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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 3 marzo 1994, n....

Date post: 31-Jan-2017
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sezione I civile; sentenza 3 marzo 1994, n. 2083; Pres. Montanari Visco, Est. Rocchi, P.M. Viale (concl. conf.); Consorzio Quarto Pozzuoli (Avv. Oliverio) c. Marfella (Avv. Di Maio). Cassa App. Napoli 30 giugno 1989 Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1994), pp. 1751/1752-1757/1758 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23189617 . Accessed: 28/06/2014 16:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.163 on Sat, 28 Jun 2014 16:08:23 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I civile; sentenza 3 marzo 1994, n. 2083; Pres. Montanari Visco, Est. Rocchi, P.M. Viale(concl. conf.); Consorzio Quarto Pozzuoli (Avv. Oliverio) c. Marfella (Avv. Di Maio). Cassa App.Napoli 30 giugno 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1994), pp. 1751/1752-1757/1758Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189617 .

Accessed: 28/06/2014 16:08

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1751 PARTE PRIMA 1752

tivo dei privilegi dei tributi erariali e comunali, là dove si riferi

sce ai ruoli posti in riscossione ed all'anno in cui si pongano in esecuzione (i ruoli medesimi) non può che riferirsi all'attività

degli uffici finanziari e dell'esattore a prescindere dal tipo di

procedura esecutiva in corso nei confronti del debitore.

Invero, la regola dell'art. 2752 c.c., chiara quando l'esattore

procede secondo le disposizioni della riscossione coattiva tribu

taria (art. 45 ss. d.p.r. 602/73) nella quale è ammesso l'inter

vento di creditori aventi diritto di prelazione anche prevalente, resta altrettanto chiara ed immutabile sia quando l'esattore chiede ed ottiene la surroga in procedimenti esecutivi individuali, già iniziati ad istanza di altri creditori (art. 50 d.p.r. 602/73), sia

quando chiede ed ottiene l'ammissione al passivo nella procedu ra fallimentare.

A conforto di quanto esposto si pone la considerazione che

già in epoca anteriore alla modifica legislativa (della 1. 426/75) il codice civile nel 1° comma dell'art. 2771 c.c. usava l'espres sione «i crediti dello Stato per il tributo fondiario, iscritto nel ruolo dell'anno in cui si procede all'esecuzione e dell'anno pre cedente . . . sono privilegiati sopra gli immobili tutti del contri

buente . . .».

Ed all'epoca non si è dubitato in giurisprudenza che la enun

ciazione semantica impersonale si riferisse all'esattore nonché

agli ultimi «ruoli», a lui inviati dall'ufficio finanziario, in virtù dei quali egli iniziava l'azione esecutiva nei confronti del contri

buente moroso.

La suindicata espressione è rimasta immutata nel 2° comma

dell'art. 2771 c.c. (dopo la novella 426/75). È evidente che an

che l'interpretazione di essa sia rimasta immutata tuttora.

È conseguenziale riflettere che l'innovazione apportata dal le

gislatore nella riformulazione dell'art. 2752 c.c. là dove usa la

succitata espressione impersonale «si procede», non ha inteso

stravolgere il sistema delle prelazioni a favore o in danno dello

Stato, ma ha adottato un'espressione onnicomprensiva e con sueta per indicare l'inizio di azione esecutiva tributaria, anche

quando questa non viene esercitata in concreto dall'esattore (in ciò la precisa considerazione della corte d'appello), dal momen

to che detta innovazione si è intesa riferire a tutte le specie dei «ruoli» ed anche all'Iva, quale imposta nuova introdotta

dal legislatore del 1972, la cui riscossione — in caso di mora — non avviene tramite l'esattore.

Dalle suesposte riflessioni consegue che è del tutto errato di

stinguere fra esecuzione esattoriale ed esecuzione civile in rela

zione al sistema dei privilegi in generale ed a quelli afferenti ai tributi; e che è parimenti erronea l'opinione secondo cui si

avrebbe lesione della par condicio creditorum nella procedura fallimentare, se l'esattore, intervenendo nel corso di essa, faces se valere il privilegio dei crediti iscritti nel ruolo emesso succes sivamente all'inizio dell'esecuzione concorsuale.

L'erroneità di tale opinione si riscontra nella mancata consi

derazione: 1) che il privilegio è una qualificazione del credito, voluta dal legislatore, che sorge col sorgere del credito stesso; 2) che il tributo sorge al verificarsi dei suoi presupposti ante riormente all'emissione del ruolo, costituente, questo, il solo mezzo e titolo per l'avvio dell'azione esecutiva.

È evidente che, anche se il ruolo viene emesso in epoca suc cessiva alla dichiarazione di fallimento, i tributi in essi indicati

risalgono all'epoca anteriore a tale dichiarazione, dovendosi ri ferire a debiti fiscali del fallito e non dell'amministrazione falli mentare nell'ipotesi di continuazione dell'esercizio commerciale

provvisorio ex art. 90 1. fall.

