Click here to load reader
Click here to load reader
sezione I civile; sentenza 19 luglio 1986, n. 4655; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Tridico(concl. conf.); Montorni (Avv. Costa, Turchi) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta).Conferma Comm. trib. centrale 18 febbraio 1986, n. 1228Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 927/928-929/930Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181159 .
Accessed: 25/06/2014 03:04
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.2.32.14 on Wed, 25 Jun 2014 03:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
29 giugno 1981, il 18 agosto dello stesso anno aveva occupato in via di urgenza parte di un fondo di proprietà di Lucia Bubbi
co, sito in Moncaglione, per la realizzazione di una linea aerea a bassa tensione, esponeva che la Bubbico aveva successivamente
impedito l'esecuzione dei lavori estromettendo dal terreno gli operai che si erano immessi per l'installazione dei sostegni. Chiedeva
pertanto al pretore di essere reintegrato nel possesso del terreno, facendosi ordine alla Bubbico, eventualmente anche ai sensi del
l'art. 700 c.p.c., di cessare qualsiasi turbativa dell'esecuzione e
dell'opera pubblica. La Bubbico, nel costituirsi in giudizio, contestava il fatto posto
a fondamento dell'azione ed eccepiva, in via pregiudiziale, il di
fetto di giursidizione, sostenendo che l'Enel, nello svolgimento dei fini istituzionali, non è titolare di diritti tutelabili da parte del giudice ordinario.
In base allo stesso argomento, con ricorso del 5 aprile 1982
proponeva regolamento di giurisdizione. Resiste l'Enel con con
troricorso.
Molivi della decisione. — Con l'unico motivo a sostegno del
regolamento, la ricorrente Bubbico deduce il difetto di giurisdi zione del giudice ordinario, innanzi al quale l'Enel, adendo il
Pretore di Matera, ha proposto domanda di reintegrazione nel
possesso del fondo occupato (e, se del caso, l'emanazione di prov vedimenti ex art. 700 c.p.c., diretti ad assicurare il completamen to dei lavori); sostiene che l'ente non sia titolare di una posizione di diritto soggettivo che gli consenta di avvalersi della tutela giu risdizionale ordinaria, sia perché autorizzato ad occupare il fon do nell'espletamento delle sue finalità istituzionali pubbliche e sia
perché in relazione a queste disporrebbe di poteri autoritativi di autotutela.
La tesi è destituita di fondamento sotto entrambi i profili.
Quanto al primo, è agevole obiettare che ai fini della proponi bilità dell'azione — e, dunque, della questione di giurisdizione — è del tutto priva di rilievo la natura pubblicistica del provvedi mento (decreto di occupazione di urgenza) che costituisce il titolo del rapporto possessorio allegato, occorrendo solo verificare se
questo sia configurabile alla stregua dei fatti posti a fondamento
della domanda; e ciò perché il possesso viene tutelato dall'ordi
namento (anche) indipendentemente dall'eventuale titolo giustifi cativo della relazione di fatto con la res potendosi ravvisare una
situazione possessoria tutelabile, per quanto ora interessa, tanto se l'apprensione che realizza il corpus possessionis trovi causa in un atto di diritto privato, quanto se avvenga in base ad un
provvedimento amministrativo.
Nella specie, è pacifico che l'Enel, in base a decreto di occupa zione di urgenza reso dalla competente autorità regionale, si im
mise nel possesso della porzione del fondo della Bubbico interessata dalla costruenda linea elettrica (verbale del 18 agosto 1981) e per ciò non sussiste dubbio sulla configurabilità di un rapporto di natura possessoria effettivamente instaurato, la cui esistenza in concreto e le cui caratteristiche rilevanti per la tutela invocata dovranno essere accertate, ovviamente, dal giudice di merito.
