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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || Sezione I civile; sentenza 6 agosto 1979, n....

Date post: 30-Jan-2017
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Sezione I civile; sentenza 6 agosto 1979, n. 4557; Pres. Mirabelli, Est. Granata, P. M. La Valva (concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Fienga) c. Vaghi (Avv. Gaetani). Cassa App. Milano 21 gennaio 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1980), pp. 103/104-105/106 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171832 . Accessed: 24/06/2014 22:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.82 on Tue, 24 Jun 2014 22:37:15 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; sentenza 6 agosto 1979, n. 4557; Pres. Mirabelli, Est. Granata, P. M. La Valva(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Fienga) c. Vaghi (Avv. Gaetani). Cassa App. Milano21 gennaio 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1980), pp. 103/104-105/106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171832 .

Accessed: 24/06/2014 22:37

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PARTE PRIMA

vanti dal rapporto contrattuale di mezzadria passano di diritto

all'acquirente » (art. 30). L'art. 2160 cod. civ. ha esteso il principio della continuazione

del rapporto mezzadrile a tutte le ipotesi in cui si verifichi un

trasferimento a qualsiasi titolo del godimento del fondo e non

limitatamente all'annata agraria in corso.

Onde in caso di trasferimento del diritto di godimento del fon

do concesso a mezzadria la mezzadria non si risolve e l'acqui rente subentra ope legis nell'identica posizione giuridica che ave

va il concedente originario nel contratto mezzadrile. Il quale rimane oggettivamente immutato salvo la facoltà di recesso con

cessa al mezzadro in considerazione della natura associativa del

rapporto (Cass. 15 dicembre 1962, n. 3376, id., 1963, I,

256). Naturalmente la causa del trasferimento del godimento del

fondo può essere sia una successione a titolo universale che una

successione a titolo particolare. In questa seconda ipotesi la continuazione del rapporto mez

zadrile si verifica come risultato indiretto di un negozio giuri dico che abbia avuto per oggetto il podere concesso a mezzadria

(Cass. 11 novembre 1961, n. 2644, id., Rep. 1961, voce Agri

coltura, n. 93).

Dal principio stabilito dall'art. 2160 cod. civ. discende che an

che nelle ipotesi in cui il fondo sia stato alienato parzialmente a un singolo soggetto o totalmente con frazionamento in più lotti a singoli acquirenti non si ha il frazionamento del rapporto mezzadrile e quindi una pluralità di contratti, ma il contratto ri

mane unico con la sostituzione di una parte plurima all'origi nario unico concedente in quanto ope legis la mezzadria deve

continuare, solo che nel primo caso all'originario concedente uni

co si affianca pro quota l'acquirente della parte alienata del fon

do e nel secondo caso al concedente originario e nella medesima

posizione di questi subentrano i singoli acquirenti come parte

plurima e pluripersonale, per cui tranne che l'originario contratto

venga sostituito con distinti rapporti, di fronte al mezzadro, che

salva la sua facoltà di recesso, conserva i suoi diritti e i suoi ob

blighi. Vi saranno più persone in veste di concedenti quali com

proprietari pro quota del terreno concesso a mezzadria e delie

sue pertinenze (Cass. 30 novembre 1962, n. 3236, id., Rep. 1962,

voce Contratti agrari, n. 98; 22 giugno 1959, n. 1977, id., Rep.

1959, voce cit., n. 74).

Non ha pregio pertanto la considerazione svolta nella sentenza

impugnata secondo cui in caso di alienazione parziale del fondo

mezzadrile nasce un conflitto tra il diritto del proprietario e il

diritto del mezzadro « nella sola ipotesi di vendita a coltivatore

diretto di una parte del podere nella quale sussisteva la casa

colonica », in quanto di fronte al diritto del proprietario di alie

nare porzialmente il fondo vi è il diritto del mezzadro a « che

la parte del fondo nella quale permane il contratto di mezza

dria sia dotata di un'adeguata casa colonica (art. 2145 cod. civi

le) ». E l'asserito conflitto andrebbe risolto col sacrificio del dirit

to del proprietario che sarebbe tenuto a costruire la casa colo

nica perché in tale ipotesi « il contenuto del contratto viene

modificato unilateralmente a differenza del caso di vendita del

l'intero fondo a coltivatore diretto dove è la legge che consente

la risoluzione del contratto ».

