precisa che il credito tributario è oggetto di contestazione, con un tale comportamento intende non contestare l'efficacia e l'opponi bilità del credito nei confronti della massa, lasciando impregiudicata la quantificazione (e la stessa esistenza) del credito, per il cui accertamento è competente altro organo giurisdizionale; a chi obietti che tale fattispecie ricade perfettamente nella previsione dell'istituto della sospensione del processo, si potrebbe poi obiettare che il 3° comma dell'art. 101 1. fall, può venire interpretato estensivamente, nel senso che «...se all'udienza il curatore non contesta l'ammissione del nuovo credito, incondizionata mente ovvero con riserva,... il credito è ammesso con decreto» (cosi, implicitamente, Cass. 29 maggio 1984, n. 3273, cit.). La soluzione che qui si prospetta, presenta l'indubbio vantaggio di elidere possibili contro versie (si pensi alla impugnativa dei piani di riparto e dei decreti di chiu sura del fallimento) e di accelerare i tempi delle procedure, due esigenze che nessuno può permettersi di ignorare, se non si vogliono pretermettere indefinitivamente le aspettative dei creditori. [M. Fabiani]

Il Foro Italiano — 1988.

art. 175 ss. c.p.c. La disposizione, quindi, ai fini dell'ammissibi lità della domanda, non distingue affatto tra crediti già contestati dal debitore in bonis e crediti fatti valere per la prima volta in

sede fallimentare e in questa sede contestati, prevedendo soltanto

che, nel caso di contestazione del curatore o di valutazione nega tiva dal giudice, il credito venga ammesso subordinatamente al suo accertamento giudiziale. La norma, peraltro, non pone nes suna preclusione né esclude l'ammissibilità della domanda per nes suna categoria di crediti e tanto meno per i crediti in relazione ai quali già penda controversia innanzi alle commissioni tributarie.

Nella decisione impugnata, richiamandosi alcune pronunce di

questa corte (le sentenze n. 1806 del 1974, Foro it., Rep. 1975, voce Fallimento, n. 186, e n. 117 del 1970, id., Rep. 1970, voce

Competenza civile, n. 274), è stato affermato che in sede di insi

nuazione tardiva del credito, non essendo prevista l'ammissione «con riserva», il giudice, di fronte alla contestazione del credito

tributario, non potrebbe che escluderlo. La questione è già stata risolta dalle sezioni unite di questa corte proprio nella sentenza n. 117 del 1970, richiamata nella decisione impugnata ed eviden temente non correttamente interpretata dal giudice di merito. An

che in quella decisione si affrontava il problema se fosse

ammissibile la dichiarazione tardiva di un credito d'imposta in

pendenza di un giudizio promosso dal curatore innanzi alle com

missioni tributarie. Qui, la Suprema corte, premesso che la ri

chiesta tardiva di ammissione al passivo implica una domanda di accertamento del credito ed è volta ad acquisire, attraverso tale accertamento, il titolo idoneo per concorrere alla ripartizione dell'attivo, osservò che, in tale ipotesi, se il tribunale fallimentare fosse tenuto a pronunciare immediatamente sulla richiesta «senza

attendere..., in caso di questioni implicanti la giurisdizione esclu siva delle... commissioni (tributarie), di avere la possibilità di te ner conto della loro definitiva decisione al riguardo, dovrebbe

senz'altro respingere la richiesta di ammissione per la pura e sem

plice circostanza della pendenza di quel giudizio. Infatti, la ri chiesta non risulterebbe fondata su un titolo definitivo per la riscossione dell'imposta, in quanto il giudizio delle commissioni tributarie incide sulla formazione dell'atto di accertamento».

Viceversa — concluse la sentenza — in tal caso «l'esatto rime dio è la... sospensione del processo fino a che, essendo intervenu ta una decisione definitiva in sede di commissioni tributarie sulle

questioni formanti oggetto delle eccezioni di curatore, sia stata risolta la questione... della quale il giudice ordinario... non pote va conoscere».

Ed invero, l'art. 101 1. fall, non impone affatto al giudice di

decidere in ordine alla domanda di insinuazione tardiva immedia

tamente e sulla base degli atti, ma, come si è già osservato, nel caso di contestazione del curatore o di valutazione negativa circa la fondatezza del credito, gli fa carico di procedere all'istruzione della causa per il relativo accertamento. Dal che si desume innan zitutto l'ammissibilità della richiesta d'insinuazione e si trae poi l'ulteriore conseguenza che, non potendo tale ammissibilità com

portare una pronuncia di ammissione del credito con riserva in

analogia con il disposto dell'art. 95 1. fall., la decisione sulla am missione del credito in termini di esistenza e di ammontare, resta subordinata all'esito del giudizio che va ad instaurarsi. E se l'ac certamento dello stesso, come nella specie, è precluso al tribunale fallimentare per motivi di ripartizione della giurisdizione, soccor re la disposizione di cui all'art. 295 c.p.c., il quale prevede la

sospensione necessaria del giudizio ordinario, quando debba esse re preliminarmente risolta dal giudice amministrativo una contro versia dalla quale dipende la decisione della causa.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna, la quale, in

applicazione dell'art. 384 c.p.c., dovrà attenersi al seguente prin cipio di diritto: «La domanda d'insinuazione tardiva, a norma dell'art. 101 1. fall., è ammissibile pur se abbia ad oggetto un credito per il cui accertamento già pende controversia innanzi alle commissioni tributarie e se, per la contestazione del curatore, debba

procedersi, ai fini dell'ammissione del credito, al suo accertamen

to, il giudizio, innanzi al tribunale fallimentare deve essere sospe so fino alla decisione definitiva delle commissioni tributarie».

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