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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || Sezione I civile; sentenza 6 gennaio 1979, n....

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Sezione I civile; sentenza 6 gennaio 1979, n. 58; Pres. A. M. Jannuzzi, Est. Caturani, P. M. Grossi (concl. conf.); Verna (Avv. Provinciali, Del Conte, Pazzaglia) c. Fall. Maggioli (Avv. G. Romanelli, Santini); Pollini (Avv. Mesiano, Poggeschi, Polazzi) c. Fall. Maggioli. Conferma App. Bologna 24 aprile 1976 Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1980), pp. 215/216-219/220 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171851 . Accessed: 28/06/2014 08:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.97 on Sat, 28 Jun 2014 08:15:52 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 6 gennaio 1979, n. 58; Pres. A. M. Jannuzzi, Est. Caturani, P. M.Grossi (concl. conf.); Verna (Avv. Provinciali, Del Conte, Pazzaglia) c. Fall. Maggioli (Avv. G.Romanelli, Santini); Pollini (Avv. Mesiano, Poggeschi, Polazzi) c. Fall. Maggioli. Conferma App.Bologna 24 aprile 1976Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1980), pp. 215/216-219/220Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171851 .

Accessed: 28/06/2014 08:15

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PARTE PRIMA

cassazione. Nella terza ipotesi, infine, il giudice di rinvio è ben

sì vincolato ad uniformarsi al principio di diritto esplicitamen te o implicitamente enunciato nella sentenza che ha disposto il rinvio, ma, rispetto ai punti ritenuti dalla stessa sentenza de

cisivi e non congniamente valutati, se non può rimetterne in

discussione il carattere di decisorietà, ha il potere di procedere, senza incontrare alcun altro limite, ad una nuova valutazione

dei fatti già acquisiti e di quegli altri fatti la cui acquisizione nel giudizio di rinvio si renda necessaria in relazione alle di

rettive a lui impartite dalla Corte di cassazione con la sentenza

di rinvio. Come emerge dalla sentenza delle sezioni unite di questa

corte, con cui, cassandosi la precedente sentenza della Corte

d'appello di Milano, fu disposto il rinvio della causa ad altra

sezione della stessa corte d'appello, al giudice di rinvio fu affi

dato il compito di esaminare compiutamente, attraverso le va

rie clausole dei listini delle ferriere e gli elementi e documenti

acquisiti al giudizio, l'esatta posizione delle associazioni di ca

tegoria in relazione alla compilazione e alla revisione degli elen

chi delle aziende stockiste, al fine di stabilire, da un lato, la fon

te e la natura dell'obbligazione al riguardo assunta dalle dette

associazioni e, dall'altro, il contenuto e i limiti di essa, accer

tando poi, agli effetti della chiesta condanna di queste al risar

cimento dei danni, se le stesse associazioni fossero da conside

rarsi inadempienti nei confronti dell'odierna ricorrente.

Dalla stessa sentenza risulta poi che la cassazione della pre cedente sentenza della Corte d'appello di Milano fu pronunciata sia per violazione e falsa applicazione di principi di diritto, sia

per vizi di motivazione.

I poteri del giudice di rinvio erano quindi molto ampi, potendo

egli procedere ad un nuovo esame degli elementi di fatto della

controversia, anche se non poteva più rimettere in discussione

il carattere decisorio dei punti indicati come decisivi nella sen

tenza di cassazione.

Ora, anche se le censure mosse dalla ricorrente alla sentenza

impugnata in ordine alla ricostruzione ed alla qualificazione

giuridica del rapporto intercorso tra la stessa ricorrente e le tre associazioni di categoria per quanto concerneva l'inclusio ne della prima, previo accertamento della tsua qualità di stocki

sta, nell'elenco nominativo delle aziende commerciali aventi di ritto allo sconto sul prezzo di listino dei materiali ferrosi, pos sono considerarsi non del tutto prive di fondamento, nondimeno

