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sezione I civile; sentenza 3 marzo 1994, n. 2083; Pres. Montanari Visco, Est. Rocchi, P.M. Viale(concl. conf.); Consorzio Quarto Pozzuoli (Avv. Oliverio) c. Marfella (Avv. Di Maio). Cassa App.Napoli 30 giugno 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1994), pp. 1751/1752-1757/1758Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189617 .
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1751 PARTE PRIMA 1752
tivo dei privilegi dei tributi erariali e comunali, là dove si riferi
sce ai ruoli posti in riscossione ed all'anno in cui si pongano in esecuzione (i ruoli medesimi) non può che riferirsi all'attività
degli uffici finanziari e dell'esattore a prescindere dal tipo di
procedura esecutiva in corso nei confronti del debitore.
Invero, la regola dell'art. 2752 c.c., chiara quando l'esattore
procede secondo le disposizioni della riscossione coattiva tribu
taria (art. 45 ss. d.p.r. 602/73) nella quale è ammesso l'inter
vento di creditori aventi diritto di prelazione anche prevalente, resta altrettanto chiara ed immutabile sia quando l'esattore chiede ed ottiene la surroga in procedimenti esecutivi individuali, già iniziati ad istanza di altri creditori (art. 50 d.p.r. 602/73), sia
quando chiede ed ottiene l'ammissione al passivo nella procedu ra fallimentare.
A conforto di quanto esposto si pone la considerazione che
già in epoca anteriore alla modifica legislativa (della 1. 426/75) il codice civile nel 1° comma dell'art. 2771 c.c. usava l'espres sione «i crediti dello Stato per il tributo fondiario, iscritto nel ruolo dell'anno in cui si procede all'esecuzione e dell'anno pre cedente . . . sono privilegiati sopra gli immobili tutti del contri
buente . . .».
Ed all'epoca non si è dubitato in giurisprudenza che la enun
ciazione semantica impersonale si riferisse all'esattore nonché
agli ultimi «ruoli», a lui inviati dall'ufficio finanziario, in virtù dei quali egli iniziava l'azione esecutiva nei confronti del contri
buente moroso.
La suindicata espressione è rimasta immutata nel 2° comma
dell'art. 2771 c.c. (dopo la novella 426/75). È evidente che an
che l'interpretazione di essa sia rimasta immutata tuttora.
È conseguenziale riflettere che l'innovazione apportata dal le
gislatore nella riformulazione dell'art. 2752 c.c. là dove usa la
succitata espressione impersonale «si procede», non ha inteso
stravolgere il sistema delle prelazioni a favore o in danno dello
Stato, ma ha adottato un'espressione onnicomprensiva e con sueta per indicare l'inizio di azione esecutiva tributaria, anche
quando questa non viene esercitata in concreto dall'esattore (in ciò la precisa considerazione della corte d'appello), dal momen
to che detta innovazione si è intesa riferire a tutte le specie dei «ruoli» ed anche all'Iva, quale imposta nuova introdotta
dal legislatore del 1972, la cui riscossione — in caso di mora — non avviene tramite l'esattore.
Dalle suesposte riflessioni consegue che è del tutto errato di
stinguere fra esecuzione esattoriale ed esecuzione civile in rela
zione al sistema dei privilegi in generale ed a quelli afferenti ai tributi; e che è parimenti erronea l'opinione secondo cui si
avrebbe lesione della par condicio creditorum nella procedura fallimentare, se l'esattore, intervenendo nel corso di essa, faces se valere il privilegio dei crediti iscritti nel ruolo emesso succes sivamente all'inizio dell'esecuzione concorsuale.
L'erroneità di tale opinione si riscontra nella mancata consi
derazione: 1) che il privilegio è una qualificazione del credito, voluta dal legislatore, che sorge col sorgere del credito stesso; 2) che il tributo sorge al verificarsi dei suoi presupposti ante riormente all'emissione del ruolo, costituente, questo, il solo mezzo e titolo per l'avvio dell'azione esecutiva.
È evidente che, anche se il ruolo viene emesso in epoca suc cessiva alla dichiarazione di fallimento, i tributi in essi indicati
risalgono all'epoca anteriore a tale dichiarazione, dovendosi ri ferire a debiti fiscali del fallito e non dell'amministrazione falli mentare nell'ipotesi di continuazione dell'esercizio commerciale
provvisorio ex art. 90 1. fall.
Il ricorso va rigettato.
Il Foro Italiano — 1994.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 marzo
1994, n. 2083; Pres. Montanari Visco, Est. Rocchi, P.M.
Viale (conci, conf.); Consorzio Quarto Pozzuoli (Avv. Oli
verio) c. Marfella (Avv. Dì Maio). Cassa App. Napoli 30
giugno 1989.