Il ricorso va rigettato.

Il Foro Italiano — 1994.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 marzo

1994, n. 2083; Pres. Montanari Visco, Est. Rocchi, P.M.

Viale (conci, conf.); Consorzio Quarto Pozzuoli (Avv. Oli

verio) c. Marfella (Avv. Dì Maio). Cassa App. Napoli 30

giugno 1989.

Espropriazione per pubblico interesse — Indennità provvisoria — Accettazione o accordo amichevole — Proprietario colti

vatore diretto — Triplicazione del valore — Estensione ai ma

nufatti — Domanda di ripetizione d'indebito — Giurisdizio ne ordinaria (Cod. civ., art. 2033; 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 2; 1. 22 ottobre

1971 n. 865, programmi e coordinamento dell'edilizia resi

denziale pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica uti

lità; modifiche ed integrazioni delle leggi 17 agosto 1942 n.

1150, 18 aprile 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847, ed

autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore

dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata, art. 12,

17; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme per l'edificabilità dei

suoli, art. 14; 1. 14 maggio 1981 n. 219, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 19 marzo 1981 n. 75, recante ulte

riori interventi a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981. Provvedimen

ti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti).

Rientra nella giurisdizione ordinaria la domanda di ripetizione di indebito attinente all'avvenuta liquidazione dell'indennità

provvisoria, accettata dall'espropriando o determinata per ac

cordo amichevole con gli incrementi spettanti al proprietario coltivatore diretto, relativamente al valore dei manufatti insi

stenti sul fondo. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 aprile

1993, n. 4553; Pres. Saiafia, Est. Carbone, P.M. Di Salvo

(conci, conf.); Giorgessi (Avv. Magnano Di San Lio) c. Co

mune di Ravascletto (Avv. Pujatti). Cassa App. Trieste 15

giugno 1989.

Indebito — Espropriazione per pubblico interesse — Cessione

volontaria — Errore sui criteri legali di determinazione del

l'indennità — Annullamento — Indebito oggettivo — Aliena

zione del bene ceduto — Restituzione del corrispettivo — Ac

certamento della buona fede — Fattispecie (Cod. civ., art.

1147, 1173, 1445, 2033, 2037, 2038).

L'annullamento di un accordo di cessione nell'ambito di proce dura espropriativa di un determinato bene, per errore in ordi

ne ai criteri legali di determinazione del corrispettivo, integra una situazione di indebito oggettivo, fonte autonoma di ob

bligo restitutorio, che prescinde dal titolo annullato, ed im

pone, in caso di alienazione del bene dall'ente espropriale a un terzo, ai sensi dell'art. 2038 c.c., l'accertamento della

buona fede dell'accipiens indipendentemente dal giudicato di annullamento basato sull'errore bilaterale (nella specie, si è

ritenuto che l'errore dell'amministrazione comunale nell'ap

plicazione dei criteri per l'indennità di esproprio non escluda che l'ignoranza sia dipesa da mala fede, tenuto conto dell'im

portanza rivestita dalla questione delle espropriazioni per le

amministrazioni comunali, e dunque della necessaria cono

scenza delle fonti legislative). (2)

(1-2) I. - Conforme alla prima massima, Cass. 6 settembre 1990, n, 9209, Foro it., Rep. 1990, voce Espropriazione per p.i., n. 154. La decisione muove dalla natura contrattuale dell'accordo amichevole (su cui vedi anche Cass. 20 gennaio 1989, n. 291, id., Rep. 1989, voce cit., n. 162; 17 giugno 1988, n. 4125, id., Rep. 1988, voce cit., n. 149), al quale sono applicabili le norme civilistiche in tema di risoluzione

(Cass. 29 aprile 1989, n. 2048, id., Rep. 1989, voce cit., n. 106) e di revocabilità della proposta fino all'accettazione (Cons. Stato, sez. IV, 30 settembre 1983, n. 682, id., Rep. 1983, voce cit., n. 227).

L'art. 12 1. 22 ottobre 1971 n. 865 prevede, oltre all'accettazione del l'indennità (cui sono equiparati gli accordi amichevoli di determinazio

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Motivi della decisione. — (Omissis). Il primo motivo è fon

dato e va accolto, con assorbimento degli altri.

La questione di giurisdizione sollevata con il primo motivo

ripropone il problema della natura del rapporto tra privato ed

espropriante per la determinazione della indennità, sia nelle ipo tesi di accettazione di quest'ultima, che nelle ipotesi di accordo

amichevole sulla determinazione del bene espropriato. Va premesso che la figura dell'accordo amichevole, non pre

vista dalla legge del 1971, si differenzia dalla ipotesi di accetta

zione della indennità solo per qualche aspetto relativo alla de

terminazione del prezzo e al processo formativo del consenso.