gli errori giuridici e i difetti di motivazione contenuti nella sentenza impugnata perdono ogni rilevanza, e non possono quin di giustificare la cassazione, dal momento che la corte di rin vio ha ritenuto, attraverso una valutazione degli elementi pro batori acquisiti prima della pronuncia della sentenza cassata, le cui risultanze, considerate sufficienti da sole ai fini della for mazione del convincimento, trovavano conferma nel contenuto

dei due documenti prodotti in sede di rinvio, che l'inclusione delle aziende commerciali nell'elenco nominativo delle stocki ste fosse compiuta dalle associazioni di categoria previo accer

tamento, sulla base della documentazione prodotta dalle azien de interessate, della loro qualità di stockiste e che la mancata inclusione della società A.l.a. nello stesso elenco negli anni 1962, 1963, 1964 e 1965, in relazione alla quale l'odierna ricorrente aveva chiesto l'affermazione della responsabilità delle associa zioni di categoria per i danni da essa derivatile, era stata deter minata dalla circostanza che la medesima società A.l.a., benché

piti volte sollecitata dalle predette associazioni, non aveva pro dotto la documentazione necessaria a dimostrare la sua qualità di stockista.

È evidente, infatti, che, una volta accertato, con un apprez zamento di fatto fondato principalmente sugli elementi proba tori acquisiti anteriormente alla pronuncia della sentenza cassa ta e sorretto da una motivazione congrua e logicamente condot

ta, che la mancata inclusione della società ricorrente nell'elenco nominativo degli stockisti per gli anni dal 1962 al 1965 aveva

avuto la sua causa nel mancato assolvimento, da parte della stes

sa società, dell'onere, su di essa gravante, di fornire la docu

mentazione idonea a dimostrare la sua qualità di stockista ed

escluso, conseguentemente, la ricorrenza di uno degli elementi

della fattispecie costitutiva della responsabilità per i danni de

rivati alla ricorrente dalla sua mancata inclusione nel detto

elenco, è del tutto irrilevante che la corte di rinvio abbia rite

nuto che l'obbligazione relativa alla inclusione delle aziende sto

ckiste nell'elenco nominativo gravasse esclusivamente sull'As

sofermet, e non anche sulle altre due associazioni rappresenta tive della categoria degli industriali, ed avesse la propria fonte

nel rapporto di rappresentanza sindacale instauratosi tra la so

cietà A.l.a. e l'associazione della sua categoria, giacché, anche

se la detta obbligazione fosse stata a carico anche delle altre

due associazioni e fosse stata ricollegabile a un rapporto o a

più rapporti di diversa natura, la responsabilità delle tre asso

ciazioni di categoria per i danni anzidetti avrebbe dovuto esse

re negata ugualmente per l'impossibilità di ravvisare un inadem

pimento colpevole delle associazioni sindacali che avesse pro dotto il danno del quale la società A.l.a. aveva chiesto il risar

cimento.

Contro l'anzidetto apprezzamento di fatto la società ricorrente

si è limitata ad addurre che esso costituirebbe un obiter dictum; non sarebbe comunque sorretto da una motivazione adeguata e

logicamente coerente; e sarebbe basato sull'interpretazione di

due documenti che non avrebbero potuto essere prodotti nel

giudizio di rinvio. La stessa ricorrente ha poi dedotto che la

corte di rinvio avrebbe omesso di spiegare in che cosa consistes

se la qualità di stockista e si è doluta che la stessa corte abbia

ritenuto rilevante, ai fini della esclusione della responsabilità

dell'Assofermet, la sola circostanza che essa ricorrente non aves

se fornito alla detta associazione la documentazione idonea a

dimostrare 'a sua qualità di stockista.

Nessuna di queste censure coglie nel segno. Non la prima, non potendosi considerare come obiter dictum

un accertamento attinente ad uno degli elementi essenziali della

fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento del danno fatto

valere in giudizio dalla società ricorrente.

Non la seconda, non essendo stati specificati gli elementi di

fatto che sarebbero stati insufficientemente o illogicamente va

lutati, e non potendo, peraltro, 'la valutazione delle risultanze

probatorie in modo difforme da quello preteso dalla parte giu stificare, di per sé sola, la denuncia del vizio di difetto di mo tivazione.