Espropriazione per pubblico interesse — Indennità provvisoria — Accettazione o accordo amichevole — Proprietario colti
vatore diretto — Triplicazione del valore — Estensione ai ma
nufatti — Domanda di ripetizione d'indebito — Giurisdizio ne ordinaria (Cod. civ., art. 2033; 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 2; 1. 22 ottobre
1971 n. 865, programmi e coordinamento dell'edilizia resi
denziale pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica uti
lità; modifiche ed integrazioni delle leggi 17 agosto 1942 n.
1150, 18 aprile 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847, ed
autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore
dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata, art. 12,
17; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme per l'edificabilità dei
suoli, art. 14; 1. 14 maggio 1981 n. 219, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 marzo 1981 n. 75, recante ulte
riori interventi a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981. Provvedimen
ti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti).
Rientra nella giurisdizione ordinaria la domanda di ripetizione di indebito attinente all'avvenuta liquidazione dell'indennità
provvisoria, accettata dall'espropriando o determinata per ac
cordo amichevole con gli incrementi spettanti al proprietario coltivatore diretto, relativamente al valore dei manufatti insi
stenti sul fondo. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 aprile
1993, n. 4553; Pres. Saiafia, Est. Carbone, P.M. Di Salvo
(conci, conf.); Giorgessi (Avv. Magnano Di San Lio) c. Co
mune di Ravascletto (Avv. Pujatti). Cassa App. Trieste 15
giugno 1989.
Indebito — Espropriazione per pubblico interesse — Cessione
volontaria — Errore sui criteri legali di determinazione del
l'indennità — Annullamento — Indebito oggettivo — Aliena
zione del bene ceduto — Restituzione del corrispettivo — Ac
certamento della buona fede — Fattispecie (Cod. civ., art.
1147, 1173, 1445, 2033, 2037, 2038).
L'annullamento di un accordo di cessione nell'ambito di proce dura espropriativa di un determinato bene, per errore in ordi
ne ai criteri legali di determinazione del corrispettivo, integra una situazione di indebito oggettivo, fonte autonoma di ob
bligo restitutorio, che prescinde dal titolo annullato, ed im
pone, in caso di alienazione del bene dall'ente espropriale a un terzo, ai sensi dell'art. 2038 c.c., l'accertamento della
buona fede dell'accipiens indipendentemente dal giudicato di annullamento basato sull'errore bilaterale (nella specie, si è
ritenuto che l'errore dell'amministrazione comunale nell'ap
plicazione dei criteri per l'indennità di esproprio non escluda che l'ignoranza sia dipesa da mala fede, tenuto conto dell'im
portanza rivestita dalla questione delle espropriazioni per le
amministrazioni comunali, e dunque della necessaria cono
scenza delle fonti legislative). (2)
(1-2) I. - Conforme alla prima massima, Cass. 6 settembre 1990, n, 9209, Foro it., Rep. 1990, voce Espropriazione per p.i., n. 154. La decisione muove dalla natura contrattuale dell'accordo amichevole (su cui vedi anche Cass. 20 gennaio 1989, n. 291, id., Rep. 1989, voce cit., n. 162; 17 giugno 1988, n. 4125, id., Rep. 1988, voce cit., n. 149), al quale sono applicabili le norme civilistiche in tema di risoluzione
(Cass. 29 aprile 1989, n. 2048, id., Rep. 1989, voce cit., n. 106) e di revocabilità della proposta fino all'accettazione (Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 1983, n. 682, id., Rep. 1983, voce cit., n. 227).
L'art. 12 1. 22 ottobre 1971 n. 865 prevede, oltre all'accettazione del l'indennità (cui sono equiparati gli accordi amichevoli di determinazio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Motivi della decisione. — (Omissis). Il primo motivo è fon
dato e va accolto, con assorbimento degli altri.
La questione di giurisdizione sollevata con il primo motivo
ripropone il problema della natura del rapporto tra privato ed
espropriante per la determinazione della indennità, sia nelle ipo tesi di accettazione di quest'ultima, che nelle ipotesi di accordo
amichevole sulla determinazione del bene espropriato. Va premesso che la figura dell'accordo amichevole, non pre
vista dalla legge del 1971, si differenzia dalla ipotesi di accetta
zione della indennità solo per qualche aspetto relativo alla de
terminazione del prezzo e al processo formativo del consenso.