Il prezzo, infatti, nel caso di accordo amichevole è diverso da

quello indicato nell'offerta originaria ed è fissato non più unila

teralmente dall'espropriante, ma da espropriante ed esproprian

do, con l'eventuale intervento conciliativo del sindaco. Peral

tro, a parte il detto particolare processo di formazione del con

senso, anche l'accettazione del prezzo comunicato dall'espro

ne), un negozio di cessione volontaria come accordo traslativo della

proprietà: la sistemazione dogmatica della cessione nell'ambito di pro cedura espropriativa tende a configurarla come negozio di diritto pub

blico, che s'inserisce nel procedimento pubblicistico, pur mantenendo

un'autonomia concettuale con la conseguente capacità di produrre di

ritti ed obblighi per i contraenti (Cass. 17 giugno 1982, n. 3674, id.,

1983, I, 1359, con nota di richiami di Macario). L'attinenza alla procedura ablatoria impedisce però la configurazione

di un vero e proprio sinallagma, apparendo più corretta la definizione

come «negozio a carattere accertativo» (Mengoli, Manuale di diritto

urbanistico, Milano, 1992, 495): ne consegue che il prezzo di cessione

è sempre un'indennità e non può esser determinato diversamente da

quella che è la giusta indennità (Cass. 16 marzo 1994, n. 2513, Foro

it., Mass., 210; 1° agosto 1992, n. 9160, id., Rep. 1992, voce cit., n.

242; 5 giugno 1992, n. 6960, ibid., n. 241; 8 novembre 1989, n. 4695,

id., Rep. 1990, voce cit., n. 245; 9 giugno 1988, n. 3924, id., Rep. 1988, voce cit., n. 167; 12 gennaio 1988, n. 144, ibid., n. 197; 13 giu

gno 1985, n. 3549, id., Rep. 1985, voce cit., n. 216; 6 dicembre 1984, n. 6424, id., Rep. 1984, voce cit., n. 214; Cons. Stato, sez. IV, 25

novembre 1991, n. 969, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 248; Trib. sup.

acque 14 luglio 1990, n. 59, id., Rep. 1990, voce cit., n. 247). Sugli effetti dell'entrata in vigore dei nuovi criteri indennitari, di cui all'art.

5 bis 1. 8 agosto 1992 n. 359, sulla cessione volontaria, v. Corte cost. 16 dicembre 1993, n. 442, id., 1994, I, 4, con nota di richiami.

In dottrina, sulla natura della cessione volontaria: Filanti, La cessio

ne sostitutiva d'esproprio, Milano, 1990; Vignale, L'espropriazione per

pubblica utilità e le ultime leggi di modifica, Napoli, 1994, 215 ss.; Di Silvestro, Prime note di commento all'art. 5 bis della I. 8 agosto 1992 n. 359, con particolare riferimento alla cessione volontaria, in Riv.

giur. urbanistica, 1992, 513; Sassu, La cessione volontaria in corso di

espropriazione e la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 1 I. 29

luglio 1980 n. 385, in Riv. giur. sarda, 1991, 73; Ammendola, La ces

sione volontaria dei beni nel procedimento espropriativo, in Ammin.

it., 1989, 1836; Forlenza, Potestà ablatoria della pubblica amministra

zione, diritto soggettivo (potestativo) del privato e cessione volontaria

dei beni espropriandi, in Riv. giur. edilizia, 1987, I, 793; Id., La cessio

ne volontaria di immobili espropriandi dopo la sent. 19 luglio 1983, n. 223 della Corte costituzionale, in Giust. civ., 1987, I, 1851; Id., La cessione volontaria di immobili espropriandi. Posizione giuridica del

privato, natura del contratto e suoi profili di nullità, in Riv. giur. edili

zia, 1986, I, 340; Carbone, Il «prezzo» della cessione volontaria di

immobili è sottratto alla volontà delle parti?, in Corriere giur., 1985, 1128.

II. - Nel merito della questione oggetto di esame della prima delle

pronunce in epigrafe, i manufatti non sono stati considerati immedesi

mati al suolo, e dunque ininfluenti ai fini della determinazione del valo

re (e della sua maggiorazione ai sensi dell'art. 12 1. 22 ottobre 1971

n. 865), con l'esperibilità dell'azione di ripetizione in caso di errata

liquidazione (Cass. 16 aprile 1992, n. 4702, Foro it., Rep. 1992, voce

cit., n. 240). In genere, sull'espropriazione ai sensi della 1. 219/81, Cass. 6 novem

bre 1993, n. 10998, id., 1993, I, 3246, con nota di richiami.

III. - Con riferimento alla seconda delle pronunce in epigrafe, sul

l'obbligo di restituzione di cui all'art. 2038 c.c. (con identificazione del

la buona fede di cui all'art. 2037 c.c. con quella prevista dall'art. 1147

c.c., che è inficiabile dalla colpa grave), v. Cass. 29 febbraio 1988, n. 2119, id., Rep. 1988, voce Indebito, n. 4 e 4 maggio 1978, n. 2087,

id., 1979, I, 180, con nota di richiami di Macioce.

Per l'ipotesi di impossibilità di restituzione del bene ceduto per irre

versibile destinazione alla realizzazione dell'opera pubblica, v. Cass. 17

giugno 1982, n. 3674, cit.

Il Foro Italiano — 1994.

priante comporta un incontro di volontà circa l'ammontare del

lo stesso, per cui le due figure vengono sostanzialmente a coin

cidere.

Al riguardo deve rilevarsi che, secondo i prevalenti indirizzi

giurisprudenziali (per tutte: Cass. 9209/90, Foro it., Rep. 1990, voce Espropriazione per p.i., n. 154; 4702/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 240) e dottrinari — ai quali il collegio intende ade

rire, condividendoli — gli accordi amichevoli finalizzati alla de

terminazione della indennità di espropriazione integrano una ipo tesi di negozio di diritto pubblico, non produttivo di effetti tra

slativi, ma avente ad oggetto la definizione della misura

dell'equivalente monetario del valore del bene soggetto ad abla

zione, nonché la nascita dei conseguenti diritti e doveri, a favo

re e a carico dei contraenti.

In tale ottica, il carattere pubblico del negozio deriva dal fat

to che esso presuppone un procedimento pubblicistico e si inse

risce nel suo iter, mentre la sua autonomia e la conseguente

capacità di produrre direttamente diritti ed obblighi per i con

traenti conseguono dalla finalità di semplificare la procedura

pubblicistica e di ridurre la conflittualità giudiziaria, nonché dalla non casuale definizione di «diritto» assegnata alla facoltà del

proprietario di convenire la cessione e fissare la misura dell'in

dennizzo (art. 14 1. 10/77). Nella descritta prospettiva e in particolare riferimento all'ipo

tesi di specie (accordo stipulato nel corso della procedura espro

priativa con finalità di porre termine ali 'iter del procedimento amministrativo attraverso la determinazione concordata dell'in

dennità e il trasferimento immediato del bene) deve ritenersi

che l'espropriante, allorché il proprietario dichiara di volersi gio vare della norma, non ha una mera facoltà, ma l'obbligo di

acquistare l'immobile ad un prezzo pari al 150% dell'indennità

provvisoria, a meno che non rinunci alla espropriazione; e che

il contratto traslativo stipulato con l'espropriante nel corso del

la procedura ablativa integra una vera e propria compravendi

ta, sia pure qualificata da una particolare finalità, quale quella di porre termine alla procedura ablativa medesima.

Tale costruzione implica l'affermazione, in favore dell'espro

priarne, della esperibilità delle azioni ordinarie di adempimento e di risoluzione (con l'unico limite dell'eventuale già avvenuta

destinazione pubblica dell'immobile); e, conseguentemente, ri

correndone i presupposti, dell'azione di indebito oggettivo, di

cui all'art. 2033 c.c.

Va, pertanto, riaffermato il principio, per quanto attiene al

caso di specie, secondo cui, con riguardo a procedura espro

priativa, promossa a norma della 1. 219/81 e per la quale vi

sia stata accettazione dell'indennità fissata in via provvisoria e/o siano intervenuti accordi amichevoli in punto di cessione

del bene e determinazione della indennità, con triplicazione in

favore del proprietario-coltivatore diretto di detta indennità, la

controversia vertente sulla legittimità o meno dell'estensione di

detta triplicazione anche ai manufatti insistenti sul fondo spetta alla cognizione del giudice ordinario, nel quadro della azione

ordinaria di ripetizione di indebito oggettivo rappresentato dal

la maggior somma che sia stata corrisposta all'espropriato (Cass.

9209/90, cit.). Come premesso, restano naturalmente assorbiti i restanti

motivi.

Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo di ricor

so nei termini delle proposizioni che precedono, la sentenza im

pugnata va cassata, con rinvio del giudizio ad altra sezione del

la Corte di appello di Napoli.

II

Motivi della decisione. — Con i primi due motivi del propo sto ricorso il ricorrente censura la decisione impugnata che ha

ritenuto applicabile l'art. 2038 c.c. anche all'ipotesi di trasferi mento del bene a seguito di cessione volontaria successivamente

annullata con conseguente caducazione del titolo che giustifica

va la consegna del bene, nelle more alienato al terzo, ricondu

cendo cosi l'indennizzo spettante al solvens all'irrisorio corri

spettivo pagato dal terzo aìì'accipiens detratto il prezzo. Secon

do il ricorrente questa soluzione violerebbe il principio del nostro

ordinamento secondo cui alla caducazione di una situazione giu ridica dovrebbe seguire una piena reintegrazione nella preceden

te situazione cui inerivano i rapporti che sono stati annullati.

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1755 PARTE PRIMA 1756

Inoltre, la corte, avendo ignorato la peculiarità della fattispecie relativa ad una vicenda espropriativa e quindi che il prezzo del

la cessione non fosse liberamente ed autonomamente determi

nato dalle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale, ha

sottovalutato che nella specie il comune subito dopo la cessione

ha alienato il bene espropriato a basso prezzo. La censura non è fondata. Ed infatti il ricorrente pur cono

scendo l'indirizzo giurisprudenziale che ritiene applicabile la di

sposizione dell'art. 2038 a qualsiasi ipotesi di intervenuta cadu

cazione dell'atto traslativo di un bene determinato, ne conside

ra abnormi le conseguenze perché al ricorrente spetta solo la

restituzione del prezzo ricavato dall'espropriante comune con la vendita al terzo, anziché una somma pari all'effettivo valore

reale del fondo ceduto in base all'art. 12 1. 865/71.

L'assunto non ha alcun pregio, perché il principio invocato

non è affatto previsto dall'ordinamento, in quanto proprio l'art.

1445 c.c. limita gli effetti dell'annullamento nei confronti dei

terzi acquirenti a titolo oneroso, ove l'annullamento non derivi da incapacità legale. Basterebbe ricordare solo questo principio

perché nell'ipotesi di cosa ricevuta indebitamente in base ad una

cessione volontaria annullata per errore bilaterale delle parti e

ceduta al terzo prima di conoscere l'obbligo di restituirla, l'or

dinamento attribuisca al solvens il diritto al solo corrispettivo consentito dall'accipiens con l'alienazione a meno che non si tratti di atti a titolo gratuito, ovvero di mala fede dell'accipiens.

Sotto questo profilo la decisione impugnata non merita la

censura rivoltale avendo applicato correttamente la disposizione dell'art. 2038 c.c. Quest'ultima norma disciplina sia le ipotesi di indebito oggettivo di cui Vaccipiens abbia ricevuto in buona

fede una cosa determinata, alienandola prima di conoscere l'ob

bligo di restituirla. Non è contestata infatti che l'alienazione

del bene da parte dell'accipiens sia avvenuta prima della notifi

cazione da parte del solvens della domanda con cui impugnò l'avvenuta cessione volontaria.

In realtà la ripetizione di indebito ha una funzione recupera toria che prescinde dall'invalidità dell'atto traslato. Basti pensa re alla non coincidenza degli effetti tra la condictio indebiti e

la dichiarazione di nullità del negozio, o meglio tra la tutela

accordata al proprietario, che di fronte alla nullità del trasferi

mento perde la titolarità del bene, oggetto della prestazione, e quella accordata al solvens incentrata sul recupero dell'indebi to. Sicché la condictio indebiti non va considerata una mera

conseguenza della nullità del negozio sottostante, ma ha la sua

fonte autonoma nell'obbligazione restitutoria propria dell'inde

bito, distinto sia dal contratto che dal fatto dannoso.

Alla stregua di queste considerazioni non rileva il tipo di con tratto o di titolo che abbiano legittimato la datio dal solvens

all'accipiens, sia esso un contratto o un decreto di esproprio o una dichiarazione di pubblica utilità su cui si è innestata la

cessione volontaria, in quanto all'ordinamento è indifferente che la cosa sia entrata nel patrimonio dell 'accipiens per effetto di

un volontario consapevole passaggio a carico del suo patrimo nio. Fulcro della disposizione è soltanto la consegna o ricezione della cosa da parte dell' accipiens sine titulo o con titolo succes sivamente annullato, sicché se la cosa è detenuta indebitamente o sine causa scatta l'indebito oggettivo come una delle fonti

rientranti tra gli altri atti o fatti previsti come fonte dell'obbli

gazione dall'art. 1173 c.c., che legittima il solvens a chiedere la restituzione di quanto indebitamente consegnato.

L'azione di restituzione spettante al solvens e collegata a que sta fonte dell'obbligazione ha carattere personale ed è circo scritta ai rapporti tra solvens ed accipiens, salva l'ipotesi della

presenza del terzo previsto dall'ordinamento negli atti a titolo

gratuito ed in quello a titolo oneroso solo se non si è ancora verificato il pagamento del prezzo.

In conclusione, la natura personale dell'azione restitutoria avente ad oggetto una cosa determinata, da un lato, prescinde dal titolo che ha sorretto la consegna della cosa indebitamente

ricevuta dall'altro, non coinvolge il terzo acquirente tranne che nei limiti assai ristretti previsti dall'ordinamento, sicché nessuna violazione ha compiuto il giudice di merito, non rilevando ai fini della consegna di una cosa non dovuta il rapporto espro priativo anziché quella di una normale alienazione.

Con il terzo e quarto motivo del proposto ricorso da esami

nare congiuntamente in quanto strettamente connessi si censura

l'impugnata sentenza per aver riconosciuto la buona fede del

l'amministrazione comunale, nonostante il programma diretto

Il Foro Italiano — 1994.

a beneficiare la soc. Terminal. In particolare il giudice del meri

to avrebbe errato nel riconoscere efficacia di giudicato al prece dente giudizio di annullamento della cessione volontaria per er

rore bilaterale e nel motivare gli estremi della buona fede con

tutta una serie di supposizioni che non sono idonee ad elimina

re la colpa grave del comune che dichiara di non conoscere una decisione tanto attesa e di cosi vasta portata.

L'assunto è fondato. Com'è noto, gli art. 2037 e 2038 c.c.

adoperano il concetto di buona fede a carattere soggettivo, mu

tuandolo dalla norma fondamentale dell'art. 1147 che presume la buona fede, escludendola quando l'ignoranza dipenda da colpa

grave. Sennonché, il giudice del merito non si dà carico di que sto profilo e motiva il proprio convincimento sul presupposto dell'influenza del giudicato di annullamento che comprendereb be anche la buona fede. Ma la tesi non è esatta perché dal

giudicato di annullamento per errore non deriva necessariamen

te la buona fede del comune. L'annullamento, infatti, concerne il venir meno del titolo giustificativo della prestazione che, dan do luogo all'indebito oggettivo, costituisce il presupposto della

nuova ed autonoma obbligazione. Non senza aggiungere che

la presenza dell'errore non esclude di per sé che l'ignoranza

dipenda da colpa grave cosi che l'errore, pur essendo essenziale

e riconoscibile ai fini dell'annullamento, non sia anche scusabi le ai fini della colpa grave. Occorre tener conto che il richiamo

esplicito all'esclusione dell'efficacia della buona fede in presen za di colpa grave viene ad introdurre un elemento di eticità co

me limite per la rilevanza di un errore che derivi da supina ed inescusabile ignoranza o dalla violazione di norme di com

portamento (cfr. Cass. 26 marzo 1980, n. 2011, Foro it., Rep.

1980, voce Titoli di credito, n. 16), peraltro necessarie per una

pubblica amministrazione che non può permettersi di ignorare le leggi dello Stato o le loro modifiche, integrazioni o abroga zioni per effetto delle sentenze della Corte costituzionale, tenu

ta com'è al rispetto dei principi di legalità e buona amministra

zione scolpiti nell'art. 97 Cost.

Particolarmente non convincente è la motivazione della sen tenza impugnata sulla buona fede basata su supposizioni e non

su presunzioni come quella del piccolo paese di montagna che

avrebbe diritto a non essere diligente o a non conoscere l'ordi

namento, in contrasto con la stessa espropriazione destinata ad

attrezzature turistiche di una località che con alberghi ed im

pianti di risalita intende essere un centro turistico invernale. An che le presunte difficoltà di diffusione capillare della Gazzetta

ufficiale e delle riviste giuridiche non sono convincenti per l'e

sclusione della colpa grave in quanto la notizia dell'incostituzio

nalità del valore agricolo medio ebbe una notevole immediata

diffusione tramite i mass media. Del resto, la decisione era atte sa da nove anni e cioè dall'entrata in vigore della 1. 865/71, tant'è che il parlamento, allo scopo di evitare la temuta dichia

razione di incostituzionalità, aveva introdotto prima con la 1.

247/74 e poi con la 1. 10/77 cospicui miglioramenti per l'espro

priato. Né può trascurarsi che le amministrazioni comunali, che gestiscono il territorio attraverso gli strumenti urbanistici (pia no regolatore generale o programma di fabbricazione) ed edilizi

(regolamenti edilizi), sono tutte particolarmente attente e sensi bili alla normativa sull'espropriazione, indispensabile per realiz zare opere pubbliche comunali o statali, ma sul territorio del

comune, previste nella pianificazione urbanistica e per altro verso

oggetto di mutui o contributi da parte dello Stato. Del tutto infondato è, infine, il richiamo alle discussioni dottrinali o alle

equivoche interpretazioni sull'intervenuta dichiarazione di inco stituzionalità tanto è vero che il legislatore dell'epoca, affezio

nato al valore agricolo medio, fu costretto a ricorrere all'intro

duzione di una nuova legge per reintrodurlo sia pure a livello di anticipazione salvo conguaglio promulgata il 29 luglio 1980 n. 385.

Le argomentazioni espresse sono del tutto insufficienti perché l'amministrazione comunale non poteva non sapere che il giudi ce delle leggi con la sentenza n. 5 del 1980 (id., 1980, I, 273), resa pubblica con efficacia erga omnes sulla Gazzetta ufficiale del 6 febbraio 1980, aveva soppresso il criterio del valore agricolo.

Questa attesa e assai nota decisione della Corte costituzionale che ha eliminato dall'ordinamento il criterio del valore agricolo medio, alla base dell'accordo sulla cessione volontaria, non po teva non essere conosciuta e responsabilmente applicata dal co mune resistente, o da qualsiasi altra pubblica amministrazione, alla fine dell'aprile dello stesso anno 1980. Il giudice di rinvio

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 3 marzo 1994, n. 2083; Pres. Montanari Visco, Est. Rocchi, P.M. Viale (concl. conf.); Consorzio Quarto

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dovrà quindi riesaminare se l'ignoranza del comune resistente

non derivi da colpa grave, e la questione è rilevante per la fatti

specie poiché dall'esclusione della buona fede deriva per l'acci

piens la restituzione non più del solo prezzo ricevuto dal terzo

per l'alienazione dell'immobile, ma l'obbligo di corrispondere il valore del suolo alienato alla soc. Terminal. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 25 feb braio 1994, n. 1933; Pres. Romagnoli, Est. Fancelli, P.M.

Leo (conci, conf.); Soc. Flaminia auto (Avv. Prudenzano)

c. Soc. Augusta assicurazioni (Avv. Tabellini). Conferma

App. Torino 31 maggio 1990.

Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Contratto auto

nomo di garanzia — Validità — Eccezioni (Cod. civ., art.

1322).

È valido il contratto autonomo di garanzia con cui il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto della garanzia

a semplice richiesta del creditore garantito senza opporre ec

cezioni attinenti alla validità, all'efficacia e alle vicende del rapporto principale, salva l'exceptio doli. (1)

Svolgimento del processo. — Con contratto 11 maggio 1979

la Fiat auto s.p.a., gruppo veicoli Fiat, filiale di Roma, conce

deva alla Flaminia auto s.r.l. il diritto di rivendere direttamente

al pubblico le autovetture nuove fabbricate dalla Fiat.

Al fine di garantire l'esatto adempimento di ogni obbligazio

ne assunta verso la Fiat, la Flaminia auto, con l'accordo esplici

to della Fiat, stipulava con la Augusta assicurazioni s.p.a. una

polizza cauzionale datata 29 aprile 1985, contenente un contrat

to di fideiussione, in forza del quale la Augusta assicurazioni

si obbligava entro il limite massimo di lire 900.000.000, a paga re alla Fiat, su richiesta di quest'ultima, previo avviso alla Fla

minia auto ma senza bisogno del preventivo consenso di que

st'ultima, le somme di denaro dovute dalla Flaminia auto alla

Fiat in esecuzione del contratto di concessione suddetto con ef

ficacia dal giorno 1° aprile 1985 al 31 marzo 1986. All'atto

della sottoscrizione della polizza la Flaminia auto si obbligava

(1) In senso conforme, v. Trib. Crema 2 gennaio 1993, Foro it., 1993,

I, 2175; Cass. 24 aprile 1991, n. 4519, id.. Rep. 1991, voce Fideiussione

e mandato di credito, n. 24; 26 giugno 1990, n. 6499, ibid., voce Con

tratto in genere, n. 178; 6 ottobre 1989, n. 4006, id., Rep. 1989, voce

Fideiussione e mandato di credito, n. 54; Pret. Milano 13 marzo 1989,

id., Rep. 1990, voce Contratto in genere, n. 188; App. Milano 4 marzo

1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 196; Cass. 1° ottobre 1987, n. 7341,

id., 1988, I, 103 e 3021, con note di Vitale, Tucci e Caiderale.

Peraltro, nel contratto autonomo di garanzia {performance bond), in cui il garante si obbliga ad eseguire la prestazione oggetto della ga

ranzia a prima domanda in seguito alla semplice dichiarazione del

creditore-beneficiario circa il verificarsi dell'inadempimento dell'obbli

gazione principale e senza alcuna possibilità di proporre eccezioni, la

prestazione del garante stesso resta pur sempre circoscritta alla perdita subita dal creditore per detto inadempimento: pertanto, in presenza di

una pretesa del garantito che sia rivolta a richiedere somme eccedenti

rispetto a quelle effettivamente dovute e pagate dal debitore principale, deve riconoscersi al garante la facoltà di rifiutare il versamento delle

somme medesime ove risulti prima facie in modo certo la suddetta ecce

denza (Cass. 6 ottobre 1989, n. 4006, id., Rep. 1989, voce Fideiussione

e mandato di credito, n. 54). In dottrina, v., riassuntivamente, Viale, I contratti autonomi di ga

ranzia, in Alpa-Bessone, I contratti in generale: i contratti atipici, To

rino, 1991, 627, secondo cui il contratto autonomo di garanzia mira

non già a garantire l'adempimento dell'obbligazione del debitore princi

pale, ma ad assicurare la soddisfazione dell'interesse economico del be

neficiario compromesso dall'inadempimento del debitore stesso.

Il Foro Italiano — 1994.

a rimborsare alla società assicuratrice, ossia al fideiussore, ogni

somma pagata da quest'ultimo alla Fiat precludendosi la facol

tà di sollevare eccezioni. Mediante una «appendice» alla sud

detta polizza «cauzionale», Franco Andreoli e Maria Cristina

D'Amico si obbligavano in solido con la «contraente» Flaminia

auto s.r.l. a rimborsare alla Augusta assicurazioni s.p.a., «a

semplice richiesta» di quest'ultima e precludendosi la facoltà

di opporre «alcuna eccezione» (segnatamente quelle fondate su

gli art. 1950, 1952, 1955, 1956, 1957 c.c.), qualsiasi somma di denaro la Augusta assicurazioni fosse tenuta a pagare od avesse

pagato «in dipendenza» della polizza cauzionale.

Mediante lettera datata 12 novembre 1986 la Fiat auto chie

deva alla Augusta assicurazioni, in forza della fideiussione pre

stata da quest'ultima nella polizza cauzionale, il pagamento di

lire 809.409.255 dovutele dalla concessionaria Flaminia auto,

che non aveva pagato alle scadenze, i capitali indicati in ottan

tasei fatture; detta richiesta aveva tenuto conto del debito della

Fiat auto verso la concessionaria, ammontante a lire 89.947.099.

La Augusta assicurazioni pagava alla Fiat auto la somma di

lire 809.409.255 il 13 gennaio 1987. Valendosi della clausola 9 della polizza assicurativa, la Augu

sta assicurazioni, il 18 novembre 1986, avvisava inutilmente la

s.r.l. Flaminia auto nonché F. Andreoli e M. C. D'Amico, coob

bligati solidali con la Flaminia auto, d'essere stata richiesta del

pagamento; lo eseguiva, e quindi otteneva dal presidente del

Tribunale di Torino il decreto 3 marzo 1987 contenente l'in

giunzione ai tre suddetti debitori solidali di pagare il capitale

di lire 809.499.255 con gli interessi. La Flaminia auto s.r.l. nonché i fideiussori Andreoli e D'A

mico si opponevano al decreto per le seguenti ragioni:

1) la polizza assicurativa era stata firmata il 29 aprile 1985

da uno solo dei due amministratori (Franco e Claudio Andreo

li) della s.r.l. Flaminia auto, i quali sino al 28 ottobre 1985

avevano avuto dallo statuto sociale il potere di rappresentare

disgiuntamente la società soltanto per eseguire atti di «gestione

ordinaria»; quindi la polizza suddetta, quale atto di gestione

straordinaria, era nulla e inefficace;

2) la Augusta assicurazioni s.p.a. aveva «incautamente» pa

gato alla Fiat auto una somma di denaro non corrispondente

all'effettivo debito della Flaminia auto verso la Fiat, poiché que

st'ultima era a sua volta debitrice verso la Flaminia auto della

somma di lire 479.854.584 oltre rivalutazione e interessi.

Il tribunale respingeva l'opposizione.

La Flaminia auto ed i fideiussori Andreoli e D'Amico propo

nevano gravame, che veniva rigettato con sentenza 13 aprile-31

maggio 1990 dalla Corte d'appello di Torino. Detta corte osser

vava quanto segue: i due amministratori (Franco e Claudio An

dreoli), nel firmare congiuntamente il contratto di concessione,

avevano obbligato la Flaminia auto nei confronti della Fiat au

to s.p.a. a «costituire», a favore di quest'ultima, «una cauzione

od altro tipo di idonea garanzia corrispondente all'esposizione

della Fiat».

La sottoscrizione della polizza cauzionale in questione rap

presentò pertanto il mero adempimento dell'obbligo assunto va

lidamente dalla Flaminia auto, e quindi non implicò una scelta

di politica aziendale, ulteriore rispetto alla scelta già compiuta

da entrambi i rappresentanti della società.

L'Augusta ha diritto di ricevere il rimborso della somma pa

gata alla Fiat auto avendo provato di avere esattamente esegui

to la prestazione cui era obbligata, costituita dal pagamento

dei crediti della Fiat documentati da quest'ultima mediante fat

ture emesse tra il 1° aprile 1985 ed il 31 marzo 1986, quindi

relative ad operazioni concluse entro detto periodo, tenuto con

to che la prima fattura è datata 31 dicembre 1985, e l'ultima

è datata 20 marzo 1986 (essendo irrilevante la circostanza che

i crediti indicati nelle ultime 28 fatture cadessero dopo il 31

marzo 1986, ma molti mesi prima del pagamento eseguito dalla

società assicuratrice il 13 gennaio 1987).

Secondo la clausola 7 della polizza, i crediti vantati dalla Fiat

auto non erano sindacabili dalla società assicuratrice, altrimenti

sarebbe venuto meno l'automatismo della soddisfazione del cre

dito della Fiat, automatismo necessario per rendere equivalente

al deposito cauzionale (sufficiente ad estinguere il debito) il mec

canismo negoziale messo in funzione dalla polizza cauzionale.

Contro questa decisione ricorrono per cassazione la Flaminia

auto s.r.l. in liquidazione, i suoi fideiussori D'Amico e An

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