Non la terza, in quanto, come si è già avuto occasione di ri

levare, la corte di rinvio ha fondato il proprio convincimento

principalmente sulle risultanze dei documenti già acquisiti prima della pronuncia della sentenza cassata, ed ha valutato i due documenti prodotti in sede di rinvio soltanto per trarne elemen ti di conferma dello stesso convincimento, già autonomamente formatosi in base alle dette risultanze. Anche ammesso che la

produzione di quei due documenti non fosse consentita per il divieto di nuove attività assertive e probatorie nel giudizio di

rinvio, posto dall'art. 394, 3° comma, cod. proc. civ., la valutazio ne che degli stessi documenti è stata compiuta dalla corte di rinvio non è quindi tale da dar luogo ad un error in procedendo che possa determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Riguardo all'assunto che la corte di rinvio non avrebbe pre cisato in che cosa consistesse la qualità di stockista è sufficiente rilevare che esso muove da un'incompleta lettura della senten za impugnata, nella quale le aziende commerciali « stockiste » sono invece esattamente definite come quelle aziende « aventi

proprio magazzino e che vendano il prodotto nello stato in cui si trovano, senza ulteriori trasformazioni che non siano

quelle indicate nei listini » delle ferriere.

In ordine all'ultima censura deve infine rilevarsi che la corte di rinvio ha spiegato in modo ampio ed esauriente come, alla stregua degli elementi probatori acquisiti, per ottenere l'inclu sione nell'elenco nominativo degli stockisti, non fosse sufficiente che un'azienda commerciale fosse effettivamente stockista, ma fosse invece necessario che l'imprenditore commerciale interes sato fornisse alle associazioni di categoria preposte alla forma zione del detto elenco nominativo la documentazione idonea a dimostrare ia sua qualità di stockista.

Il ricorso deve conseguentemente essere rigettato e la società ricorrente deve essere condannata alle spese del giudizio di cas sazione.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione i civile; sentenza 6 gen naio 1979, n. 58; Pres. A. M. Jannuzzi, Est. Caturani, P. M. Grossi (conci, conf.); Verna (Avv. Provinciali, Del Con

te, Pazzaglia) c. Fall. Maggioli (Avv. G. Romanelli, San

tini); Pollini (Avv. Mesiano, Poggeschi, Polazzi) c. Fall.

Maggioli. Conferma App. Bologna 24 aprile 1976.

Fallimento — Liquidazione dell'attivo — Beni immobili — Ven dita a trattative private — Nullità (R. d. 16 marzo 1942 n.

267, disciplina del fallimento, art. 108). Fallimento — Liquidazione dell'attivo — Vendita di beni im

mobili — Nullità — Terzi subacquirenti — Opponibilità (Cod. civ., art. 2652, 2929).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

È nulla la vendita a trattative private di immobili del fallimen to. (1)

La nullità della vendita fallimentare di un immobile è opponi bile ai subacquirenti dell'immobile stesso. (2)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto del 24 giugno 1970 il fallimento di Maggioli Mario conveniva in giu dizio avanti il Tribunale di Forlì Maria Teresa Pollini e Katia

Maria Verna, esponendo che fra le attività fallimentari era com

preso un terreno sito nel comune di Pomezia, per il quale il cu ratore all'epoca in carica aveva chiesto l'autorizzazione a proce dere alla vendita senza incanto ad un prezzo non inferiore alla somma di lire 5.700.000 previa pubblicità da effettuarsi sia lo calmente sia su di un quotidiano del Mezzogiorno, cosi come di

sposto dal comitato dei creditori. Senonché, il curatore non solo non aveva eseguito la predetta pubblicità, ma aveva trattato pri vatamente la vendita con alcuni aspiranti acquirenti, ottenendo

poi dal giudice delegato, in data 15 maggio 1965, l'autorizza zione in base alla quale, soltanto il 4 gennaio 1968, aveva ven duto il terreno alla signora Teresa Pollini. Questa a sua volta, in data 28 aprile 1969, aveva rivenduto il terreno alla signora Katia Maria Verna al prezzo dichiarato di lire 7.200.000.

