+ All Categories
Home > Documents > PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n....

PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n....

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: trinhkhanh
View: 219 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
10
sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Favara) c. Soc. Best (Avv. Scalzo); Soc. Best c. Min. finanze. Cassa App. Torino 12 dicembre 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 2473/2474-2489/2490 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184145 . Accessed: 28/06/2014 17:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo(concl. parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Favara) c. Soc. Best (Avv. Scalzo); Soc. Best c.Min. finanze. Cassa App. Torino 12 dicembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2473/2474-2489/2490Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184145 .

Accessed: 28/06/2014 17:27

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

II

Svolgimento del processo. — I dott. Angelo Castellucci e Vale

rio Scarcelletti, medici specialisti titolari di laboratori (rispettiva mente, di analisi cliniche e radiologia) convenzionati con l'Usi n. 8 della regione Marche, convenivano detta Usi e l'associazione

dei comuni Valle Misa-Mevola dinanzi al Pretore di Senigallia assumendo che la stessa unità sanitaria locale non aveva provve duto a riservare ai medici ed enti privati convenzionati il venti

per cento dell'attività specialistica del proprio territorio in viola

zione del disposto della 1. reg. n. 37 del 5 novembre 1982 che

al punto 2.1.5. impone un tale obbligo alle Usi della regione. Tanto premesso — ed aggiungendo che la Usi convenuta non

aveva neanche ottemperato al disposto dell'art. 3 d.l. 678/81 (co si come modificato dalla legge di conversione 12/82), a norma

del quale gli utenti possono accedere alle strutture convenzionate,

per le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio per le quali le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare

le richieste di accesso alle prestazioni stesse entro il termine di

tre giorni; e che il complessivo comportamento della Usi n. 8, oltre a determinare una grave disparità di trattamento tra gli assi

stiti dalla stessa Usi e gli assistiti dalle altre Usi della regione, causava un pregiudizio professionale ed economico ad essi istanti — chiedevano che l'adito pretore ordinasse alla Usi ed all'asso

ciazione dei comuni convenute di applicare la 1. reg. n. 37 del

1982 e quindi le condannasse a riservare agli attori almeno il 20%

del totale di richieste di analisi e prestazioni radiologiche dell'in tero territorio.

Radicatosi il contraddittorio, nel giudizio dinanzi al pretore in

terveniva anche l'ordine nazionale dei biologi, spiegando inter

vento adesivo in favore delle pretese degli attori.

Nel corso dello stesso giudizio, l'Usi n. 8 della regione Marche

ha proposto a questa corte regolamento preventivo di giurisdizio

ne, deducendo il difetto di giurisdizione del pretore-giudice del

lavoro di Senigallia nella causa di cui sopra. Resistono con con

troricorso i dottori Castellucci e Scarcelletti e l'ordine nazionale

dei biologi. Sia l'Usi che l'ordine dei biologi hanno anche presen tato memoria.

Motivi della decisione. — A sostegno dell'istanza la ricorrente

Usi deduce il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. in relazione alla

domanda proposta dagli attori, posto che con questa si chiede

al giudice ordinario di condannare la pubblica amministrazione

ad un facere in violazione del divieto posto allo stesso giudice ordinario dall'art. 4 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E. Aggiunge

comunque che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario di scenderebbe anche dalla considerazione che, in materia di presta zioni medico-specialistiche e di diagnostica strumentale e di

laboratorio, sia la posizione dell'utente che intenda far ricorso

ai laboratori privati a spese della struttura pubblica sia la posizio ne del libero professionista che intenda beneficiare di tale richie

sta configurano posizioni d'interesse legittimo devolute alla

cognizione del giudice amministrativo.

L'istanza è fondata, anche se per una ragione preliminare e

assorbente rispetto a quelle dedotte, dalle quali le sezioni unite

possono prescindere posto che il regolamento di giurisdizione, non

costituendo un mezzo d'impugnazione, non deve necessariamente

contenere l'esposizione dei motivi, essendo sufficiente la sola espo sizione dei fatti rilevanti per la decisione (sez. un. 808/75, Foro

it., Rep. 1975, voce Giurisdizione civile, n. 182; n. 1542/77, id.,

Rep. 1977, voce cit., n. 183; n. 6441/79, id., Rep. 1979, voce

cit., n. 193; n. 4992/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 152). Ed invero queste sezioni unite, con la decisione n. 1870/87 (id.,

Rep. 1987, voce Sanità pubblica, n. 186), hanno chiarito che, nel sistema dell'assistenza sanitaria disciplinato dalla 1. 833/78,

le convenzioni fra unità sanitarie locali e minori strutture private

(quali centri di diagnostica strumentale, laboratori di analisi, ecc.),

stipulate ai sensi dell'art. 44, 1° e 2° comma, di detta legge e

delle corrispondenti disposizioni attuattive delle leggi regionali, hanno natura di contratti di diritto pubblico e danno vita a rap

porti che si inquadrano nello schema delle concessioni ammini

strative di pubblico servizio, in quanto — attraverso tali

convenzioni — vengono attribuiti a soggetti privati, in funzione

integrativa e di supporto della struttura pubblica, attività che la

legge riserva di norma alla pubblica amministrazione, e cioè «agli

ambulatori e presidi delle unità sanitarie locali di cui l'utente fa

parte » (art. 25/6 cit. 1. 833/78 cosi come mod. dalla 1. 33/80).

Mentre infatti, a norma del 3° comma dello stesso art. 25,

Il Foro Italiano — 1989.

l'assistenza medico-generica e pediatrica è prestata indifferente

mente dal personale dipendente o convenzionato del servizio sa

nitario nazionale, le prestazioni di laboratorio, diagnostica

strumentale, ecc. sono «di norma» (comma 6° cit.) fornite dalle

suindicate strutture pubbliche, e soltanto «possono» (comma 7°) esser fornite anche da ambulatori e presidi privati convenzionati

ai sensi della legge stessa, a condizione peraltro (commi 8° e 9°) che ricorra l'impossibilità dei presidi pubblici di soddisfare la ri chiesta dell'utente entro tre giorni (o immediatamente se essa è

urgente); sicché è rimesso al potere organizzatorio dell'unità sani

taria locale, dal quale dipendono le capacità delle strutture pub bliche al momento della richiesta, stabilire se la prestazione sanitaria di che trattasi debba essere erogata da una struttura

privata. L'attività di questa, inoltre, dev'esser tale da garantire l'eroga

zione di prestazioni sanitarie non inferiori a quelle erogate dai

corrispondenti presidi e servizi delle unità sanitarie locali (art.

44/11, lett. a), mentre la struttura stessa deve rispondere ai requi siti di strutturazione, dotazione strumentale e qualificazione fun

zionale del personale, stabiliti uniformemente per tutto il territorio

nazionale (art. 25/XII).

Infine, la stessa necessità del convenzionamento — e dunque la valutazione dell'opportunità di far ricorso alle strutture private — è accertata dalla regione alla stregua degli obiettivi e delle esi

genze individuati con il piano sanitario regionale (art. 44/1). Siffatta disciplina — che differenzia nettamente i rapporti co

me quelli in esame dai rapporti correnti con il personale sanitario

o pediatrico convenzionato — offre sufficienti ragioni della sus

sunzione dei rapporti in esame nell'ambito della concessione am

ministrativa, posto che attraverso di essi viene attribuito al privato

l'espletamento di un pubblico servizio che, sebbene attenga ad

un'attività che può essere liberamente esercitata dal privato stes

so senza oneri per la collettività, la legge affida alle strutture pub bliche disciplinandone l'erogazione tendenzialmente gratuita attraverso le unità sanitarie locali, alla cui attività le strutture

private concorrono in funzione integrativa e secondaria previa valutazione di opportunità e sotto il controllo degli organi pubblici.

La ritenuta qualificazione del rapporto in esame come rappor to di concessione amministrativa di pubblico servizio, esclude in

radice la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia og

getto del presente regolamento, atteso che tale controversia —

come tutte quelle connesse ad un tale rapporto ed ancorché non

originate da atti o provvedimenti della pubblica amministrazione — è devoluta alla giurisdizione esclusiva dei tribunali ammini

strativi regionali a norma dell'art. 5 1. 1034/71, che in tale mate

ria fa salva la giurisdizione dell'a.g.o. unicamente per le questioni concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi, dei quali qui non è questione.

Deve, pertanto, affermarsi la giurisdizione del giudice ammini

strativo.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 maggio

1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo

(conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Favara) c. Soc. Best (Avv. Scalzo); Soc. Best c. Min. finanze. Cassa

App. Torino 12 dicembre 1986.

Dogana — Indebita riscossione di tributi doganali — Violazione

della normativa comunitaria — Azione di ripetizione — Prova

della non traslazione dell'onere su altri soggetti — Necessità — Esclusione (D.l. 30 settembre 1982 n. 688, misure urgenti in materia di entrate fiscali, art. 19; 1. 27 novembre 1982 n.

873, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 set

tembre 1982 n. 688, art. unico).

Dogana — Indebita riscossione di tributi doganali

— Violazione

della normativa comunitaria — Azione di ripetizione — Inte

ressi — Disciplina applicabile (Cod. civ., art. 1224, 1284; d.p.r.

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

2475 PARTE PRIMA 2476

23 gennaio 1973 n. 43, approvazione del testo unico delle di

sposizioni legislative in materia doganale, art. 93).

L'azione di ripetizione di tributi doganali indebitamente riscossi

dall'amministrazione finanziaria in violazione della normativa

comunitaria non è subordinata alla prova documentale, previ sta dall'art. 19 d.l. 30 settembre 1982 n. 688, convertito in I.

27 novembre 1982 n. 873, circa la non traslazione su altri sog

getti del relativo onere economico. (1) Nei casi di restituzione di tributi doganali indebitamente riscossi

dall'amministrazione finanziaria in violazione della normativa

comunitaria, gli interessi sulle somme da rimborsare sono do

vuti non nella misura stabilita dall'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43 (riguardante esclusivamente la diversa ipotesi di rim

borso regolata dal precedente art. 91), ma in quella general mente prevista dall'art. 1284, 1° comma, c.c., salva l'eventuale

applicazione dell'art. 1224, 2° comma, c.c. (2)

(1) Con un repentino susseguirsi di pronunce — tutte rese nella mede sima udienza — la Cassazione conferma recisamente il proprio orienta mento giurisprudenziale che ribadisce la non applicabilità dell'art. 19 d.l. 688/82 alle ipotesi di ripetizione di tributi doganali indebitamente riscossi in violazione della normativa comunitaria: v. sent. 21 giugno 1989, n.

2949, 5 giugno 1989, n. 2711, 17 maggio 1989, nn. 2337, 2345, 2347 e 2352, 15 maggio 1989, n. 2215, Foro it., Mass.

Nello stesso senso, v. anche Cass. 23 luglio 1987, n. 6428, id., Rep. 1988, voce Dogana, n. 53; 11 giugno 1987, n. 5074, id., Rep. 1987, voce

cit., n. 73; 28 maggio 1987, n. 4774, ibid., n. 48; 18 marzo 1987, nn.

2715, 2716, ibid., nn. 95, 96; 10 marzo 1987, nn. 2461-2463 , 2465, 2466, ibid., nn. 90-94; 26 febbraio 1987, nn. 2034, 2036, ibid., nn 101, 102; 12 febbraio 1987, nn. 1532, 1533, 1534, 1535, ibid., nn. 61, 103, 88, 89; Trib. Torino 12 febbraio 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 49; Cass. 23 gennaio 1987, n. 634, id., Rep. 1987, voce cit., n. 72; 22 gennaio 1987, nn. 559, 560, 561, ibid., nn. 80, 76, 81; 21 gennaio 1987, n. 520, ibid., n. 62; 15 gennaio 1987, nn. 237, 238, ibid., nn. 78, 79; App. Mila no 6 gennaio 1987, ibid., n. 85; Cass. 16 dicembre 1986, n. 7522, id., Rep. 1986, voce cit., n. Ili; Trib. Torino 20 novembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 70; Cass. 18 ottobre 1986, n. 6131, ibid., n. 69; 18 ottobre 1986, n. 6132, id., Rep. 1986, voce cit., n. 113; Trib. Milano 18 settembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 86; App. Venezia 13

agosto 1986, ibid., n. 87; Cass. 15 luglio 1986, n. 4558, id., Rep. 1986, voce cit., n. 114; 4 luglio 1986, n. 4390, ibid., n. 115; 3 luglio 1986, n. 4369, ibid., n. 116; 18 giugno 1986, n. 4063, id., Rep. 1987, voce cit., n. 82; 20 maggio 1986, n. 3339, id., Rep. 1986, voce cit., n. 120; 9 maggio 1986, n. 3083, ibid., n. 118; 7 maggio 1986, n. 3061, ibid., n. 117; 3 maggio 1986, n. 3014, ibid., n. 127; 29 aprile 1986, n. 2961, ibid., n. 128; 16 aprile 1986, nn. 2711, 2717, 2719, 2720, ibid., nn. 99, 121, 123, 124; 16 aprile 1986, n. 2718, id., Rep. 1987, voce cit., n. 64; 7 aprile 1986, nn. 2417, 2425, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 98, 119; 7 aprile 1986, n. 2415, id., 1986, I, 2187, con nota di S. Di Paola; v. inoltre Cass. 4 aprile 1986, n. 2339, id., Rep. 1986, voce cit., n. 125.

Per talune isolate voci discordi, cfr. Trib. Trento 11 aprile 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 100 e App. Trento 22 febbraio 1986, ibid., n. 98.

In dottrina, l'argomento è trattato da P. Braccioni, Indebito dogana le, presunzioni e diritto comunitario (nota a App. Trento 22 febbraio 1986, cit.), in Rass. trib., 1988, II, 49; A. Gnan, Indebita corresponsione di diritti doganali e diritto al rimborso (nota a Trib. Torino 12 febbraio 1987, cit.), in Foro pad., 1988, I, 517; E. Cortese Pinto, Ripetizione dell'indebito di origine comunitaria (nota a Cass. 16 aprile 1986, n. 2711, cit.), in Giusi, civ., 1987, I, 637; D. Rinoldi, Una storia infinita (nota a Trib. Trento 11 aprile 1986, cit.), in Foro pad., 1987, I, 101; L. Danie le, La Corte di cassazione e la restituzione dell'indebito comunitario (no ta a Cass. 18 ottobre 1985, n. 5129, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n.

71), in Dir. scambi internaz., 1985, 739; D. Rinoldi, Disapplicazione di norma interna e principi interpretativi stabiliti dalla corte comunitaria

(nota a Cass. 18 ottobre 1985, n. 5129, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 130), in Foro pad., 1986, I, 148; E. Della Riccia, Conflitto tra norme comunitarie e norme nazionali (nota a Cass. 24 ottobre 1985, n. 5235), in Nuova giur. civ., 1986, I, 400; G. Giacalone, Quando il verdetto è targato «Europa» (nota a Cass. 7 aprile 1986, n. 2415, cit.), in Corriere giur., 1986, 627.

In ordine ai profili di costituzionalità relativi all'art. 19 d.l. cit., v. Corte cost., ord. 16 giugno 1988, nn. 681 e 651, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 45, e id., 1989, I, 2036, con nota di richiami, entrambe citate in motivazione, che dichiarano la manifesta infondatezza delle que stioni sollevate. Sul punto, v. anche la meno recente ord. 28 maggio 1987, n. 212, id., Rep. 1988, voce cit., n. 46.

Va ricordato, inoltre, che l'illegittimità «comunitaria» della tassazione del whisky importato in Italia dalla Gran Bretagna era stata dichiarata da Corte giust. 15 luglio 1982, causa 216/81, id., 1983, IV, 285, con nota di A. Tizzano, citata in motivazione.

Circa il divieto di subordinare il rimborso di tributi nazionali riscossi

Il Foro Italiano — 1989.

II

CORTE D'APPELLO DI TORINO; sentenza 3 aprile 1989; Pres.

Brunetti, Est. Vitro; Min. finanze c. Soc. Seagram-Italia (Aw.

Bernascone, Mosso, Scalzo).

Dogana — Indebita riscossione di tributi doganali — Violazione

della normativa comunitaria — Azione di ripetizione — Inte

ressi — Disciplina applicabile (D.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, art. 93).

Nell'ipotesi di restituzione di tributi doganali indebitamente ri

scossi dall'amministrazione finanziaria in violazione della nor

mativa comunitaria, gli interessi sulle somme da rimborsare sono

dovuti nella misura prevista dall'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973

n. 43. (3)

I

Svolgimento del processo. — Con citazione del 29 dicembre

1982 la srl Best conveniva dinanzi al Tribunale di Torino l'ammi

nistrazione delle finanze dello Stato, esponendo di avere importa

in violazione del diritto comunitario alla prova che il relativo onere eco nomico non sia stato trasferito su altri soggetti, qualora il rimborso stes so sia condizionato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile l'esercizio di tale diritto, v. Corte giust. 9 novembre 1983, causa 199/82, id., 1984, IV, 297, con nota di L. Daniele, e la più recente 24 marzo

1988, causa 104/86, id., 1988, IV, 477, con nota di L.S. Rossi, entrambe citate in motivazione.

(2-3) La soluzione adottata dalla Cassazione è incentrata su una com

plessa ed articolata operazione interpretativa, ricostruttiva dei meccani smi di formazione di talune norme della c.d. legge doganale (d.p.r. 23

gennaio 1973 n. 43). I minuziosi rilievi formulati dalla corte consentono di constatare l'as

senza di intento modificatore, da parte del legislatore del 1973, della di

sposizione regolatrice determinati casi di rimborso di tributi doganali, contenuta nell'art. 29 del vecchio testo unico del 1940 ed ora, perciò, quasi integralmente riprodotta nell'art. 91 d.p.r. 43/73. A tale riguardo, infatti, la legge di delega non aveva affatto autorizzato alcun cambia mento della precedente normativa.

Ciò che appare meno condivisibile è, invece, la conseguenza che viene fatta discendere da tale premessa, quella, cioè, che, all'interno del nuovo testo unico, ogni riferimento all'ipotesi del rimborso non possa che ricon dursi a quei particolari tipi di cui all'art. 91.

Del resto, se è vero che ubi lex voluit dixit, non è agevole comprendere come mai un legislatore pur non di rado poco accorto in materia tributa ria, invece di circoscrivere tassativamente l'ambito di applicabilità delle proprie statuizioni, abbia adoperato espressioni estremamente ampie («diritti indebitamente corrisposti») non solo nel testo dello stesso art. 93 d.p.r. cit., ma, ciò che più conta, sin dalla legge di delega (cfr. art. 2, punto 22, 1. 23 gennaio 1968 n. 29), rendendo evidente la propria volontà di fissare un criterio direttivo mirante ad introdurre nella normativa doga nale una nuova disposizione sugli interessi, valida per tutte le ipotesi di restituzione di tributi indebitamente versati.

A conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle raggiunte da Cass. 2216/89 perviene la sentenza sub II, coordinandosi con le tesi di fensive sostenute dinanzi alla Cassazione dalla società resistente.

Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimità, constano taluni precedenti i quali, pur non negli esatti termini della pronunzia sub I, appaiono ispirati alla medesima visione restrittiva: cfr. Cass. 12 febbraio 1987, n. 1533, Foro it., Rep. 1987, voce Dogana, n. 103, e, con specifico riferimento al problema della decorrenza degli interessi, Cass. 26 feb braio 1987, nn. 2034, 2036, ibid., nn. 101, 102; 12 febbraio 1987, n. 1532, 23 gennaio 1987, n. 635, ibid., nn. 105, 104; 8 novembre 1984, n. 5641 e 5 novembre 1984, nn. 5594, 5596, 5597, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 107, 104-106.

Sull'inapplicabilità della prescrizione quinquennale alle fattispecie di rim borso considerate, v. Cass. 10 marzo 1987, n. 2464, id., Rep. 1987, voce cit., n. 108; 14 ottobre 1985, n. 4972, id., Rep. 1986, voce cit., n. 135; Trib. Napoli 12 novembre 1984, ibid., n. 136, annotata da M. Nunzian te, Il Gatt tra ordinamento italiano e ordinamento comunitario, in Dir. e giur., 1985, 740.

Un particolare rilievo assumono, poi, quelle decisioni che hanno rite nuto compatibile il risarcimento del maggior danno, ex art. 1224, 2° com ma, c.c., con l'applicazione del tasso d'interesse speciale previsto in materia doganale: v. Cass. 16 aprile 1986, n. 2711, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 139; 7 aprile 1986, n. 2415, id., 1986, I, 2187, con nota di S. Di Paola; v., inoltre, Cass. 7 aprile 1986, n. 2417, id., Rep. 1986, voce cit., n. 138; 4 marzo 1986, nn. 1345, 1346, ibid., nn. 140, 141; 30 gen naio 1986, n. 600, ibid., n. 142. [C. Rizzo]

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

to attraverso la dogana di Domodossola, nel periodo dal 1973

al 1979, partite di whisky, sulle quali la dogana aveva riscosso

11 diritto erariale e la sovraimposta di confine secondo le aliquote in vigore, in contrasto con l'art. 95 del trattato Cee che impone

agli Stati membri di non sottoporre i prodotti importati nell'area

comunitaria ad imposizioni fiscali superiori a quelle che colpisco no il similare o concorrente prodotto nazionale, in quanto l'ac

quavite di vino (prodotto nazionale in concorrenza col whisky) era stata sempre esente ed aveva scontato l'imposta di fabbrica

zione con agevolazioni poi soppresse soltanto nel 1981. L'illegit timità della tassazione del whisky importato in Italia dalla Gran

Bretagna era stata dichiarata dalla Corte di giustizia Cee con sen

tenza 15 luglio 1982 (causa 216/81, Foro it., 1983, IV, 285); ne

conseguiva il diritto ad ottenere il rimborso delle somme illegitti mamente pagate a titolo di diritto erariale e la differenza di so

vraimposta di confine, nella misura di lire 446.033.106, oltre

interessi e maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224

c.c.

Si costituiva l'amministrazione finanziaria, deducendo che l'at

trice era tenuta — a norma dell'art. 19 d.l. 30 settembre 1982

n. 688, conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873, a fornire la prova documentale di non aver trasferito su altri soggetti l'onere relati

vo ai predetti diritti e tributi, e chiedendo il rigetto della domanda.

Il tribunale, con sentenza 11 febbraio 1986, accoglieva la do

manda, condannando l'amministrazione al pagamento di lire

446.023.106, oltre gli interessi al tasso annuo del 10% dal 29 di

cembre 1982, nonché alle spese del giudizio. Avverso la sentenza proponevano appello la soc. Best (per il

capo relativo alla misura degli interessi) e l'amministrazione fi

nanziaria, la quale (a parte la questione relativa alla misura degli interessi e del maggior danno ex art. 1224 c.c.) sollevava esclusi

vamente il problema della disapplicazione dell'art. 19 d.l. n. 688

citato, chiedendo che la corte d'appello rigettasse la domanda,

per mancata prova della traslazione o — in subordine — dispo nesse l'ispezione delle scritture contabili della ditta attrice e con

sulenza tecnica contabile od ordinasse alla Best di esibire fatture

e libri contabili, al fine di accertare se fosse avvenuta la traslazio

ne su terzi dell'onere sopportato dal contribuente.

Riuniti gli appelli, la Corte d'appello di Torino, con sentenza

12 dicembre 1986, rigettava l'appello dell'amministrazione e, in

parziale accoglimento di quello della soc. Best, disponeva che al

pagamento della somma capitale indicata nella sentenza di primo

grado si aggiungesse la condanna al pagamento degli interessi al

tasso annuo del 18% dal 29 dicembre 1982 al saldo; condannava

l'amministrazione alle spese del giudizio di secondo grado. La corte osservava: a) che i tributi in questione — come era

pacifico — avendo colpito l'importazione in Italia dalla Gran Bre

tagna di whisky erano illegittimi perché contrastanti con l'art.

95 trattato Cee, come aveva statuito la Corte di giustizia Cee

con sentenza 15 luglio 1982 nella causa 216/81 (cit.); b) che si

trattava, pertanto, soltanto di stabilire la fondatezza delle ecce

zioni della finanza, basate sulla sentenza della Corte di giustizia 9 novembre 1983 (causa 199/82, id., 1984, IV, 297) e sull'art.

19 citato; che la sentenza aveva affermato (come altre precedenti) che nulla impedisce ai giudici nazionali di tener conto, in confor

mità dei singoli diritti interni, della possibilità che tasse indebita mente versate fossero state incorporate nei prezzi di vendita

dell'impresa e conseguentemente trasferite sugli acquirenti; ma

aveva precisato che sono incompatibili col diritto comunitario le

condizioni di prova che abbiano l'effetto di rendere praticamente

impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dei tri

buti indebitamente riscossi in contrasto col diritto comunitario;

e tale incompatibilità si attagliava al citato art. 19 (secondo la

giurisprudenza della Suprema corte: sent. n. 5129 del 1985, id.,

Rep. 1985, voce Dogana, n. 71, e n. 5235 del 1985, id., Rep.

1986, voce cit., n. 130); c) che l'azione di ripetizione dell'impor

tatore non poteva ritenersi subordinata alla prova documentale

di non aver trasferito su altri l'onere economico ed era soggetta

alle disposizioni generali della condictio indebiti (art. 2033 c.c.); c) che anche la richiesta subordinata dell'amministrazione di di

sapplicare l'art. 19 soltanto per la parte contrastante col diritto

comunitario e di applicarlo per la parte in cui non contrasta,

mediante le regole relative alle presunzioni ex art. 2729 c.c. non

era decisiva, perché l'indebito oggettivo sussiste anche in presen

za di un'eventuale traslazione (Cass. n. 2415 del 1986, id., 1986,

I, 2187); e) che si doveva accogliere parzialmente, invece, l'appel

II Foro Italiano — 1989.

10 della soc. Best avverso il capo della sentenza di primo grado che riconosceva gli interessi nella misura del 10% annuo, in quanto contrastante con l'art. 93 legge doganale e con l'art. 13 d.l. 30

settembre 1982 n. 688, che fissano nel 9% semetrale gli interessi

in caso di rimborso di diritti doganali indebitamente corrisposti;

f) che poteva riconoscersi il diritto al ristoro del maggior danno, ma che nella specie non poteva dirsi che la Best avesse allegato e dimostrato di aver subito un danno maggiore del 18% annuo, che costituisce l'interesse legale speciale, in quanto, se è vero che

11 danno derivante dalla svalutazione non era coperto dall'interes

se annuo del 5%, il discorso cambiava quando si attribuiva l'in

teresse legale del 18% annuo (sensibilmente superiore al tasso di

interesse che la corte torinese stabiliva nei casi di maggior danno

dipendente dalla mancata corresponsione dell'indennità di espro

priazione, stabilito normalmente nel 7%, più il 5% di interesse

legale), posto che l'interessata non aveva dimostrato che si era

verificato un danno maggiore. Avverso la suddetta sentenza l'amministrazione finanziaria del

lo Stato ha proposto ricorso per cassazione. La soc. Best ha resi

stito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — I ricorsi si devono riunire (art. 335

c.p.c.). Come riconosce l'amministrazione, va esaminato per primo,

nell'ordine logico, il secondo motivo del suo ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del t.u. leggi dogana

li, dell'art. 1 1. 11 maggio 1981 n. 213, dell'art. 35, ultimo com

ma, dell'art. 19, 1° comma, d.l. 30 settembre 1982 n. 688, come

convertito, dell'art. 2033 c.c., nonché omesso ed insufficiente esame

di punti decisivi (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), osservando che la

sentenza 15 luglio 1982 della Corte di giustizia Ce (cit.) non ha

negato la sussistenza del potere impositivo, avendo posto una re

gola di non discriminazione, senza prescrivere che la parità debba

raggiungersi al livello di imposizione più basso (ed infatti l'art.

1 1. n. 213 del 1981 ha ottemperato alla regola di non discrimina

zione, elevando il livello di imposizione dei prodotti nazionali

e cioè eliminando gli abbuoni dei quali l'industria nazionale be

neficiava). Da una sentenza della Corte di giustizia Ce che dichia

ra non consentita la concessione di abbuoni ed aiuti discende

l'obbligo dello Stato di eliminare gli abbuoni e/o aiuti e non un

obbligo di estenderli a tutti gli operatori; meno che mai discende

una inesistenza del potere di imposizione, con conseguente ripeti bilità delle somme percette. La 1. n. 213/81, nel sopprimere gli abbuoni senza disporre alcunché a favore degli operatori in pre cedenza discriminati, ha rafforzato il potere di imposizione ed

ha confermato la legittimità delle anteriori percezioni. Secondo l'amministrazione, il permanere del potere impositivo

porta con sé, a monte di ogni questione di prescrizione, l'irripeti bilità delle somme riscosse dalla dogana (art. 35 t.u.), restando

applicabile il principio della legge doganale secondo cui le riscos

sioni sono di norma definitive ed irreversibili, salva l'eccezionale

deroga contenuta nell'art. 29 legge del 1940 (art. 91 t.u. del 1973). Né può obiettarsi che rimborsi conseguenti all'applicazione di un

diritto diverso da quello fissato in tariffa sono consentiti, seppu re entro un termine prescrizionale di cinque (e non dieci) anni:

la disposizione è stata scritta quando non v'era né Corte costitu

zionale, né Corte di giustizia Ce e quindi non v'era alcuna possi bilità (oltre quelle previste dall'art. 29) di ottenere rimborsi.

Secondo l'amministrazione le suddette considerazioni (di per sé assorbenti) erano state lasciate in ombra, essendosi dalle parti e dai giudici focalizzata l'attenzione sulla disposizione (essa pure

assorbente) contenuta nell'art. 19, 1° comma, d.l. 30 settembre

1982 n. 688, che contiene l'enunciazione di una regola generale

per il diritto tributario (nel settore dei diritti doganali, delle im

poste di fabbricazione e di consumo), nel quale coincidenza nor

male fra soggetto che ha effettuato il pagamento non dovuto ed

il soggetto realmente danneggiato non si ha, per l'operare norma

le dei noti meccanismi di traslazione (sentenza Corte giust. 27

febbraio 1980, id., 1981, IV, 287). È razionale, quindi che ad un insieme composito di fatti (il pagamento, più il verificarsi di

un pregiudizio da non avvenuta traslazione) si assegni il ruolo

di fattispecie costitutiva del diritto a ripetere. Siffatta fattispecie

composita poneva dei problemi di prova, alla stregua della sen

tenza 9 novembre 1983, in causa n. 199/82, (cit.), della Corte

di giustizia e cioè effettuando attività istruttorie per cercare di

ricostruire i fatti.

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

2479 PARTE PRIMA 2480

La corte del merito, invece di esaminare nel merito i principi ivi enunciati, ha preferito accantonare l'art. 19 cit., mentre pote va considerarsi pacifico che la società resistente avesse traslato

sui consumatori l'onere de quo. Invece, la corte d'appello ha omes

so di considerare detto punto decisivo, restando prigioniera della

pregiudiziale in diritto, da essa artificiosamente costruita.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La società resistente, in ordine alle censure diverse da quelle concernenti l'applicabilità dell'art. 19 d.l. 688/82, ha dedotto che

esse non avevano formato oggetto dell'appello, nel quale l'ammi

nistrazione aveva concentrato il proprio gravame esclusivamente

sulla lamentata disapplicazione dell'art. 19 sul diritto dell'ammi

nistrazione di fornire la prova, anche a mezzo di presunzioni, dell'avvenuta traslazione su terzi dell'onere fiscale di cui si tratta;

nessuna censura era stata, invece, mossa sul diritto dell'importa tore alla ripetizione d'indebito come conseguenza della dichiara

zione di illegittimità del tributo pronunciata dalla Corte di giustizia con sentenza in causa 216/81 (cit.).

L'eccezione è fondata, perché non può seguirsi l'assunto espo sto dall'amministrazione in memoria (dove dette censure sono ul

teriormente sviluppate, anche sotto il profilo dell'inesistenza di

un diritto al rimborso a favore di coloro che lo hanno azionato

in data posteriore alla sentenza citata della Corte Cee), secondo

cui la non ripetibilità delle somme, posta nell'appello, aveva un

carattere unitario ed avrebbe dovuto essere esaminata anche d'uf

ficio, sotto ogni profilo, dalla corte d'appello. Invero, tale assun

to è valido per quanto concerne il primo grado, ma una volta

che il tribunale aveva affermato il diritto al rimborso sulla base

della sentenza della Corte Cee in causa 216/81 (cit.), nonché la

non applicabilità dell'art. 19 d.l. 688/82, l'impugnazione limitata

a questo secondo punto rendeva incontestabile il primo (come ha dato atto la corte d'appello nella frase di apertura della moti

vazione).

Invero, l'invocazione dell'art. 19 poteva basarsi soltanto sul

l'indebita corresponsione e sul diritto al rimborso dei tributi ivi

indicati (come è detto testualmente), che costituivano il presup

posto essenziale della norma e dell'eccezione basata su di essa.

Ai sensi dell'art. 329, 2° comma, c.p.c. quel presupposto è passa to in giudicato, per l'acquiescenza parziale.

Si può esaminare, pertanto, soltanto la seconda parte del motivo.

L'amministrazione ripropone, in questa sede, la tesi della di

sapplicazione parziale dell'art. 19, 1° comma, d.l. 30 settembre

1982 n. 688, convertito, con modificazioni, in 1. 27 novembre

1982 n. 873, già ripudiata da questa corte in numerose precedenti sentenze.

In tali decisioni si è, innanzi tutto, ritenuto che la sentenza

della Corte costituzionale n. 113/85 (id., 1985, I, 1600), con la

quale si è precisato che il principio, espresso nella precedente sen

tenza n. 170/84 (id., 1984, I, 2062, secondo cui la norma comu

nitaria entra e permane in vigore, nel nostro territorio, senza che

i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato, e

ciò tutte le volte in cui essa soddisfa il requisito della immediata

applicabilità) vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli

organi della Cee, mediante regolamenti, ma anche per le statui

zioni risultanti da sentenze interpretative della Corte di giustizia, non ha sostanzialmente innovato quanto già risultante dalla pre cedente sentenza, n. 170/84, avendo adeguato il principio della

disapplicazione nei rapporti tra ordinamento interno e ordina

mento comunitario, nel senso che sono vincolanti per il giudice

nazionale, non solo le norme giuridiche emanate dagli organi co

munitari, ma anche i principi enunciati nelle sentenze interpreta tive della Corte di giustizia, ossia, in definitiva, le norme

comunitarie cosi come interpretate dalla corte medesima.

Si è, poi, rilevato che i poteri d'incidenza del giudice nazionale

sull'ordinamento giuridico non sono quelli propri, invece, della

Corte costituzionale e che la disapplicazione della norma interna,

confliggente con il diritto comunitario, non implica alcuna possi bilità di incidere sul suo contenuto (che, quindi, rimane immuta

to), ma solo di prescindere dalla relativa disciplina giuridica quando

questa non si uniformi alla normativa comunitaria, con specifico riferimento alla fattispecie dedotta in giudizio, per cui la norma

interna continua ad operare ad ogni altro effetto giuridico. Non si è negato che sia astrattamente ammissibile una disappli

cazione parziale della norma, ma se n'è individuato il limite nella

indivisibilità del precetto, la quale ricorre tutte le volte in cui

la portata del testo normativo non consente alcun frazionamento

li Foro Italiano — 1989.

se non attraverso un'opera creativa dell'interprete, che non solo

alteri la testuale formulazione, ma incida altresì sul contenuto

del precetto. Con riferimento all'art. 19, si è osservato che il precetto in

esso contenuto in tema di restituzione dell'indebito doganale, si

presenta con carattere d'invisibilità per quanto concerne i requisi

ti della condictio previsti dalla legge nazionale, in quanto il dirit

to alla restituzione è stato riconosciuto soltanto se — e nei limiti

in cui — risulti documentalmente provata dall'importatore la non

traslazione dell'imposta sui terzi consumatori della merce. Infat

ti, non è apparso possibile enuncleare dal testo normativo una

duplicità di precetti tra loro autonomi e distinti (l'uno riguardan

te il requisito della non traslazione e l'altro concernente il regime della sua prova in giudizio), ciascuno suscettibile di vita propria

avulsa e indipendente da quella dell'altro, poiché la legge nazio

nale, nel disciplinare la condictio in materia doganale, ha unita

riamente considerato i presupposti che devono ricorrere per

l'accoglimento dell'azione di restituzione; e non potrebbe incider

si su tale unitaria disciplina senza dar vita ad un precetto nuovo

e diverso da quello espresso dal legislatore nazionale, attribuendo

al giudice un potere di supplenza della funzione legislativa, ad

esso estraneo. V'è anzi da aggiungere che il mancato intervento

legislativo al fine di uniformare, mediante opportune modifiche,

la norma in esame ai principi comunitari, potrebbe costituire un

sintomo della intima compenetrazione e reciproca interdipenden za delle disposizioni che compongono la norma, il cui testo po trebbe non essere apparso suscettibile di manipolazione senza

compremetterne la struttura unitaria e indivisibile.

In realtà, l'artificiosa ricostruzione del precetto normativo, pro

posta dall'amministrazione, non rientra nel concetto di disappli

cazione (né totale né parziale), in quanto il giudice, lungi dal

rendere irrilevante in giudizio la norma illegittima, procederebbe all'arbitraria elaborazione di un nuovo precetto non contenuto

nel diritto interno.

Ciò risulta dimostrato — si è detto — dalla considerazione che,

in mancanza di un precetto attinente al profilo probatorio della

condictio in materia doganale, l'interprete sarebbe costretto a fog

giare di propria iniziativa un precetto diverso che non risulta ri

cavabile dal testo, per il motivo assorbente che manca una norma, la quale legittimamente abbia risolto il problema dell'onere della

prova, e non vi sono argomenti interpretativi per concludere nel

senso che, nel caso in esame, l'onere probatorio ha per il diritto

interno quel contenuto che si pretende di ricavare da altre dispo sizioni dello stesso ordinamento.

Tali rilievi, già contenuti nelle precedenti decisioni di questo

collegio, non sono scalfiti né dalle successive pronunzie della Corte

costituzionale (ordinanze nn. 651/88, id., Rep. 1988, voce Fab

bricazione (imposte), n. 6; 681/88, ibid., voce Dogana, n. 45 e

807/88) né dalle sopravvenute sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (25 febbraio 1988, in cause 331, 376 e

378/85, e 24 marzo 1988, in causa 104/86, id., 1988, IV, 477) né infine dagli ulteriori argomenti svolti in questa sede dalla am

ministrazione.

Con la prima e la terza delle richiamate pronunzie, la Corte

costituzionale, esaminando la questione di legittimità costituzio

nale dell'art. 19 con riguardo all'azione di rimborso di tributi

indebitamente versati (sent. n. 651), e cioè di un'imposta di fab

bricazione, non aventi rilevanza nell'ordinamento comunitario, e di diritti per servizi amministrativi indebitamente corrisposti per

l'importazione di merci provenienti da paesi aderenti al Gatt, sot

tratte al regime comunitario (sent. n. 807), l'ha dichiarata mani

festamente infondata in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., ritenendo

la ratio ispiratrice della norma impugnata «ragionevole e plausi bile» e, quindi, «congrua e giustificata» la deroga apportata alla

disciplina comune prevista dall'art. 2033 c.c., tenuto conto dei

presupposti d'ordine economico su cui la norma si fonda e delle

finalità che s'intendono perseguire, per quanto riguarda sia l'o

nere probatorio posto a carico del soggetto che agisce in ripeti zione in virtù di una presunzione di traslazione, sia la previsione di una prova documentale anche in relazione a fattispecie createsi

in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma.

Con la seconda decisione, la Corte costituzionale, con riguardo a diritti doganali pagati all'importazione di merci da paesi dell'a

rea Cee ed aventi, quindi, rilevanza nell'ordinamento comunita

rio, ha invece dichiarato inammissibile la questione, in base al

principio della immediata applicazione nell'ordinamento nazio

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

naie delle norme comunitarie e dei principi affermati dalle sen

tenze interpretative della Corte di giustizia (in particolare dalla

sentenza del 9 novembre 1983, in causa 199/82, cit.) e della con

seguente disapplicazione da parte del giudice delle norme nazio

nali con essi confliggenti. Ciò la Corte costituzionale ha affermato

dopo avere rifiutato la premessa interpretativa del giudice remit

tente (ad avviso del quale la incompatibilità dell'art. 19 con il

diritto comunitario sarebbe soltanto parziale, in quanto la Corte

di giustizia l'avrebbe ravvisata limitatamente a quella parte della

disposizione attinente al regime probatorio, che impone la prova documentale mentre la norma risulterebbe tuttora applicabile —

e quindi assoggettabile al sindacato di legittimità costituzionale — nella parte in cui subordina la ripetizione dell'indebito alla

dimostrazione che l'onere tributario non sia stato trasferito su

altri soggetti) ed avere dato atto che la Corte di giustizia, dopo avere ribadito che non sarebbe in contrasto con l'ordinamento

comunitario un sistema giuridico nazionale che rifiuti la restitu

zione di tributi indebitamente riscossi qualora ciò comporti un

arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto, ha afferma

to l'incompatibilità dell'art. 19 con il diritto comunitario, rife

rendosi non solo agli aspetti relativi alla prova documentale ma

anche a quelli che riguardano l'onere probatorio. È evidente che le due pronunzie esprimono principi non con

trastanti ma diversi fra loro, essendo differenti i parametri di

riferimento, costituiti, nella prima, dalle norme costituzionali del

nostro ordinamento e, nella seconda, dal diritto comunitario e

ben potendo profilarsi l'ipotesi di una norma costituzionalmente

legittima secondo l'ordinamento interno e, ciò nonostante, da di

sapplicare in quanto contrastante con il diritto comunitario; e

che la seconda ribadisce proprio tale principio.

Quanto alle sopravvenute decisioni della Corte di giustizia, la

prima ha affermato che «le traité instituant la Communauté éco

nomique européenne doit ètre interprété en ce sens qu'un Etat

membre n'est pas en droit d'adopter des dispositions qui subor

donnent le remboursement de taxes nationales pergues en viola

tion du droit communautaire à la preuve que ces taxes n'ont pas été répercutées, sur les acheteurs des produits les ayant suppor

tées, en rejetant la charge de cette preuve négative sur les seules

personnes physiques ou morales sollicitant le remborsement» e

che «la reponse n'est pas différente selon qu'il y a ou non ré

troactivité de la disposition nationale, selon la nature de la taxe

en cause et selon le caractère concurrentiel, réglementé ou mono

polistique, en tout ou en parties, du marché».

Con la seconda, la Corte di giustizia, dopo avere richiamato

la sua precedente giurisprudenza (secondo cui il diritto comunita

rio non esclude che la norma nazionale tenga conto del fatto che

l'onere dei tributi indebitamente riscossi può essere stato trasferi

to su altri operatori economici o sui consumatori e secondo cui

sono incompatibili con il diritto comunitario tutte le modalità

di prova che abbiano l'effetto di rendere eccessivamente difficile

ottenere il rimborso, il che vale in particolare per le presunzioni o per i criteri di prova che tendono a far gravare sul contribuente

l'onere di dimostrare che i tributi indebitamente versati non sono

stati trasferiti su altri soggetti, o per particolari limitazioni in me

rito alla forma della prova da fornire), ha disatteso l'argomenta zione del governo italiano (responsabile per essere venuto meno,

con l'art. 19, agli obblighi imposti dal trattato), secondo la quale la «disposizione controversa» (ossia l'art. 19) sarebbe compatibi le con le norme del diritto comunitario e con la giurisprudenza della corte, nel senso che la prova dell'effettivo trasferimento del

l'onere fiscale resterebbe a carico dell'amministrazione nazionale

e che a carico degli operatori interessati sarebbe solo la prova dell'asserzione che il suddetto onere non è stato traslato: prova

che sarebbe possibile produrre grazie alla documentazione che ogni

impresa deve necessariamente possedere. Al riguardo, la corte,

sempre con riferimento alla «disposizione controversa», ha affer

mato l'obbligo degli Stati membri di eliminare dal loro ordina

mento le disposizioni incompatibli con il diritto comunitario, perché

il mantenimento in vigore della stessa crea una situazione di fatto

ambigua, in quanto mantiene gl'interessati in una situazione d'in

certezza circa le possibilità loro garantite di fare appello al diritto

comunitario.

In base a tali considerazioni, la Corte di giustizia ha dichiarato

che la repubblica italiana è venuta meno agli obblighi impostile dal trattato, addossando al contribuente, mediante l'art. 19, l'o

nere di provare, esclusivamente con la prova documentale, che

Il Foro Italiano — 1989.

diritti e tasse nazionali di cui egli chieda il rimborso non sono

stati trasferiti su altri soggetti ed «attribuendo al suddetto artico

lo effetto retroattivo» (tale dizione, contenuta nella versione in

lingua italiana della sentenza, è stata poi rettificata, con l'ordi

nanza del 27 aprile 1988, nell'altra «attribuendo alle relative di

sposizioni un effetto retroattivo»). Anche se si vuole escludere che in tali decisioni — e in partico

lare nella seconda, la quale individua nell'art. 19 la disposizione controversa che la repubblica italiana aveva l'obbligo di elimina

re dal proprio ordinamento ed il cui mantenimento in vigore «crea

una situazione di fatto ambigua» — sia già possibile cogliere un

segnale della considerazione unitaria del citato articolo da parte della Corte di giustizia (che, secondo la difesa erariale, deve rite

nersi esclusa dalla rettifica della sentenza con la sostituzione delle

parole «suddetto articolo» con l'espressione «relative disposizio

ni»), è certo che esse, lungi dall'avere disatteso l'orientamento

emerso nelle precedenti decisioni di questa corte circa l'indivisibi

lità della norma lasciano quanto meno impregiudicata la questio ne relativa alla divisibilità ed alla disapplicazione parziale del

precetto normativo: questione che dev'essere, per ciò, verificata

alla stregua delle ulteriori argomentazioni prospettate in questa sede dall'amministrazione delle finanze.

La difesa erariale, muovendo dalla considerazione che la Corte

di giustizia, con la sentenza del 24 marzo 1988, cit., ha criticato

l'art. 19 per tre delle più disposizioni in esso conviventi (e cioè

per la norma che pone l'onere della prova esclusivamente a cari

co dell'importatore; e per la forma — documentale — della pro va richiesta; e per la norma transitoria che ha attribuito efficacia

retroattiva alle prime due disposizioni), sostiene che sarebbe suf

ficiente eliminare dalla norma le tre disposizioni censurate per ottenere un testo del tutto conforme ai principi comunitari. So

stiene poi che, trasferendo l'art. 19 dallo schema della condictio

in quello dell'arricchimento senza causa e, per taluni aspetti, in

quello del risarcimento del danno, «il nucleo indennitario della

disposisione avrebbe potuto essere enfatizzato con ricorso all'e

spressione 'quando e per quanto (l'importatore) ha subito pregiu dizio per non avere trasferito l'onere su altri soggetti'». Inoltre,

l'art. 19 conterrebbe in realtà due disposizioni, l'una sostanziale

(meritoria), uscita indenne dal vaglio della Corte di giustizia, l'al

tra processuale (probatoria), ritenuta contrastante con il diritto

comunitario, di modo che il diritto italiano si ricomporrebbe la

sciando ferma la prima e sostituendo l'altra (ossia la regola pro

cessuale speciale, caducata) con quella di diritto comune, con

conseguente onere per lo Stato di provare la traslazione utilizzan

do gli ordinari mezzi di prova. Se è vero (con riguardo al primo profilo) che le disposizioni

di cui una norma risulta composta non s'identificano necessaria

mente con i singoli articoli o con le partizioni interne di articoli

(commi, paragrafi) in cui si presentano topograficamente raccolte

e suddivise le proposizioni linguistiche in cui esse si esprimono

(perché, da un lato, per aversi una disposizione giuridicamente

significante, spesso si richiede il concorso di più proposizioni, anche se topograficamente distinte, dall'altro, entro una sola pro

posizione possono essere formulate più disposizioni, dotate —

ciascuna — di un proprio e distinto significato giuridico), occorre

tuttavia che la singola disposizione, per essere tale, abbia un pro

prio autonomo e distinto significato (sia cioè giuridicamente si

gnificante) e che non si ponga come una componente essenziale

della intera norma, in modo che questa sia suscettibile di soprav

vivere con un proprio contenuto anche prescindendo dalla singo

la disposizione e senza che il normale margine d'incertezza della

norma ne risulti ulteriormente accresciuto.

Anche se si volesse convenire che il 1° comma dell'art. 19,

nonostante la sua unità strutturale, possa scomporsi in distinte

disposizioni (quella relativa alla rilevanza della traslazione; quella

relativa all'onere della prova negativa a carico dell'importatore,

implicante una presunzione di traslazione; e quella relativa alla

retroattività della norma) ed anche se si volesse ammettere che

sia sufficiente isolare soltanto logicamente (e non anche gramma

ticalmente e sintatticamente) tali disposizioni, risulta evidente che

i frammenti che residuerebbero alla espunzione dalla norma di

proposizioni («quando prova documentalmente») o addirittura di

incisi («anche anteriormente alla data . . .») conserverebbero un

contenuto inidoneo ad esprimere e ad esaurire il precetto norma

tivo superstite e rimarrebbero privi di un significato giuridico suf

ficientemente certo. Quei frammenti richiedono, infatti, addizioni

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 7: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

2483 PARTE PRIMA 2484

testuali che valgano a ricollegarli fra loro, con un capovolgimen

to, anche, della impostazione della norma nella parte in cui all'o

nere della prova negativa della traslazione a carico dell'importatore deve sostituirsi l'onere della prova positiva a carico dell'ammini

strazione. Il giudice dovrebbe, cioè, operare non una semplice

ricucitura, ma una ricostruzione della norma (quella stessa che

il legislatore ha ritenuto di non dover o poter fare), dando vita

ad un precetto che, altrimenti non risulta compiuto e coerente

in ciò che rimane, dal punto di vista testuale, una volta eliminati

le proposizioni e gl'incisi confliggenti con il diritto comunitario: il che dimostra che le singole disposizioni (posto che di disposi zioni si tratti e non di mere proposizioni) sono insuscettibili di

operare normativamente l'una senza l'altra.

Suffraga tale considerazione anche il fatto che, con l'art. 19, 10 comma, si è ricondotta ad unità, racchiudendola in un comma

unico, la precedente disposizione (l'art. 10 d.l. 10 luglio 1982 n.

430, non convertito in legge), sostanzialmente ad esso conforme

nel suo contenuto, che era suddivisa in due commi, ma che la

Corte di giustizia (sent. 9 novembre 1983, cit.), ritenendola coin

cidente con la successiva norma nel frattempo emanata, intese

come precetto unico.

Ancor meno sarebbe possibile, senza un'opera creativa dell'in

terprete, riproporre la norma nei termini ipotizzati dalla difesa

erariale, comprendendola nello schema dell'arricchimento senza

causa, non solo perché l'art. 19, pur non connotati di specialità

rispetto alla disciplina generale, regola pur sempre una ipotesi di ripetizione d'indebito, ma anche perché una norma diversa

mente formulata nei termini suddetti nulla più salverebbe dell'o

riginario testo normativo e sarebbe davvero del tutto nuova rispetto ad esso.

Infine, l'impostazione proposta dall'amministrazione nel senso

che l'art. 19, 1° comma, conterrebbe due disposizioni — l'una

sostanziale-meritoria, in cui si configurerebbe il fatto costitutivo

della fattispecie, e l'altra processuale-probatoria, che ne costitui

rebbe il fatto impeditivo — muove da una inesatta percezione della sostanza del fenomeno.

Premesso che le due disposizioni, compresa quella concernente

l'onere probatorio, attengono entrambe al profilo sostanziale, deve

osservarsi che nell'art. 19, 1° comma, la disciplina sulla prova

presuppone «a monte» una regola che fa della non traslazione

uno degli elementi essenziali della fattispecie legale costitutiva del

diritto al rimborso, costruita in modo da attribuire un ruolo co

stitutivo alla non traslazione; e, quindi, opera, cosi come dettata, solo in quanto quest'ultima si pone come elemento essenziale di

quella fattispecie; ossia postula che la non traslazione sia elemen

to costitutivo del diritto al rimborso.

Nella struttura della norma, infatti, tre sono gli elementi —

tutti ugualmente essenziali ed aventi pari valenza costitutiva —

e cioè il pagamento dell'imposta, il fatto che tale pagamento sia

indebito e la circostanza che l'onere fiscale non sia stato trasferi

to su altri soggetti, di cui la stessa disciplina della prova costitui

sce un sintomo evidente. La coessenzialità di questi tre elementi fa si che la caducazione di uno di essi determina il venir meno

dell'intera fattispecie costitutiva; e la Corte di giustizia, affer

mando la contrarietà all'ordinamento comunitario dell'imposizione dell'onere della prova a carico del solvens, ha con ciò stesso ne

gato conformità, a tale ordinamento, ad una regola sostanziale

del diritto al rimborso che assume come elemento costitutivo del

la fattispecie la non avvenuta traslazione dell'onere fiscale su al

tri soggetti, con la conseguenza che l'affermazione di contrarietà

all'ordinamento comunitario della qualificazione della non tras

lazione come elemento costitutivo del diritto al rimborso coinvol

ge necessariamente l'intera fattispecie. Non è vero, dunque, che

le pronunzie della Corte di giustizia abbiano inciso solo sulla re

gola probatoria; è vero, invece, che esse, ancor prima, hanno

inciso sull'intera norma, rendendola — per la caducazione di uno

degli elementi costitutivi della fattispecie legale da tale norma di

segnata — inoperante ed inapplicabile. Il vizio d'impostazione della tesi propugnata dall'amministra

zione consiste nel collocare fuori dal nucleo costitutivo del diritto

al rimborso il momento traslativo dell'onere fiscale e nell'attri

buire ad esso (nel suo aspetto positivo di traslazione avvenuta) 11 ruolo di elemento impeditivo di quel diritto, se non di elemento

estintivo, nel senso che questo sarebbe già sorto con l'indebito

pagamento dell'imposta, ma si estinguerebbe per effetto della suc

cessiva traslazione. In altri termini, la difesa erariale ipotizza una

fattispecie legale diversa da quella disegnata dalla norma, in cui

Il Foro Italiano — 1989.

agli elementi costitutivi (pagamento e inesistenza del relativo ob

bligo) si contrappone, all'esterno della fattispecie medesima, un

possibile elemento estintivo o impeditivo (la traslazione, conside

rata in termini positivi anzi che negativi). Si dimostra, quindi, esatta l'affermazione, contenuta nei prece

denti di questa corte, che la lettura dell'art. 19, 1° comma, nel

senso proposto dall'amministrazione e la invocata disapplicazio ne parziale condurrebbero alla creazione di un precetto nuovo,

attribuendo al giudice poteri che vanno al di là della funzione

che gli compete. Col primo motivo, l'amministrazione deduce la violazione e

falsa applicazione degli art. 91 e 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n.

43 (l'art. 93 come modif. dall'art. 13 d.l. 30 settembre 1982 n.

688 conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873), nonché omesso esame

di punti decisivi, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., osser

vando che la domanda di rimborso era basata sull'assunto che

la sentenza della Corte di giustizia 15 luglio 1982 (nella causa

n. 214/81, cit.) avrebbe creato un diritto a rimborso non previsto dal t.u. leggi doganali, per cui non è applicabile neppure l'art.

93 del detto t.u., come modificato nel 1982. Il tasso di interesse

non può essere quello del 9% semestrale previsto per i rimborsi

ex art. 91 t.u., non potendosi far capo ad esso, solo per applicare un tasso di interesse di particolare favore.

Il motivo è fondato. Questa corte, con sentenza 5 novembre

1984, n. 5594 (id., Rep. 1984, voce cit., n. 104), in una contro

versia in cui residuava soltanto la questione della decorrenza de

gli interessi dovuti dall'amministrazione finanziaria sulle somme

indebitamente percette per i diritti di visita sanitaria a seguito della sentenza della Corte cost. n. 163 del 29 dicembre 1977 (id.,

1978, I, 1) nonché sul maggior danno ex art. 1224, 2° comma,

c.c.), ha premesso che al rimborso dei tributi percepiti indebita

mente per difetto di potere impositivo non è applicabile la pre scrizione quinquennale prevista dall'art. 29 legge doganale del 1940

(ed ora dall'art. 91, 1° comma, t.u. n. 43 del 1973), la quale si riferisce al diverso caso di somme pagate in più del dovuto

per errore di calcolo o di applicazione di tariffa, ma è invece

applicabile l'ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. Il

principio suddetto contiene in sé il riconoscimento che anche quan do il contribuente deduca a fondamento della sua azione di ripe tizione il difetto sopravvenuto di potere impositivo, per l'eliminazione della norma da cui quel potere derivava, la condic

tio indebiti non perde il suo connotato di azione concessa in via

generale dalla legge al solvens (art. 2033 c.c.) sia nel caso che

il difetto causale dell'attribuzione sia originario, sia che esso si

sia verificato in epoca successiva. Un analogo principio deve ap

plicarsi nel caso di ripetizione di somme corrisposte in base a

legge dichiarata incostituzionale o contrastante con la normativa

comunitaria.

La sentenza ha escluso che la decorrenza degli interessi trovi

la sua disciplina nell'art. 93 d.p.r. n. 43 del 1973, norma che, sia per la sua collocazione dopo gli art. 91 e 92, sia per il riferi

mento specifico alle domande di rimborso o di restituzione men

zionate negli articoli suddetti, è formulata chiaramente nel senso

che ha inteso disciplinare la fattispecie dei rimborsi e delle resti

tuzioni previste dai precedenti art. 91 e 92, cosicché sia in base

all'interpretazione letterale che sistematica deve negarsi che essa

sia espressione di un principio generale applicabile a qualsiasi fat

tispecie di indebito in materia doganale. Il collegio ritiene di seguire l'orientamento già espresso, benché

il problema da risolvere in questa causa sia diverso da quello

(della decorrenza degli interessi) oggetto della sentenza n. 5594/84

(cit.). Infatti, la norma applicata dalla corte d'appello (art. 93

t.u. del 1973, modificato con l'art. 15 d.l. 26 maggio 1978 n.

216, conv. in 1. 24 luglio 1978 n. 388 e con l'art. 13 d.l. 30 set

tembre 1982 n. 688 conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873) si com

pone di un precetto fondamentale (l'affermazione del diritto agli interessi in occasione del rimborso di diritti doganali indebita

mente corrisposti) e di due precetti secondari (la fissazione della

data di decorrenza degli interessi e la misura e il computo seme

strale degli stessi). Se nella presente causa (del tutto analoga a quella esaminata

dalla sentenza n. 5594/84, cit., perché la differenza deriva soltan

to dalla circostanza, le cui ragioni storiche sono ben note, nel

l'ambito dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte

costituzionale, che in quel caso la contrarietà al diritto comunità

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 8: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

rio dell'imposizione venne dichiarata dalla Corte costituzionale, mentre nel presente caso è stata dichiarata dalla Corte di giusti

zia) vi è una ragione per escludere uno dei precetti secondari, è ovvio che la medesima ragione porta ad escludere, a fortiori, il precetto fondamentale. Non rileva il fatto che il problema della

decorrenza degli interessi non è stato sollevato in questa causa,

perché ciò dipende dal fatto che la sentenza impugnata ha fissato

detta decorrenza nella data della domanda giudiziale e l'ammini

strazione non poteva logicamente chiedere una modifica di tale

statuizione, coerente con la postulata applicazione dell'art. 2033

c.c. (seconda ipotesi del secondo periodo). Per confermare l'inapplicabilità dell'art. 93 cit. occorre, in pri

mo luogo, premettere l'affermazione (che rileva anche ai fini del

problema del termine di prescrizione del diritto al rimborso, non

proponibile in questa causa, ma in numerose altre discusse a que sta medesima udienza) secondo cui il t.u. della legge doganale

non prevede espressamente il rimborso delle somme indebitamen

te pagate per l'illegittimità costituzionale della norma impositiva,

ovvero per contrarietà della norma stessa al diritto comunitario.

L'affermazione — si deve sottolineare — è peculiare al sistema

doganale (comprensivo di tutti i diritti indicati nell'art. 3 legge

doganale); invero, per altri tipi di imposte (come per esempio

l'Irpef e l'Ilor) questa corte ha già statuito che il sistema è strut

turato in modo da abbracciare le ipotesi di rimborso per illegitti

mità originaria (invalidità) della norma impositiva (vedi, fra le

altre, Cass. n. 3197 del 28 aprile 1988, id., Rep. 1988, voce Red

diti (imposte sui), n. 545), senza necessità di applicare la normati

va generale del codice civile in tema di indebito. Il richiamo si

è fatto per indicare il metodo seguito da questa corte, che è quel

lo dell'esegesi del sistema positivo. È necessario, quindi, analizzare come si è formato il sistema

positivo delle leggi doganali. La legge doganale del 1940 prevedeva già il rimborso all'art.

29, il cui contenuto è stato riprodotto quasi testualmente nell'art.

91 t.u. del 1973. Le uniche varianti dipendono dal coordinamen

to della norma sui rimborsi con le modifiche apportate in tema

di procedura di accertamento e di sua revisione (invece delle pa

role «merce descritta nel risultato di visita», usate dalla legge del

1940, il testo del 1973 reca «merce descritta nel risultato dell'ac

certamento»; è stato modificato il 3° comma, col richiamo al

l'art. 74, in tema di revisione dell'accertamento).

Il nucleo essenziale che è rimasto intatto è del seguente tenore:

«Il contribuente ha diritto al rimborso delle somme pagate in

più del dovuto per errori di calcolo nella liquidazione o per l'ap

plicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa per

la merce descritta . . .». La ragione per la quale la norma e rima

sta invariata sta nella circostanza che il legislatore delegato non

era autorizzato a cambiarla, in virtù della delega contenuta negli

art. 1 e 2 1. 23 gennaio 1968 n. 29, ma soltanto a coordinarla

con le disposizioni vigenti, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge.

Invero, le materie dei rimborsi e degli interessi sono indicate

nei principi e criteri direttivi di cui ai nn. 20 e 22 della legge delega, in modo radicalmente diverso. Mentre per i rimborsi il

n. 20 si limita a dettare il criterio direttivo della semplificazione delle modalità e procedure, invece il n. 22 per gli interessi dovuti

sulle somme da rimborsare indica un criterio direttivo nuovo, com

prendente l'obbligo del pagamento degli interessi, il loro compu

to e la loro misura, nonché la decorrenza (questi due ultimi aspetti

della disciplina sono stati modificati, come si è già detto, succes

sivamente all'esercizio della delega, con i decreti legge del 1978

e del 1982, ma tali modifiche non hanno importanza ai fini del

discorso che si sta facendo). Si vuol dire, infatti, che una delega

concernente i rimborsi, la quale si limitava a dettare criteri diret

tivi soltanto per la semplificazione delle procedure, anche se le

somme indicate come oggetto del rimborso erano descritte come

quelle «indebitamente riscosse» (art. 2, punto 20, della legge-delega

del 1978) non era diretta a modificare la disciplina vigente per

il diritto al rimborso, il quale era e restava quello risultante dalla

legge vigente (art. 29 legge del 1940) e cioè quello avente ad og

getto «le somme pagate in più del dovuto (soltanto) per errori

di calcolo nella liquidazione o per l'applicazione di un diritto di

verso da quello fissato nella tariffa», e non per altre ipotesi (co

me quelle di causa) che necessariamente devono trovare la loro

disciplina in altre norme dell'ordinamento.

Correlativamente a quella assai limitata modifica della discipli

II Foro Italiano — 1989.

na dei rimborsi (concernenti le modalità procedurali e non Vari), la delega conernente gli interessi a carico dell'amministrazione

(chiamati «interessi passivi» nella rubrica dell'art. 93 d.p.r. del

1973) non poteva riguardare che quegli stessi rimborsi a cui si

riferiva il punto 20, malgrado che il punto 22 parli di «rimborso

agli operatori dei diritti indebitamente corrisposti», posto che nes

sun elemento letterale del punto 22 induce ad attribuire alla sud

detta espressione una latitudine più ampia, comprensiva cioè dei

rimborsi diversi da quelli già disciplinati dall'art. 29 legge del 1940.

La suddetta novità di disciplina era giustificata politicamente dalla necessità di estendere agli introiti tributari doganali criteri

non difformi da quelli vigenti per gli altri principali tributi (in materia di imposte dirette, la legge n. 1316 del 1960 e in materia

di tasse ed imposte indirette sugli affari, la 1. n. 29 del 1961:

vedi punto 14 della relazione del ministero delle finanze al dise

gno di legge); ovvero da «sani criteri di giustizia nei rapporti fra

l'amministrazione ed i cittadini» (relazione Trabucchi per la quinta commissione del senato) o «legittime aspettative di giustizia «(re lazione Bima, per la commissione della camera). Si tratta di indi

cazioni generiche, delle quali la più puntuale è quella del ministro

proponente (estendere alla materia doganale la disciplina già in

trodotta agli inizi degli anni sessanta per gli altri principali tribu

ti), che però non riesce a superare la lettera della disposizione, coordinata nell'insieme della delega.

Il modo come la delega è stata esercitata conferma quanto si

è detto. La materia dei rimborsi e degli interessi sui medesimi

è stata oggetto del d.p.r 2 febbraio 1970 n. 62 (il successivo d.p.r. 18 febbraio 1971 n. 18 non se ne occupa). L'art. 14 d.p.r. 62/70

ha regolato la restituzione di somme per il tramite degli spedizio nieri doganali, e cioè soltanto le modalità del rimborso: per sape re di quali rimborsi si tratta, bisogna far capo all'art. 29 legge

doganale del 1940. L'art. 18 ha regolato gli «interessi passivi»; anche in questo caso, per attribuire un significato alla norma su

gli interessi, si deve far capo alla norma sul capitale, che è quella

dell'art. 29 1. del 1940.

In sede di coordinamento, l'art. 29 legge doganale del 1940

è divenuto l'art. 91 con le modifiche già indicate, non attinenti

all'identificazione dei rimborsi, essendo questi sempre e soltanto

quelli «delle somme pagate in più del dovuto per errori di calcolo

nella liquidazione o per l'applicazione di un diritto diverso da

quello fissato in tariffa per la merce descritta»); l'art. 14 d.p.r.

n. 62 del 1970 è divenuto l'art. 92 t.u. del 1973; l'art. 18 d.p.r. del 1970 è divenuto l'art. 93 t.u. del 1973, il quale, pertanto,

si applica soltanto alle ipotesi del precedente art. 91, del tutto

estraneo alla presente causa.

Nessuna delle argomentazioni addotte in contrario dalla difesa

della soc. Best può condividersi.

a) Il richiamo a Cass. n. 600 del 1986 (id., Rep. 1986, voce

cit., n. 142) e n. 2415 del 1986, cit., non importa un contrasto

con quanto qui si sta affermando, perché in quelle sentenze il

problema non era stato sollevato e si discuteva soltanto del diver

so problema della compatibilità della richiesta di maggior danno

ex art. 1224 c.c. con l'art. 93 (si veda anche Cass. 4 marzo 1986,

n. 1345, ibid., n. 140, dove in motivazione si dice che non si

poneva, perché non aveva formato oggetto di censura, la questio ne circa la disciplina applicabile agli interessi, se cioè essa dovesse

ricercarsi nell'ambito dell'art. 2033 c.c. ovvero nelle norme tribu

tarie speciali).

b) La tesi secondo cui non possono distinguersi le ipotesi indi

cate dall'art. 91 da ogni altro indebito, è resistita dal tenore chia

rissimo dell'art. 91, che — per poter avere il significato voluto

dalla controricorrente — avrebbe dovuto essere formulato cosi:

«rimborso delle somme pagate in più del dovuto», senza la speci

ficazione che segue (ed in tal caso, come già segnalato, si sarebbe

avuto un eccesso di delega, non prevedendo la delega del 1968

una modifica dell'art. 29 legge doganale del 1940).

e) L'assunto secondo cui l'art. 93 riguarda tutti gli indebiti è

superato dal modo come la norma si è formata, illustrato supra.

d) La diligente rassegna di tutte le norme che in materia di

imposte dirette ed indirette (diverse dai diritti doganali) hanno

previsto gli interessi sulle somme da rimborsare al contribuente

offre la ragione politica della norma, ma non dà nessun contribu

to alla sua interpretazione. Infatti, per ciascuna di quelle norme

bisognerebbe effettuare l'analisi rivolta a stabilire se comprenda

anche il caso di rimborso di indebito per illegittimità (costituzio

nale o comunitaria) della norma istitutiva del tributo. Si tratta

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 9: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

2487 PARTE PRIMA 2488

quindi di ipotesi specifiche, ciascuna delle quali riceve una disci

plina peculiare e non è utile una confusione della disciplina delle

varie imposte.

e) L'analisi del punto 22 della legge di delega è stato compiuto

e comporta la conclusione che la parità di trattamento fra l'am

ministrazione (nell'ambito doganale) ed il contribuente — in sede

rispettivamente di ritardo nel pagamento e di ritardo nella resti

tuzione — è stato realizzato nei limiti indicati.

f) La questione di illegittimità costituzionale dell'art. 93 d.p.r.

del 1973 (e succ. modifiche) se interpretato nel senso qui indicato

(per la pretesa disparità di trattamento rispetto all'ipotesi di rim

borso di somme pagate in più per errore di calcolo od erronea

applicazione della tariffa), è manifestamente infondata. La stessa

difesa del contribuente nota acutamente che l'ipotesi dell'art. 91

si diversifica, rispetto a quella di causa, perchè proprio nell'art.

91 è prevista una procedura amministrativa (anche d'ufficio) per

correggere gli errori in cui si è incorsi nel calcolo o nell'applica

zione della tariffa, in quanto si tratta di elementi già a disposizio

ne dell'ufficio, in base alla documentazione posseduta, per cui

si giustifica la sanzione del ritardo con gli interessi nella medesi

ma più elevata misura di quelli dovuti dal privato alla dogana,

nel caso inverso. Invece, là dove si tratta di indebito che trova

la sua regola nell'art. 2033 c.c., il principio di eguaglianza vuole

che si applichi il codice civile, anche sulla misura degli interessi.

Invero, resta salva l'applicabilità dell'art. 1224, cpv., c.c., in

ordine al «maggior danno».

g) Non sussiste il contrasto col diritto comunitario (quale risul

ta dalle sentenze della Corte Cee 27 marzo 1980, in causa n. 61/79,

id., 1981, IV, 119 e 9 novembre 1983, in causa n. 199/83, cit.)

perché non esistono condizioni meno favorevoli di quelle relative

ad analoghi rimborsi di natura interna. Invero, in materia doga

nale, è trattato ugualmente anche il caso di invalidità originaria

della norma impositiva per ragioni attinenti all'ordinamento sta

tale (illegittimità costituzionale).

Concludendo, la sentenza impugnata va cassata sul capo in que

stione ed il giudice di rinvio applicherà il seguente principio:

«In tema di condictio indebiti nei confronti dell'amministrazio

ne finanziaria, in relazione al pagamento di diritti doganali per

importazioni di merci nell'ambito della Cee (nella specie, diritti

erariali e sovraimposta di confine su whisky importato in Italia

dalla Gran Bretagna, a seguito della dichiarazione di illegittimità

di tale tassazione con sentenza della Corte di giustizia Cee 15

luglio 1982, in causa 216/81) gli interessi sulle somme da rimbor

sare sono dovuti non nella misura stabilita dall'art. 93 t.u. leggi

doganali 23 gennaio 1973 n. 43, mod. dall'art. 15 d.l. 26 maggio

1978 n. 216 conv. in 1. 24 luglio 1978 n. 388 e dall'art. 13 d.l.

30 settembre 1982 conv. in 1. 27 novembre 1982 n. 873 (norma

che riguarda soltanto la diversa ipotesi di rimborso regolata dal

l'art. 91 dello stesso t.u., per i casi ivi previsti), ma nella misura

stabilita dall'art. 1284, 1° comma, c.c. (salva l'eventuale applica zione dell'art. 1224, cpv., c.c.)».

L'accoglimento del primo motivo del ricorso principale com

porta la necessità di esaminare il ricorso incidentale condizionato

della soc. Best, col quale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 od insufficiente motivazione su un punto decisivo

della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), osservando che

in appello la soc. Best aveva chiesto che le venisse riconosciuto

il maggior danno per svalutazione monetaria nella stessa misura

del 5% annuo equitativamente liquidata dal tribunale, in aggiun

ta agli interessi al tasso previsto dalla normativa doganale. La

corte d'appello, riconosciuti gli interessi nella misura «doganale»

del 18%, li ritenne remunerativi anche della svalutazione; rifor

mata tale decisione e riconosciuto alla società il minor interesse

del 5%, dovrebbe esere riconsiderata a favore della stessa la que

stione del diritto al risarcimento del maggior danno derivante dalla

svalutazione.

Il ricorso incidentale è fondato.

Si premette che non può accogliersi l'eccezione di inammissibi

lità (mossa nella memoria dell'amministrazione), per la sua tardi

vità rispetto alla notifica della sentenza (23 gennaio 1987), posto

che l'impugnazione riguarda un punto strettamente dipendente da quello investito dal primo motivo del ricorso principale; il che

esonera dal riesaminare il problema della disciplina delle impu

gnazioni incidentali tardive.

D'altra parte, l'accoglimento del ricorso incidentale dipende dal

li Foro Italiano — 1989.

l'accoglimento di quel primo motivo, posto che — nella logica

della sentenza impugnata — la reiezione della domanda di «mag

gior danno» ex art. 1224, 2° comma, c.c. è stata basata soltanto

sul riconoscimento degli interessi al 18% annuo; cassata detta

pronuncia, dovendo il giudice di rinvio riconoscere gli interessi

al 5% annuo, dovrà necessariamente riesaminare la domanda ex

art. 1224, 2° comma, c.c. In questa sede non si devono dare

ulteriori precisazioni, né sotto l'aspetto probatorio, né sotto l'a

spetto della valutazione della posizione della soc. Best, nel rap

porto di indebito di cui si tratta, in quanto tutti i suddetti profili

dovranno essere riesaminati ex novo dal giudice di rinvio, che

si designa in altra sezione della Corte d'appello di Torino.

II

Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Per quanto concerne

gli interessi, occorre premettere alcune osservazioni sull'indebito.

L'ambito di applicazione della normativa in materia di indebi

to, ha subito, ad opera di dottrina e giurisprudenza, un progres

sivo ampliamento, si che può attualmente ritenersi il rimedio di

carattere generale previsto dall'ordinamento per rimuovere le pre

stazioni che risultano, per qualsiasi ragione, non dovute.

In particolare in giurisprudenza si è precisato: «L'indebito og

gettivo si ha o perché manca una causa originaria giustificativa

del pagamento (condictio indebiti sine causa) o perché la causa

del rapporto, originariamente esistente, è poi venuta meno in vir

tù di eventi successivi che hanno messo ne nulla (a seguito di

annullamento, risoluzione o inefficacia del negozio) il rapporto medesimo (condictio ob causam finitam) (Cass. 2 aprile 1982,

n. 2029, Foro it., Rep. 1982, voce Indebito, n. 2; 22 settembre

1979, n. 4889, id., Rep. 1979, voce cit., n. 3; 21 luglio 1979,

n. 4398, ibid., n. 2; 20 marzo 1979, n. 1622, ibid., n. 1; 5 novem

bre 1978, n. 4995, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1; 18 aprile 1975,

n. 1460, id., Rep. 1975, voce cit., n. 4; 20 dicembre 1974, n.

4378, id., 1975, I, 1135; 26 maggio 1971, n. 1558, id., Rep. 1971, voce cit., n. 3).

L'applicabilità dell'art. 2033 delle imposte doganali è stata co

stantemente affermata in giurisprudenza in questi termini: «Il de

tentore di merce importata che l'abbia presentata e dichiarata

come propria all'ufficio doganale ed in tale qualità sia stato as

soggettato al pagamento delle imposte doganali, è legittimato al

l'azione di ripetizione a norma dell'art. 2033, ove quelle imposte

siano state indebitamente percette dall'amministrazione, a nulla

rilevando che il peso tributario possa essere stato trasferito ad

altri mediante incorporazione nel prezzo» (Cass. 6 maggio 1982,

n. 2835, id., Rep. 1982, voce Dogana, n. 58).