Quanto all'altro profilo, poi, questa corte ha altre volte chiari to che la p.a., quando sia titolare di situazioni soggettive reali suscettibili di tutela possessoria in base alle ordinarie norme di diritto civile, può valersi delle azioni relative anche se disponga di poteri di autotutela esecutiva, che le consentano di respingere in via amministrativa, con un intervento diretto ed immediato, la turbativa di quelle posizioni, la quale regola, del resto, si trova
espressamente enunciata nell'art. 823, 2° comma, c.c., che, seb bene dettato in tema di tutela di beni demaniali, costituisce espres sione di un principio di carattere generale, valido per ogni altra situazione giuridica suscettibile di essere tutelata con gli ordinari rimedi giurisdizionali e con procedimenti esecutivi di autotutela
(nelle specifiche ipotesi in cui sono espressamente consentiti, non
potendosi ritenere attribuito alla p.a. un potere generale di auto tutela esecutiva).
Nel caso in esame è dubbio che l'Enel — ente pubblico econo mico dotato di una limitata capacità di diritto pubblico — dispo nesse di poteri di autotutela esecutiva correlati alla disposta occupazione di urgenza, a quanto sembra già attuata; ma non occorre indugiare sul punto, giacché, in base al principio suddet
to, correttamente è stata proposta azione ordinaria a difesa del
possesso. In definitiva, va affermata la giurisdizione del giudice ordinario.
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 luglio 1986, n. 4655; Pres. Bologna, Est. Di Salvo, P. M. Tridico
(conci, conf.); Montorni (Avv. Costa, Turchi) c. Min. finan
ze (Avv. dello Stato La Porta). Conferma Comm. trib. cen trale 18 febbraio 1986, n. 1228.
Tributi in genere — Condono — Reddito imponibile — Defini
zione automatica — Limitazione dell'applicabilità del condono
richiesta dal contribuente — Irrilevanza — Fattispecie (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, testo unico sulle imposte dirette, art.
112; 1. 19 dicembre 1973, n. 823, conversione in legge, con
modificazioni, del d.I. 5 novembre 1973 n. 660, art. 1).
La definizione automatica del reddito imponibile, conseguente al
la presentazione della domanda di condono, non può venir me no per le limitazioni o le condizioni che il contribuente pone nella richiesta di concessione del condono (nella specie, è stata ritenuta irrilevante l'apposizione, nella domanda presentata da un imprenditore per definire le pendenze riguardanti te imposte dovute dal 1969 a! 1972, dell'espressione «cessata lavorazione carni il 2 settembre 1970 e caseificio dal 1 ° ottobre 1970», tra
parentesi e scritta in rosso). (1)
Svolgimento del processo. — Con domanda del 28 febbraio 1974 indirizzata all'ufficio delle imposte dirette di Sassuolo, l'e
sponente chiedeva, ai sensi dell'art. 1 1. 19 dicembre 1973 n. 823, testualmente: «di definire le pendenze riguardanti le imposte di r.m. e complementare (cessata lavorazione carni il 2 settembre 1970 e caseificio dal 1° ottobre 1970) sino a tutto il 31 dicembre 1972». L'espressione tra parentesi veniva scritta in rosso.
L'ufficio delle imposte procedeva all'iscrizione a ruolo delle
imposte, calcolate secondo il meccanismo della legge c.d. di con
dono, per gli anni 1969, 1970, 1971 e 1972, prendendo a base
l'imponibile accertato (ed allora in contestazione avanti le com missioni tributarie) per l'anno 1969.
Avverso l'iscrizione a ruolo di cui si è detto l'esponente recla mava alla commissione tributaria di primo grado di Modena la mentando che il calcolo dell'imposta, ai fini del condono fosse stato operato anche per gli anni 1971 e 1972 per tutti i tre cespiti, mentre egli, sottolineando in rosso nella istanza di condono che le attività di macellazione carne e lavorazione latte era cessata nel 1970, aveva inteso escluderle dalla tassazione per gli anni se
guenti; e che, pertanto, gli imponibili relativi avrebbero dovuto restare estranei all'imposizione o — se ciò non era consentilo dalla legge sul condono — la domanda doveva essere dichiarata nulla perché condizionata. La commissione di primo grado re
spingeva il ricorso, quella di secondo grado annullava l'accerta mento in dipendenza della nullità dell'istanza di definizione automatica (condono).