Il prezzo, infatti, nel caso di accordo amichevole è diverso da
quello indicato nell'offerta originaria ed è fissato non più unila
teralmente dall'espropriante, ma da espropriante ed esproprian
do, con l'eventuale intervento conciliativo del sindaco. Peral
tro, a parte il detto particolare processo di formazione del con
senso, anche l'accettazione del prezzo comunicato dall'espro
ne), un negozio di cessione volontaria come accordo traslativo della
proprietà: la sistemazione dogmatica della cessione nell'ambito di pro cedura espropriativa tende a configurarla come negozio di diritto pub
blico, che s'inserisce nel procedimento pubblicistico, pur mantenendo
un'autonomia concettuale con la conseguente capacità di produrre di
ritti ed obblighi per i contraenti (Cass. 17 giugno 1982, n. 3674, id.,
1983, I, 1359, con nota di richiami di Macario). L'attinenza alla procedura ablatoria impedisce però la configurazione
di un vero e proprio sinallagma, apparendo più corretta la definizione
come «negozio a carattere accertativo» (Mengoli, Manuale di diritto
urbanistico, Milano, 1992, 495): ne consegue che il prezzo di cessione
è sempre un'indennità e non può esser determinato diversamente da
quella che è la giusta indennità (Cass. 16 marzo 1994, n. 2513, Foro
it., Mass., 210; 1° agosto 1992, n. 9160, id., Rep. 1992, voce cit., n.
242; 5 giugno 1992, n. 6960, ibid., n. 241; 8 novembre 1989, n. 4695,
id., Rep. 1990, voce cit., n. 245; 9 giugno 1988, n. 3924, id., Rep. 1988, voce cit., n. 167; 12 gennaio 1988, n. 144, ibid., n. 197; 13 giu
gno 1985, n. 3549, id., Rep. 1985, voce cit., n. 216; 6 dicembre 1984, n. 6424, id., Rep. 1984, voce cit., n. 214; Cons. Stato, sez. IV, 25
novembre 1991, n. 969, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 248; Trib. sup.
acque 14 luglio 1990, n. 59, id., Rep. 1990, voce cit., n. 247). Sugli effetti dell'entrata in vigore dei nuovi criteri indennitari, di cui all'art.
5 bis 1. 8 agosto 1992 n. 359, sulla cessione volontaria, v. Corte cost. 16 dicembre 1993, n. 442, id., 1994, I, 4, con nota di richiami.
In dottrina, sulla natura della cessione volontaria: Filanti, La cessio
ne sostitutiva d'esproprio, Milano, 1990; Vignale, L'espropriazione per
pubblica utilità e le ultime leggi di modifica, Napoli, 1994, 215 ss.; Di Silvestro, Prime note di commento all'art. 5 bis della I. 8 agosto 1992 n. 359, con particolare riferimento alla cessione volontaria, in Riv.
giur. urbanistica, 1992, 513; Sassu, La cessione volontaria in corso di
espropriazione e la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 1 I. 29
luglio 1980 n. 385, in Riv. giur. sarda, 1991, 73; Ammendola, La ces
sione volontaria dei beni nel procedimento espropriativo, in Ammin.
it., 1989, 1836; Forlenza, Potestà ablatoria della pubblica amministra
zione, diritto soggettivo (potestativo) del privato e cessione volontaria
dei beni espropriandi, in Riv. giur. edilizia, 1987, I, 793; Id., La cessio
ne volontaria di immobili espropriandi dopo la sent. 19 luglio 1983, n. 223 della Corte costituzionale, in Giust. civ., 1987, I, 1851; Id., La cessione volontaria di immobili espropriandi. Posizione giuridica del
privato, natura del contratto e suoi profili di nullità, in Riv. giur. edili
zia, 1986, I, 340; Carbone, Il «prezzo» della cessione volontaria di
immobili è sottratto alla volontà delle parti?, in Corriere giur., 1985, 1128.
II. - Nel merito della questione oggetto di esame della prima delle
pronunce in epigrafe, i manufatti non sono stati considerati immedesi
mati al suolo, e dunque ininfluenti ai fini della determinazione del valo
re (e della sua maggiorazione ai sensi dell'art. 12 1. 22 ottobre 1971
n. 865), con l'esperibilità dell'azione di ripetizione in caso di errata
liquidazione (Cass. 16 aprile 1992, n. 4702, Foro it., Rep. 1992, voce
cit., n. 240). In genere, sull'espropriazione ai sensi della 1. 219/81, Cass. 6 novem
bre 1993, n. 10998, id., 1993, I, 3246, con nota di richiami.
III. - Con riferimento alla seconda delle pronunce in epigrafe, sul
l'obbligo di restituzione di cui all'art. 2038 c.c. (con identificazione del
la buona fede di cui all'art. 2037 c.c. con quella prevista dall'art. 1147
c.c., che è inficiabile dalla colpa grave), v. Cass. 29 febbraio 1988, n. 2119, id., Rep. 1988, voce Indebito, n. 4 e 4 maggio 1978, n. 2087,
id., 1979, I, 180, con nota di richiami di Macioce.
Per l'ipotesi di impossibilità di restituzione del bene ceduto per irre
versibile destinazione alla realizzazione dell'opera pubblica, v. Cass. 17
giugno 1982, n. 3674, cit.