Ciò premesso, il fallimento chiedeva dichiararsi nulla la ven dita effettuata alla signora Maria Teresa Pollini in quanto posta in essere a trattative private anziché nelle forme previste dagli art. 108 1. fall, e 570 cod. proc. civ. e nulla la successiva ven dita effettuata dalla signora Pollini alla signora Katia Maria Ver

na, in quanto opponibile ai sensi dell'art. 2652, n. 6, cod. civ. la nullità della prima vendita alla subacquirente.

Le convenute resistevano alla domanda del fallimento ed il tribunale adito, con sentenza del 24 maggio 1974, dichiarava la nullità della vendita effettuata dal fallimento alla signora Pollini ed inopponibile al fallimento la vendita successiva effettuata da

questa a Katia Maria Verna.

Su gravame di costoro, la corte di Bologna confermava la de cisione resa in prime cure, osservando: a) la disposizione conte nuta nell'art. 108 1. fall, (secondo cui la vendita degli immobili

deve farsi con incanto, mentre il giudice delegato, su proposta del curatore sentito il comitato dei creditori e con l'assenso dei

creditori ammessi al passivo aventi un diritto di prelazione sugli immobili, può ordinare la vendita senza incanto, ove la ritenga più vantaggiosa) deve essere integrata, ai sensi dell'art. 105 1.

fall., dalle norme del codice di procedura civile, per cui « vendita senza incanto » deve intendersi quella disciplinata dagli art. 570

segg. cod. proc. civ. e non quella a trattative private e ciò anche in

base al raffronto fra l'art. 106 (che per i mobili parla di vendita a trattativa privata) e 108 1. fall, (che per gli immobili parla di

vendita senza incanto); b) ove si opinasse diversamente si per verrebbe all'assurda conseguenza di ammettere la vendita a trat

tativa privata nell'ambito della procedura concorsuale, in cui la

vendita senza incanto (più rigorosa di quella a trattativa privata) è guardata con sfavore; c) la legge fallimentare detta regole pro cedurali incompatibili con lo schema della vendita a trattative

private; d) non rileva in contrario 'l'ampliamento dei poteri del

giudice delegato (che può anche sospendere la vendita), perché la vendita a trattative private implica una riduzione dei poteri dell'organo giuridisdizionale; e) il procedimento previsto dall'art. 108 1. fall, deve necessariamente perfezionarsi col decreto di ag giudicazione che non può essere sostituito dall'autorizzazione del

giudice delegato inidonea a rendere legittimo un atto che la legge considera nullo; f) l'acquirente non può invocare l'art. 2929 cod. civ. perché nella specie è nullo l'atto di vendita in sé e non ta luno degli atti esecutivi che precedono la vendita; g) la subac

quirente Verna non può invocare l'art. 2652, In. 6, cod. civ. ohe

(1) La sentenza confermata è massimata in Foro it., Rep. 1976, voce Fallimento, n. 322 (e si può leggere per esteso in Dir. fall., 1976, II, 492, con nota contraria di F. Valsecchi); quella di primo grado, anch'essa conforme, Trib. Forlì' 24 maggio 1974 è massimata in Foro it., Rep. 1974, voce cit., nn. 528, 529.

In senso analogo alla sentenza in epigrafe, cfr., in motivazione, Cass. 9 dicembre 1966, n. 2884, id., 1967, I, 248. In senso contrario, implicitamente, Trib. Milano 10 febbraio 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 358 e Cass. 7 ottobre 1975, n. 3184, id., Rep. 1975, voce cit., nn. 539-542; esplicitamente, Trib. Modena 1° aprile 1959, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 477-479.

In dottrina, per l'inammissibilità della vendita immobiliare a trat tative private cfr. Bonsignori, Liquidazione dell'attivo, in Commen

tario, a cura di Scia lo [A e Branca, Legge fallimentare, a cura di Bricola, Galgano, Santini, 1976, 172 ss.; Pajardi, Manuale di di ritto fallimentare, 197 62 , 5 36; (Provinciali, Trattato di diritto falli mentare, 1974, III, 1642 ss.

(2) Diversamente si era pronunziata Cass. 6 dicembre 1974, n. 4039, Foro it., 1975, I, 2581, con nota di richiami.

prevede il caso dell'invalidità dell'atto di acquisto dipendente da un motivo di annullabilità diverso dall'incapacità legale, mentre

nella specie il contratto tra il fallimento e la Pollini è nullo e

la domanda di nullità è stata trascritta prima di cinque anni

dalla data di trascrizione del contratto si che il successivo tra

sferimento non è opponibile al fallimento.

Contro questa sentenza propongono ricorso per cassazione Ka tia Maria Verna e Teresa Pollini formulando (rispettivamente) cinque e tre motivi; resiste con controricorso la curatela falli

mentare; tutte le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione. — I ricorsi perché proposti contro la

stessa sentenza devono essere riuniti (art. 335 cod. proc. civile). Sembra opportuno esaminare congiuntamente i motivi primo e

secondo di entrambi i ricorsi che sono intimamente connessi,

giacché riflettono — sotto vari profili e con vari argomenti —

una stessa questione (quella centrale della causa) e che, se fon

dati, risulterebbero assorbenti rispetto alle altre censure.

Col primo e secondo motivo le ricorrenti deducono: a) che la sentenza impugnata è caduta in errore nel ritenere illegittima, nell'ambito dell'esecuzione fallimentare, la vendita immobiliare

a trattative private, stante >la maggiore esigenza di speditezza propria delle vendite in questa sede e posto che l'art. 108 1. fall,

discorre di « vendita senza incanto » atecnicamente per indicare

ogni tipo di vendita diversa dall'incanto; b) manca per il tra sferimento coattivo immobiliare una norma che vieta la ven dita a trattative private, la quale è espressamente prevista per le vendite mobiliari.

Le censure sopra riassunte non sono fondate. La ricorrente

prospetta al giudizio di questa corte il problema che riguarda l'interpretazione dell'art. 108, 1° comma, 1. fall, che cosi statui

sce: « La vendita degli immobili deve farsi con incanto. Il giu dice delegato, tuttavia, su proposta del curatore, sentito il comi

tato dei creditori e con l'assenso dei creditori ammessi al pas sivo, aventi un diritto di prelazione sugli immobili, può ordinare

la vendita senza incanto, ove la ritenga più vantaggiosa ».

Trattasi di stabilire se l'art. 108 debba essere letto nel senso

che, per le vendite immobiliari nel fallimento l'alternativa si

esaurisca tra la vendita all'incanto e la vendita senza incanto, secondo le forme previste dal codice di rito (art. 570 segg. cod.

proc. civ.), con la conseguenza che non sarebbero consentite al

tre forme di vendita ed in particolare la vendita a trattative pri vate, ovvero non debba ritenersi che il riferimento che la nor

ma opera alla « vendita senza incanto » sia da considerare in

senso atecnico, in maniera da comprendere nella relativa dizione

ogni tipo di vendita che prescinde dal formalismo proprio della

vendita con incanto e quindi anche la vendita a trattative private. Giova premettere che la vendita fallimentare — come questa

corte ha già avuto modo di precisare — deve inquadrarsi nella

più ampia categoria della vendita giudiziale o forzata, discipli nata nei suoi effetti dagli art. 2919 segg. cod. civile. Pertanto, il tra

sferimento dei beni del fallito ha luogo coattivamente nell'ambi

to del procedimento di esecuzione concorsuale ed in virtù di un

provvedimento giurisdizionale quale è il decreto di trasferimento

dell'immobile espropriato che il giudice delegato pronuncia in fa

vore dell'aggiudicatario, a norma degli art. 586 cod. proc. civ. e 108 1. fall. (sent. 7 ottobre 1975, n. 3184, Foro it., Rep. 1975, voce Fallimento, n. 539; 25 gennaio 1966, n. 303, id., Rep. 1966, voce cit., n. 443).

Questo Supremo collegio ha pertanto statuito che, nella pro cedura fallimentare, la alienazione degli immobili non può av venire che nelle forme della vendita forzata, con o senza in

canto, culminante nel decreto di trasferimento, onde è stato ri

tenuto illegittimo il provvedimento del giudice delegato che ri

metteva le parti davanti ad un notaio per la stipulazione di un

normale atto notarile (sent. 9 dicembre 1966, n. 2884, id., 1967,

I, 248). Tale indirizzo ritiene il collegio di dover confermare in questa

sede in base alle seguenti considerazioni.

L'art. 108, 1° comma, 1. fall, non può essere letto in maniera iso

lata, ma va inquadrato nella disciplina che la legge fallimentare

prevede per la liquidazione dell'attivo. Ora, ai sensi dell'art. 105, alle vendite di beni mobili o immobili del fallimento si appli cano le disposizioni del codice di procedura civile relative al pro cesso di esecuzione, in quanto compatibili con le disposizioni suc

cessive. E queste, mentre per la vendita dei beni mobili preve dono che il giudice delegato possa autorizzare la vendita ad of

ferta segreta ovvero all'incanto e solo in caso di necessità o uti

lità evidente la vendita in massa (art. 106), per le vendite immo

biliari hanno limitato l'alternativa alla vendita con o senza in

canto. Può dirsi quindi testuale l'interpretazione che richiama le

norme corrispondenti del codice di rito per intendere quale sia

la vendita immobiliare senza incanto cui si riferisce il legisla tore fallimentare.

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PARTE PRIMA

Inoltre, il procedimento all'uopo previsto dalla legge fallimen

tare costituisce un aggravamento delle forme che devono essere adottate secondo il codice di rito, giacché mentre l'art. 569 cod.

proc. civ. statuisce che il giudice dispone con ordinanza la ven

dita senza incanto se ©gli non ritiene opportuno che si svolge col

sistema dell'incanto, l'art. 108 1. fall, investendo l'accennata di

sciplina prescrive come regola la forma dell'incanto, mentre la

vendita senza incanto può essere ordinata dal giudice delegato, ove, nel concorso delle condizioni dalla norma previste, le ritenga

più vantaggiose. Non è quindi ammissibile in sede interpretativa una conclu

sione diversa da quella che fa perno sul significato proprio delle

parole adoperate dal legislatore (art. 12 preleggi), posto che, al

trimenti, si perverrebbe all'assurdo — come rettamente osser

vato dalla sentenza denunziata — di ammettere nella liquida zione dei beni immobili fallimentari il ricorso alla trattativa pri vata, svincolata da ogni rigido schematismo proprio dell'esecuzio ne forzata singolare, quando il legislatore ha, in materia di ven dita immobiliare fallimentare, manifestato la volontà di rendere

più intenso il formalismo, ponendo come regola il ricorso alla

vendita con incanto che invece, nell'esecuzione singolare, costi tuisce un procedimento succedaneo ed eventuale, ove il giudice dell'esecuzione la ritenga più vantaggiosa (art. 569, 3° comma, cod. proc. civile).

La tesi che il collegio intende seguire trova ulteriore conforto nella disposizione contenuta nell'art. 23, 2° comma, 1. fall., se condo cui le vendite (e cioè quella all'incanto e senza incanto di cui al primo comma) sono disposte con ordinanza dal giudice de

legato su istanza del curatore ed hanno luogo innanzi al giudice medesimo, salvo quanto disposto dall'art. 578 cod. proc. civile.

La norma contiene una interpretazione testuale del primo com ma nel senso che, nella procedura esecutiva immobiliare, la leg ge fallimentare non consente il ricorso a forme di vendita le

quali prescindono dalla partecipazione del giudice delegato in nanzi al quale devono svolgersi. E non par dubbio che una ven dita immobiliare a trattative private, sostituendo l'autonomia pri vata al procedimento di esecuzione coattiva prevista dalla legge, urterebbe contro la precisa disposizione normativa, la quale non

consente altre forme di vendita forzata che quelle svolgentisi in nanzi al giudice delegato. E questi non ha ovviamente legittima zione alcuna a manifestare nei confronti dei terzi la volontà ne

goziale del fallimento.

Né può obiettarsi che, supposta l'illegittimità del provvedi mento autorizzativo della vendita a trattative private, essa avreb be dovuto essere impugnata, in sede di reclamo, al tribunale, ai sensi degli art. 23 e 26 1. fall., onde, in mancanza di una impu gnazione all'interno della procedura fallimentare, l'atto non sa rebbe più suscettibile di alcuna censura in sede contenziosa. In

fatti, l'indagine sull'idoneità concreta della vendita a trattative

private, sotto il profilo della sua validità, ad operare il trasfe rimento della proprietà di un immobile compreso nell'attivo fal limentare esula dai poteri del giudice delegato, il quale nella fase di liquidazione dell'attivo, ha gli stessi poteri del giudice del

l'esecuzione, ma può formare oggetto soltanto, nel contradditto rio di tutti gli interessati, di un ordinario giudizio contenzioso (Cass. 7 ottobre 1975, n. 3184).

Quindi, non solo non sussiste il dedotto effetto preclusivo, ma difetta altresì nel precedente dianzi richiamato quello spiraglio in senso opposto che vi ha intravisto la ricorrente Verna Pasco letti (nel senso cioè della legittimità della vendita a trattative pri vate nel fallimento) dato che in quell'occasione la Suprema cor te, come espressamente rilevò, non ebbe modo di pronunciarsi sulla relativa questione.

Il primo ed il secondo motivo di entrambi i ricorsi devono essere pertanto respinti.

Col terzo, quarto e quinto motivo del ricorso proposto da Verna Pa^coletti e col terzo motivo del ricorso Pollini che cen surano sotto aspetti diversi la sentenza impugnata sul punto rela tivo alla ritenuta nullità della vendita a trattative private e che

pertanto possono esaminarsi congiuntamente, le ricorrenti dedu cono: a) che erroneamente la corte di Bologna ha negato nella

specie l'applicazione dell'art. 2929 cod. civ., secondo cui la nul lità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'as

segnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnata rio, versandosi nel caso in esame in una ipotesi di nullità di atti antecedenti la vendita (il decreto autorizzatorio del giudice dele

gato); b) non tratterebbesi nella specie di un caso di nullità, ma di mera annullabilità perché l'oggetto della vendita non è impos sibile, perché la forma dell'ordinanza è prevista solo quando il

giudice delegato proceda egli stesso alla vendita; c) in ogni caso, l'invalidità dell'autorizzazione del giudice delegato (anche se sia da considerare come nullità all'interno della procedura falli mentare) degraderebbe all'esterno a semplice annullabilità, onde

sarebbe inopponibile al subacquirente, ai sensi dell'art. 2652, n.

6, cod. civile. Afferma infine la Pollini che, perché operi la tutela

prevista dall'art. 2929 cod. civ., è sufficiente che la vendita (qua

lunque siano le forme e i modi dell'atto traslativo) derivi da

un processo esecutivo ed avvenga per volontà e disposizione

degli organi esecutivi.

Anche queste censure non sono fondate. Vero è che l'art.

2929 cod. civ. è suscettibile di applicazione anche nell'esecu

zione collettiva, giacché anche in questa sussiste l'esigenza di

garantire il risultato raggiunto nel processo esecutivo, mediante

la protezione dei terzi che hanno effettuato acquisti, salvo il

caso di collusione con il soggetto procedente (Cass. 6 dicembre

1974, n. 4039, id., Rep. 1974, voce cit., n. 530). Tuttavia deve rilevarsi che — come risulta dalla interpreta

zione logico - sistematica — la norma si inquadra nel regime delle opposizioni agli atti esecutivi le quali devono essere pro

poste entro il termine perentorio di cinque giorni decorrente

dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto (art. 617, 1° comma, cod. proc. civ.) ovvero dal giorno in cui i singoli at

ti furono compiuti (art. 617, 2° comma), onde essa è applicabile

quando la vendita, come atto finale del processo, sia esente

da vizi formali (Cass. 9 luglio 1966, n. 1813, id., Rep. 1966, vo

ce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 80). Da

ciò consegue che non rientrano nell'ipotesi dell'art. 2929 cod.

civ. le nullità proprie della vendita. Nel caso che si esamina non è in questione la sola nullità di

un atto esecutivo (il decreto di autorizzazione alla vendita a trat

tative private) del giudice delegato, ma la nullità si estende, in

virtù dell'art. 1418 cod. civ., allo stesso contratto di vendita per ché posto in essere in violazione delle norme imperative che di

sciplinano il procedimento di liquidazione dell'attivo fallimen

tare, il quale non può che concludersi con un decreto di aggiu dicazione del giudice delegato (art. 108 1. fall.; 586 cod. proc. civ.).

La sentenza impugnata ha intravisto molto chiaramente questo aspetto della controversia avendo osservato che, nella specie, non era soltanto in questione un limite all'esercizio del potere di concludere la vendita a trattative private, limite che sarebbe stato rimovibile attraverso la autorizzazione del giudice delegato, ma la invalidità incideva direttamente sul contratto di vendita, giac ché questo — con o senza il provvedimento autorizzatorio —

non poteva essere concluso dal curatore.

Incidendo la nullità sulla vendita, non era possibile riconosce re una tutela dell'acquirente, ai sensi dell'art. 2929 cod. civ. giac ché — come bene ha rilevato la corte del merito — se questa è

spiegabile di fronte agli atti esecutivi (interni alla procedura di

liquidazione) di cui il terzo acquirente può non avere alcuna di retta conoscenza, non trova più alcuna plausibile giustificazione ove quest'ultimo possa, adibendo l'ordinaria diligenza, conoscere la causa di nullità che affetta in maniera immediata e diretta il contratto di vendita perché concluso in violazione di norme

imperative (art. 108 1. fall, e 570 cod. proc. civ.), cui anche l'ac

quirente è soggetto. La nullità infatti, incidendo direttamente sul contratto di

compravendita e ponendo in evidenza la sua inidoneità ad ope rare il trasferimento del diritto all'acquirente, ha natura sostan

ziale, onde da un lato non può essere collocata tra le nullità

proprie della procedura fallimentare, dall'altro prescinde da qual siasi atteggiamento che in proposito abbia potuto adottare il

curatore, posto che non è applicabile la sanatoria prevista dalla

legge per le nullità processuali allorché la parte che l'eccepisce vi abbia dato causa (art. 157 cod. proc. civile).

E, versandosi in tema di nullità del contratto di vendita, non è censurabile la sentenza impugnata allorché ha ritenuto che la subacquirente non potesse invocare l'art. 2652, n. 6, cod. civ., dettato in tema di annullabilità del titolo di acquisto del dante

causa, in quanto era applicabile la norma per cui, essendo stata la domanda di nullità proposta dal fallimento trascritta nei cin

que anni dalla data della trascrizione dell'atto impugnato, la sentenza che accoglieva quella domanda era opponibile ai terzi

subacquirenti (art. 2652, n. 6, 2° comma, cod. civile). In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti e

le ricorrenti condannate in solido al pagamento delle spese del

presente giudizio di cassazione. Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 22 no vembre 1978, n. 5437; Pres. Mirabelli, Est. R. Sandulli,

M. Silocchi (conci, parz. diff.); Soc. Gruppo italiano li

quori (Avv. Di Gravio) c. Soc. Carpano (Avv. E. Romanel

li, Gambino) e Fall. soc. Borghetti (Avv. Picardi). Confer ma Trib. Roma 9 novembre 1977.

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