La Commissione tributaria centrale, con decisione 4 febbraio
1981, accoglieva il ricorso dell'ufficio osservando che le parole scritte tra parentesi «cessata lavorazione carni il 2 settembre 1970 e caseificio il 1° ottobre 1970» non costituivano una condizione
apposta alla domanda di condono ma una semplice notizia, come tale irrilevante ai fini dell'applicazione del condono. Rilevava la
predetta decisione: a) che il contribuente aveva chiesto di definire le pendenze riguardanti le imposte di r.m. e complementari sino a tutto il 31 novembre 1972 senza esprimere la sua intenzio
(1) 11 principio dell'inapplicabilità delle esenzioni ai fini del condono è stato di recente ribadito da Cass. 16 ottobre 1985, n. 5083, Foro it., 1986, 1, 91, con nota di richiami. Nello stesso senso, cfr. Cass. 12 marzo 1987, n. 2557, id., Mass., 424; 12 novembre 1984, n. 5685, id., Rep. 1985, voce Tributi in genere, n. 1124; 15 aprile 1985, n. 2493, ibid., n. 1175; 9 dicembre 1985, n. 6214, ibid., n. 1177; Comm. trib. centrale 26 settembre 1985, n. 8201, ibid., n. 1180; 26 marzo 1985, n. 2921, ibid., n. 1185; Cass. 16 luglio 1985, n. 4175, ibid., n. 1135.
Diversamente Cass. 17 ottobre 1983, n. 6069, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1125, ha ritenuto che la data di cessazione rileva ai fini dell'imposta sulla ricchezza mobile, mentre per l'imposta complementare si tiene con to dell'intero periodo.
La giurisprudenza delle commissioni tributarie è invece allineata su tut t'altre posizioni: v. Comm. trib. centrale 18 giugno 1985, n. 5845, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1187; 7 maggio 1985, n. 4334, ibid., n. 1186; 22 dicembre 1984, n. 11089, ibid., n. 1184; 12 novembre 1984, n. 9672, ibid., n. 1183; 16 ottobre 1984, n. 8860, ibid., n. 1182; 5 ottobre 1984, n. 8557, ibid., n. 1181; 13 giugno 1984, n. 6260, ibid., n. 1179; 12 marzo 1984, n. 2961, ibid., n. 1178.
This content downloaded from 185.2.32.14 on Wed, 25 Jun 2014 03:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ne di condizionare la propria domanda al riconoscimento delle
predette cessazioni di attività, e quindi alla mancata percezione dei relativi redditi rispettivamente dal 2 settembre 1970 e dal 1°
ottobre 1970; b) che tale richiesta di condono era incompatibile con la volontà di limitare la liquidazione al 1970, peraltro non
consentita dalla legge; c) che se il contribuente avesse voluto otte
nere il riconoscimento della cessazione di attività lo avrebbe chie
sto con ricorso alla Commissione tributaria perché la richiesta
all'ufficio di applicazione del condono presupponeva il riconosci
mento che le imposte erano dovute o quanto meno erano in con
testazione.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il Montorsi deducendo un unico motivo. Resiste con controricor
so l'amministrazione delle finanze dello Stato.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente, de
nunziando motivazione insufficiente e contraddittoria circa l'in
terpretazione della domanda di condono (art. 360, n. 5, c.p.c.), sostiene che gli argomenti sopra indicati con i quali la Commis
sione tributaria centrale aveva accolto la tesi dell'amministrazio
ne finanziaria sono illogici ed incongrui. Sostiene che la
qualificazione come semplice «notizia» delle parole fra parentesi non è giustificata; che il contribuente non poteva chiedere alla
commissione tributaria alcun «riconoscimento di cessazione di at
tività» perché l'ufficio non aveva contestato tale cessazione; che
il contribuente nel chiedere il condono non considera dovute le
imposte ma, più verosimilmente, è animato dal desiderio di libe
rarsi di contestazioni insorte od insorgenti e che nella specie si
trattava di stabilire quali imposte e per quali periodi il contri
buente riteneva dovuta l'imposta sul reddito; che è illogico rite
nere che il contribuente nel chiedere il condono fino al 31 dicembre
1972 abbia voluto pagare per quattro anni l'imposta relativa a
redditi prodotti solo per due anni perché, al contrario, egli voleva
ottenere per ciascun anno una liquidazione proporzionata alle at
tività effettivamente svolte; che la decisione impugnata ha igno rato la circostanza che lo stesso ufficio delle imposte aveva
precedentemente distinto le attività (macellazione carni, caseifi
cio, allevamento suini) svolte dal ricorrente.
Il ricorso è infondato. Costituisce, infatti, ius receptum nella
giurisprudenza di questo Supremo collegio che l'interpretazione della volontà espressa dalle parti negli atti negoziali è compito esclusivo del giudice di merito e che essa si sottrae — ove sia
stata condotta, come nella fattispecie, secondo corretti criteri er
meneutici e con motivazione adeguata sotto il profilo logico
giuridico — al sindacato di legittimità. La domanda di condono
è certamente un atto negoziale, espressione della libera volontà
del contribuente che la formula dopo averne valutato la conve
nienza; gli effetti della dichiarazione di tale volontà sono però sottratti alla sua disponibilità perché sono disciplinati direttamen
te dalla legge e, nel caso di specie, dal d.l. 5 novembre 1973
n. 660, come modificato dalla legge di conversione 19 dicembre
1973 n. 823. Questo provvedimento normativo ha adottato il cri
terio della definizione automatica delle pendenze tributarie al fi
ne di pervenire alla sollecita definizione delle controversie. Tale
sistema comporta l'applicazione dei rigidi criteri fissati dal prov vedimento legislativo per la liquidazione dell'imponibile, esclu
dendo qualsiasi discrezionalità del fisco, che, per volontà della
legge, ha rinunziato ad esigere i tributi secondo i consueti criteri
stabiliti dal sistema tributario e dalle singole leggi d'imposta. Oc
corre, infatti, ricordare che è preclusa la possibilità di sollevare
contestazioni sul carico tributario a seguito dell'applicazione de
gli indicati criteri, senza che in ciò sia ravvisabile alcuna violazio
ne dell'art. 53 Cost., dal momento che la normativa di cui al
d.l. n. 660 del 1973 configura una transazione fra fisco e contri
buente la quale non consente né ad una parte né all'altra di pre tendere di ottenere l'applicazione di altre norme più favorevoli
al richiedente. Tale applicazione è stata esclusa perché, per effet
to della richiesta di condono, il rapporto tributario deve essere
definito secondo i criteri automatici previsti, in quanto tale mec
canismo è insuscettibile di essere derogato od integrato con l'ap
plicazione di altre norme tributarie che porterebbero ad una diversa
imposizione. Tale possibilità è stata già esclusa da questa corte
per il contribuente, in quanto si è rilevato che una volta che egli abbia manifestato la volontà di avvalersi del c.d. condono, non
può più sollevare questioni sulla maggiore onerosità del carico
tributario che gliene sia derivata o chiedere l'applicazione con
giunta di altri benefici. Si è ritenuto, infatti, con riferimento alle
pretese dei contribuenti di ottenere agevolazioni risultanti da al
1l Foro Italiano — 1988.
tre norme tributarie, che queste non possano essere conservate
da coloro che avevano presentato domanda di definizione auto
matica (Cass. 1865/84, Foro it., Rep. 1984, voce Tributi locali, n. 1120; 2493/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1175). Si è ritenuto
in proposito che qualora il contribuente abbia presentato doman
da di definizione agevolata del tributo dovuto, l'imposta determi
nata secondo gli art. 2, 3 e 4 del decreto in esame non può subire
alcun mutamento per effetto dell'art. 112 t.u. 645/88, in quanto
l'applicabilità di tale disposizione — comportando la modifica
dell'imponibile automaticamente determinato — comporterebbe violazione dell'art. 11, 2° comma, del decreto medesimo; si è
così esclusa la possibilità di compensare il reddito imponibile così
come definito secondo i criteri automatici, con le perdite accerta
te in esercizi precedenti (Cass. 2045/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1119). Lo stesso criterio è stato adottato nella risoluzione d'u
na controversia nella quale l'amministrazione intendeva disatten
dere i criteri di definizione automatica per fare ricorso ai normali
criteri di liquidazione del tributo e, in particolare, ai criteri previ sti dal predetto art. 112 (Cass. 2880/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1131). Si è, ritenuto che l'automatismo che preclude al contri
buente, che abbia presentato la domanda di definizione agevola
ta, di avvalersi di altre norme tributarie a lui più favorevoli, non
può non operare, per un fondamentale principio di parità di trat
tamento, che trova applicazione nella speciale normativa che di
sciplina il c.d. condono, anche nei confronti del fisco, il quale,
per volontà del legislatore, è tenuto a riscuotere i tributi solo
nella misura prevista dal predetto provvedimento, rinunciando ad
ottenerli nella misura che sarebbe risultata dall'applicazione di
altre leggi tributarie e ciò (ove si voglia rinvenire il motivo del
provvedimento desumendolo dai lavori parlamentari) al fine di
riscuotere con sollecitudine, senza attendere l'esito delle normali
procedure amministrative e ponendo fine al pesante contenzioso
esistente, sottraendosi, altresì', all'alea della lite (Cass. 3193/86,
id., Rep. 1986, voce cit., n. 1273). Gli illustrati principi, che regolano la definizione automatica
del reddito, non possono, quindi, non trovare applicazione anche
nella fattispecie in esame. La domanda di condono non può con
tenere alcuna limitazione, non può essere condizionata ed è irre
vocabile. Essa opera secondo i criteri stabiliti nel provvedimento
legislativo che ha disposto e regolato il beneficio prendendo a
base l'intero reddito annuale del contribuente, non essendo con
sentito, come si è visto nelle altre fattispecie sopra richiamate, né la compensazione degli utili con le perdite degli esercizi prece
denti, né la scissione dell'unico reddito annuale secondo le varie
fonti che lo costituiscono dichiarando di voler usufruire del bene
ficio della valutazione automatica solo per alcune di esse e di
volerlo escludere per altre.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15 lu
glio 1986, n. 4567; Pres. Barba, Est. Pieri, P. M. Caristo
(conci, conf.); Bove e Panzera (Avv. Montuori, Bovi) c. Soc.
Snam (Avv. La Pergola, Nicita). Conferma Trib. S. Maria
Capua Vetere 25 luglio 1981.
Espropriazione per pubblico interesse — Proprietà privata — Oc
cupazione di fatto — Realizzazione di manufatto — Domanda
di rimozione — Provvedimento impositivo di servitù coattiva — Sopravvenienza — Effetti (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali.
E, sul contenzioso amministrativo, art. 4; r.d. 8 febbraio 1923
n. 422, norme per l'esecuzione delle opere pubbliche, art. 30,
37; 1. 10 febbraio 1953 n. 136, istituzione dell'Ente nazionale
idrocarburi, art. 2, 3, 23).
L'emanazione in corso di causa del provvedimento impositivo della
relativa servitù coattiva determina l'improponibilità della do
manda con la quale il proprietario del fondo occupato di fatto dalla Snam, per installarvi condutture per la distribuzione di
gas per usi domestici, chiede la rimozione del manufatto. (1)
(1) I. - La pronuncia in rassegna affronta, ancora una volta, il proble ma dell'ambito di applicazione dell'art. 4 I. 20 marzo 1865 n. 2248, ali.
E. La Suprema corte coglie l'occasione per puntualizzare che il divieto
This content downloaded from 185.2.32.14 on Wed, 25 Jun 2014 03:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions