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Sezione I civile; sentenza 6 agosto 1979, n. 4557; Pres. Mirabelli, Est. Granata, P. M. La Valva(concl. conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Fienga) c. Vaghi (Avv. Gaetani). Cassa App. Milano21 gennaio 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1980), pp. 103/104-105/106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171832 .
Accessed: 24/06/2014 22:37
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PARTE PRIMA
vanti dal rapporto contrattuale di mezzadria passano di diritto
all'acquirente » (art. 30). L'art. 2160 cod. civ. ha esteso il principio della continuazione
del rapporto mezzadrile a tutte le ipotesi in cui si verifichi un
trasferimento a qualsiasi titolo del godimento del fondo e non
limitatamente all'annata agraria in corso.
Onde in caso di trasferimento del diritto di godimento del fon
do concesso a mezzadria la mezzadria non si risolve e l'acqui rente subentra ope legis nell'identica posizione giuridica che ave
va il concedente originario nel contratto mezzadrile. Il quale rimane oggettivamente immutato salvo la facoltà di recesso con
cessa al mezzadro in considerazione della natura associativa del
rapporto (Cass. 15 dicembre 1962, n. 3376, id., 1963, I,
256). Naturalmente la causa del trasferimento del godimento del
fondo può essere sia una successione a titolo universale che una
successione a titolo particolare. In questa seconda ipotesi la continuazione del rapporto mez
zadrile si verifica come risultato indiretto di un negozio giuri dico che abbia avuto per oggetto il podere concesso a mezzadria
(Cass. 11 novembre 1961, n. 2644, id., Rep. 1961, voce Agri
coltura, n. 93).
Dal principio stabilito dall'art. 2160 cod. civ. discende che an
che nelle ipotesi in cui il fondo sia stato alienato parzialmente a un singolo soggetto o totalmente con frazionamento in più lotti a singoli acquirenti non si ha il frazionamento del rapporto mezzadrile e quindi una pluralità di contratti, ma il contratto ri
mane unico con la sostituzione di una parte plurima all'origi nario unico concedente in quanto ope legis la mezzadria deve
continuare, solo che nel primo caso all'originario concedente uni
co si affianca pro quota l'acquirente della parte alienata del fon
do e nel secondo caso al concedente originario e nella medesima
posizione di questi subentrano i singoli acquirenti come parte
plurima e pluripersonale, per cui tranne che l'originario contratto
venga sostituito con distinti rapporti, di fronte al mezzadro, che
salva la sua facoltà di recesso, conserva i suoi diritti e i suoi ob
blighi. Vi saranno più persone in veste di concedenti quali com
proprietari pro quota del terreno concesso a mezzadria e delie
sue pertinenze (Cass. 30 novembre 1962, n. 3236, id., Rep. 1962,
voce Contratti agrari, n. 98; 22 giugno 1959, n. 1977, id., Rep.
1959, voce cit., n. 74).
Non ha pregio pertanto la considerazione svolta nella sentenza
impugnata secondo cui in caso di alienazione parziale del fondo
mezzadrile nasce un conflitto tra il diritto del proprietario e il
diritto del mezzadro « nella sola ipotesi di vendita a coltivatore
diretto di una parte del podere nella quale sussisteva la casa
colonica », in quanto di fronte al diritto del proprietario di alie
nare porzialmente il fondo vi è il diritto del mezzadro a « che
la parte del fondo nella quale permane il contratto di mezza
dria sia dotata di un'adeguata casa colonica (art. 2145 cod. civi
le) ». E l'asserito conflitto andrebbe risolto col sacrificio del dirit
to del proprietario che sarebbe tenuto a costruire la casa colo
nica perché in tale ipotesi « il contenuto del contratto viene
modificato unilateralmente a differenza del caso di vendita del
l'intero fondo a coltivatore diretto dove è la legge che consente
la risoluzione del contratto ».
L'alienazione a titolo particolare di tutto o di parte del fondo
mezzadrile in virtù del principio posto dall'art. 2160 cod. civ.
produce infatti solo il subentro dell'acquirente in luogo e a fian
co dell'originario concedente determinando in questa seconda
ipotesi la trasformazione in parte pluripersonale dell'originario concedente unico senza alcun mutamento del rapporto mezza
drile che non viene frazionato e rimane unico tranne che la so
stituzione sia stata pattuita e attuata consensualmente con il
mezzadro.
Le vicende successive del rapporto unico mezzadrile dei rap
porti che casualmente hanno sostituito l'originario rapporto uni
co non possono quindi in nessun caso ripercuotersi sull'origi nario concedente soprattutto quando dette vicende traggono la
loro origine dalle qualità delle parti. Le modificazioni che si verificano per effetto dell'alienazione
parziale del fondo mezzadrile sono, dunque, unicamente sogget tive e non incidono per se stesse sull'oggetto del contratto ossia
sul fondo che rimane instructus e cioè munito della casa co
lonica.
Vicende e modificazioni possono riguardare certamente anche
l'oggetto del contratto per mera volontà delle parti, ma esse non
sono certamente collegate, se non indirettamente, all'avvenuta ven
dita parziale del fondo, ma si collegano invece direttamente alla
volontà dei soggetti che le hanno volute ed attuate.
In particolare se l'acquirente della parte del fondo compra venduto sia, come nella specie, un coltivatore diretto, può certa
mente verificarsi un conflitto tra le parti per le contrapposte pre tese. E cioè una delle parti, l'acquirente della parte del fondo,
se coltivatore diretto, potrebbe pretendere il rilascio parziale del
fondo per coltivarlo direttamente, e l'altra parte, e cioè il mez
zadro, potrebbe pretendere di conservare per intero il fondo per effetto della proroga legale.
Ma il detto conflitto deve essere risolto dal giudice compe tente per le controversie agrarie, il quale giudice deve accertare
se è fondata la domanda di cessazione della proroga e il rilascio
solo di una parte del fondo mezzadrile, specie di quella su cui
insiste la casa colonica.
Se invece esso trova, come nella fattispecie, volontaria solu
zione, con la rinuncia da parte del mezzadro alla proroga e il
rilascio spontaneo della parte del fondo su cui insiste la casa
colonica, deve ritenersi che la perdita di quest'ultima sia avve nuta per sua volontà e, logicamente, deve escludersi la responsa bilità dell'originario concedente, venditore della parte del fondo
su cui insiste la casa colonica nel libero esercizio del suo diritto
di proprietà. L'avvenuta vendita costituisce solo una mera occasione del
l'evento lamentato (perdita della casa colonica) ma non costi
tuisce un fatto illecito fonte di responsabilità. Ovviamente può ritenersi che la vendita abbia determinato
un conflitto tra il nuovo soggetto del contratto mezzadrile e il
mezzadro, ma la soluzione del conflitto che ha prodotto la per dita della casa colonica in una con il rilascio spontaneo della
parte del fondo oggetto della compravendita, è addebitabile al
lo stesso mezzadro il quale deve imputare a se stesso quella per dita e giammai al concedente originario.
Se non fosse intervenuto il volontario rilascio del fondo da par te del mezzadro, il contratto originario sarebbe continuato sia
pure con due concedenti e lo stesso mezzadro avrebbe conser
vata la casa colonica. In tale situazione appare inconferente il ri
chiamo al precedente giurisprudenziale di questa corte (sent. n.
3717 del 1971) essendo diversi i presupposti di fatto e quindi lo
gicamente diverse le conseguenze di diritto. In quella fattispe cie venuto meno per fatto del principe (espropriazione) la casa
colonica, correttamente si è ritenuto che l'indennità aveva preso il posto del bene originario venuto meno e per i vincoli contrat
tuali che permanevano, la stessa indennità doveva essere desti
nata al ripristino del bene originario da tenersi nel contratto
(originaria casa colonica). Pertanto il motivo deve essere accolto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 6 ago sto 1979, n. 4557; Pres. Mirabelli, Est. Granata, P.M. La
Valva (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato Fieno a) c. Vaghi (Avv. Gaetani). Cassa App. Milano 21 gsnnaio 1077.