Analoga soluzione è stata adottata per i diritti di visita sanita

ria: «L'azione per il rimborso di diritti di visita sanitaria indebi tamente riscossi, perché in contrasto con norme comunitarie, è

azione di restituzione per indebito oggettivo ai sensi dell'art. 2033,

che non ne subordina l'accoglimento alla condizione che l'attore

non abbia potuto rivalersi dell'onere sopportato» (Cass. 2 marzo

1982, n. 1290, id., 1982, I, 1297). Sulla natura del debito, si è precisato che, se la prestazione

consisteva in danaro o suoi rappresentativi, il debito è di valuta

(Cass. n. 1197 del 1957, id., Rep. 1957, voce Obbligazioni e con

tratti, n. 336; n. 110 del 1960, id., Rep. 1960, voce Vendita, n.

53; n. 1460 del 1975, cit.). Il solvens può, comunque, domandare il risarcimento del dan

no da svalutazione monetaria ex art. 1224, 2° comma (Cass. n.

3020 del 1987, id., Rep. 1987, voce Obbligazioni in genere, n.

21), con decorrenza uguale a quella relativa agli interessi (Cass. n. 2513 del 1987, ibid., voce Indebito, n. 9).

In relazione all'ipotesi di buona fede dell'accipiens, un'inter

pretazione restrittiva ha individuato la domanda di cui alla nor

ma in esame solo in quella giudiziale, e non in qualsiasi domanda

legalmente efficace a costituire in mora l'accipiens (Cass. n. 2513

del 1987, cit.; n. 2138 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 4, ecc.). L'eventuale credito per interessi si pone, rispetto al debito di

capitale, su un piano autonomo, e, pertanto, rimane soggetto ad

autonoma prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4 (Cass. 21

luglio 1981, n. 4682, id., Rep. 1981, voce cit., n. 6). La massima

è stata enunciata proprio in relazione al pagamento di tributi do

ganali non dovuti.

Ovviamente, questa disciplina, che si è visto, di carattere e

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 10: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 15 maggio 1989, n. 2216; Pres. Granata, Est. R. Sgroi, P.M. Di Renzo (concl. parz. diff.); Min. finanze

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di applicazione generali, può essere derogata da norme speciali. L'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, contenuto nel «capo

V: Riscossione», prescrive: «In occasione del rimborso di diritti

doganali indebitamente corrisposti ovvero della restituzione di som

me assunte in deposito dalla dogana a qualsiasi titolo per le quali sia venuta meno la ragione del deposito spetta al contribuente

sui relativi importi l'interesse nella misura prevista al 1° comma

dell'art. 86, da computarsi per semestri solari compiuti a partire dal semestre successivo a quello in cui sia stata presentata la do

manda, rispettivamente, di rimborso o di restituzione».

La rubrica del predetto articolo è del seguente tenore: «Interes

si passivi». Da questa norma si evince, in modo inconfutabile,

che viene prescritta la corresponsione di un particolare tasso di

interessi passivi in due precise ipotesi. La prima viene individuata

con queste parole: «In occasione del rimborso di diritti doganali indebitamente corrisposti». La seconda ipotesi viene individuata

nel seguente modo: «In occasione . . . ovvero della restituzione

di somme assunte in deposito dalla dogana a qualsiasi titolo . . .».

Come si può agevolmente constatare, si tratta di ipotesi molto

generiche e tali che possono comprendere una serie indeterminata

di «indebiti». Eppure la Suprema corte ritiene il contenuto pre

cettivo di tali norme applicabile solo ai casi disciplinati nei prece

denti art. 91 e 92.

La motivazione di questa tesi della Suprema corte non sembra,

però, molto convincente. Appare opportuno riportarla per inte

ro: «La norma, che fa decorrere gli interessi dal semestre succes

sivo a quello in cui sia stata presentata la domanda rispettivamente di rimborso o di restituzione (nella misura del tre per cento seme

strale, indicata nel richiamato art. 86), sia per la sua collocazione

dopo i precedenti art. 91 e 92 — che prevedono appunto i rim

borsi delle somme pagate in più del dovuto per errori di calcolo

o di tariffa e rispettivamente la restituzione di somme per il tra

mite degli spedizionieri doganali — sia per il riferimento specifi co alle stesse domande di rimborso o di restituzione menzionate

negli articoli suddetti, è formulata chiaramente nel senso che ha

inteso disciplinare esclusivamente le fattispecie dei rimborsi e del

le restituzioni previste dai precedenti art. 91 e 92 cosicché sia

in base alla interpretazione letterale che sistematica deve negarsi

che essa sia espressione di un principio generale applicabile a qual

siasi fattispecie di indebito in materia doganale» (Cass. nn. 5594 e 5597 del 1984, id., Rep. 1984, voce Dogana, nn. 107, 106; n.

1532 del 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 105). Va assunto per intanto che la collocazione dell'art. 93 non ap

pare particolarmente significativa, in quanto non poteva essere

collocato se non nel posto in cui è, atteso che nel capo della

riscossione necessariamente, dato l'argomento che tratta, non po

teva non essere collocato se non per ultimo.

Non persuade poi il fatto che la predetta motivazione non indi

vidua le fattispecie contenute negli art. 91 e 92. Esse sono sen

z'altro, quanto meno, in numero di cinque.

La prima viene individuata con le seguenti parole: «... rim

borso delle somme pagate in più del dovuto per errori di calcolo

nella liquidazione», con paramentro di «specificazione» nell'er

rore di calcolo.

La seconda ipotesi viene individuata cosi: «. . . rimborso . . . o

per l'applicazione di un diritto diverso da quello fissato in tariffa

per la merce descritta», con paramentro di «specificazione» nel

«diritto diverso». La terza ipotesi viene descritta come: «indebito

pagamento dipendente da erroneo od inesatto accertamento della

qualità, della quantità, del valore o dell'origine della merce . . .»,

con parametro di «specificazione» nell'erroneo od inesatto accer

tamento della qualità, quantità o valore.

La quarta ipotesi è assolutamente «generica» e non contiene

nessun parametro di specificazione, se non nel fatto che l'opera

zione doganale viene effettuata da «spedizioniere doganale». Es

sa infatti è cosi descritta: «. . . rimborso di diritti doganli indebitamente riscossi . . .».

La quinta ipotesi viene descritta come «svincolo totale o par

ziale di somme assunte in deposito dalla dogana . . .». Come si

può constatare le ipotesi non sono affatto omogenee e per di

più è annoverata fra esse quella generale: «Rimborso di diritti

doganali indebitamente riscossi», che può essere considerata co

me norma di chiusura, che copre tutti gli indebiti. Ed allora non

assume significato alcuno collegare l'art. 93 agli art. 91 e 92 e

tanto meno assume significato collegarlo solo ad essi. Ed infatti,

se il legislatore avesse voluto limitare la «precettiva» dell'art. 93

alle ipotesi contenute negli art. 91 e 92 avrebbe, senz'altro, ri

II Foro Italiano — 1989.

chiamato i predetti articoli, ad es., con la seguente dizione: «nei

casi di cui agli articoli precedenti . . .». Il legislatore non ha, in

vece, proceduto in questi termini e ben a ragione, perché nell'art.

92 ha inserito l'ipotesi di chiusura, che, in quanto tale, non pote va non essere generalissima. Ed allora il legislatore ha dettato

il suo «precetto», prescindendo dalle ipotesi descritte negli art.

91 e 92 ed ha adottato una formulazione che può comprendere tutte le possibili ipotesi: «In occasione del rimborso di diritti do

ganali indebitamente corrisposti ovvero della restituzione di som

me assunte in deposito dalla dogana . . .». Cioè con la prima

ipotesi ha richiamato quella generalissima già disciplinata nell'art.

92 e concernente qualunque «indebito». La seconda ipotesi ri

chiama quella pure generalissima di «somme assunte in deposito della dogana».

L'interpretazione letterale e sistematica porta, perciò, a conclu

sioni del tutto opposte a quelle, alle quali è pervenuta la Suprema

corte, la quale, fra l'altro, ha proceduto ad individuare le ipotesi indicate negli art. 91 e 92 in modo del tutto riduttivo. Infatti

nella predetta motivazione le ipotesi descritte negli art. 91 e 92

vengono individuate in questo modo, in modo sintetico:

«. . . . rimborsi delle somme pagate in più del dovuto per errori

di calcolo o di tariffa e rispettivamente la restituzione di somme

per il tramite degli spedizionieri doganali» e viene ignorata com

pletamente, fra le altre, quella più importante e cosi descritta

dalla legge: «Il rimborso di diritti doganali indebitamente riscossi».

Non solo, ma un ulteriore elemento di «generalizzazione» con

tenuto nell'art. 93 e ignorato dalla predetta motivazione concerne

il richiamo all'art. 86, sempre contenuto nel «capo V: Riscossio

ne» e concernente, quale pendant, degli interessi passivi, quelli

attivi, dovuti dal contribuente «per il ritardato pagamento dei

diritti doganali e di tutti gli altri diritti e tributi che si riscuotono

in dogana». In altri termini, l'interpretazione sistematica porta

alla conclusione che gli art. 77-93 riguardano la riscossione e i

rimborsi, con la disciplina dei vari aspetti che questi due istituti

implicano per la loro attuazione.

Non può pertanto essere seguita la Suprema corte nella sua

interpretazione restrittiva e, pertanto, il tasso degli interessi pas

sivi per il «rimborso di diritti doganali indebitamente corrisposti»

non poteva non essere pari a quello imposto dal legislatore per

gli interessi attivi, dovuti dal contribuente moroso, altrimenti l'in

tera disciplina sarebbe incorsa nel vizio di incostituzionalità per

violazione del principio di ragionevolezza. Ne consegue che la sentenza in oggetto deve essere confermata.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 21 apri le 1989, n. 1891; Pres. Brancaccio, Est. Rapone, P.M. Ama

tucci E. (conci, conf.); Di Lao (Avv. Tomaselli) c. Azienda

municipale trasporti di Catania (Avv. Magnano di San Lio,

Isola). Cassa Trib. Catania 29 ottobre 1985.

Lavoro (rapporto) — Sterilizzazione della contingenza — Rim

borso dei contributi — Disciplina (Cod. civ., art. 2120, 2121;

d.l. 1° febbraio 1977 n. 12, norme per l'applicazione dell'in

dennità di contingenza, art. 1, 1 bis; 1. 31 marzo 1977 n. 91,

conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 1° febbraio

1977 n. 12, art. 1).

Va cassata con rinvio ad altro giudice la sentenza che abbia rite

nuto applicabile la c.d. sterilizzazione della contingenza di cui

al d.l. n. 12 del 1977, convertito con modificazioni, nella l. n. 91 del 1977, al rimborso dei contributi (e cioè all'importo che in base a contratto aziendale delle aziende municipalizzate

viene corrisposto ai lavoratori collocati in pensione anticipata

mente per invalidità fisica, pari ai contributi previdenziali e as

sistenziali che l'azienda avrebbe versato in loro favore fino alla

data di compimento del sessantesimo anno di età), argomen

tando l'assimilabilità di tale istituto al trattamento di fine rap

porto e quindi l'assoggettabilità alla normativa richiamata sulla

This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 17:27:31 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended