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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || Sezione I civile; sentenza 25 giugno 1979, n....

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Sezione I civile; sentenza 25 giugno 1979, n. 3524; Pres. Vigorita, Est. R. Sgroi, P. M. Minetti (concl. conf.); Iberti (Avv. A. Pugliese) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato D'Avanzo). Conferma App. Torino 15 settembre 1976 Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1980), pp. 125/126-135/136 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171837 . Accessed: 28/06/2014 08:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.120 on Sat, 28 Jun 2014 08:36:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 25 giugno 1979, n. 3524; Pres. Vigorita, Est. R. Sgroi, P. M. Minetti(concl. conf.); Iberti (Avv. A. Pugliese) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato D'Avanzo). ConfermaApp. Torino 15 settembre 1976Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1980), pp. 125/126-135/136Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171837 .

Accessed: 28/06/2014 08:36

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tamente, per esaurirsi la stessa nell'ambito delle posizioni di

diritto soggettivo delle parti) all'atto amministrativo, la corte

del merito, nel condurre l'indagine sull'esistenza del diritto di

credito vantato dall'azienda, ha dovuto portare il proprio esa

me, in via incidentale, sulla legittimità del provvedimento am

ministrativo, richiamato come presupposto ai fini della quali ficazione giuridica della fattispecie dedotta in giudizio.

E, poiché nell'ipotesi in cui la illegittimità del provvedimento amministrativo viene in discussione come presupposto di fon

datezza nel merito della pretesa, il giudice è tenuto ad accer

tare se il provvedimento sia o meno conforme a legge (disap

plicandolo in caso negativo), onde l'indagine va condotta sia

sul punto se l'autorità amministrativa abbia o meno il potere di emanarlo, sia sul punto se l'atto sia o meno immune da vizi

di incompetenza e di violazione di legge (compreso in quest'ul tima categoria il difetto dei presupposti necessari all'esercizio

del potere), deve ritenersi che la corte d'appello, nell'operare il

controllo (in via occasionale) sulla legittimità del provvedimento amministrativo normativo contenuto nell'art. 17 decreto n. 211

del 1953, abbia (contrariamente a quanto ha sostenuto la ricorrente

in sede di discussione orale) operato correttamente, in perfetta osservanza dei criteri direttivi della giurisprudenza della Corte

suprema in tema di disapplicazione dell'atto amministrativo il

legittimo.

Invero, essendo fonte del provvedimento amministrativo (« li

bero ») di normazione secondaria, dettato con il decreto n. 211

del 1953 dal comandante del porto da Ancona, l'art. 59 del re

golamento per l'esecuzione del codice della navigazione, il quale attribuisce all'autorità preposta alla direzione marittima del por to esclusivamente il potere di determinare la tariffa dei servizi

portuali, e potendo una prestazione patrimoniale essere imposta ex art. 23 Cost, soltanto in base ad una legge (cosiddetto prin

cipio della riserva relativa di legge), la corte del merito ha cor

rettamente ritenuto che il capo del circondario marittimo, impo nendo (a titolo di sanzione, civile o amministrativa) la presta zione patrimoniale del mezzo per cento sull'importo delle fat

ture, abbia operato (« oltre i limiti della delega ») senza essere

fornito del potere amministrativo » che la previsione impositiva della descritta prestazione patrimoniale contenuta nel più volte

menzionato provvedimento amministrativo normativo fosse in

contrasto con il disposto dell'art. 23 Cost., donde la sua illegit

timità, comportante la disapplicazione da parte del giudice or

dinario, non essendo tale provvedimento amministrativo norma

tivo (come i regolamenti, che pongono norme giuridiche con

efficacia di atti amministrativi) impugnabile per illegittimità co

stituzionale (cfr. Cass. 19 novembre 1971, n. 3331, id., Rep. 1971,

voci Contratti della p.a., n. 76 e Giurisdizione civile, n. 86).

Per modo che può concludersi che dalla riconosciuta e dichia

rata illegittimità e dalla conseguente disapplicazione della sta

tuizione normativa, contenuta nel provvedimento amministrativo

del direttore marittimo del porto di Ancona, emesso (con il de

creto n. 211) in data 21 ottobre 1953, in ordine alla parte rela

tiva alla imposizione della prestazione patrimoniale per il ritar

dato pagamento dei prezzi dei servizi prestati, la corte d'appello abbia correttamente tratto la illegittimità e la infondatezza della

pretesa creditoria vantata (a titolo di « penale ») dall'Azienda dei

mezzi meccanici di Ancona.

Né vale invocare in contrario — come fa la ricorrente — l'au

torità della decisiorte della Corte suprema n. 3331 del 19 novem

bre 1971 (id., Rep. 1972, voce Contratti della p.a., nn. 42, 52), secondo la quale l'art. 65 d. m. 20 giugno 1930 n. 35, regola mento degli acquisti di vestiario per le forze armate (che im

pone al fornitore della merce, in caso di collaudo negativo e

di conseguente rifiuto della stessa da parte della pubblica ammi

nistrazione, di ritirarla entro sette giorni dalla partecipazione al

riguardo, con sanzione, in difetto di una penale, dell'uno per

cento del valore della merce per ogni giorno di ritardo) non

contrasterebbe con l'art. 23 Cost., in quanto in tale fattispecie

giuridica, pur parlandosi (in senso atecnico) di « penale », si

tratterebbe non di una prestazione patrimoniale imposta a ti

tolo di sanzione (civile o amministrativa), ma di una contropre

stazione, posta, in caso di collaudo negativo, a carico del forni

tore per il rimborso all'amministrazione delle spese da questa

sopportate per il magazzinaggio e la custodia delle merci non

ritirate (preventivamente e forfettariamente determinate). L'unico motivo è, quindi, da disattendere. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 25 giugno 1979, n. 3524; Pres. Vigorita, Est. R. Sgroi, P. M. Minetti

(conci, conf.); Iberti (Avv. A. Pugliese) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato D'Avanzo). Conferma App. Torino 15 settembre

1976.

Cambio e valuta — Infrazione valutaria — Rientro dei capitali — « Ius superveniens » — Cessazione della materia del con

tendere — Esclusione (Legge 30 aprile 1976 n. 159, conversione

in legge, con modificazioni, del d. 1. 4 marzo 1976 n. 31, con tenente disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie, art. 2; legge 8 ottobre 1976 n. 689, conversione in legge del d. 1. 10 agosto 1976 n. 543, concernente modifica dell'art. 2 legge 30

aprile 1976 n. 159, nella quale è stato convertito, con modi

ficazioni, il d. 1. 4 marzo 1976 n. 31. Ulteriori modifiche ad d. 1. 4 marzo 1976 n. 31 e alla legge 30 aprile 1976 n. 159, art. 3).

Cambio e valuta — Infrazione valutaria — Rientro dei capitali — Trasgressore già scoperto — Sanzioni amministrative —

Applicabilità (Legge 30 aprile 1976 n. 159, art. 2; legge 8 ot tobre 1976 n. 689, art. 3).

Lo ius superveniens costituito dalla normativa sul rientro dei ca

pitali non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio relativo alla legittimità del decreto ministeriale di

irrogazione della sanzione pecuniaria per infrazione valutaria. (1) Il compimento delle operazioni di rientro dei capitali illecita

mente esportati non fa venire meno l'applicabilità delle san

zioni amministrative nei confronti dei trasgressori già scoperti prima di detti adempimenti. (2)

II

CORTE D'APPELLO DI TORINO; sentenza 1° marzo 1979; Pres. A. Ressi, Est. Buraggi; Garrone (Avv. Grande Stevens,

Uckmar) c. Min. tesoro.

Cambio e valuta — Infrazione valutaria — Rientro dei capitali — Trasgressore già scoperto — Sanzioni amministrative —

Inapplicabilità (Legge 30 aprile 1976 n. 159, art. 2; legge 8

ottobre 1976 n. 689, art. 3).

Il compimento delle operazioni di rientro dei capitali illecitamen

te esportati comporta l'inapplicabilità delle sanzioni ammini

strative anche nel caso di trasgressori già scoperti, cui dette

sanzioni siano state precedentemente irrogate con decreto mi

nisteriale. (3)

I

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — In data 21 mag

gio 1973 veniva notificato ad Iberti Aldo il decreto del 24 giugno 1972, con il quale il ministro del tesoro, su conforme parere della

commissione consultiva per le infrazioni valutarie, lo dichiarava

responsabile di violazione degli art. 2 e 5 d.l. 6 giugno 1956 n.

476, nonché dell'art. 11 d. m. 26 ottobre 1967 e gli infliggeva la

pena pecuniaria di lire 5.000.000.

L'Iberti, con citazione notificata il 15 ottobre 1973, adiva il

Tribunale di Torino, negando la sussistenza dell'infrazione e chie

dendo dichiararsi illegittimo il suddetto decreto ministeriale.

(1-3) La Cassazione conferma la propria precedente giurisprudenza (sent. 16 giugno 1978, n. 2989, Foro it., 1979, I, 142, con nota di

richiami), replicando alle critiche rivolte dalla dottrina, generalmente schierata in senso contrario (ed alla quale aderisce App. Torino 1° marzo 1979 che si riporta), cfr. Nuvolone, Lineamenti di diritto

penale valutario, 1979, 141; Tabellini, L'ambito di applicazione sog gettiva della sanatoria valutaria del 1976, in Giur. it., 1979, I, 1, 1150;

Falsitta, Spunti critici in tema di condono delle sanzioni ammini strative collegate ad illeciti valutari, id., 1978, I, 1, 2075; Sacerdo

ti, La sanatoria della legge 159 non si applica ai procedi menti amministrativi valutari in corso, in Gazzetta valutaria, 1978, 286; A. Santamaria, Disciplina valutaria, ambito di applicazione della sanatoria prevista dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e succ. modif., in Dir. e pratica trib., 1978, II, 607.

Da ultimo, Trib. Oristano 20 novembre 1978 (Foro it., 1979, II, 446, con nota di richiami) ha ritenuto non manifestamente infondata la

questione di costituzionalità dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, come sostituito dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689, nella parte in cui prevede l'inapplicabilità delle sanzioni valutarie e fiscali, sta bilite dalle leggi vigenti al momento del fatto per il possessore di

disponibilità e/o attività che dichiari all'Ufficio italiano cambi l'esi stenza all'estero di tali disponibilità e/o attività e provveda a far rien trare nello Stato tali capitali, qualora lo si interpreti nel senso che, se reato valutario e reato finanziario concorrono, quest'ultimo è pu nibile anche ove siano state osservate le predette prescrizioni, in rife rimento all'art. 24, 2° comma, Cost.

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PARTE PRIMA

Costituitasi in giudizio l'amministrazione dello Stato, che resiste

va alla domanda, il Tribunale di Torino la respingeva con sen

tenza 15 febbraio 1975. Avverso detta sentenza proponeva appello l'Iberti, con atto notificato il 4 luglio 1975, lamentando che il tri

bunale avesse dedotto la titolarità, in capo all'Iberti, del conto

corrente 25227 C.R.M. presso il Credito svizzero di Chiasso, non

ché delle operazioni valutarie documentate dagli estratti conto e

dagli avvisi sequestrati all'Iberti, durante un controllo alla fron

tiera in data 11 luglio 1971 (che costituivano la prova a fonda

mento del decreto ministeriale impugnato) fondandosi su presun zioni non univoche, né concordanti.

La Corte d'appello di Torino respingeva detta censura, analiz

zando ciascuno dei fatti noti e ritenendo che l'apprezzamento

globale e complessivo dei fatti, dalla stessa corte compiuto, rive

lava la loro relazione col fatto ignoto da provare (disponibilità valutarie all'estero, in capo all'Iberti). Quanto alla prova testi

moniale, dedotta dall'appellante a sostegno della tesi della tito

larità dei documenti sequestrati e delle operazioni valutarle dai

medesimi provate in capo ad un cittadino straniero, la corte con

fermava il giudizio di inammissibilità espresso dai primi giudici, analizzando ciascuno dei capitoli dedotti. Con sentenza 4 giugno 15 settembre 1976 l'appello era quindi respinto e l'Iberti era con

dannato alle spese del secondo grado. Avverso detta sentenza, notificata il 25 ottobre 1976, l'Iberti

ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 20 dicembre 1976,

illustrato con memoria. L'amministrazione resiste con controri

corso. Le difese delle parti hanno partecipato alla discussione

orale.

Motivi della decisione. — Col primo motivo l'Iberti deduce

violazione e falsa applicazione di norma di diritto (art. 360, n. 3, cod. proc. civ. in relazione all'art. 2 sub 3 legge 8 ottobre 1976

n. 689). Col secondo motivo deduce violazione di norma di diritto

(art. 360, n. 3, cod. proc. civ. in relazione all'art. 100 cod. proc.

civile). È evidente che è pregiudiziale l'esame del secondo moti

vo, cqI quale si fa valere la cessazione della materia del conten

dere, a seguito dell'intervenuta legge n. 689 del 1976 ed a seguito

dell'espletamento da parte del ricorrente di tutti gli adempimenti richiesti per avere diritto alla sanatoria prevista dall'art. 3 di

detta legge. Si sostiene che in tal modo è subentrata l'inapplicabi lità ex lege di ogni sanzione amministrativa inflitta per pretese violazioni valutarie, essendo il procedimento sanzionatorio ex

r. d. 1. 5 dicembre 1938 n. 1928 ancora in corso, per cui la Corte

suprema dovrà provvedere all'annullamento dell'impugnata sen

tenza in quanto è venuta meno ogni possibilità di sanzionare la

pretesa infrazione valutaria, la cui conferma costituiva l'oggetto del giudizio dinanzi alla Corte d'appello di Torino.

Il motivo è infondato. La cessazione della materia del conten

dere si verifica quando sia sopravvenuta una situazione che abbia

eliminato la posizione di contrasto fra le parti ed abbia in conse

guenza fatto venir meno oggettivamente la necessità della pro nuncia del giudice, sempre che non vi sia dissenso fra le parti circa la sussistenza e la rilevanza giuridica delle vicende soprag

giunte (Cass., Sez. un., 9 ottobre 1974, n. 2714, Foro it., 1974, I,

3318). Anche nel giudizio di cassazione, ove risulti che non vi

sia più contestazione sul diritto sostanziale dedotto in causa, de

ve essere rilevata e dichiarata la cessazione della materia del con

tendere (Cass. 9 maggio 1975, n. 1809, id., Rep. 1975, vece Cassa

zione civ., n. 262; 29 aprile 1974, n. 1218, id., Rep. 1974, voce cit., n. 269) anche in base a documenti nuovi diretti a dimostrarla

(Cass. 15 aprile 1976, n. 1339, id., Rep. 1976, voce cit., n. 192 a). Nella specie, non esiste affatto il requisito della mancanza di

dissenso tra le parti sull'efficacia delia situazione sopravvenuta, che anzi l'amministrazione ritiene irrilevante al fine di dichiarare

l'illegittimità del decreto ministeriale impugnato. E, in effetti, nel

secondo motivo di ricorso l'Iberti pone una correlazione tra la

spontanea revoca del decreto stesso e la sua rinuncia al ricorso,

il che dimostra che solo il riconoscimento (non intervenuto) della

illegittimità del decreto, o comunque la sua caducazione, com

porterebbe la cessazione della materia del contendere.

Col primo motivo di ricorso, alla cui trattazione si deve ora

passare, l'Iberti deduce violazione e falsa applicazione di norma

di diritto (art. 360, n. 3, cod. proc. civ. in relazione all'art. 3

legge 8 ottobre 1976 n. 689) esponendo che il presente giudizio ha per oggetto la legittimità del decreto di condanna del 24 giu

gno 1972 del ministro del tesoro, a sanzione della pretesa infra

zione valutaria contestata al ricorrente ai sensi degli art. 2 e 5

d. 1. 6 giugno 1956 n. 476, nonché dell'art. 11 d. m. 25 ottobre

1967, vale a dire ai sensi delle norme di carattere amministrativo

che, fino all'entrata in vigore del d. 1. 4 marzo 1976 n. 31, hanno

sanzionato le infrazioni in materia valutaria, in tutti quei casi in

cui si fosse instaurato il procedimento amministrativo sanziona

torio regolato dal r. d. 1. 5 dicembre 1938 n. 1928. È evidente, per

tanto, che il giudizio dinanzi all'a.g.o. è un mezzo attraverso il

quale può attuarsi una conferma o revoca del provvedimento sanzionatorio amministrativo adottato, in un procedimento che

non ha avuto conclusione attraverso il raggiungimento della defi

nitività del provvedimento di condanna e che pertanto è ancora

in corso.

Nelle more del giudizio d'appello e successivamente all'udien

za di precisazione delle conclusioni del 3 marzo 1976 sono entrate

in vigore la legge 30 aprile 1976 n. 159 e la legge 8 ottobre 1976

n. 689, la quale ultima dispone: « Chiunque alla data del 19 no

vembre 1975 possiede all'estero direttamente o indirettamente di

sponibilità valutarie o attività di qualsiasi genere, costituite ante

riormente al 6 marzo 1976 in violazione delle norme valutarie

vigenti al momento del fatto, è tenuto, con le modalità stabilite

dall'Ufficio italiano cambi; a farne dichiarazione all'ufficio stesso

entro il 16 novembre 1976 ed a provvedere ai seguenti altri adem

pimenti (omissis)... L'osservanza delle disposizioni di cui ai pre cedenti comma rende inapplicabili le sanzioni amministrative pre viste dalle norme valutarie e fiscali vagenti al momento del fatto

(omissis) ».

È pertanto palese secondo il ricorrente che a colui che, pur avendo in corso il procedimento amministrativo sanzionatorio, abbia provveduto agli adempimenti di cui all'art. 2 sub 3 legge n. 689 del 1976, nessuna sanzione sia più applicabile, mentre del

tutto inefficace debba essere considerata quella eventualmente

già applicata. L'Iberti, pur non rinunciando a quanto sostenuto nei pregressi

gradi di giudizio ed all'unico scopo di dirimere la vertenza in

atto, si è avvalso della facoltà prevista dall'art. 2 suddetto, prov vedendo alla denuncia entro il 19 novembre 1976 sia di quelle

disponibilità valutare relative al conto presso il Credito svizzero

di Chiasso, sia degli interessi su tali somme maturati, ed altresì

provvedendo all'immediato rientro delle somme stesse, ricom

preso in dette somme anche il valore delle obbligazioni di cui

all'accertamento dell'I 1 luglio 1971, obbligazioni già vendute in

precedenza. Conseguentemente, poiché ricorrono tutte le condizioni

richieste dalla legge n. 689 del 1976 perché debba farsi luogo alla

non punibilità di qualsiasi infrazione valutaria eventualmente ed

ipoteticamente commessa prima del 6 marzo 1976, il decreto del

ministro del tesoro del 24 giugno 1972 di inflizione della pena

pecuniaria di lire 5 milioni dovrà essere dichiarato inapplicabile,

ineseguibile e inefficace, e le sentenze di primo e secondo grado di cui al presente giudizio dovranno essere annullate.

Né in contrario potrebbe eccepirsi (continua il ricorrente) che

egli deduce la sanatoria di cui alla legge n. 689 solo in sede di

ricorso per cassazione, perché la nuova normativa è subentrata

dopo che avanti alla corte d'appello erano state già precisate le

conclusioni. La Corte suprema dovrà prendere atto che il ricor

rente ha posto in essere ogni adempimento richiesto dalla legge n. 689, come provato dai documenti prodotti, e quindi potrà di

chiarare l'annullamento sia del decreto del ministro del tesoro, sia delle sentenze citate, che confermavano detto decreto, non esi

stendo alcun provvedimento sanzionatorio che sia divenuto de

finitivo. Il motivo esposto è infondato e va respinto. Come risulta dalle

ultime argomentazioni riberti non censura — come sembra ap

parentemente dalle argomentazioni introduttive — la sentenza d'ap

pello per aver violato la legge 689 del 1976, perché il ricorrente

ammette che l'applicazione della suddetta legge non faceva parte, in alcun modo, dell'oggetto del giudizio, fino alla fase dell'appello. La sentenza della corte di Torino risulta deliberata il 4 giugno e

depositata il 15 settembre 1976, quando era già in vigore la nor

mativa dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, analoga a quella della legge n. 689 ora invocata, ma da un lato il giudice di me

rito non doveva occuparsi dell'eventuale sanatoria, neppure de

dotta, e non rilevabile d'ufficio; dall'altro lato, poiché la legge n.

689 ha dato termini più ampi (ancora prorogati dal d. 1. n. 759

del 1976, convertito in legge 23 dicembre 1976 n. 863), que st'ultima normativa, che ha dato un assetto definitivo alla mate

ria, costituisce ius superveniens rispetto alla sentenza d'appello. Lo ius superveniens è deducibile in Cassazione, allo scopo di

verificarne l'astratta influenza sulla decisione impugnata; ove però occorra effettuare accertamenti di nuovi fatti, in relazione a detto

ius superveniens l'accertamento dovrà essere devoluto al giudice di rinvio a seguito dell'eventuale cassazione della sentenza (v., da ultimo, Cass. 16 giugno 1978, n. 2989, id., 1979, I, 142). Pertanto la Corte suprema non potrà esaminare la documenta

zione prodotta dall'Iberti, ma verificare solo l'applicabilità della

nuova normativa invocata (ai fatti come dedotti o sopravvenuti

anch'essi, rispetto alla sentenza impugnata). Col d. 1. 4 marzo 1976 n. 31, convertito in legge 30 aprile 1976

n. 159, si sono ripristinate, in materia di infrazioni valutarie,

sanzioni penali (abolite dall'entrata in vigore della legge 18 ot

tobre 1949 n. 769), ma il citato d. 1. del 1976 non ha fatto venir

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

meno il precedente sistema di sanzioni puramente amministrative

per il periodo 1949-1976, che potranno essere applicate ai fatti

commessi in quel periodo, nei limiti della prescrizione quin

quennale. Poiché la finalità del legislatore del 1976 era quella, non solo

di reprimere più severamente del passato le c. d. «fughe di capi tali all'estero », ma anche quella di agevolare il rientro dei capi tali già esportati, da un lato si sono create delle figure di reati

valutari (nella configurazione definitiva di cui all'art. 2 legge 23

dicembre 1976 n. 863), per comportamenti futuri, stante il prin

cipio costituzionale della non retroattività della legge penale in

criminatrice, e dall'altro lato si sono imposti a chiunque alla da

ta del. 3 dicembre 1976 possedesse disponibilità valutarie o atti

vità di qualsiasi genere, istituite anteriormente al 6 marzo 1976

in violazione di norme valutarie vigenti al momento del fatto, determinati adempimenti (obbligo di dichiarazione di tali dispo

nibilità, rientro delle medesime). L'omessa dichiarazione ed il correlativo mancato rientro sono

configurati come delitti, punibili con la multa e, per disponibilità

superiori a 15 milioni, con la reclusione.

La sanzione penale suddetta (di particolare gravità, potendo arrivare fino a sei anni di reclusione) è correlata intimamente

con la norma invocata dal ricorrente, sull'inapplicabilità della

sanzione amministrativa. La minaccia della pena, infatti, è stata

ritenuta insufficiente a promuovere l'obbligo della dichiarazione

e del rientro dei capitali, di fronte alla certezza di soggiacere alle

sanzioni pecuniarie amministrative, correlate all'illecito valutario

a suo tempo commesso e che viene scoperto con gli adempimenti

impasti. Pertanto, il legislatore ha escluso l'applicabilità delle

sanzioni amministrative per, tutti coloro che, in virtu delle dichia

razioni imposte dall'art. 2 legge n. 159 del 1956, modificata dalla

legge n. 689 del 1976, si «scoprono» autori di illeciti amministra tivi per il passato. 11 nesso inscindibile tra scoperta dei suddetti

illeciti, emergente dalle dichiarazioni, ed inapplicabilità delle san

zioni amministrative (in funzione di agevolazioni dell'osservanza

degli obblighi penalmente sanzionati) fa sorgere il problema in

terpretativo del trattamento del caso opposto, e cioè del caso in

cui la scoperta del fatto costituente illecito amministrativo non

emerge (solo) dalle dichiarazioni, di cui all'art. 2 legge n. 159

e successive modifiche, ma risultava già all'amministrazione. In

fatti, il trasgressore già noto è spinto all'osservanza del precetto sanzionato penalmente appunto da tale sua qualità, risultante da

gli accertamenti già compiuti in sede amministrativa, per cui non

v'è ragione di offrirgli l'impunità dalla sanzione amministrativa

correlativa, come conseguenza automatica di un'osservanza che

è, invece, condizionata piuttosto da una scoperta della disponi bilità valutaria illecita all'estero indipendente dalla dichiarazione

compiuta. È stata contestata la premessa del problema interpretativo

(che la corte si è già posto ed ha risolto, nel senso che qui si

conferma, con sentenza 16 giugno 1978, n. 2989) da coloro che

negano la stessa esistenza del problema, accedendo ad un'in

terpretazione meramente letterale della norma del 5° comma del

l'art. 2, che si sta esaminando, con l'osservazione che questo orientamento della corte dà un risalto probatorio al verbale di ac

certamento di cui all'art. 3, 4° comma, r. d.l. n. 794 del 1938, che invece non compete a detto verbale. Esso, infatti, è un sem

plice atto che pone in moto il procedimento che potrà condurre all'inflazione della sanzione amministrativa, per cui non ha al cuna efficacia di discriminare fra trasgressore palese e trasgres sore occulto, in quanto la legittimità del verbale di infrazione dovrà essere verificata, prima nella procedura che conduce al decreto ministeriole di irrogazione della sanzione e poi nella com

petente sede giudiziaria su azione del trasgressore. L'obiezione prova troppo, perché trascura di considerare una

difficoltà interpretativa almeno pari, se non maggiore di quella censurata. Ed infatti, anche i critici dell'orientamento di que sta corte ammettono che la legge non voglia estendere l'esimente alle sanzioni già « applicate » prima dell'osservanza, da parte dei trasgressori, degli obblighi di dichiarazione e di rientro dei

capitali più volte menzionati.

Per coerenza rispetto alle premesse, peraltro, l'opinione con traria dovrebbe ammettere che dove è. ancora contestabile l'ap plicazione delle sanzioni amministrative, esse non si applichereb bero più. Anticipando quanto si dirà più volte, infatti, la fase

dell'applicazione non si può ritenere esaurita nel procedimento amministrativo (come eccepisce l'amministrazione nel controri

corso), ma comprende (o può comprendere) anche il procedi mento giudiziario nel quale si accerta, su azione del trasgres sore, la legittimità della sanzione applicata. E pertanto, solo una sentenza passate in, giudicato, che tale accertamento abbia

compiuto in senso positivo, prima della dichiarazione imposta

Il Foro Italiano — 1980 — Parte 1-9.

dalla legge n. 159 e successive modifiche, dovrebbe ritenersi fon

te di una sanzione amministrativa definitivamente applicata e

quindi preclusiva del beneficio di cui si sta parlando. Non sa

rebbe preclusivo non solo il semplice verbale di accertamento

dell'infrazione, ma neppure il decreto ministeriale di inflizione

della sanzione, anche se emesso in epoca assai lontana e non

ancora impugnato dinanzi all'a.g.o., perché esso sarebbe ancora

impugnabile e quindi, secondo le premesse fatte, non conterrebbe

un'applicazione definitiva della sanzione.

Si deve tener . presente, infatti, che la formulazione originaria dell'art. 11 r.d. 1. 5 dicembre 1938 n. 1928 stabiliva l'inimpu

gnabilità, in sede giurisdizionale, dei provvedimenti per l'ac

certamento delle violazioni in materia valutaria e per l'applica zione delle relative sanzioni. Prima ancora che la Corte costi

tuzionale, con sentenza n. 1 del 1959 (id., 1959, I, 186), dichiarasse

illegittima detta norma, essa era dalla quasi unanime giurisprudenza ritenuta abrogata dalla Costituzione (art. 113); ma tale operazione,

prima di abrogazione per incompatibilità e poi di dichiarazione di

incostituzionalità, innestata in una norma che, per la sua stessa

originaria formulazione, non poteva prevedere termini per l'im

pugnazione in sede giurisdizionale, ha fatto si che il decreto

ministeriale sia impugnabile nel termine decennale di prescri zione (invero, il termine di cinque anni di prescrizione, stabilito

dall'art. 17, 1° comma, legge 7 gennaio 1929 n. 4, richiamato dal

l'art. 3 r, d. l. 5 dicembre 1938 n. 1928, riguarda la sanzione pe cuniaria).

Non vi è alcun termine di decadenza per l'azione giudiziaria, dal momento che essa è proponibile dinanzi all'a.g.o. (il termine di decadenza riguarderebbe, infatti, solo i profili di illegittimità deducibili dinanzi agli organi della giustizia amministrativa, ma la cognizione dei fatti legittimanti o meno l'inflizione della san

zione appartiene, per giurisprudenza costante, all'a.g.o.).

Il termine potrebbe derivare, solo di riflesso, dall'azione della

procedura di riscossione di cui al r. d. 14 aprile 1910 n. 639, richiamato dal 3° comma dell'art. 7 r. d. 1. n. 1928 n. 1938, per ché contro l'ingiunzione emessa a norma del t. u. del 1910 è

possibile proporre l'opposizione giudiziaria entro trenta giorni. Ma l'adozione della procedura ingiuntiva non è necessaria (nel la presente causa non risulta seguita) e l'efficacia di titolo ese cutivo conferita dal 2° comma dell'art. 7 citato al decreto mini steriale di inflizione della pena pecuniaria non esclude affatto

che, pendendo l'esecuzione e senza alcun termine (art. 615 cod.

proc. civ.), sia fatta opposizione giudiziaria.

Se poi l'amministrazione trascura di procedere ad esecuzione, il trasgresore può convenire in giudizio la stessa amministra zione in ogni tempo, per sentir dichiarare l'illegittimità del de creto. Ciò premesso, appare evidente che, con l'interpretazione opposta a quella seguita da questa corte, colui che osserva le di

sposizioni (sanzionate penalmente) sull'obbligo della dichiara zione e del rientro dei capitali, potrebbe chiedere contestual

mente, nei limiti della prescrizione, la dichiarazione di illegitti mità (sopravvenuta) del decreto ministeriale, in ordine al quale non pende alcuna controversia, anche con richiesta di restituzio ne delle somme già pagate.

L'interpretazione opposta ritiene che, in mancanza di una norma espressa contraria nella legge, l'esimente dalla sanzione am ministrativa valga quando è in corso, in sede amministrativa

(per esempio, dinanzi alla commissione consultiva o nella fase di emanazione del decreto ministeriale su parere di questa), ov vero in sede giurisdizionale, il procedimento di applicazione del la sanzione. La limitazione collegata con la pendenza della pro cedura non è coerente con le premesse. Se il decreto è ancora

impugnabile in via giudiziaria, anche se di fatto non ancora im

pugnato, la possibilità della verifica giudiziaria della sua legit timità (alla stregua, non fosse altro, che della legge sopravve nuta) dovrebbe portare ad un condono generalizzato.

I commentatori hanno parlato, infatti, di un condono ammini

strativo, sottoposto alla condizione del ravvedimento attuoso (di chiarazione e rientro dei capitali). Peraltro, con riferimento ai

trasgressori non ancora scoperti, tale configurazione esaurisce tutta la portata della norma, perché ad essi, appunto, non si ap plica la sanzione amministrativa prevista dalle norme vigenti al momento del fatto; per i trasgressori già scoperti prima, l'opi nione contraria distingue fra trasgressori per i quali la procedura di applicazione della sanzione non è ancora conclusa e quelli per i quali è conclusa. I primi si gioverebbero del condono ed i secondi no, ma la discriminazione è operata sulla base di un criterio di contestabilità o contestazione in atto della sanzione am ministrativa che non soddisfa perché non è coerente con le stesse premesse, e cioè che l'incontestabilità si ha solo con la pro

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PARTE PRIMA

nuncia giudiziaria passata in giudicato sulla legittimità della san

zione, mentre è indifferente la rispondenza o meno al vero della iniziale contestazione dell'infrazione.

Questo evidente paradosso, a cui conduce l'interpretazione qui criticata, è dimostrato dalla presente fattispecie. L'Iberti, infat

ti, di fronte alla sentenza d'appello che (esaminando i fatti il leciti costituenti presupposti di legittimità della sanzione) li ha ritenuti esistenti, non ha mosso alcuna censura che riguardi det to accertamento, ma anzi lo ha convalidato con la confessione contenuta nella dichiarazione effettuata a norma della legge del 1976. La sentenza è stata impugnata non perché l'infrazione va lutaria non esisteva, ma al contrario perché, esistendo, l'Iberti ha voluto trarre partito dal fatto che la sentenza non era ancora

passata in giudicato all'atto della dichiarazione imposta dalla

legge del 1976.

Nel momento stesso in cui l'Iberti ammette la rispondenza al vero dell'accertamento compiuto dalla sentenza, ne chiede l'an nullamento. Se ciò è giustificato dalla circostanza formale che essa era impugnabile, non si può negare che i trasgressori, che non avevano ancora impugnato i decreti di applicazione delle

sanzioni, li impugnino in sede giudiziaria per lo stesso motivo del ricorso per cassazione dell'Iberti: e cioè per chiedere la

disapplicazione del decreto ministeriale, non per la sua originaria illegittimità, ma solo in forza dello ius supervetiiens e dell'adem

pimento dell'obbligo di denuncia. Pertanto, il requisito della non

completezza dell 'iter (amministrativo o giudiziario) di applica zione della sanzione, e il correlativo non ancora avvenuto accer tamento dell'esistenza dell'infrazione, che sono a base della linea di discriminazione adottata dalla contraria opinione, non sono in realtà soddisfacenti, alla stregua delle stesse sue premesse. La con

seguenza sarebbe la caducazione di tutti i decreti ministeriali già emanati, anche in tempo remoto, e già eseguiti, col solo limite dell'esistenza di giudicati contrari.

La conseguenza sarebbe in altri termini un condono genera lizzato e non regolato espressamente dalla legge, il che pone in forte dubbio le stesse premesse dell'interpretazione meramente letterale qui combattuta.

Altro inconveniente di non poco momento è messo in risalto dal ricorso dell'Iberti, dove dice che la sua dichiarazione inerente alle obbligazioni è falsa, perché quei titoli in realtà erano stati

già venduti in precedenza.

Lo scopo evidente di tale dichiarazione falsa è stato quello di far ritenere che le obbligazioni fossero da lui possedute all'estero alla data indicata dall'art. 2 legge 159 del 1976 e successive modi fiche, per potere godere dell'invocato beneficio, dato che la san zione era stata applicata dal ministro anche in relazione al pos sesso di tali obbligazioni.

L'automaticità del beneficio, a favore di coloro i quali erano

già noti all'amministrazione prima della dichiarazione, potrebbe portare ad un arbitrario collegamento tra operazioni e disponibi lità in realtà diverse, succedutesi nel tempo. Invero, l'ordine di rientro dei capitali all'estero è dato col decreto di inflizione della

sanzione, che è esecutivo e non può essere ovviamente sospeso dall'a.g.o., in sede di impugnazione (la sospensione potrebbe ri guardare se mai solo la riscossione della pena pecuniaria, ai sensi del citato t. u. del 1910). Anche se, come è stato già notato, l'or dine suddetto è privo di adeguata sanzione, esso comunque avreb be dovuto essere eseguito ex se e non .in forza dell'autonoma nor ma penale della legge 159 e successive modifiche, dal momento che il ricorrente ammette che il decreto di inflizione della san zione era originariamente legittimo (le sue proteste in merito so no, allo stato, semplici affermazioni, di fronte alla mancanza di

qualsiasi motivo di impugnativa ad hoc della sentenza della corte

d'appello che ne ha ritenuta la legittimità).

La legge farebbe quindi dipendere da una mera affermazione della parte (difficilmente controllabile, appunto perché tutte le attività si sarebbero, per definizione, compiute o all'estero o co

munque occultamente, al di fuori del caso eccezionale — qui evi denziato — dell'ammissione dello stesso privato) la correlazione tra infrazione a suo tempo contestata e disponibilità valutarie

oggetto della dichiarazione ex lege del 1976 n. 159. Il condono sarebbe non solo generalizzato ma anche privo di sostanziali pos sibilità di verifica da parte dell'amministrazione. Il privato sfug girebbe alla sanzione per effetto di una sua dichiarazione o di una documentazione abilmente preparata, per collegare la violazione

passata (e già scoperta) con la violazione attuale, mentre potreb bero esservi delle differenze (non rilevabili) tra i due fatti. È vero che la dichiarazione ex lege n. 159, art. 2, riguarda disponi bilità od attività costituite prima del 6 marzo 1976, ma l'obbligo stesso presuppone che la disponibilità esista ancora alla data del 3 dicembre (altrimenti non si applica la sanzione penale).

Pertanto il privato ha interesse ad affermare che alla data del 3 dicembre 1976 aveva ancora le disponibilità, con gli inconve nienti già segnalati.

Per i suddetti motivi, appare lecita l'operazione di interpreta zione riduttiva della disposizione legislativa, già operata da Cass. n. 2989 del 1978, che qui isi conferma.

Si premette che non può risolversi il problema seguendo l'as

sunto, ripetuto dall'Avvocatura dello Stato anche in questa causa, che non può parlarsi di « applicazione » della sanzione ammi nistrativa in sede giudiziaria, dove il giudice ordinario si limita a controllare se l'applicazione sia stata corretta. Invero, la lette ra della norma fa riferimento all'applicabilità in astratto e non

all'applicazione in concreto, per cui essa si converte nella so

pravvenuta inettitudine delle originarie norme sanzionatici a por si come regola della decisione attuale (in presenza di certi fatti

sopravvenuti). Non è quindi sostenibile che l'applicabilità della sanzione valu

taria sia fenomeno riferibile solo all'autorità amministrativa, per ché sul singolo provvedimento di inflizione si può innestare il

giudizio concernente l'accertamento dei presupposti per la respon sabilità dell'asserito trasgressore, giudizio nel quale si attua e de finisce (ancora) il processo di applicazione (in senso positivo o

negativo).

, La legge che rende inapplicabile la sanzione comprende sia i

poteri del ministro che dovrebbe infliggere la sanzione sia i po teri del giudice di cognizione dell'obbligazione del pagamento del la sanzione.

È confermato quanto si è rilevato sopra, ad altri scopi: quando la sanzione è stata irrogata col decreto ministeriale non è ancora esaurita la fase di « applicabilità » della sanzione.

Come si è già dimostrato, da questo punto di partenza, la tesi del ricorrente (non adeguatamente sviluppata, ma conseguente ri

spetto alle premesse poste) dovrebbe condurre alla seguente inter

pretazione della norma: l'inapplicabilità riguarda tutti i casi in cui gli adempimenti (dichiarazione e rientro dei capitali) siano stati compiuti e l'applicazione della sanzione non sia divenuta

definitiva, per effetto di sentenza passata in giudicato (o di pre scrizione dell'azione giudiziaria di contestazione).

L'altra tesi è che l'inapplicabilità riguarda solo la dichiara zione e gli altri adempimenti che mettono in evidenza infra

zioni valutarie in precedenza rimaste occulte e rivelate solo ed esclusivamente da quella dichiarazione.

Con la norma più volte richiamata il legislatore non ha can cellato dall'ordinamento i precetti dell'anteriore legislazione va lutaria e pertanto il comportamento a suo tempo tenuto resta

sempre un illecito amministrativo; la sanzione penale si ag giunge ad esso e non lo sostituisce.

Fra l'altro, la sanzione penale non colpisce il fatto commesso

precedentemente (prima della legge incriminatrice), ma l'omis sione dell'osservanza di obblighi imposti ex novo, sicché il fatto reato ed il fatto-illecito amministrativo sono ontologicamente di versi. Resta quindi aperto il problema dei destinatari della norma che rende inapplicabile la sanzione amministrativa, alla luce della

premessa — che qui si richiama — che la finalità della norma è l'incentivazione del rientro dei capitali; rientro dei capitali in or dine al quale, invece, un'infrazione già contestata (qualunque sia il grado di certezza raggiunto dalla contestazione) aveva già po sto una premessa sufficiente, senza necessità di una ulteriore

spinta. Si è già dimostrato che dall'analisi del sistema emerge che anche il massimo grado di certezza (sentenza di secondo grado non impugnata per contestazioni di merito, ma solo per invocare la nuova normativa; decreto ministeriale ancora non impugnato), secondo l'opinione qui combattuta, dovrebbe essere irrilevante, al fine di escludere i benefici della norma. Il risultato è senza dubbio più irrazionale e grave dell'alternativa alla quale conduce la soluzione di questa corte: escludere dall'applicazione dell'age volazione coloro ai quali la infrazione è stata solo contestata (oltre, ovviamente, coloro nei cui confronti il grado di certezza della contestazione è arrivato ai suddetti più elevati livelli).

Nei confronti di costoro il fatto resta illegittimo e la san zione è operante, perché esso non ha un collegamento intrin seco con la dichiarazione resa obbligatoria dalle nuove norme

penali (collegamento che è la ragione dell'esenzione dalla san zione amministrativa per i dichiaranti che erano rimasti occulti). Nessuna intenzione di indiscriminata sanatoria per il passato è resa palese dal sistema della legge, che non avrebbe mancato di far cenno ai procedimenti pendenti o conclusi, se li avesse voluti far caducare (cosi come è stato sempre disposto in occasione di ogni condono di sanzioni fiscali o parafiscali).

Il trattamento differenziato, dal punto di vista della parità di trattamento secondo il principio costituzionale dell'eguaglianza, presenterebbe fondati dubbi di costituzionalità, se radicato sullo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

stadio a cui è giunto il procedimento (tanto è vero che supra si

è già dimostrato che l'unico limite correttamente conseguenziale,

rispetto all'impostazione dell'interpretazione più lata della nor

ma, sarebbe l'esistenza di una sentenza passata in giudicato o della prescrizione) perché la mera imperatività del decreto mi

nisteriale non potrebbe creare una situazione preclusiva della sua caducazione per fatti sopravvenuti.

Invece, con l'interpretazione accolta, si trattano diversamente

situazioni obiettivamente diverse: quella del trasgressore già pa lese (ed esposto per ciò solo alla sanzione penale) e quella del

trasgressore occulto, che ammette la trasgressione spontaneamente. Solo per questi ultimi è stato offerto un incentivo alla di

chiarazione. Di fronte alle due remore costituite dall'essere fi

nora sfuggiti ai controlli e dalla fiducia nella persistenza di tale

situazione di privilegio, nonché dall'affrontare le sanzioni ammi

nistrative, è stata eliminata quest'ultima remora, per ampliare il

più possibile la schiera di siffatti osservanti della nuova norma

penale. Per i trasgressori già scoperti, invece, la prima remora

non esiste e quindi è inutile beneficiarli della rimozione della seconda.

La norma è stata dettata per evitare un'autodenuncia con ef fetti di una conseguente applicazione di sanzione amministra

tiva, ed in tali limiti ne deve essere circoscritta la portata, esclu dendone dal raggio d'azione coloro per i quali la sanzione am

ministrativa non è effetto di tale (sola) autodenuncia, ma di fatti anteriori ed indipendenti, accertati dall'amministrazione.

Poiché l'illecito valutario deli'Iberti era precognito, rispetto alla dichiarazione che assume di aver fatto, egli non può fruire

dell'inapplicabilità della sanzione amministrativa e, non giovan dogli lo ius superveniens, l'impugnata sentenza resiste al ricorso.

Le spese di questo grado stanno a carico del ricorrente. Il de

posito va restituito.

Per questi motivi, ecc.

II

La Corte, ecc. — Fatto. — A seguito di due processi verbali di accertamento di violazione di norme valutarie compilati, ri

spettivamente, dalla sezione traforo Gran San Bernardo della

dogana di Aosta e dal comando tenenza Gran San Bernardo della guardia di finanza a carico di Riccardo Garrone, sulla base di documenti di cui costui era stato trovato in possesso il 21 luglio 1970 in occasione di un suo transito in uscita dal terri torio italiano al valico doganale del Gran San Bernardo, il mi nistro del tesoro, con decreto in data 28 gennaio 1974, inflisse al detto Garrone contestualmente all'adozione di alcune misure

accessorie, la pena pecuniaria di lire 169.000.000, in relazione al l'emersa sua disponibilità, presso una banca svizzera in Zurigo, di titoli azionari ed obbligazionari esteri, per un complessivo va

lore, all'epoca, di $ 270.270,62, acquistati senza il rispetto di

quanto stabilito dall'art. 5 d. 1. 6 giugno 1956 n. 476.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato il 23 marzo 1974, il Garrone propose opposizione giudiziaria av verso tale decreto, all'uopo evocando dinanzi al Tribunale di To

rino le amministrazioni statali sia del tesoro che delle finanze, le quali, costituitesi, contrastarono sotto più di un profilo l'op posizione stessa.

Con sentenza 11 giugno-16 ottobre 1976, il tribunale (a cui la

causa, in mancanza di deduzioni di prova, era stata rimessa senza il previo esperimento di alcuna istruzione probatoria) dichiarò la carenza di legittimazione passiva dell'amministrazione finan ziaria e respinse la domanda del Garrone, condannando il me desimo al pagamento delle spese di lite.

Contro tale sentenza, a lui notificata il 17 dicembre 1976, ha

proposto appello dinanzi a questa corte il Garrone, mediante ci tazione notificata il 14 gennaio 1977, sostenendo unicamente che le sanzioni amministrative inflittegli con il decreto di cui sopra erano divenute inapplicabili, a norma del 5° comma dell'art. 2

legge 30 aprile 1976 n. 159 (come modificato dall'art. 3 legge 8

ottobre 1976 n. 689, e successive proroghe) in relazione all'adem

pimento, da parte sua, delle prescrizioni di cui ai precedenti comma dell'articolo stesso.

L'appellata amministrazione del tesoro, anche qui costituitasi, ha resistito al gravame, chiedendo che esso venisse rigettato.

Dopo la fase di trattazione iniziale e dopo la precisazione, di

nanzi all'istruttore, delle conclusioni definitive qui riportate in

epigrafe, la causa è stata, in questo grado, senz'altro rimessa al

collegio ed ivi assegnata a decisione all'udienza del 23 feb

braio 1979.

Motivi della decisione. — L'amministrazione appellata, secon

do cui la sanatoria invocata in questo grado dal Garrone non

riguarderebbe le infrazioni valutarie già note quali quella di cui

qui trattasi, richiama, a convalida della propria tesi, due sen

tenze della Corte di cassazione in data 16 giugno 1978 (portanti,

rispettivamente, il n. 2989, Foro it., 1979, I, 142, ed il n. 2990, id.,

Rep. 1978, voce Cambio, n. 46) alle quali si è ultimamente uni

formata anche questa corte d'appello (con sentenza pronunciata il 15 dicembre 1978 nel giudizio promosso, in secondo grado, da Annamia Ternelli in Gerra contro l'amministrazione del tesoro) e nelle quali è stato, in sostanza, ritenuto, mediante un'interpre tazione riduttiva del più recente testo dell'art. 2 legge n. 159 del 1976, che il beneficio ivi previsto operi soltanto a favore di coloro la cui attività di illegittima esportazione di capitali al l'estero sia rimasta occulta fino al momento della dichiarazione

dell'Ufficio italiano dei cambi da essi stessi presentata al riguar do, in ottemperanza a quanto prescritto da tale disposizione di

legge. Riesaminata la questione, ulteriormente meditandola anche sul

la scorta delle nuove argomentazioni prospettate dalla difesa del Garrone, questa corte ritiene, però, di non poter persistere nell'orientamento come sopra seguito, non foss'altro perché sem

bra qui doveroso riconoscere, quantomeno, che, di fronte al sen

so perfettamente chiaro ed inequivoco che è fatto palese dal si

gnificato proprio delle parole usate nell'enunciazione della nor ma in esame secondo la connessione di esse, la suindicata in

terpretazione riduttiva, anche se di per sé non certo priva di

apprezzabili e suggestivi supporti, trova un ostacolo veramente insormontabile nel fondamentale principio logico, universalmen

te accettato anche ai fini dell'individuazione del significato dei testi legislativi, che suole sinteticamente enunciarsi con il noto

broccardo in claris non fit interpretatio. Una volta constatato, così come non può non constatarsi, che

il tenore letterale della suddetta norma risulta, obiettivamente, del tutto univoco nel ricollocare all'osservanza delle prescrizio ni dettate per il rientro dei capitali illegittimamente espropriati all'estero la sanatoria in questione senza la benché minima di

stinzione, discriminazione o riserva relativamente ai destinatari di questa, è, infatti, giocoforza ammettere che ogni ulteriore

indagine sul significato della norma stessa con il ricorso a qual

sivoglia mezzo di interpretazione, e, quindi, anche tramite la ri

cerca della sua ratio, potrebbe, a tutto concedere, essere consi derata ortodossa soltanto se l'applicazione del dettato legisla tivo in conformità con il significato letterale della sua formula

zione si appalesasse addirittura cosi assurda da escludere, in

pratica nel modo più sicuro, che il legislatore abbia potuto real

mente volerla e da rendere, quindi, effettivamente incerta la vera

portata di quanto disposto dal legislatore stesso, malgrado l'obiet

tiva univocità della sua enunciazione.

La ricorrenza in concreto di una simile ipotesi non sembra,

per contro, qui ravvisabile nemmeno sulla base dei motivi ad

dotti dalla Corte regolatrice a sostegno delle sue due sentenze

di cui sopra. La Corte di cassazione ha, invero, in ultima analisi, imperniato

l'iter logico-giuridico seguito per giungere all'interpretazione ri

duttiva da essa adottata sul rilievo che, per indurre i trasgres sori di norme valutarie già noti a rispettare la legge sul rientro

dei capitali illegalmente esportati all'estero, non vi era ragione di offrir loro l'impunità in relazione all'illecito valutario da loro

in precedenza commesso, posto che la loro qualità di trasgressori

già noti, sia pure in via di accertamento e nella misura di pro babilità dell'esito definitivo del relativo procedimento, era tale

da rendere per loro quanto mai rischiosa, in dipendenza delle

sanzioni penali ad essa collegate, la violazione dei precetti det

tati ai fini del detto rientro e da eliminare, quindi, l'opportunità della controspinta psicologica di cui è espressione la norma in

discorso.

Orbene, questo rilievo, pur traendo origine dalla considera

zione, intrinsecamente ineccepibile, che le sanzioni penali previ ste per la violazione dei precetti dettati dall'articolo di legge di

cui trattasi rendevano il rischio comportato dalla violazione

stessa estremamente più concreto e più grave per gli illegittimi

esportatori di valuta già noti che non per quelli rimasti occulti, non pare, tuttavia, affatto sufficiente a dimostrare addirittura

l'assurdità della concessione della sanatoria in questione anche

ai primi e da escludere, quindi, che il legislatore abbia potuto realmente volere che anche costoro ne beneficiassero, secondo

quanto risultante dal tenore letterale della norma che la prevede,

posto che la detta considerazione pone in luce una situazione

che, anche se sarebbe stata atta a giustificare l'introduzione nel

dettato legislativo in esame di quella, qui contestata, esclusione, relativa ai summenzionati esportatori di valuta già noti, della

quale la concreta formulazione di essa non reca, di fatto, la

benché minima traccia, non era, invece, certamente tale da ren

dere l'omissione di simile esclusione cosi macroscopicamente il

logica e dissennata da non poter essere considerata come inten zionale.

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PARTE PRIMA

La gravità del danno che sarebbe già derivato ai ridetti espor tatori già noti dall'applicazione delle sanzioni amministrative in

questione, avrebbe potuto, infatti, rendere l'accettazione degli svan

taggi economici della reimportazione dei capitali illegittimamente esportati assai più problematica per i medesimi che non per gli illegittimi esportatori ancora occulti, beneficianti della sanatoria, e neutralizzare, quindi, almeno in parte, la maggiore efficienza che l'incentivo alla reimportazione scaturente dalla comminato ria di sanzioni penali per l'inosservanza delle prescrizioni all'uopo dettate veniva, praticamente, ad assumere, come si è visto, nei

confronti dei primi, rispetto ai secondi.

Anche la concessione della sanatoria in discorso a tutti indi stintamente i colpevoli di pregresse esportazioni illegittime di

valuta, ivi compresi quelli già noti, ben può provare, pertanto, una sua logica giustificazione, onde la mancata esclusione di tali soggetti già noti dal novero dei destinatari del beneficio,

lungi dal risultare assurda o anche soltanto aberrante o inespli cabile, appare addirittura particolarmente coerente proprio con il sistema in concreto adottato dal legislatore ai fini del ricupero dei capitali illegittimamente esportati all'estero.

Tanto basta ad imporre, ad avviso della corte, l'accoglimento del proposto appello, dato che il riconoscimento dell'impossibi lità di rettamente individuare il significato della norma di legge in esame discostandosi da quanto emergente dal suo tenore let

terale priva, a tutta evidenza, di ogni rilievo pratico la tesi pro spettata dalla difesa del Garrone in ordine alla ratio della nor ma stessa e dato che, d'altro lato, è qui del tutto fuori questio ne che, stante il non ancora avvenuto esaurimento della fase di

controllo giurisdizionale dell'irrogazione delle sanzioni ammini strative di cui trattasi, queste non possono considerarsi, in senso

proprio, come ormai già « applicate » e, quindi, non più suscet tibili di non applicazione.

Ritiene, infine, la corte che, stante quanto disposto dal 2° com ma dell'art. 92 cod. proc. civ. ed in considerazione del fatto che il Garrone è riuscito vittorioso esclusivamente grazie a di

sposizioni legislative sopravvenute in corso di causa e ad atti da lui successivamente compiuti in relazione alle disposizioni stesse, sia il caso di disporre;, malgrado la formale soccombenza dell'am ministrazione appellata, l'integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, per giusti motivi, fra l'ammini strazione medesima ed il detto Garrone, cosi come quest'ultimo ha, del resto, egli stesso richiesto.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 21 giu gno 1979, n. 3458; Pres. Mirabella, Est. V. Sgroi, P. M. Pe dace (conci. diff.); Maddaluno e altri (Avv. Cuomo, Sguanci) c. Soc. Meridionale edilizia cooperativa (Avv. Nicolò, Gava). Conferma App. Napoli 27 febbraio 1976.