Il Foro Italiano — 1994.
priante comporta un incontro di volontà circa l'ammontare del
lo stesso, per cui le due figure vengono sostanzialmente a coin
cidere.
Al riguardo deve rilevarsi che, secondo i prevalenti indirizzi
giurisprudenziali (per tutte: Cass. 9209/90, Foro it., Rep. 1990, voce Espropriazione per p.i., n. 154; 4702/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 240) e dottrinari — ai quali il collegio intende ade
rire, condividendoli — gli accordi amichevoli finalizzati alla de
terminazione della indennità di espropriazione integrano una ipo tesi di negozio di diritto pubblico, non produttivo di effetti tra
slativi, ma avente ad oggetto la definizione della misura
dell'equivalente monetario del valore del bene soggetto ad abla
zione, nonché la nascita dei conseguenti diritti e doveri, a favo
re e a carico dei contraenti.
In tale ottica, il carattere pubblico del negozio deriva dal fat
to che esso presuppone un procedimento pubblicistico e si inse
risce nel suo iter, mentre la sua autonomia e la conseguente
capacità di produrre direttamente diritti ed obblighi per i con
traenti conseguono dalla finalità di semplificare la procedura
pubblicistica e di ridurre la conflittualità giudiziaria, nonché dalla non casuale definizione di «diritto» assegnata alla facoltà del
proprietario di convenire la cessione e fissare la misura dell'in
dennizzo (art. 14 1. 10/77). Nella descritta prospettiva e in particolare riferimento all'ipo
tesi di specie (accordo stipulato nel corso della procedura espro
priativa con finalità di porre termine ali 'iter del procedimento amministrativo attraverso la determinazione concordata dell'in
dennità e il trasferimento immediato del bene) deve ritenersi
che l'espropriante, allorché il proprietario dichiara di volersi gio vare della norma, non ha una mera facoltà, ma l'obbligo di
acquistare l'immobile ad un prezzo pari al 150% dell'indennità
provvisoria, a meno che non rinunci alla espropriazione; e che
il contratto traslativo stipulato con l'espropriante nel corso del
la procedura ablativa integra una vera e propria compravendi
ta, sia pure qualificata da una particolare finalità, quale quella di porre termine alla procedura ablativa medesima.
Tale costruzione implica l'affermazione, in favore dell'espro
priarne, della esperibilità delle azioni ordinarie di adempimento e di risoluzione (con l'unico limite dell'eventuale già avvenuta
destinazione pubblica dell'immobile); e, conseguentemente, ri
correndone i presupposti, dell'azione di indebito oggettivo, di
cui all'art. 2033 c.c.
Va, pertanto, riaffermato il principio, per quanto attiene al
caso di specie, secondo cui, con riguardo a procedura espro
priativa, promossa a norma della 1. 219/81 e per la quale vi
sia stata accettazione dell'indennità fissata in via provvisoria e/o siano intervenuti accordi amichevoli in punto di cessione
del bene e determinazione della indennità, con triplicazione in
favore del proprietario-coltivatore diretto di detta indennità, la
controversia vertente sulla legittimità o meno dell'estensione di
detta triplicazione anche ai manufatti insistenti sul fondo spetta alla cognizione del giudice ordinario, nel quadro della azione
ordinaria di ripetizione di indebito oggettivo rappresentato dal
la maggior somma che sia stata corrisposta all'espropriato (Cass.
9209/90, cit.). Come premesso, restano naturalmente assorbiti i restanti
motivi.
Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo di ricor
so nei termini delle proposizioni che precedono, la sentenza im
pugnata va cassata, con rinvio del giudizio ad altra sezione del
la Corte di appello di Napoli.
II
Motivi della decisione. — Con i primi due motivi del propo sto ricorso il ricorrente censura la decisione impugnata che ha
ritenuto applicabile l'art. 2038 c.c. anche all'ipotesi di trasferi mento del bene a seguito di cessione volontaria successivamente
annullata con conseguente caducazione del titolo che giustifica
va la consegna del bene, nelle more alienato al terzo, ricondu
cendo cosi l'indennizzo spettante al solvens all'irrisorio corri
spettivo pagato dal terzo aìì'accipiens detratto il prezzo. Secon
do il ricorrente questa soluzione violerebbe il principio del nostro
ordinamento secondo cui alla caducazione di una situazione giu ridica dovrebbe seguire una piena reintegrazione nella preceden
te situazione cui inerivano i rapporti che sono stati annullati.
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1755 PARTE PRIMA 1756
Inoltre, la corte, avendo ignorato la peculiarità della fattispecie relativa ad una vicenda espropriativa e quindi che il prezzo del
la cessione non fosse liberamente ed autonomamente determi
nato dalle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale, ha
sottovalutato che nella specie il comune subito dopo la cessione
ha alienato il bene espropriato a basso prezzo. La censura non è fondata. Ed infatti il ricorrente pur cono
scendo l'indirizzo giurisprudenziale che ritiene applicabile la di
sposizione dell'art. 2038 a qualsiasi ipotesi di intervenuta cadu
cazione dell'atto traslativo di un bene determinato, ne conside
ra abnormi le conseguenze perché al ricorrente spetta solo la
restituzione del prezzo ricavato dall'espropriante comune con la vendita al terzo, anziché una somma pari all'effettivo valore
reale del fondo ceduto in base all'art. 12 1. 865/71.
L'assunto non ha alcun pregio, perché il principio invocato
non è affatto previsto dall'ordinamento, in quanto proprio l'art.
1445 c.c. limita gli effetti dell'annullamento nei confronti dei
terzi acquirenti a titolo oneroso, ove l'annullamento non derivi da incapacità legale. Basterebbe ricordare solo questo principio
perché nell'ipotesi di cosa ricevuta indebitamente in base ad una
cessione volontaria annullata per errore bilaterale delle parti e
ceduta al terzo prima di conoscere l'obbligo di restituirla, l'or
dinamento attribuisca al solvens il diritto al solo corrispettivo consentito dall'accipiens con l'alienazione a meno che non si tratti di atti a titolo gratuito, ovvero di mala fede dell'accipiens.
Sotto questo profilo la decisione impugnata non merita la
censura rivoltale avendo applicato correttamente la disposizione dell'art. 2038 c.c. Quest'ultima norma disciplina sia le ipotesi di indebito oggettivo di cui Vaccipiens abbia ricevuto in buona
fede una cosa determinata, alienandola prima di conoscere l'ob
bligo di restituirla. Non è contestata infatti che l'alienazione
del bene da parte dell'accipiens sia avvenuta prima della notifi
cazione da parte del solvens della domanda con cui impugnò l'avvenuta cessione volontaria.
In realtà la ripetizione di indebito ha una funzione recupera toria che prescinde dall'invalidità dell'atto traslato. Basti pensa re alla non coincidenza degli effetti tra la condictio indebiti e
la dichiarazione di nullità del negozio, o meglio tra la tutela
accordata al proprietario, che di fronte alla nullità del trasferi
mento perde la titolarità del bene, oggetto della prestazione, e quella accordata al solvens incentrata sul recupero dell'indebi to. Sicché la condictio indebiti non va considerata una mera
conseguenza della nullità del negozio sottostante, ma ha la sua
fonte autonoma nell'obbligazione restitutoria propria dell'inde
bito, distinto sia dal contratto che dal fatto dannoso.
Alla stregua di queste considerazioni non rileva il tipo di con tratto o di titolo che abbiano legittimato la datio dal solvens
all'accipiens, sia esso un contratto o un decreto di esproprio o una dichiarazione di pubblica utilità su cui si è innestata la
cessione volontaria, in quanto all'ordinamento è indifferente che la cosa sia entrata nel patrimonio dell 'accipiens per effetto di
un volontario consapevole passaggio a carico del suo patrimo nio. Fulcro della disposizione è soltanto la consegna o ricezione della cosa da parte dell' accipiens sine titulo o con titolo succes sivamente annullato, sicché se la cosa è detenuta indebitamente o sine causa scatta l'indebito oggettivo come una delle fonti
rientranti tra gli altri atti o fatti previsti come fonte dell'obbli
gazione dall'art. 1173 c.c., che legittima il solvens a chiedere la restituzione di quanto indebitamente consegnato.
L'azione di restituzione spettante al solvens e collegata a que sta fonte dell'obbligazione ha carattere personale ed è circo scritta ai rapporti tra solvens ed accipiens, salva l'ipotesi della
presenza del terzo previsto dall'ordinamento negli atti a titolo
gratuito ed in quello a titolo oneroso solo se non si è ancora verificato il pagamento del prezzo.
In conclusione, la natura personale dell'azione restitutoria avente ad oggetto una cosa determinata, da un lato, prescinde dal titolo che ha sorretto la consegna della cosa indebitamente
ricevuta dall'altro, non coinvolge il terzo acquirente tranne che nei limiti assai ristretti previsti dall'ordinamento, sicché nessuna violazione ha compiuto il giudice di merito, non rilevando ai fini della consegna di una cosa non dovuta il rapporto espro priativo anziché quella di una normale alienazione.
Con il terzo e quarto motivo del proposto ricorso da esami
nare congiuntamente in quanto strettamente connessi si censura
l'impugnata sentenza per aver riconosciuto la buona fede del
l'amministrazione comunale, nonostante il programma diretto
Il Foro Italiano — 1994.
a beneficiare la soc. Terminal. In particolare il giudice del meri
to avrebbe errato nel riconoscere efficacia di giudicato al prece dente giudizio di annullamento della cessione volontaria per er
rore bilaterale e nel motivare gli estremi della buona fede con
tutta una serie di supposizioni che non sono idonee ad elimina
re la colpa grave del comune che dichiara di non conoscere una decisione tanto attesa e di cosi vasta portata.
L'assunto è fondato. Com'è noto, gli art. 2037 e 2038 c.c.
adoperano il concetto di buona fede a carattere soggettivo, mu
tuandolo dalla norma fondamentale dell'art. 1147 che presume la buona fede, escludendola quando l'ignoranza dipenda da colpa
grave. Sennonché, il giudice del merito non si dà carico di que sto profilo e motiva il proprio convincimento sul presupposto dell'influenza del giudicato di annullamento che comprendereb be anche la buona fede. Ma la tesi non è esatta perché dal
giudicato di annullamento per errore non deriva necessariamen
te la buona fede del comune. L'annullamento, infatti, concerne il venir meno del titolo giustificativo della prestazione che, dan do luogo all'indebito oggettivo, costituisce il presupposto della
nuova ed autonoma obbligazione. Non senza aggiungere che
la presenza dell'errore non esclude di per sé che l'ignoranza
dipenda da colpa grave cosi che l'errore, pur essendo essenziale
e riconoscibile ai fini dell'annullamento, non sia anche scusabi le ai fini della colpa grave. Occorre tener conto che il richiamo
esplicito all'esclusione dell'efficacia della buona fede in presen za di colpa grave viene ad introdurre un elemento di eticità co
me limite per la rilevanza di un errore che derivi da supina ed inescusabile ignoranza o dalla violazione di norme di com
portamento (cfr. Cass. 26 marzo 1980, n. 2011, Foro it., Rep.
1980, voce Titoli di credito, n. 16), peraltro necessarie per una
pubblica amministrazione che non può permettersi di ignorare le leggi dello Stato o le loro modifiche, integrazioni o abroga zioni per effetto delle sentenze della Corte costituzionale, tenu
ta com'è al rispetto dei principi di legalità e buona amministra
zione scolpiti nell'art. 97 Cost.
Particolarmente non convincente è la motivazione della sen tenza impugnata sulla buona fede basata su supposizioni e non
su presunzioni come quella del piccolo paese di montagna che
avrebbe diritto a non essere diligente o a non conoscere l'ordi
namento, in contrasto con la stessa espropriazione destinata ad
attrezzature turistiche di una località che con alberghi ed im
pianti di risalita intende essere un centro turistico invernale. An che le presunte difficoltà di diffusione capillare della Gazzetta
ufficiale e delle riviste giuridiche non sono convincenti per l'e
sclusione della colpa grave in quanto la notizia dell'incostituzio
nalità del valore agricolo medio ebbe una notevole immediata
diffusione tramite i mass media. Del resto, la decisione era atte sa da nove anni e cioè dall'entrata in vigore della 1. 865/71, tant'è che il parlamento, allo scopo di evitare la temuta dichia
razione di incostituzionalità, aveva introdotto prima con la 1.
247/74 e poi con la 1. 10/77 cospicui miglioramenti per l'espro
priato. Né può trascurarsi che le amministrazioni comunali, che gestiscono il territorio attraverso gli strumenti urbanistici (pia no regolatore generale o programma di fabbricazione) ed edilizi
(regolamenti edilizi), sono tutte particolarmente attente e sensi bili alla normativa sull'espropriazione, indispensabile per realiz zare opere pubbliche comunali o statali, ma sul territorio del
comune, previste nella pianificazione urbanistica e per altro verso
oggetto di mutui o contributi da parte dello Stato. Del tutto infondato è, infine, il richiamo alle discussioni dottrinali o alle
equivoche interpretazioni sull'intervenuta dichiarazione di inco stituzionalità tanto è vero che il legislatore dell'epoca, affezio
nato al valore agricolo medio, fu costretto a ricorrere all'intro
duzione di una nuova legge per reintrodurlo sia pure a livello di anticipazione salvo conguaglio promulgata il 29 luglio 1980 n. 385.
Le argomentazioni espresse sono del tutto insufficienti perché l'amministrazione comunale non poteva non sapere che il giudi ce delle leggi con la sentenza n. 5 del 1980 (id., 1980, I, 273), resa pubblica con efficacia erga omnes sulla Gazzetta ufficiale del 6 febbraio 1980, aveva soppresso il criterio del valore agricolo.
Questa attesa e assai nota decisione della Corte costituzionale che ha eliminato dall'ordinamento il criterio del valore agricolo medio, alla base dell'accordo sulla cessione volontaria, non po teva non essere conosciuta e responsabilmente applicata dal co mune resistente, o da qualsiasi altra pubblica amministrazione, alla fine dell'aprile dello stesso anno 1980. Il giudice di rinvio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dovrà quindi riesaminare se l'ignoranza del comune resistente
non derivi da colpa grave, e la questione è rilevante per la fatti
specie poiché dall'esclusione della buona fede deriva per l'acci
piens la restituzione non più del solo prezzo ricevuto dal terzo
per l'alienazione dell'immobile, ma l'obbligo di corrispondere il valore del suolo alienato alla soc. Terminal. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 25 feb braio 1994, n. 1933; Pres. Romagnoli, Est. Fancelli, P.M.
Leo (conci, conf.); Soc. Flaminia auto (Avv. Prudenzano)
c. Soc. Augusta assicurazioni (Avv. Tabellini). Conferma
App. Torino 31 maggio 1990.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Contratto auto
nomo di garanzia — Validità — Eccezioni (Cod. civ., art.
1322).
È valido il contratto autonomo di garanzia con cui il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto della garanzia
a semplice richiesta del creditore garantito senza opporre ec
cezioni attinenti alla validità, all'efficacia e alle vicende del rapporto principale, salva l'exceptio doli. (1)
Svolgimento del processo. — Con contratto 11 maggio 1979
la Fiat auto s.p.a., gruppo veicoli Fiat, filiale di Roma, conce
deva alla Flaminia auto s.r.l. il diritto di rivendere direttamente
al pubblico le autovetture nuove fabbricate dalla Fiat.
Al fine di garantire l'esatto adempimento di ogni obbligazio
ne assunta verso la Fiat, la Flaminia auto, con l'accordo esplici
to della Fiat, stipulava con la Augusta assicurazioni s.p.a. una
polizza cauzionale datata 29 aprile 1985, contenente un contrat
to di fideiussione, in forza del quale la Augusta assicurazioni
si obbligava entro il limite massimo di lire 900.000.000, a paga re alla Fiat, su richiesta di quest'ultima, previo avviso alla Fla
minia auto ma senza bisogno del preventivo consenso di que
st'ultima, le somme di denaro dovute dalla Flaminia auto alla
Fiat in esecuzione del contratto di concessione suddetto con ef
ficacia dal giorno 1° aprile 1985 al 31 marzo 1986. All'atto
della sottoscrizione della polizza la Flaminia auto si obbligava
(1) In senso conforme, v. Trib. Crema 2 gennaio 1993, Foro it., 1993,
I, 2175; Cass. 24 aprile 1991, n. 4519, id.. Rep. 1991, voce Fideiussione
e mandato di credito, n. 24; 26 giugno 1990, n. 6499, ibid., voce Con
tratto in genere, n. 178; 6 ottobre 1989, n. 4006, id., Rep. 1989, voce
Fideiussione e mandato di credito, n. 54; Pret. Milano 13 marzo 1989,
id., Rep. 1990, voce Contratto in genere, n. 188; App. Milano 4 marzo
1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 196; Cass. 1° ottobre 1987, n. 7341,
id., 1988, I, 103 e 3021, con note di Vitale, Tucci e Caiderale.
Peraltro, nel contratto autonomo di garanzia {performance bond), in cui il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto della ga
ranzia a prima domanda in seguito alla semplice dichiarazione del
creditore-beneficiario circa il verificarsi dell'inadempimento dell'obbli
gazione principale e senza alcuna possibilità di proporre eccezioni, la
prestazione del garante stesso resta pur sempre circoscritta alla perdita subita dal creditore per detto inadempimento: pertanto, in presenza di
una pretesa del garantito che sia rivolta a richiedere somme eccedenti
rispetto a quelle effettivamente dovute e pagate dal debitore principale, deve riconoscersi al garante la facoltà di rifiutare il versamento delle
somme medesime ove risulti prima facie in modo certo la suddetta ecce
denza (Cass. 6 ottobre 1989, n. 4006, id., Rep. 1989, voce Fideiussione
e mandato di credito, n. 54). In dottrina, v., riassuntivamente, Viale, I contratti autonomi di ga
ranzia, in Alpa-Bessone, I contratti in generale: i contratti atipici, To
rino, 1991, 627, secondo cui il contratto autonomo di garanzia mira
non già a garantire l'adempimento dell'obbligazione del debitore princi
pale, ma ad assicurare la soddisfazione dell'interesse economico del be
neficiario compromesso dall'inadempimento del debitore stesso.
Il Foro Italiano — 1994.
a rimborsare alla società assicuratrice, ossia al fideiussore, ogni
somma pagata da quest'ultimo alla Fiat precludendosi la facol
tà di sollevare eccezioni. Mediante una «appendice» alla sud
detta polizza «cauzionale», Franco Andreoli e Maria Cristina
D'Amico si obbligavano in solido con la «contraente» Flaminia
auto s.r.l. a rimborsare alla Augusta assicurazioni s.p.a., «a
semplice richiesta» di quest'ultima e precludendosi la facoltà
di opporre «alcuna eccezione» (segnatamente quelle fondate su
gli art. 1950, 1952, 1955, 1956, 1957 c.c.), qualsiasi somma di denaro la Augusta assicurazioni fosse tenuta a pagare od avesse
pagato «in dipendenza» della polizza cauzionale.
Mediante lettera datata 12 novembre 1986 la Fiat auto chie
deva alla Augusta assicurazioni, in forza della fideiussione pre
stata da quest'ultima nella polizza cauzionale, il pagamento di
lire 809.409.255 dovutele dalla concessionaria Flaminia auto,
che non aveva pagato alle scadenze, i capitali indicati in ottan
tasei fatture; detta richiesta aveva tenuto conto del debito della
Fiat auto verso la concessionaria, ammontante a lire 89.947.099.
La Augusta assicurazioni pagava alla Fiat auto la somma di
lire 809.409.255 il 13 gennaio 1987. Valendosi della clausola 9 della polizza assicurativa, la Augu
sta assicurazioni, il 18 novembre 1986, avvisava inutilmente la
s.r.l. Flaminia auto nonché F. Andreoli e M. C. D'Amico, coob
bligati solidali con la Flaminia auto, d'essere stata richiesta del
pagamento; lo eseguiva, e quindi otteneva dal presidente del
Tribunale di Torino il decreto 3 marzo 1987 contenente l'in
giunzione ai tre suddetti debitori solidali di pagare il capitale
di lire 809.499.255 con gli interessi. La Flaminia auto s.r.l. nonché i fideiussori Andreoli e D'A
mico si opponevano al decreto per le seguenti ragioni:
1) la polizza assicurativa era stata firmata il 29 aprile 1985
da uno solo dei due amministratori (Franco e Claudio Andreo
li) della s.r.l. Flaminia auto, i quali sino al 28 ottobre 1985
avevano avuto dallo statuto sociale il potere di rappresentare
disgiuntamente la società soltanto per eseguire atti di «gestione
ordinaria»; quindi la polizza suddetta, quale atto di gestione
straordinaria, era nulla e inefficace;
2) la Augusta assicurazioni s.p.a. aveva «incautamente» pa
gato alla Fiat auto una somma di denaro non corrispondente
all'effettivo debito della Flaminia auto verso la Fiat, poiché que
st'ultima era a sua volta debitrice verso la Flaminia auto della
somma di lire 479.854.584 oltre rivalutazione e interessi.
Il tribunale respingeva l'opposizione.
La Flaminia auto ed i fideiussori Andreoli e D'Amico propo
nevano gravame, che veniva rigettato con sentenza 13 aprile-31
maggio 1990 dalla Corte d'appello di Torino. Detta corte osser
vava quanto segue: i due amministratori (Franco e Claudio An
dreoli), nel firmare congiuntamente il contratto di concessione,
avevano obbligato la Flaminia auto nei confronti della Fiat au
to s.p.a. a «costituire», a favore di quest'ultima, «una cauzione
od altro tipo di idonea garanzia corrispondente all'esposizione
della Fiat».
La sottoscrizione della polizza cauzionale in questione rap
presentò pertanto il mero adempimento dell'obbligo assunto va
lidamente dalla Flaminia auto, e quindi non implicò una scelta
di politica aziendale, ulteriore rispetto alla scelta già compiuta
da entrambi i rappresentanti della società.
L'Augusta ha diritto di ricevere il rimborso della somma pa
gata alla Fiat auto avendo provato di avere esattamente esegui
to la prestazione cui era obbligata, costituita dal pagamento
dei crediti della Fiat documentati da quest'ultima mediante fat
ture emesse tra il 1° aprile 1985 ed il 31 marzo 1986, quindi
relative ad operazioni concluse entro detto periodo, tenuto con
to che la prima fattura è datata 31 dicembre 1985, e l'ultima
è datata 20 marzo 1986 (essendo irrilevante la circostanza che
i crediti indicati nelle ultime 28 fatture cadessero dopo il 31
marzo 1986, ma molti mesi prima del pagamento eseguito dalla
società assicuratrice il 13 gennaio 1987).
Secondo la clausola 7 della polizza, i crediti vantati dalla Fiat
auto non erano sindacabili dalla società assicuratrice, altrimenti
sarebbe venuto meno l'automatismo della soddisfazione del cre
dito della Fiat, automatismo necessario per rendere equivalente
al deposito cauzionale (sufficiente ad estinguere il debito) il mec
canismo negoziale messo in funzione dalla polizza cauzionale.
Contro questa decisione ricorrono per cassazione la Flaminia
auto s.r.l. in liquidazione, i suoi fideiussori D'Amico e An
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