L'alienazione a titolo particolare di tutto o di parte del fondo

mezzadrile in virtù del principio posto dall'art. 2160 cod. civ.

produce infatti solo il subentro dell'acquirente in luogo e a fian

co dell'originario concedente determinando in questa seconda

ipotesi la trasformazione in parte pluripersonale dell'originario concedente unico senza alcun mutamento del rapporto mezza

drile che non viene frazionato e rimane unico tranne che la so

stituzione sia stata pattuita e attuata consensualmente con il

mezzadro.

Le vicende successive del rapporto unico mezzadrile dei rap

porti che casualmente hanno sostituito l'originario rapporto uni

co non possono quindi in nessun caso ripercuotersi sull'origi nario concedente soprattutto quando dette vicende traggono la

loro origine dalle qualità delle parti. Le modificazioni che si verificano per effetto dell'alienazione

parziale del fondo mezzadrile sono, dunque, unicamente sogget tive e non incidono per se stesse sull'oggetto del contratto ossia

sul fondo che rimane instructus e cioè munito della casa co

lonica.

Vicende e modificazioni possono riguardare certamente anche

l'oggetto del contratto per mera volontà delle parti, ma esse non

sono certamente collegate, se non indirettamente, all'avvenuta ven

dita parziale del fondo, ma si collegano invece direttamente alla

volontà dei soggetti che le hanno volute ed attuate.

In particolare se l'acquirente della parte del fondo compra venduto sia, come nella specie, un coltivatore diretto, può certa

mente verificarsi un conflitto tra le parti per le contrapposte pre tese. E cioè una delle parti, l'acquirente della parte del fondo,

se coltivatore diretto, potrebbe pretendere il rilascio parziale del

fondo per coltivarlo direttamente, e l'altra parte, e cioè il mez

zadro, potrebbe pretendere di conservare per intero il fondo per effetto della proroga legale.

Ma il detto conflitto deve essere risolto dal giudice compe tente per le controversie agrarie, il quale giudice deve accertare

se è fondata la domanda di cessazione della proroga e il rilascio

solo di una parte del fondo mezzadrile, specie di quella su cui

insiste la casa colonica.

Se invece esso trova, come nella fattispecie, volontaria solu

zione, con la rinuncia da parte del mezzadro alla proroga e il

rilascio spontaneo della parte del fondo su cui insiste la casa

colonica, deve ritenersi che la perdita di quest'ultima sia avve nuta per sua volontà e, logicamente, deve escludersi la responsa bilità dell'originario concedente, venditore della parte del fondo

su cui insiste la casa colonica nel libero esercizio del suo diritto

di proprietà. L'avvenuta vendita costituisce solo una mera occasione del

l'evento lamentato (perdita della casa colonica) ma non costi

tuisce un fatto illecito fonte di responsabilità. Ovviamente può ritenersi che la vendita abbia determinato

un conflitto tra il nuovo soggetto del contratto mezzadrile e il

mezzadro, ma la soluzione del conflitto che ha prodotto la per dita della casa colonica in una con il rilascio spontaneo della

parte del fondo oggetto della compravendita, è addebitabile al

lo stesso mezzadro il quale deve imputare a se stesso quella per dita e giammai al concedente originario.

Se non fosse intervenuto il volontario rilascio del fondo da par te del mezzadro, il contratto originario sarebbe continuato sia

pure con due concedenti e lo stesso mezzadro avrebbe conser

vata la casa colonica. In tale situazione appare inconferente il ri

chiamo al precedente giurisprudenziale di questa corte (sent. n.

3717 del 1971) essendo diversi i presupposti di fatto e quindi lo

gicamente diverse le conseguenze di diritto. In quella fattispe cie venuto meno per fatto del principe (espropriazione) la casa

colonica, correttamente si è ritenuto che l'indennità aveva preso il posto del bene originario venuto meno e per i vincoli contrat

tuali che permanevano, la stessa indennità doveva essere desti

nata al ripristino del bene originario da tenersi nel contratto

(originaria casa colonica). Pertanto il motivo deve essere accolto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 6 ago sto 1979, n. 4557; Pres. Mirabelli, Est. Granata, P.M. La

Valva (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Fieno a) c. Vaghi (Avv. Gaetani). Cassa App. Milano 21 gsnnaio 1077.