Fabbricazione (imposte di) — Spirito — Violazioni — Prodotto
confiscato — Obbligo di pagamento dei diritti evasi — Sus
sistenza (D. m. 8 luglio 1924, t. u. delle disposizioni legislati ve per l'imposta di fabbricazione degli spiriti, art. 46).
Nelle ipotesi contravvenzionali previste dall'art. 46 t.u. 8 lu
glio 1924, l'imposta di fabbricazione è dovuta anche per gli
spiriti, in origine denaturati, assoggettati a sequestro e con
fisca. (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con sentenza
del 29 marzo 1966, il Tribunale penale di Milano condannava
Piero Vaghi alle pene ritenute di giustizia, avendolo ricono
sciuto colpevole di concorso in operazioni per la rigenerazione di spirito denaturato per un quantitativo di 16.970 litri idrati,
corrispondenti a 16.122 litri anidri, dei quali 10.900 erano sta
ti rinvenuti e confiscati.
Su appello del Vaghi la corte di Milano, con sentenza pas
sata in giudicato in data 8 marzo 1969, dichiarava non doversi
procedere per intervenuta amnistia. Con ingiunzione notificata
il 14 marzo 1972, l'amministrazione finanziaria procedeva al re
cupero deT'imposta di fabbricazione gravante sull'intero quan
titativo di spirito denaturato passato alla rigenerazione, per un
importo complessivo di lire 16.208.430.
Il Vaghi proponeva opposizione, che il Tribunale di Milano
adito rigettava con sentenza 5 giugno 1975. Su gravame del
(1) Sullo specifico punto deciso non constano precedenti decisioni
edite della Cassazione. Per riferimenti in argomento v. Alessi, Le imposte di fabbricazione,
1956, 215 ss., che sembra ritenere che l'ipotesi di cui all'art. 46 t.u.
delle imposte di fabbricazione degli spiriti configuri una figura delit
tuosa e non contravvenzionale (la questione non rileva, peraltro, agli effetti della confiscabilità del prodotto).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Vaghi ed in parziale accoglimento dello stesso, la Corte d'appello di Milano, con la sentenza 21 gennaio 1977 oggi denunziata, ri teneva che l'imposta fosse dovuta non per l'intero quantitativo di litri anidri 16.122, ma soltanto per il quantitativo di litri anidri 5.222 non rinvenuti, e non anche per i litri anidri 10.900 sequestrati dalla polizia tributaria, sul rilievo che il se questro della merce oggetto del reato dispenserebbe in linea di
principio dal pagamento dei tributi sulla medesima gravanti. L'amministrazione ha proposto ricorso per cassazione, affida
to a due mezzi di annul'amento. Il Vaghi ha resistito con con
troricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso, l'amministrazione finanziaria denunzia, a termini dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli art. 46 e 48 d. m. 8 luel'o 1924. t. u. delle leggi per l'imposta sugli spiriti, in correlazione
con l'art. 19 dello stesso d.m. e con l'art. 134 r.d. 25 novembre 1909 n. 762, nonché violazione e falsa applicazione degli art.
147, 149 e 151 del medesimo r.d. n. 762 del 1909. Ed addebita alla corte d'appe'lo l'errore di essersi rifatta sostanzialmente
all'art. 145 legge doganale 25 settembre 1940 n. 1424 per ricavar ne un principio di ordine generale, secondo il quale nel caso
di confisca o di sequestro di spiriti il contravventore sarebbe
esentato dal pagamento dei tributi, essendosi lo Stato assicurato
l'adempimento dell'obbligazione tributaria, come risulterebbe
avvalorato pure dagli art. 147, 149 e 151 del regolamento n. 762
del 1909. Ad avviso delia ricorrente, invece, l'art. 145 non espri merebbe affatto un principio di ordine generale, applicabile an
che alla specie, questa formando oggetto della previsione spe cifica dell'art. 46 d.m. 8 luglio 1924, che per le ipotesi contrav venzionali al regime degli spiriti denaturati ivi considerate di
sciplinerebbe la confisca in modo autonomo ed incompatible rispetto ai criteri dettati dall'art. 145 legge doganale. ' E sotto il profilo tanto letterale quanto razionale l'interpretazione del citato art. 46 condurrebbe a ritenere che, contrariamente ala
opinione seguita dalla corte d'appello, la decadenza dalla esen zione dall'imposta di fabbricazione e la conseguente debenza
dell'imposta stessa, comminata dal suo ultimo comma per le con travvenzioni nell'articolo stesso previste, operano anche con riferimento agli spiriti oggetto della confisca comminata dal se condo comma.
