sezione I civile; sentenza 2 febbraio 1989, n. 654; Pres. Falcone, Est. Borruso, P.M. Minetti(concl. diff.); Falcinelli (Avv. Bellini, Boschi) c. Peri (Avv. Gobbi, Leonelli). Conferma App.Perugia 13 luglio 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2849/2850-2853/2854Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184219 .
Accessed: 28/06/2014 09:31
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.238.114.210 on Sat, 28 Jun 2014 09:31:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
considerazioni svolte con riferimento all'esclusione della compu
tabilità dell'una tantum di cui al contratto del 1983.
Concludendo, la domanda dei ricorrenti va integralmente ac
colta, con condanna della cassa convenuta al ricalcolo del tratta
mento integrativo pensionistico, tenendo conto delle erogazioni,
effettuate al personale in servizio e sopra specificate.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 febbraio
1989, n. 654; Pres. Falcone, Est. Borruso, P.M. Minetti
(conci, diff.); Falcinelli (Aw. Bellini, Boschi) c. Peri (Aw. Gobbi, Leonelli). Conferma App. Perugia 13 luglio 1984.
Competenza civile — Dichiarazione giudiziale di paternità — «Ius
superveniens» (L. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina dell'adozio
ne e dell'affidamento dei minori, art. 68).
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Prova ema
tologica (Cod. civ., art. 269).
In pendenza di giudizio di secondo grado in materia di dichiara zione giudiziale di paternità, l'entrata in vigore di una nuova
norma sulla competenza non altera i criteri di individuazione
del giudice competente in appello in funzione del giudice che
ha deciso il primo grado della medesima controversia. (1)
Ai fini della dichiarazione giudiziale di paternità, rientra nella
facoltà del giudice di merito escludere la prova ematologica
laddove sia possibile approdare ad un sicuro convincimento in
base agli altri elementi acquisiti al processo. (2)
(1) La decisione in rassegna era chiamata a risolvere un delicato pro blema relativo al mutamento della normativa sulla competenza a cono
scere dei giudizi dichiarativi di paternità o maternità naturale di minore,
mutamento operato dall'art. 68 1. 184/83.
Come è noto, dopo alcuni disorientamenti dei giudici di merito, Cass.
9 agosto 1985, n. 4425, Foro it., 1985, I, 3119, affermò il principio del
l'applicazione della nuova disciplina sulla competenza anche ai giudizi
pendenti innanzi al tribunale ordinario al momento dell'entrata in vigore della 1. 184/83. Tale orientamento è stato ribadito da Cass. 21 ottobre
1987, n. 7763, id., Rep. 1987, voce Filiazione, n. 63 (e in Giust. civ.
1987, I, 2463), richiamata in motivazione, nonché da Cass. 21 novembre
1986, n. 6859, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 64; entrambe queste decisioni concernevano ipotesi in cui il giudizio dichiarativo di paternità
o maternità naturale era pendente in primo grado innanzi al tribunale
ordinario al momento dell'entrata in vigore della 1. 184/83.
Nel caso risolto dalla sentenza in epigrafe, al momento dell'entrata
in vigore della 1. 184/83 il giudizio dichiarativo di paternità naturale del
minore (minore che però al momento della deliberazione della pronuncia
della Cassazione — come ricordato in motivazione — era ormai vicinissi
mo al raggiungimento della maggiore età) era pendente in grado di appel
lo innanzi alla corte ordinaria d'appello. La sentenza che si riporta evi
denzia correttamente tale particolarità, e facendo leva su di essa: a) rileva
come le precedenti decisioni relative all'applicabilità ai giudizi in corso
della nuova competenza introdotta dall'art. 68 1. 184/83 erano relative
ad ipotesi in cui al momento dell'entrata in vigore della legge il giudizio era pendente in primo grado: ed a tale riguardo richiama anche Cass.
6 novembre 1987, n. 8218, id., Rep. 1987, voce cit., n. 62 (ed in Arch,
civ., 1988, 301), la quale però, chiamata a pronunciarsi relativamente
ad un'ipotesi in cui la 1. 184/83 era sopravvenuta a giudizio di appello
esaurito in pendenza del giudizio di cassazione, ebbe testualmente, ad
affermare in motivazione: se «la causa, decisa dal giudice ordinario, si
trovi in fase d'impugnazione, si impone un necessario 'distinguo' a se
conda del momento dell'entrata in vigore delle nuove regole sulla compe
tenza; se esse sono sopravvenute nella fase di gravame, la pronunzia per
la corte d'appello ordinaria non può essere che di incompetenza, indican
do il giudice effettivamente competente: se — contra — come nella specie
la nuova normativa sopravviene ad appello esaurito e ormai delata sen
tentia un doveroso limite si impone alla portata di quanto sopra esposto
ricavandolo dal principio generale (v. Cass. 6 luglio 1977, n. 2989, id.,
Rep. 1977, voce Contratti agrari, n. 275 e in Giur. it., 1978, I, 1, 24),
secondo cui l'atto processuale è retto dalla legge del tempo in cui si è
compiuto (tempus regit actum), in virtù del quale la sentenza emessa da
un giudice che in quel momento era competente non può considerarsi
invalida a seguito della successiva entrata in vigore di norme che hanno
mutato la competenza attribuendola al giudice dei minori»; b) disatten
dendo, implicitamente, 1'obiter dictum della ora riprodotta Cass. 8218/87,
Il Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. —- L'imprenditore Raffaele Falcinel
li (nato nel 1928, coniugato con figli) veniva condannato, con
sentenza penale passata in giudicato, per il reato di corruzione
di minorenne per aver avuto per circa due anni rapporti sessuali
con Marina Peri, sua dipendente minore degli anni diciotto, rea
to venuto a cessare il 22 febbraio 1968, giorno cui la ragazza
aveva compiuto la maggiore età. Quanto, poi, al reato di atti
osceni per essersi congiunto saltuariamente con la Peri in auto
mobile su strade campestri fino al settembre del 1969, gli veniva
concessa l'amnistia.
Il 27 maggio 1970 la Peri dava alla luce una bambina di nome
Monia. Nel 1974 la Peri conveniva avanti al Tribunale di Perugia (nel
la sentenza in rassegna ha enunciato il principio riassunto nella prima massima: in senso conforme, v., richiamata in motivazione, Cass. 17 gen naio 1977, n. 211, Foro it., Rep. 1977, voce Competenza civile, n. 14
(e in Giust. civ., 1977, I, 607) che aveva enunciato il medesimo principio
riguardo all'art. 34 disp. att. c.c. cosi come sostituito dall'art. 215 1.
19 maggio 1975 n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia; nello stesso
senso vedi inoltre, non richiamate in motivazione, Cass. 18 ottobre 1986,
n. 6140, Foro it.. Rep. 1986, voce cit., n. 18, secondo cui, proprio con
riguardo all'art. 68 1. 184/83, la pubblicazione della sentenza di primo
grado (ma non la sua deliberazione) segna il momento della insensibilità
del processo al sopravvenuto mutamento della norma processuale in tema
di competenza; nonché, esplicitamente, con riguardo a mutamenti di com
petenza in materia di locazione, Cass. 27 agosto 1953, n. 2874, id., Rep.
1953, voce cit., nn. 175, 177; 19 ottobre 1954, n. 3884, id., Rep. 1954,
voce cit., nn. 242, 243, le quali hanno escluso l'applicabilità della nuova
norma sulla competenza qualora il mutamento sopravvenga durante lo
svolgimento del giudizio di appello. Diversamente Cass. 2989/77, cit.,
con riguardo ad un'ipotesi in cui la nuova disciplina sulla competenza
(nella specie art. 26 1. 11 febbraio 1971 n. 11, in tema di competenza delle sezioni specializzate agrarie) era sopravvenuta nel corso del giudizio di rinvio, ha affermato che il giudice ordinario di rinvio deve declinare
la propria competenza in favore della sezione specializzata agraria costi
tuita presso la corte d'appello designata come giudice di rinvio. Sono
infine da ricordare Cass. 16 febbraio 1988, n. 1668, id., Rep. 1988, voce
Filiazione, n. 59, e App. Cagliari 23 aprile 1986, ibid., voce Competenza
civile, n. 30, le quali — alla stregua di un diffuso orientamento (su cui
v. Oriani, cit. infra, § 19) — hanno affermato la competenza del tribu
nale ordinario qualora, pur essendo stata l'azione di dichiarazione giudi
ziale di paternità di un minore proposta anteriormente all'entrata in vigo
re dall'art. 68 1. 184/83, nel corso del giudizio, prima della dichiarazione
di incompetenza da parte del tribunale, il minore abbia raggiunto la mag
giore età. Come risulta da questa rapida rassegna, la questione risolta dalla deci
sione in epigrafe non è affatto pacifica nella giurisprudenza della Cassa
zione: e tali incertezze derivano probabilmente anche — e forse soprat
tutto — dalla circostanza dell'inesattezza della premessa secondo cui le
norme modificatrici della competenza sarebbero normalmente immedia
tamente applicabili anche ai giudizi in corso, quanto meno se pendenti in primo grado. Recentemente, l'argomento ha costituito oggetto di un
attentissimo e documentarissimo riesame da parte di Oriani, La «perpe
tuano iurisdictionis» (art. 5 c.p.c.), id., 1989, V, 35 ss., spec. 73-89 (cui
si rinvia per complete indicazioni di dottrina e di giurisprudenza), il quale
ha con dovizia di argomenti auspicato un mutamento dell'indirizzo giuri
sprudenziale contrario all'applicabilità dell'art. 5 c.p.c. in ipotesi di mu
tamenti della norma disciplinatrice dei criteri di competenza. Corte cost. 25 maggio 1987, n. 193, id., 1988, I, 2802, con nota critica
di G. Puccini, Criterio di ragionevolezza e competenza del tribunale dei
minorenni in materia di dichiarazione di paternità o materinità naturale,
ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
38, 1° comma, disp. att. c.c. cosi come sostituito da ultimo dall'art. 68
1. 184/83, nella parte in cui dispone la competenza del tribunale per i
minorenni (e, è il caso di aggiungere, prevede la trattazione con rito ca
merale) in ordine ai giudizi dichiarativi di paternità o maternità naturale
di minori. [A. Proto Pisani]
(2) La possibilità, per il giudice, di escludere la prova ematologica tro
va conferma in Cass. 3 luglio 1986, n. 4376, Foro it., 1987, I, 140, nella
quale si afferma che, ai fini dell'ammissibilità della domanda di dichiara
zione giudiziale di paternità, sono sufficienti elementi probatori gravi,
precisi e concordanti. V. inoltre Cass. 19 febbraio 1987, n. 1788, id..
Rep. 1987, voce Filiazione, nn. 85, 86; 8 settembre 1986, n. 5470, id.,
Rep. 1986, voce cit., n. 80; 12 giugno 1986, n. 3899, ibid., n. 85.
Per la dottrina, v. Comporti, Filiazione e prove biologiche, in Quadri
mestre, 1985, 248; Morganti, Accertamento biologico di paternità, ibid.,
238; Ranalletta, Nuovi spazi giudiziali e stragiudiziali dell'accertamento
della verità biologica in tema di paternità, in Riv. it. medicina legale,
1986, 1192; Bardanzellu, Brevi note in tema di prove ematologiche e
genetiche nell'accertamento giudiziale della paternità naturale, in Riv. giur.
sarda, 1986, 416.
This content downloaded from 91.238.114.210 on Sat, 28 Jun 2014 09:31:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2851 PARTE PRIMA 2852
cui circondario i fatti predetti si erano svolti) il Falcinelli per sen
tirne dichiarare la paternità nei confronti della bambina.
Il Falcinelli, costituitosi, contestava la domanda come priva di
prove. Il tribunale, ammesse le prove testimoniali dedotte dalle parti
e fatta eseguire consulenza tecnica ematologica d'ufficio con sen
tenza depositata il 22 aprile 1982 accoglieva la domanda della
Peri ritenendo che: l'accertamento in sede penale delle congiun zioni carnali tra i due fino al settembre 1969 faceva stato in sede
civile, in quanto il giudice penale — tenuto conto che il Falcinelli
si proclamava innocente e che per applicare nei suoi confronti
l'amnistia era stato necessario compensare le circostanze aggra vanti con quelle attenuanti generiche — era dovuto scendere ne
cessariamente all'accertamento dei fatti; la bambina era nata, per
tanto, entro i nove mesi dall'ultima congiunzione carnale accerta
ta; l'exceptio plurium concubentium sollevata dal Falcinelli non
era stata suffragata con alcuna prova convincente, in quanto le
deposizioni testimoniali rese al riguardo di certo non avevano ri
velato alcunché di significativo, essendosi limitate a riferire di
sporadici episodi di baci e abbracci scambiati tra la ragazza e
alcuni giovanotti. Soltanto una teste (Maria Luisa Fagotti) aveva
riferito che la Peri le aveva confessato di non sapere essa stessa
chi fosse il padre di sua figlia, avendo avuto rapporti nello stesso
periodo di tempo con tre uomini dei quali le aveva fatto il nome, ma la sua testimonianza non era attendibile sia perché non era
in grado di ricordare quei nomi, sia perché trattavasi pur sempre di un'altra dipendente del Falcinelli, sia infine perché aveva già in precedenza manifestato il proposito di coprire la di lui respon
sabilità; quando, infatti, la Peri le confidò di essere incinta, la
consigliò di non fare il nome del Falcinelli; la Peri si era mostrata
sempre molto sincera ammettendo francamente e sin dall'inizio
di non aver mai opposto resistenza al Falcinelli sentendo verso
di lui trasporto affettivo e sensuale; il comportamento processua le del Falcinelli, al contrario, era stato tutt'altro che lineare: pur avendo sempre negato alle autorità di aver avuto rapporti con
la Peri, aveva ammesso di aver avuto contatti con il padre di
lei per giungere ad un bonario componimento della vertenza; il
suo stesso avvocato difensore chiamato da lui a deporre e un
altro testimone (un certo Barbetta) lo avevano clamorosamente
smentito riferendo che aveva confessato di aver avuto rapporti con la Peri e di essere disposto ad intestare un appartamento al nascituro purché la Peri, per evitare lo scandalo, avesse abban
donato il paesino (Cannara) ove entrambi vivevano; il consulente
tecnico d'ufficio, infine, aveva cosi concluso: «In base alla ricer
ca condotta su antigeni appartenenti a sette sistemi gruppo-ematici e ad un sistema serico è possibile affermare che Monia Peri può essere stata generata da un padre con caratteristiche antigeniche ematiche eguali a quelle di Raffaele Falcinelli. Ne consegue che, in base alla presente indagine peritale, non si può escludere che
il Falcinelli sia padre di Monia Peri». Tale conclusione peritale
apportava un notevole contributo alla formazione del convinci mento del collegio che, riconoscendo la paternità del Falcinelli, risultava basato su una pluralità di elementi tutti univoci e con
cordanti.
Contro la suddetta sentenza del tribunale il Falcinelli propone va gravame, ma la Corte d'appello di Perugia, con sentenza pub blicata il 13 luglio 1984 lo respingeva facendo proprie tutte le
considerazioni già svolte dal tribunale come sopra esposte. Ad
esse aggiungeva che: 1) in ordine alla testimonianza resa dall'av
vocato difensore del Falcinelli, quest'ultimo aveva opposto che
essa era irrilevante nella presente causa in quanto a lui aveva
confessato si' di aver avuto rapporti con la Peri, ma di averli
anche interrotti ben prima dell'epoca in cui era rimasta incinta.
Orbene, questa difesa del Falcinelli non poteva essere presa in
alcuna considerazione in quanto, come già ben aveva rilevato il
tribunale, sul fatto che i rapporti carnali tra i due si fossero pro tratti sino al settembre del 1969 si era ormai formato il giudicato in sede panale; 2) il fatto che la Peri avesse informato i suoi
familiari d'essere rimasta incinta solo dopo alcuni mesi dal mo
mento in cui lei stessa ne aveva avuto consapevolezza si poteva giustificare tenendo presente che, avendo appena sedici anni e
provando grande imbarazzo nei confronti dei genitori, non aves
se saputo adottare altro comportamento di quello di tener nasco
sta la gravidanza il più possibile; 3) anche il comportamento te
nuto dalla ragazza nei confronti del Falcinelli poteva giustificarsi tenendo presente l'enorme divario d'età esistente fra i due e la
Il Foro Italiano — 1989.
diversa condizione sociale che indubbiamente la tenevano in una
situazione di soggezione; 4) non si ravvisava l'opportunità di di
sporre una nuova consulenza tecnica che provasse con maggior certezza sul piano biologico la paternità del Falcinelli in quanto, stante tutti gli elementi univoci e concordanti già acquisiti in sen
so favorevole al riconoscimento della sua paternità, la perizia tec
nica sarebbe stata decisiva solo se ne avesse dimostrato l'impossi bilità biologica: in senso positivo, invece, i margini di dubbio lasciati dalla predetta consulenza erano colmati dalle prove di
altro genere nella specie già raggiunte. Avverso la summenzionata sentenza il Falcinelli ricorre per cas
sazione in base a cinque motivi. Resiste con controricorso la Pe
ri. Sia il Falcinelli che la Peri hanno presentato anche memorie.
Motivi della decisione. — Innanzitutto deve essere esaminato,
per ragioni di priorità logico-sistematiche, il quinto ed ultimo mo
tivo di ricorso con cui il Falcinelli deduce l'incompetenza per ma
teria della Corte d'appello di Perugia, stante la competenza della
sezione per i minorenni della medesima corte: e ciò per effetto
dell'art. 68 1. 4 maggio 1983 n. 184 che ha attribuito al tribunale
per i minorenni la competenza in ordine alle cause per la dichia
razione giudiziale della paternità, di minori. Il motivo è infondato. Invero, come ritenuto da questa corte
con sent. n. 211 del 1977 (Foro it., Rep. 1977, voce Contratti
agrari, n. 275) in riferimento all'art. 215 1. 19 maggio 1975 n.
151 sulla riforma del diritto di famiglia che, modificando l'art.
34 disp. att. c.c., attribuì al tribunale per i minorenni la cognizio ne della domanda di mantenimento proposta dal figlio naturale
non riconosciuto ai sensi dell'art. 279, 1° comma, c.c. — la so
pravvenienza in grado d'appello della norma che attribuisce a
quel tribunale la competenza in relazione all'esercizio di una de
terminata azione non incide sulla validità della sentenza di primo
grado, che sia stata emessa — come nella specie si è verificato — nel vigore delle previgenti norme di competenza, in quanto il principio dell'immediata applicabilità, nel giudizio pendente, dello ius superveniens, in materia di competenza opera con ri
guardo al grado in corso del giudizio medesimo e, pertanto, salvo
diversa disposizione transitoria dettata dal legislatore — non può valere a travolgere un precedente grado ritualmente celebratosi
secondo la legge del tempo. Ed infatti: 1) In applicazione del 1° comma dell'art. 38 c.p.c. il giudice
d'appello può — e, anzi, deve anche d'ufficio — rilevare l'in
competenza per materia o funzionale del primo giudice, ma solo
quando questi abbia giudicato in violazione delle norme sulla com
petenza, sicché la sua pronunzia appaia viziata sotto questo pro filo e non anche nel caso in cui il giudizio di primo grado si
sia svolto ed esaurito nell'osservanza delle norme che al riguardo
vigevano al momento della pronuzia.