Cosa giudicata civile — Efficacia nei confronti dei terzi — Fat

tispecie di annullamento di dichiarazione di pubblica utilità

per espropriazione forzata (Cod. civ., art. 2909).

La decisione del giudice amministrativo di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità — in un procedimento di

espropriazione per pubblico interesse di più terreni per la realizzazione di un'opera pubblica unitaria — ha efficacia solo

fra le parti del relativo giudizio, data la natura di atto pluri mo del provvedimento annullato e la reciproca indipendenza delle posizioni il cui diritto è affievolito dal provvedimento stes so (nella specie, alcuni dei proprietari espropriati, che erano rimasti estranei al giudizio di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, avevano proposto domanda volta ad otte nere la restituzione del terreno e il risarcimento del danno). (1)

(1) Circa i precedenti giurisprudenziali sui molti temi esaminati dalla elaborata decisione in epigrafe "(esclusione di un'efficacia di retta del giudicato amministrativo nei confronti di terzi interessati che non abbiano partecipato al relativo giudizio; ammissibilità di un'efficacia riflessa, nei limiti consentiti dalla particolare natura della situazione dedotta in giudizio e degli effetti ad essa collegati, come nel caso di annullamento di provvedimento collettivo; irrilevanza, ai fini dell'estensione del giudicato, della natura del vizio esaminato dal giudice, data l'esistenza del principio dell'onere della tempestiva im pugnativa dell'atto amministrativo; proponibilità dell'azione di risar cimento nel caso dì decadenza della dichiarazione di pubblica utilità per inutile decorso dei termini ex art. 13 legge 2359/1865; inconfigu rabilità del potere del giudice ordinario di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo nel caso di questione attinente ad esercizio del potere, come tale coinvolgente interessi legittimi, non diritti sog gettivi) si rinvia alle sentenze citate in motivazione.

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. -— Con citazione

del 20 ottobre 1969 Maddaluno Raffaele, Madonna Maria, Mad

daluno Maria, Anna, Concetta, Sebastiano ed Antonietta con

venivano dinanzi al Tribunale di Napoli la soc. Meridionale edi

lizia cooperativa (SMEC), esponendo che a seguito dell'approva zione del piano particellare e di dichiarazione di pubblica uti

Sui limiti soggettivi del giudicato amministrativo si veda da ultimo

Cass., Sez. un., 24 aprile 1979, n. 2313, Foro it., 1979, 1, 1400, con nota di richiami di M. Grossi, nonché Sez. un. 25 febbraio 1975, n.

731, id., 1976, I, 297, con nota di richiami di C. M. Barone, alle quali adde, sull'efficacia erga omnes dell'annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento che si riferisce ad una pluralità di soggetti, Cons.

Stato, Sez. VI, 16 febbraio 1979, n. 8.1, e Sez. IV 10 aprile 1979, n.

268, Cons. Stato, 1979, I, 220 e 510; e, sull'efficacia oggettiva del giu dicato di annullamento, Cohs. Stato, Sez. V, 4 maggio 1979, n. 212 e Sez. VI 23 marzo 1979, n. 179, ibid., 750 e 407.

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Rapporto amministrativo ed effetti del giudicato.

1. - Si avverte subito in questa sentenza della Cassazione che la

complessità della motivazione, di faticosa e non agevole lettura, è

protesa, ancor più che a risolvere la questione proposta al suo esame, ad analizzare gli istituti di tutela del nostro sistema giurisdizionale e a saggiarne la tenuta di fronte ad una vicenda che sembra metterne in crisi la funzionalità.

La risposta ad un classico problema. di diritto processuale, quale l'estensione del giudicato del giudice amministrativo a soggetti non partecipanti al relativo giudizio, che sembra essere fornita con il

semplice richiamo a regole ormai codificate sull'efficacia soggettiva della sentenza amministrativa, rappresenta in realtà l'occasione per mettere in luce la parte decisiva che i caratteri tuttora propri dell'at tività amministrativa {sinteticamente espressi con il termine impera tività) rivestono sia nell'offrire i criteri di delimitazione delle sfere

appartenenti alla giurisdizione ordinaria e a quella amministrativa, sia nel determinare i contenuti degli istituti processualistici.

Al di là degli specifici temi di diritto processuale, svolti grazie ai

principi affermati in precedenti pronunzie giurisdizionali, acquista ri lievo e si impone l'immagine di un blocco unitario che comprende i rapporti sostanziali e i corrispondenti rapporti processuali dell'ammi nistrazione con il cittadino: tra gli uni e gli altri il legame è costi tuito dall'atto amministrativo, strumento per perseguire nell'attività so stanziale gli interessi pubblici e per garantire, tramite il ricorso da vanti il giudice amministrativo, la tutela delle posizioni dei privati nei confronti della pubblica amministrazione.

Il problema del riparto delle giurisdizioni resta sullo sfondo: non vi è incertezza sull'appartenenza della controversia al giudice ordinario, giacché essa si instaura tra due privati, uno dei quali, affermandosi proprietario di un'area, ne chiede la restituzione da parte di altro soggetto che ne ha ottenuto la disponibilità per effetto di un prov vedimento espropriativo, emesso dall'autorità amministrativa sulla base della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera pubblica da rea lizzare su quell'area. Sembrerebbe che debbano attivarsi i poteri di cognizione e di disapplicazione dell'atto amministrativo attribuiti al giudice ordinario dagli art. 4 e 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E. L'atto contenente la dichiarazione di pubblica utilità risulta invero annullato, dal Consiglio di Stato, sia pure in un processo di cui gli attori non sono stati parte, per un vizio non formale {mancanza di legittimazione del soggetto espropriante a ottenére la dichiarazione di p. u. per la costruzione di un intero quartiere anziché di edifici singoli). Ma la difficile questione se l'atto amministrativo (dichiarazione di p. u.) sia nel caso di specie invocato dal privato come causa diretta dèlia lesione del proprio diritto ovvero come semplice antecedente o ele mento integrativo della lesione (M. Nigro> Giustizia amministrativa2, Bologna, 1979, 229 ss.), per cui .il giudice potrebbe farne oggetto di esame incidentale, viene aggirata o evitata.

Si esclude invero l'efficacia ultra partes del giudicato di annulla mento, tanto diretta, quanto riflessa, giacché, da un lato, il ricorrente non ha tempestivamente impugnato l'atto; dall'altro, il provvedimento annullato non si può ricomprendere tra gli atti indivisibili (atti gene rali e atti collettivi) il cui annullamento ha efficacia erga omnes-, corre lativamente, l'attore è affermato titolare di una posizione giuridica autonoma, non legata da rapporti di dipendenza o pregiudizialità con la situazione definita dal giudizio amministrativo (art. 2909 cod. civile).

Ne segue che l'atto amministrativo continua a essere pienamente efficace sia nel rapporto tra amministrazione e privato proprietario, sia nel rapporto tra espropriante e proprietario. Pertanto, nonostante il giudicato di annullamento, restano intatti per il giudice ordinario tanto i presupposti del potere amministrativo manifestatosi nella di chiarazione di p. u. (non è prospettabile in altri termini una carenza di potere), quanto le modalità del suo esercizio (che il giudice do vrebbe esaminare in via principale esorbitando in tal modo dai suoi poteri di cognizione).

Non appena si riconosce l'efficacia tra le parti dell'atto ammini strativo si ha che la norma di diritto processuale che attribuisce al giudice ordinario « le materie. nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico » (art. 2 legge del 1865) subisce il limite del principio non scritto (M. S. Giannini, Discórso generale sulla giu stizia amministrativa, in Riv. dir. proc., 1963, 552 ss. e 1964, 12 ss., 217 ss.),.; secondo cui l'imperatività del provvedimento amministrativo

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