Nel suo contenuto essenziale, la censura è fondata. Nella sentenza impugnata il riferimento testuale all'art. 145 legge do
ganale — che esclude « dell'obbligo del pagamento dei diritti
doganali il caso in cui la merce oggetto del contrabbando sia stata sequestrata » — è contenuto nella esposizione del mo
tivo (il quarto) proposto sul punto dall'appellante Vaghi, men tre la ratio decidendi, cui la corte milanese sembra essersi ispi rata, è piuttosto il rinvenimento nella legislazione sugli spiriti, ed in particolare negli art. 147, 149 e 151 del regolamento ap provato con r.d. 25 novembre 1909 n. 762, di un principio iden
tico, suffragato dal mutamento della natura — da pena a misu ra amministrativa di sicurezza patrimoniale — della confisca
prevista dalla legislazione sugli spiriti per effetto della disposi zione dell'art. 8 r.d. 24 settembre 1931 n. 1473, recante disposi zioni per il coordinamento della legge 7 gennaio 1929 n. 4 con le singole leggi finanziarie.
Tuttavia, il problema se l'art. 145 legge doganale possa op pure no trovare applicazione anche nella materia dell'imposta di fabbricazione sugli spiriti, o se comunque la normativa pro pria di tale tributo consenta di enucleare dal suo complesso una
regola analoga a quella espressa dalla disposizione citata, non interessa la specifica questione oggetto della causa, che va in
ogni caso decisa alla stregua della particolare ed univoca disci
plina dettata dall'art. 46 t.u. delle leggi sull'imposta di fabbri cazione degli spiriti, qualunque sia i|l regime fiscale generale degli spiriti sottoposti a confisca fuori « dei casi considerati »
dal citato articolo e relativi alle controversie in tema di deten
zione ed utilizzazione degli spiriti denaturati. Nella fattispecie contravvenzionale; che in dipendenza dell'uso non consentito
degli spiriti denaturati comporta la decadenza dall'esenzione
originaria e la debenza dell'imposta, sono incluse non la sola
rettificazione completa ma anche la semplice detenzione di spi riti cosi trattati in condizioni diverse da quelle consentite e la
effettuazione di operazioni semplicemente preparatorie all'im
piego degli spiriti denaturati ad usi diversi da quelli stabiliti
(1° comma dell'art. 46): ed è in relazione alla violazione di «ta
li disposizioni » ohe è stabilita la confisca del materiale (2° com
ma), come — ripetesi — è per «tutti i casi considerati » nel
medesimo articolo, che sono cumulativamente previste e « l'ap
plicazione delle pene » e la riscossione della « imposta di fabbri
cazione » (5° comma).
Giustamente, quindi, sotto il profilo letterale e sistematico, la ricorrente amministrazione sottolinea come il comma per ul
timo ricordato, che in via generale ed omnicomprensiva stabi lisce il cumulo delle « pene » della « imposta », non possa non
intendersi riferito, anche per la sua collocazione a chiusura del
complesso normativo contenuto nell'articolo, pure all'evenien za della confisca, di cui al secondo comma. Tanto più che tale
conclusione — può aggiungersi — è suffragata dall'ulteriore ri lievo che nel linguaggio del legislatore precedente alla legge generale del 1929 sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, e proprio in materia di contravvenzioni all'imposta di fabbricazione degli spiriti '(cfr. rubrica e testo dell'art. 23 del
previgente t.u. 16 settembre 1909 n. 704, riprodotto immutato nel testo dei primi tre comma del corrispondente art. 37 t. u. del
1924), la «confisca» è appunto ricompresa fra le «pene», men tre la successiva sua qualificazione come misura di sicurezza (art. 8 citato r.d. il. 1453 del 1933) non può avere rilevanza nella in
dividuazione del valore semantico originario del termine e quin di dell'area alla quale il legislatore, con il suo uso, intendeva riferirsi nel dettare la norma positiva.
Sul piano della ratio, poi, tale particolare disciplina, secondo
la quale gli spiriti denaturati, se irregolarmente detenuti, tratta
ti o impiegati, sono assoggettati ad imposta pur quando, come
recita l'art. 46, 2° comma, «cadono in confisca», trova convin
cente. spiegazione nel rilievo che la incommerciabilità degli spi riti già denaturati e rigenerati, o sottoposti comunque ad un
trattamento di rigenerazione o in qualche modo idoneo ad al
terarne lo stato di denaturazione tipica, ne impedisce in via di
principio la alienazione e quindi esclude in assoluto — ove non
si voglia caricare l'amministrazione confiscante dell'onere di rin
novarne il procedimento di adulterazione — quelle possibilità di ricavarne un prezzo (non inferiore all'imposta di fabbrica
zione), in contemplazione della quale sarebbe consentito attri buire alla confisca — come nel caso dell'art. 145 legge dogana le: cfr. la relativa Relazione ministeriale — valore « virtualmen te » satisfattivo. Sotto altro profilo, la irrecupera'bilità da parte degli spiriti sottoposti a denaturazione delle qualità merceolo
giche originarie giammai permetterebbe, proprio per questa ra
gione di natura, la vendita del prodotto confiscato come spirito naturale, e mai quindi potrebbe pervenirsi alla riscossione del
l'imposta normale di fabbricazione in tempi e modi analoghi a
quelli previsti, con riferimento ancora al più volte citato art. 145 legge doganale, dall'art. 336 del relativo regolamento 13 febbraio 1896 n. 65.
Il primo motivo di ricorso va dunque accolto, affermandosi il
principio che, nell'ipotesi contravvenzionali previste dall'art. 46 t.u. 8 luglio 1924 sull'imposta di fabbricazione degli spiriti, l'im
posta stessa è dovuta anche per gli spiriti, in origine denaturati, assoggettati a sequestro e confisca. Rimane conseguentemente privo di rilevanza il secondo motivo, con il quale l'amministra zione rimprovera alla corte d'appello — una volta posta a base della sua decisione la correlazione tra esenzione dall'imposta de.la merce confiscata e funzione satisfattoria della confisca —
di avere trascurato l'accertamente se nel caso concreto quella funzione satisfattoria era possibile ovvero era di fatto ricorsa:
infatti, in relazione all'accoglimento del precedente motivo, re sta in radice esclusa la incidenza della confisca come causa im
peditiva (dell'insorgere) dell'obbligazione tributarla.
Pertanto, accogliendosi il primo motivo e dichiarandosi as sorbito il secondo, la sentenza impugnata va annullata, con rin vio della causa ad altro giudice di pari grado, che procederà al riesame alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassa zione.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 17 luglio 1979, n. 4217; Pres. Iannitti Piromallo, Est. Chiavelli, P. M. Ferraiuolo (conci, conf.); I.n.p.s. (Avv. Traverso,
Lironcurti) c. Mastandrea (Avv. Agostini, Tournier). Cas
sa Trib. Bari 19 novembre 1975.
Previdenza sociale — Assegni familiari — Seconda moglie del
nonno — Spettanza — Esclusione (D. pres. 30 maggio 1955
n. 797, t. u. sugli assegni familiari, art. 8).
Non spettano gli assegni familiari per la seconda moglie del
nonno a carico del lavoratore. (1)
(1) Nulla in termini. Sull'art. 8 t. u. assegni familiari cfr. Pret. Ancona 17 maggio 1977,
foro it., Rep. 1978, voce Previdenza sociale, n. 617, e Pret. Ancona 17 marzo 1977, id., 1978, il, 797, con nota di richiami, che hanno
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