Fabbricazione (imposte di) — Spirito — Violazioni — Prodotto

confiscato — Obbligo di pagamento dei diritti evasi — Sus

sistenza (D. m. 8 luglio 1924, t. u. delle disposizioni legislati ve per l'imposta di fabbricazione degli spiriti, art. 46).

Nelle ipotesi contravvenzionali previste dall'art. 46 t.u. 8 lu

glio 1924, l'imposta di fabbricazione è dovuta anche per gli

spiriti, in origine denaturati, assoggettati a sequestro e con

fisca. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con sentenza

del 29 marzo 1966, il Tribunale penale di Milano condannava

Piero Vaghi alle pene ritenute di giustizia, avendolo ricono

sciuto colpevole di concorso in operazioni per la rigenerazione di spirito denaturato per un quantitativo di 16.970 litri idrati,

corrispondenti a 16.122 litri anidri, dei quali 10.900 erano sta

ti rinvenuti e confiscati.

Su appello del Vaghi la corte di Milano, con sentenza pas

sata in giudicato in data 8 marzo 1969, dichiarava non doversi

procedere per intervenuta amnistia. Con ingiunzione notificata

il 14 marzo 1972, l'amministrazione finanziaria procedeva al re

cupero deT'imposta di fabbricazione gravante sull'intero quan

titativo di spirito denaturato passato alla rigenerazione, per un

importo complessivo di lire 16.208.430.

Il Vaghi proponeva opposizione, che il Tribunale di Milano

adito rigettava con sentenza 5 giugno 1975. Su gravame del

(1) Sullo specifico punto deciso non constano precedenti decisioni

edite della Cassazione. Per riferimenti in argomento v. Alessi, Le imposte di fabbricazione,

1956, 215 ss., che sembra ritenere che l'ipotesi di cui all'art. 46 t.u.

delle imposte di fabbricazione degli spiriti configuri una figura delit

tuosa e non contravvenzionale (la questione non rileva, peraltro, agli effetti della confiscabilità del prodotto).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Vaghi ed in parziale accoglimento dello stesso, la Corte d'appello di Milano, con la sentenza 21 gennaio 1977 oggi denunziata, ri teneva che l'imposta fosse dovuta non per l'intero quantitativo di litri anidri 16.122, ma soltanto per il quantitativo di litri anidri 5.222 non rinvenuti, e non anche per i litri anidri 10.900 sequestrati dalla polizia tributaria, sul rilievo che il se questro della merce oggetto del reato dispenserebbe in linea di

principio dal pagamento dei tributi sulla medesima gravanti. L'amministrazione ha proposto ricorso per cassazione, affida

to a due mezzi di annul'amento. Il Vaghi ha resistito con con

troricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, l'amministrazione finanziaria denunzia, a termini dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli art. 46 e 48 d. m. 8 luel'o 1924. t. u. delle leggi per l'imposta sugli spiriti, in correlazione

con l'art. 19 dello stesso d.m. e con l'art. 134 r.d. 25 novembre 1909 n. 762, nonché violazione e falsa applicazione degli art.

147, 149 e 151 del medesimo r.d. n. 762 del 1909. Ed addebita alla corte d'appe'lo l'errore di essersi rifatta sostanzialmente

all'art. 145 legge doganale 25 settembre 1940 n. 1424 per ricavar ne un principio di ordine generale, secondo il quale nel caso

di confisca o di sequestro di spiriti il contravventore sarebbe

esentato dal pagamento dei tributi, essendosi lo Stato assicurato

l'adempimento dell'obbligazione tributaria, come risulterebbe

avvalorato pure dagli art. 147, 149 e 151 del regolamento n. 762

del 1909. Ad avviso delia ricorrente, invece, l'art. 145 non espri merebbe affatto un principio di ordine generale, applicabile an

che alla specie, questa formando oggetto della previsione spe cifica dell'art. 46 d.m. 8 luglio 1924, che per le ipotesi contrav venzionali al regime degli spiriti denaturati ivi considerate di

sciplinerebbe la confisca in modo autonomo ed incompatible rispetto ai criteri dettati dall'art. 145 legge doganale. ' E sotto il profilo tanto letterale quanto razionale l'interpretazione del citato art. 46 condurrebbe a ritenere che, contrariamente ala

opinione seguita dalla corte d'appello, la decadenza dalla esen zione dall'imposta di fabbricazione e la conseguente debenza

dell'imposta stessa, comminata dal suo ultimo comma per le con travvenzioni nell'articolo stesso previste, operano anche con riferimento agli spiriti oggetto della confisca comminata dal se condo comma.

Nel suo contenuto essenziale, la censura è fondata. Nella sentenza impugnata il riferimento testuale all'art. 145 legge do

ganale — che esclude « dell'obbligo del pagamento dei diritti

doganali il caso in cui la merce oggetto del contrabbando sia stata sequestrata » — è contenuto nella esposizione del mo

tivo (il quarto) proposto sul punto dall'appellante Vaghi, men tre la ratio decidendi, cui la corte milanese sembra essersi ispi rata, è piuttosto il rinvenimento nella legislazione sugli spiriti, ed in particolare negli art. 147, 149 e 151 del regolamento ap provato con r.d. 25 novembre 1909 n. 762, di un principio iden

tico, suffragato dal mutamento della natura — da pena a misu ra amministrativa di sicurezza patrimoniale — della confisca

prevista dalla legislazione sugli spiriti per effetto della disposi zione dell'art. 8 r.d. 24 settembre 1931 n. 1473, recante disposi zioni per il coordinamento della legge 7 gennaio 1929 n. 4 con le singole leggi finanziarie.

Tuttavia, il problema se l'art. 145 legge doganale possa op pure no trovare applicazione anche nella materia dell'imposta di fabbricazione sugli spiriti, o se comunque la normativa pro pria di tale tributo consenta di enucleare dal suo complesso una

regola analoga a quella espressa dalla disposizione citata, non interessa la specifica questione oggetto della causa, che va in

ogni caso decisa alla stregua della particolare ed univoca disci

plina dettata dall'art. 46 t.u. delle leggi sull'imposta di fabbri cazione degli spiriti, qualunque sia i|l regime fiscale generale degli spiriti sottoposti a confisca fuori « dei casi considerati »

dal citato articolo e relativi alle controversie in tema di deten

zione ed utilizzazione degli spiriti denaturati. Nella fattispecie contravvenzionale; che in dipendenza dell'uso non consentito

degli spiriti denaturati comporta la decadenza dall'esenzione

originaria e la debenza dell'imposta, sono incluse non la sola

rettificazione completa ma anche la semplice detenzione di spi riti cosi trattati in condizioni diverse da quelle consentite e la

effettuazione di operazioni semplicemente preparatorie all'im

piego degli spiriti denaturati ad usi diversi da quelli stabiliti

(1° comma dell'art. 46): ed è in relazione alla violazione di «ta

li disposizioni » ohe è stabilita la confisca del materiale (2° com

ma), come — ripetesi — è per «tutti i casi considerati » nel

medesimo articolo, che sono cumulativamente previste e « l'ap

plicazione delle pene » e la riscossione della « imposta di fabbri

cazione » (5° comma).

Giustamente, quindi, sotto il profilo letterale e sistematico, la ricorrente amministrazione sottolinea come il comma per ul

timo ricordato, che in via generale ed omnicomprensiva stabi lisce il cumulo delle « pene » della « imposta », non possa non

intendersi riferito, anche per la sua collocazione a chiusura del

complesso normativo contenuto nell'articolo, pure all'evenien za della confisca, di cui al secondo comma. Tanto più che tale

conclusione — può aggiungersi — è suffragata dall'ulteriore ri lievo che nel linguaggio del legislatore precedente alla legge generale del 1929 sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, e proprio in materia di contravvenzioni all'imposta di fabbricazione degli spiriti '(cfr. rubrica e testo dell'art. 23 del

previgente t.u. 16 settembre 1909 n. 704, riprodotto immutato nel testo dei primi tre comma del corrispondente art. 37 t. u. del

1924), la «confisca» è appunto ricompresa fra le «pene», men tre la successiva sua qualificazione come misura di sicurezza (art. 8 citato r.d. il. 1453 del 1933) non può avere rilevanza nella in

dividuazione del valore semantico originario del termine e quin di dell'area alla quale il legislatore, con il suo uso, intendeva riferirsi nel dettare la norma positiva.

Sul piano della ratio, poi, tale particolare disciplina, secondo

la quale gli spiriti denaturati, se irregolarmente detenuti, tratta

ti o impiegati, sono assoggettati ad imposta pur quando, come

recita l'art. 46, 2° comma, «cadono in confisca», trova convin

cente. spiegazione nel rilievo che la incommerciabilità degli spi riti già denaturati e rigenerati, o sottoposti comunque ad un

trattamento di rigenerazione o in qualche modo idoneo ad al

terarne lo stato di denaturazione tipica, ne impedisce in via di

principio la alienazione e quindi esclude in assoluto — ove non

si voglia caricare l'amministrazione confiscante dell'onere di rin

novarne il procedimento di adulterazione — quelle possibilità di ricavarne un prezzo (non inferiore all'imposta di fabbrica

zione), in contemplazione della quale sarebbe consentito attri buire alla confisca — come nel caso dell'art. 145 legge dogana le: cfr. la relativa Relazione ministeriale — valore « virtualmen te » satisfattivo. Sotto altro profilo, la irrecupera'bilità da parte degli spiriti sottoposti a denaturazione delle qualità merceolo

giche originarie giammai permetterebbe, proprio per questa ra

gione di natura, la vendita del prodotto confiscato come spirito naturale, e mai quindi potrebbe pervenirsi alla riscossione del

l'imposta normale di fabbricazione in tempi e modi analoghi a

quelli previsti, con riferimento ancora al più volte citato art. 145 legge doganale, dall'art. 336 del relativo regolamento 13 febbraio 1896 n. 65.

Il primo motivo di ricorso va dunque accolto, affermandosi il

principio che, nell'ipotesi contravvenzionali previste dall'art. 46 t.u. 8 luglio 1924 sull'imposta di fabbricazione degli spiriti, l'im

posta stessa è dovuta anche per gli spiriti, in origine denaturati, assoggettati a sequestro e confisca. Rimane conseguentemente privo di rilevanza il secondo motivo, con il quale l'amministra zione rimprovera alla corte d'appello — una volta posta a base della sua decisione la correlazione tra esenzione dall'imposta de.la merce confiscata e funzione satisfattoria della confisca —

di avere trascurato l'accertamente se nel caso concreto quella funzione satisfattoria era possibile ovvero era di fatto ricorsa:

infatti, in relazione all'accoglimento del precedente motivo, re sta in radice esclusa la incidenza della confisca come causa im

peditiva (dell'insorgere) dell'obbligazione tributarla.

Pertanto, accogliendosi il primo motivo e dichiarandosi as sorbito il secondo, la sentenza impugnata va annullata, con rin vio della causa ad altro giudice di pari grado, che procederà al riesame alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassa zione.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 17 luglio 1979, n. 4217; Pres. Iannitti Piromallo, Est. Chiavelli, P. M. Ferraiuolo (conci, conf.); I.n.p.s. (Avv. Traverso,

Lironcurti) c. Mastandrea (Avv. Agostini, Tournier). Cas

sa Trib. Bari 19 novembre 1975.

Previdenza sociale — Assegni familiari — Seconda moglie del

nonno — Spettanza — Esclusione (D. pres. 30 maggio 1955

n. 797, t. u. sugli assegni familiari, art. 8).

Non spettano gli assegni familiari per la seconda moglie del

nonno a carico del lavoratore. (1)

(1) Nulla in termini. Sull'art. 8 t. u. assegni familiari cfr. Pret. Ancona 17 maggio 1977,

foro it., Rep. 1978, voce Previdenza sociale, n. 617, e Pret. Ancona 17 marzo 1977, id., 1978, il, 797, con nota di richiami, che hanno

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