2) Se il principio dell'immediata applicabilità di una nuova nor ma relativa alla competenza dovesse essere applicata, oltreché al
giudizio nel grado in cui pende al momento della sua entrata in
vigore, anche ai gradi pregressi si tratterebbe non di applicazione
immediata, bensì retroattiva della legge e, quindi, salva espressa
disposizione contraria — che nella specie manca — vietata cate
goricamente dall'art. 11 (1° comma) delle preleggi.
3) Una siffatta applicazione retroattiva urterebbe anche contro
i principi di conservazione degli atti e di economia dei giudizi, cui il legislatore, di regola, tende ad uniformarsi; in tal senso
è l'art. 230 disp. trans, c.p.c. (che mantiene ferma, ancorché mu
tata, la competenza del giudice regolarmente adito secondo le leggi
anteriori), l'art. 20 1. 11 agosto 1973 n. 533 sulla disciplina delle
controversie di lavoro (che detta una norma analoga riguardo ai giudizi pendenti), l'art. 3 1. 1° marzo 1968 n. 198 che, in occa
sione dell'istituzione dei tribunali di Marsala, Prato e Civitavec
chia, conservava alla competenza dei tribunali originariamente aditi
le cause già decise, la 1. 25 luglio 1966 n. 571 che, nell'elevare i limiti di valore riguardo alla competenza del concliatore e del
pretore, fa salvi i giudizi pendenti avanti ai pretori e ai tribunali aditi secondo le norme previgenti.
4) Se il divieto di applicazione retroattiva della legge impediva alla corte d'appello di rimettere al tribunale per i minorenni la
causa de qua, neppure poteva rimetterla alla sezione specializzata
per i minorenni della corte medesima. Infatti, stando alla lettera
della legge, il citato art. 68 sottrae (con effetto immediato) la
competenza al tribunale ordinario in favore del tribunale per i
menorenni, ma non anche alla corte d'appello in favore della
This content downloaded from 91.238.114.210 on Sat, 28 Jun 2014 09:31:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sezione specializzata in relazione al giudizio di secondo grado avanti
alla medesima pendenti. Nel silenzio della legge, deve, pertanto, ritenersi non derogato il principio generale secondo cui la compe tenza di secondo grado è una competenza funzionale, che si de
termina con l'individuazione del giudice che ha deciso in primo
grado ai sensi dell'art. 341 c.p.c. E poiché, nella specie, la causa
in primo grado era stata decisa legittimamente dal Tribunale di
Perugia, giudice d'appello non poteva che essere la Corte d'ap
pello di Perugia che ha pronunciato la sentenza ora impugnata.
5) Di fronte a cosi rilevanti principi (divieto di applicazione retroattiva della legge, conservazione ed economia dei giudizi, con
seguenzialità della competenza del giudice di appello alla compe tenza avuta dal giudice di primo grado) la tesi del ricorrente, che condurrebbe al travolgimento di un grado di giudizio ritual
mente celebrato secondo la legge del tempo ed esaurito, potrebbe essere giustificata solo da apposita e incontrovertibile disposizio ne transitoria che nella specie, però, manca.
6) L'art. 12 preleggi impone che, nell'applicare la legge, ad
essa non possa attribuirsi altro senso se non quello fatto palese, oltreché dal significato proprio delle parole, anche dall'intenzio
ne del legislatore.
Orbene, non risulta alcun elemento, né di carattere storico né
logico-sistematico, che autorizzi l'attribuzione al legislatore di un'i
tenzione cosi grave rispetto alla durata dei processi e all'esito del
le prove in esso acquisite cóme quella di costringere a rifare ex
novo tutti i processi pendenti in appello o anche soltanto a reiti
rare il giudizio di secondo grado. Intenzione del legislatore risul
ta, invero, essere stata solo quella di concentrare presso un solo
organo (il tribunale per i minorenni) tutti i provvedimenti che
ai minorenni attengono e, quindi, anche la dichiarazione giudi ziale di paternità del minore: ma per ragioni di mera opprotuni
tà, non per ragioni sostanziali relative alla specializzazione del
giudice, essendo incontrovertibile che, in tal caso, il giudizio, pur riflettendosi sulla sorte del minore, verte esclusivamente su fatti
commessi da altri prima della sua nascita, da valutarsi senza la
benché minima deroga alle norme ordinarie, e, quindi, senza al
cun margine di discrezionalità volta a favorire (come in altri casi
è previsto) il preminente interesse di fatto del minore.
Essendosi trattato di ragioni di mera opportunità, non si può attribuire al legislatore l'intenzione di sacrificare ad esse principi tanto rilevanti con effetti altrettanto gravi quali quelli sovraesposti.
7) La tendenza del legislatore a salvare i processi anteatti quan do non vi ostino insuperabili ragioni sostanziali si coglie nelle
norme spesso dettate al fine di convalidare l'attività del giudice
che, sebbene privo di competenza al momento della decisione,
l'abbia acquistata poi per effetto di una nuova norma (come in
occasione delle leggi che hanno elevato i limiti della competenza
per valore).
8) Nella fattispecie in esame l'accoglimento della tesi del ricor
rente porterebbe ad una soluzione abnorme anche per una ragio ne particolare, che la Corte di cassazione può rilevare avendo,
in materia di accertamento della competenza, anche il potere di
rilevare circostanze di fatto emergenti dagli atti.
Da essi, invero, risulta che la persona della cui paternità si
discute sta per compiere (essendo nata il 27 magggio 1970) il di
ciottesimo anno. Pertanto, un eventuale rinvio alla sezione spe cializzata per i minorenni della corte d'appello la investirebbe di
un giudizio che, al momento della sua riassunzione davanti ad
essa, non riguarderebbe più un minore, con patente violazione,
anche sotto tale aspetto, del citato art. 68 che espressamente de
volve al giudice specializzato il giudizio per la dichiarazione di
paternità solo se concerna minori (vedi Cass. n. 1668 del 16 feb
braio 1988, id., Rep. 1988, voce Filiazione, n. 59). Tutte le suesposte considerazioni — che si integrano a vicenda
e convergono in una stessa conclusione — paiono sufficienti a
superare affermazioni contrarie rinvenientisi in talune sentenze
di questa corte, ma, più d'una volta, non connesse direttamente
con il decisum (invero le sentenze 8218 e 7763 del 1987, id., Rep.
1987, voce cit., nn. 62, 63; nonché n. 1529 del 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 330, non riguardano il caso di sopravwenienza
del citato art. 68 della legge del 1983 in pendenza del giudizio d'appello).
Si può, dunque passare all'esame dei tre precedenti motivi di
ricorso. (Omissis) Col terzo motivo il ricorrente, denunziando la violazione del
l'art. 61 c.p.c., si duole che la corte d'appello abbia rigettato
l'istanza di rinnovazione dell'accertamento tecnico ematologico
Il Foro Italiano — 1989.
stante la scarsa significatività dell'accertamento svolto nel giudi zio di primo grado e l'esigenza di pervenire ad un più alto livello
di certezza mediante indagini da compiere con l'applicazione del
teorema di Bayes ora eseguibili anche in Italia.
Considerato che le prove storiche avevano lasciato dubbi negli stessi giudicanti poiché altrimenti non avrebbero sentito la neces
sità di ammettere la prova biologica, la corte di merito avrebbe
dovuto tener presente che una nuova e più sofisticata indagine
biologica avrebbe potuto o dare la prova affermativa della pater nità pressoché al 100%, ovvero, pur in una situazione di confor
mità delle caratteristiche ematiche dei due soggetti, non portare a conclusioni tali da poter ritenere colmato quel dubbio che era
alla base dell'ammissione stessa della consulenza.
Questo terzo motivo è anch'esso infondato in quanto: a) in
base alle prove c.d. «storiche» acquisite, i giudici di merito riten
nero di non avere alcun dubbio sulla paternità della Peri: se am
misero la prova ematologica non fu per colmare un dubbio, ma — come si è già avuto modo di rilevare — soltanto per offrire
alla controparte la possibilità di dare la prova contraria a quanto
presumevano di aver accertato; b) la prova della paternità natu
rale, ai fini della dichiarazione giudiziale di paternità, può essere
raggiunta anche soltanto sulla base di presunzioni che siano pre
cise, gravi e concordanti, come nella specie ritenuto dai giudici di merito con motivazione che non appare viziata da errori di
logica o di diritto. Invero questa corte ha più volte affermato che: 1) in tema di
dichiarazione giudiziale della paternità il carattere non più ecce
zionale della prova ematologica per effetto della nuova formula
zione dell'art. 269 c.c., introdotta dalla 1. 19 maggio 1975 n. 151
sulla riforma del dirritto di famiglia, non implica che la prova medesima debba essere necessariamente disposta, ove richiesta dalle
parti, rientrando nella facoltà del giudice del merito di escluderne
la rilevanza, qualora sia in grado di formarsi un sicuro convinci
mento sulla base degli altri elementi acquisiti al processo. (Cass. sent. nn. 1788 del 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 85; 3899
del 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 85; 576 del 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 76; 3660 del 1984, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 52, 60, 64; 5631 del 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 87; 3112 del 1983, ibid., n. 57; 2736 del 1983, ibid., nn. 89, 92; 4546, del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 93; 4426 del 1981, ibid., n. 94; 6217 del 1980, ibid., n. 95; 332 del 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n. 76); 2) nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, gli accertamenti tecnico-scientifici (sulla ba
se genetica dei caratteri rilevabili con indagini ematologiche ed
immunogenetiche), svolti in certo numero, in combinazione tra
loro e dando a ciascuno di essi il relativo valore ponderale, con
sentono di pervenire a risultati di elevato grado di probabilità anche «in positivo», con conseguente acquisizione di probabilità
probative (derivanti cioè da riscontri tecnico-obiettivi valutati nel
loro insieme secondo metodi offerti dalla scienza e da sole insuf
ficienti a fornire la certezza) utilizzabili per corroborare gli ele
menti extra-scientifici emersi da prove testimoniali o documentali
nel procedimento selettivo del soggetto responsabile (probabilità a priori) e, quindi, per la formazione del convincimento definiti
vo (probabilità a posteriori) del giudice, con la sintesi finale dei
dati raccolti. Peraltro, il giudice, nel disporre tali accertamenti, non è tenuto ad ammettere tutte le indagini indicate come possi bili dalla scienza, fino al raggiungimento della certezza assoluta,
potendo essere coperto un certo margine di incertezza di elementi
tratti legittimamente aliunde (Cass. n. 247 del 1984, id., Rep.
1984, voce cit., n. 67). E ciò vale a confutare la tesi del Falcinelli,
sostenuta particolarmente nella memoria illustrativa del ricorso,
secondo la quale, a seguito della riforma del diritto di famiglia,
la legge pretenderebbe che ai fini della dichiarazione giudiziale
di paternità siano in ogni caso eseguite tutte le prove possibili
a «riprova» della già ritenuta paternità per acquisire un grado
ancora maggiore di certezza. (Omissis)
This content downloaded from 91.238.114.210 on Sat, 28 Jun 2014 09:31:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions