sezione I civile; sentenza 14 dicembre 1990, n. 11917; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P.M. Lanni(concl. conf.); Soc. Dalmine (Avv. Berliri) c. Min. finanze; Min. finanze (Avv. Dello Stato Favara)c. Soc. Dalmine. Conferma Comm. trib. centrale 9 marzo 1985, n. 2380Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2137/2138-2143/2144Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185564 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Contro questa sentenza propone ricorso, illustrato da memo
ria, l'Inail; resiste con controricorso il Baldassi.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di annullamen
to, l'Inail censura la sentenza impugnata per violazione degli art. 45 ss. t.u. n. 1124 del 1965, della tariffa dei premi approva ta con d.m. 10 dicembre 1971, 14 novembre 1978, dell'art. 12
preleggi, dei principi generali relativi agli atti amministrativi, dell'art. 156, 1° e 3° comma c.p.c., dell'art. 8 1. 11 agosto 1973
n. 533 (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), in quanto gli atti in questio ne non erano atti amministrativi, ma comunicazioni dell'oscilla
zione del tasso non correlate ad un esercizio di un potere discre
zionale, consistendo in mere operazioni amministrative, cioè in
attività materiali svolte in adempimento di veri e propri atti
amministrativi, quali sono invece i provvedimenti applicativi delle
nuove tariffe; né può esservi differenza tra l'uso di moduli a
stampa, come è avvenuto in questo caso, e l'apposizione di si
gle illeggibili; era rilevante la riferibilità dell'atto all'ufficio. Inol
tre, non trattandosi di nullità comminata dalla legge, non pote va essere rilevata dal giudice, il quale avrebbe dovuto tener con
to altresì della acquiescenza fatta al provvedimento, e della
successiva sanatoria con la missiva 2 luglio 1985.
Il ricorso è infondato. Si deve precisare che nel caso in esame
non si tratta della comunicazione del tasso medio di tariffa,
ma proprio dell'accertamento del tasso di premio, con elementi
(rapporto c.d. operaio-anno di cui al § 14 d.m. 14 novembre
1978, consistente nel rapporto fra le mercedi annue denunciate
dal datore di lavoro e il salario medio annuo di cui all'art. 116,
3° comma, t.u. n. 1124 del 1965, secondo un parametro com
misurato alla retribuzione media giornaliera, diminuita o au
mentata in percentuale, tenendosi conto, ai sensi del § 14, del
l'andamento infortunistico aziendale, quale risulta dal tasso spe
cifico aziendale) che hanno contenuto di carattere perticolare. Si tratta, come è evidente, di un procedimento al quale parte
cipano uffici diversi e che culmina nell'atto impositivo che è
di competenza esclusiva del direttore, e che non è suscettibile
di sostituzione con equivalenti né di esternazione in una forma
diversa di quella scritta, resa esplicita dalla legge la quale, infat
ti, all'art. 45 del cit. d.p.r. n. 1124 integrato dal § 17 d.m.
del 10 dicembre 1971, impone la notificazione con raccomanda
ta, di un provvedimento «con adeguata motivazione».
È questa la ragione, fondamentale, per la quale non è invoca
bile la giurisprudenza di questa corte (sez. un. 22 dicembre 1971,
n. 3739, Foro it., Rep. 1972, voce Riscossione delle imposte,
n. 38) formatasi in materia di esazione delle imposte e di cartel
la esattoriale, la quale, distinguendo tra atti amministrativi e
mere operazioni amministrative (cioè attività materiali svolte in
adempimento di veri e propri atti amministrativi), escludeva per
queste ultime la rilevanza della mancanza della firma dell'esat
tore. Ma non è questo il caso che qui ne occupa, atteso che
non si versava in ipotesi di adempimento dell'atto amministrati
vo, ma proprio dell'atto stesso impositivo della variazione della
tariffa di premio. Come la dottrina e la giurisprudenza hanno più volte affer
mato, nell'ambito della teoria generale formatasi sui caratteri
e gli elementi del documento, la sottoscrizione — impropria mente detta sovente firma — è elemento dello scritto, si connet
te ed inserisce ad esso e ne fa parte come in un tutto unico,
essendo ad esso incorporata ad substantiam; senza la sottoscri
zione lo scritto non assurge ad individualità e rilevanza giuridi
ca, se non eccezionalmente ed in casi previsti dalla legge. Si
diceva appunto del diritto comune che tota vis adprobationis
in subscriptione, in quanto essa attesta la volontà di fare pro
prio il documento. Secondo la nota differenza, la sottoscrizione
investe entrambi gli aspetti del documento: quello documentale
e quello documentato, nel primo la materialità dell'incorpora
zione in base alla effettiva redazione e nel secondo l'implicita
dichiarazione di conformità del testo all'effettiva manifestazio
ne di volontà dell'autore (che è appunto l'aspetto che qui in
teressa). Ciò vale a maggior ragione nell'atto amministrativo nel quale
quasi sempre la firma è anche sottoscrizione, perché giunge a
conclusione di un complesso procedimento amministrativo al
quale pertecipano più uffici (se non addirittura uffici diversi
di più organi della pubblica amministrazione) sicché rappresen
ta la sintesi finale da parte del potere qualificato ad esercitare
la potestà di imperio (impositiva), da parte della persona —
che diviene cosi identificabile — che in quel momento è investi
li Foro Italiano — 1991.
ta della funzione. In assenza della firma né è possibile riferire
l'atto alla pubblica amministrazione, né è dato identificarne l'au
tore effettivo al fine dell'eventuale controllo di competenza. È appena il caso di confermare che un atto siffatto non può
dar luogo ad acquiescenza ove il pagamento sia stato seguito da impugnazione fondata tra l'altro su questa specifica ragione, né tanto meno a sanatoria, ove, come nel caso, la nuova missi
va che notifichi la variazioni del tasso di premio sia stata invia
ta oltre il termine legale, potendo in tal caso valore tuttalpiù, fermi restando i requisiti richiesti, per il periodo successivo.
Consegue a quanto esposto il rigetto del ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 dicem
bre 1990, n. 11917; Pres. Scanzano, Est. Sensale, P.M. Lanni
(conci, conf.); Soc. Dalmine (Avv. Berliri) c. Min. finanze;
Min. finanze (Avv. Dello Stato Favara) c. Soc. Dalmine.
Conferma Comm. trib. centrale 9 marzo 1985, n. 2380.
Redditi (imposte sui) — Ilor — Perdite conseguite da stabili
organizzazioni all'estero — Deducibilità dall'imponibile com
plessivo — Esclusione (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 599, isti
tuzione e disciplina dell'imposta locale sui redditi, art. 3, 4;
d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, testo unico delle imposte sui
redditi, art. 117, 118).
Le perdite conseguite all'estero da una stabile organizzazione di un'impresa italiana non sono deducibili dal reddito impo
nibile soggetto all'imposta locale sui redditi. (1)
(1) I. - Negli esatti termini, v. la sentenza n. 11918, resa dalla Supre ma corte alla medesima udienza di quella in epigrafe, ricorrente, in
entrambi i casi, la s.p.a. «Montaggi materiali tubolari Montubi» (incor
porata dalla s.p.a. Dalmine), «promotrice» degli altri giudizi di cui qui di seguito.
In senso conforme, v. Comm. trib. centrale 10 ottobre 1988, n. 6636, Foro it., Rep. 1988, voce Redditi (imposte), n. 480; contra, Comm.
trib. II grado Matera 1° ottobre 1983, id., Rep. 1985, voce Tributi
locali, n. 110; 21 novembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 237; Comm. trib. II grado Bergamo 12 ottobre 1984, n. 734, Corriere trib.,
1985, 123 (v. anche la giurisprudenza di merito inedita citata da R.
Rocchi, Indeducibilità di perdite subite all'estero (nota a Comm. trib.
centrale 10 ottobre 1988, n. 6636, cit.), in Società, 1989, 92). La dottrina sembra prevalentemente orientata nel senso della tesi di
cui in massima: v. M. Miccinesi, Redditi (imposta locale sui), voce
dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1988, XXXIX, 167 (spec. 194) che richiama, a tal proposito, l'opinione di G.A. Micheli, Corso di
diritto tributario, Torino, 1984, 478; AA.W., Imposta locale sui reddi
ti (collana tributaria edita a cura del Banco di Roma), 1981, 83; N.
Lanteri, Stabile organizzazione all'estero e regime Ilor (nota Comm.
trib. centrale 10 ottobre 1988, n. 6636, cit.), in Dir. e pratica trib.,
1990, II, 26; A. Casertano - S. Capolupo, Testo unico imposte sui
redditi (d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917) - Ilor (art. 115-121), in Fisco,
1988, 3187 (spec. 3212, ove si legge che «l'impossibilità di far concorre
re le perdite sofferte all'estero alla formazione del risultato economico
relativo all'attività esercitata in Italia, sembra incontrovertibile»). Per
C. Garbarino, Detraibilità ai fini Ilor di perdite per attività svolta al
l'estero mediante stabile organizzazione (nota a Comm. trib. II grado Matera 21 novembre 1983, cit.), in Dir. e pratica trib., 1986, II, 837,
delle possibili soluzioni al problema della rilevanza ai fini Ilor delle
perdite de quibus, quella nel senso della detraibilità non appare corretta
«in quanto meramente applicativa di una giustizia sostanziale erronea
mente applicativa del canone in dubio contra fiscum», mentre quella nel senso dell'indetraibilità risulta «il naturale esito interpretativo delle
disposizioni dell'imposta locale sui redditi intesa come tributo a base
territoriale»: questo a. giudica «una interessante prospettiva dotata di
salde basi teoriche, ma non ancora esplicitamente prevista dal dettato
normativo» la soluzione di ripartire le perdite della stabile organizza zione tra casa madre ed unità produttiva situata all'estero. V. anche
O. Poli, Sulla deducibilità, ai fini Ilor, delle perdite subite da stabili
organizzazioni all'estero (nota a Comm. trib. II grado Matera 21 no
vembre 1983, cit.), in Bollettino trib., 1984, 640.
Per un caso particolare di tassazione ai fini Ilor del reddito prodotto da una società avente sede legale in Italia ma operante esclusivamente
all'estero mediante una stabile organizzazione gestita con contabilità
separata, v. ris. min. fin. 8 aprile 1982, 7/2926, Dir e pratica trib.,
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2139 PARTE PRIMA 2140
Svolgimento del processo. — Il 4 dicembre 1976 la s.p.a.
«Montaggi materiali tubolari-Montubi» proponeva ricorso con
tro l'iscrizione a ruolo a titolo di Ilor per l'anno 1975 di un
tributo corrispondente ad un imponibile pari alla quota attri
buita per tale importo al comune di Melilli su un reddito com
plessivo di lire 10.573.635.148, dal quale non erano state detrat
te le perdite che la ricorrente assumeva avere subito da attività
svolte all'estero, per complessive lire 9.958.508.010.
La ricorrente precisava che, stante la predisposizione dei mo
duli stampati, per la dichiarazione dei redditi, aveva dovuto in
dicare, seguendo lo schema obbligato, fra i componenti positivi del reddito anche tali perdite, ma che aveva indicato, in allega to alla dichiarazione, che l'imponibile complessivo, corrispon dente al reddito effettivo netto fiscale, non eccedeva lire
646.554.947. Il ricorso, respinto dalla commissione di primo grado, veniva
accolto da quella di secondo grado; e l'ufficio proponeva ricor
so alla Commissione tributaria centrale, richiamando il testuale
disposto dell'art. 3 d.p.r. 599/73, secondo cui si considerano
redditi prodotti nello Stato solo quelli derivanti da attività eser
citata all'estero senza stabile organizzazione, e deducendo che
la Montubi era fornita di stabile organizzazione all'estero, con
la conseguenza che, come era indifferente il reddito prodotto
all'estero, cosi erano irrilevanti le eventuali perdite. La commissione ha accolto la tesi d'ufficio, osservando che
1982, I, 1174. V. anche, in argomento, L. Pietrantonio, Sul tratta mento ai fini Ilor di società residenti con attività esercitata esclusiva mente all'estero mediante stabile organizzazione, in Rass. trib., 1982, III, 659.
II. - Sul concetto di stabile organizzazione all'estero, v. Cass. 27 no vembre 1987, n. 8815, Foro it., 1988, I, 1928, con nota di G. Tardel
la, cui adde, sul versante delle istruzioni ministeriali, nota min. fin. febbraio 1983, n. 9/2398, Dir. e pratica trib., 1983, I, 514 e, per la
dottrina, R. Betti, Le problematiche amministrative fiscali delle stabili
organizzazioni all'estero, in Corriere trib., 1984, 239; M. Gatto, Stabi li organizzazioni all'estero: riflessioni sul regime tributario, in Fisco, 1983, 4606. V., inoltre, N. Lanteri, Anstalt, possesso di immobile in Italia e stabile organizzazione (nota a Cass. 8815/87, cit.), in Dir. e
pratica trib., 1988, II, 1468; A. Manzitti, Possesso di immobili in Ita lia da parte di società non residenti e «stabile organizzazione» (nota a Cass. 8815/87, cit.), id., 1989, II, 18; M. Medici, Società ed associa zioni estere operanti in Italia e stabile organizzazione (nota a Cass. 27 novembre 1987, n. 8820, Foro it., Rep. 1988, voce Società (imposta), n. 5), in Riv. dir. fin., 1988, II, 105; N. Lantieri, Partecipazione so ciale maggioritaria e «stabile organizzazione» (nota a Cass. 24 maggio 1988, n. 3610, Foro it., Rep. 1988, voce Tributi in genere, n. 445), in Dir. e pratica trib., 1989, II, 318. V. anche la giurisprudenza citata da S. Marchese, L'imposta sul reddito delle persone giuridiche (1974 - giugno 1990), id., 1991, II, 115 (spec. 159); di recente, sulla stabile
organizzazione e sulla sua «forza di attrazione», v. Garbarino, La tas sazione del reddito transnazionale, Padova, 1990; Id., Forza di attra zione della stabile organizzazione e trattamento isolato dei redditi, in Rass. trib., 1990, I, 429.
L'ufficio del massimario ha tratto dalla sentenza in epigrafe la se
guente massima ufficiale: «L'art. 3, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, prevedendo
che sono considerati prodotti nello Stato i redditi di impresa derivanti da attività estere svolte in assenza di stabile organizzazione fuori del territorio nazionale, implica che, in presenza di un'organizzazione sif
fatta, come i relativi redditi non assumono rilievo, in senso positivo, in Italia, cosi le perdite conseguenti all'esercizio delle suddette attività non sono computabili quali elementi di minorazione del reddito prodot to nello Stato ed ivi tassabile, senza che ciò consenta di dubitare della
legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost.».
È evidente che la massima «ufficiale», qualunque cosa voglia dire
(non è affatto chiaro se la stessa ponga, come anche il titoletto induce a credere, un principio limitato alla sola Irpeg ovvero valevole per tutte le imposte sul reddito), non riflette affatto il contenuto della regula iuris applicata dalla Suprema corte nel caso di specie.
Probabilmente, a trarre in inganno l'ufficio del massimario sarà stata l'affermazione (di cui va sottolineata la gratuità) secondo cui «per l'I lor, per l'Irpef e per l'Irpeg il presupposto della imposizione è in ogni caso delimitato escludendo i risultati tanto positivi quanto negativi del l'attività d'impresa esercitata all'estero con stabile organizzazione», ov vero l'errata indicazione (da ritenersi mero lapsus calami) delle norme di legge, la cui (pretesa) violazione era stata denunciata dalla società ricorrente (art. 3, 2° comma, e 4, 4° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, anziché d.p.r. 29 settembre 1973 n. 599).
Comunque sia, opportuna sarebbe la riformulazione ex novo della massima ufficiale. [M. Annecchino]
Il Foro Italiano — 1991.
il ricorso ad altre norme, per interpretare quella in esame, sa
rebbe stato ammissibile solo se quest'ultima fosse stata oscura
o perplessa e tale non era, essendo del tutto evidente che —
posto il principio sul presupposto d'imposta sui redditi prodotti nello Stato (art. 1) — costituiva di esso logica applicazione l'art.
3, 2° comma, per il quale, in mancanza di stabile organizzazio ne all'estero, i redditi derivanti da attività estere sono conside
rati prodotti nello Stato. Il difetto di stabile organizzazione al
l'estero con gestione e contabilità separate, infatti, non poteva non far ritenere che i redditi esteri siano direttamente ed inti
mamente collegati all'organizzazione nazionale. Ciò, secondo
la Commissione tributaria centrale, non si verifica nell'ipotesi
opposta di stabile organizzazione all'estero (come nella specie), con la conseguenza che, se i redditi relativi non assumono rilie
vo in senso positivo in Italia, sarebbe contro il sistema e la
logica che l'attività estera debba proiettarvi i suoi riflessi negativi. Contro tale decisione la s.p.a. Dalmine, quale incorporante
della s.p.a. Montaggi Tubolari Montubi, ha proposto ricorso
per cassazione in base ad un motivo, cui l'amministrazione del
le finanze ha resistito con controricorso, proponendo anche ri
corso incidentale condizionato per un motivo. Entrambe le par ti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Ai sensi dell'art. 335 c.p.c. deve
preliminarmente procedersi alla riunione dei ricorsi principali della soc. Dalmine e del ricorso incidentale condizionato propo sto dall'amministrazione delle finanze.
Con l'unico motivo del ricorso principale la soc. Dalmine de
nunzia la violazione e falsa applicazione degli art. 3, 2° com
ma, e 4, 4° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, nonché
il vizio di carenza di motivazione e omessa pronunzia su un
punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, censu
rando la decisione impugnata in quanto, dopo avere rilevato
che presupposto dell'imposta è la produzione di redditi nello
Stato e che di tali presupposti costituisce logico corollario l'art.
3, 1° comma, d.p.r. n. 599 (secondo cui in mancanza di stabile
organizzazione all'estero i redditi derivanti da attività estera so
no considerati prodotti nello Stato), ha giustificato l'accogli mento del ricorso dell'ufficio in base all'unica affermazione che
«cosi non si verifica nell'ipotesi opposta di stabile organizzazio ne all'estero» e che «se i redditi relativi non assumono rilievo
in senso positivo in Italia sarebbe contro il sistema e la logica che invece l'attività estera debba proiettare i suoi riflessi negati vi in Italia». Sostiene, per contro, la ricorrente che le perdite subite all'estero, ancorché con una stabile organizzazione, sono
rilevanti ai fini dell'Ilor, oltre che dell'Irpef: ciò sia sul piano
dell'interpretazione letterale della norma, che non fa parola del
le perdite, e in base alla considerazione che il trattamento fisca
le dei redditi e delle perdite è del tutto diverso; sia sotto il profi lo della ratio normativa, che è quella di agevolare il contribuen
te ed incentivarne l'attività oltre confine (consentendogli di
dedurre dal reddito prodotto in Italia le perdite subite all'este
ro); sia per la considerazione che tale interpretazione è quella
più aderente al dettato costituzionale (art. 3 e 53 Cost.). Tali censure sono infondate. La tesi sostenuta dalla ricorren
te muove dall'erronea premessa che le perdite siano, come gli oneri e le spese, componenti negative del reddito, menzionan
do, come indicative della diversa disciplina che sarebbe riserva ta ai redditi e alle perdite, gli art. 27, 31 e 84 d.p.r. 597/73
e 17, 24 e 28 d.p.r. 598/73. Ma questi richiami normativi non
valgono a suffragare la tesi della ricorrente principale. Gli art. 27 e 31 d.p.r. n. 597 concernono i redditi dominicale
e agrario dei fondi rustici, che sono determinati catastalmente e
non in termini di reddito effettivo e ciò spiega che, non essendovi
omogenità fra reddito determinato catastalmente (a prescindere da quello effettivamente prodotto) e le perdite, le quali sono in
vece effettive e non possono quindi incidere sul reddito catastale, dette perdite siano autonomamente considerate dalla norma, per escludere l'intero reddito, quando esse siano di una determinata
entità e siano state denunciate nei tempi e nei modi indicati dalla legge. D'altra parte, anche le norme citate, più che negare alle per
dite la natura di componenti negative del reddito, concernono
le modalità con cui esse debbano incidere sulla determinazione del reddito netto con riguardo a specifiche perdite (per mancata
coltivazione e per eventi naturali). Ciò risulta chiaro dal con
fronto di queste norme con l'art. 34 dello stesso decreto, che, in relazione ai redditi dei fabbricati (per i quali non è possibile individuare preventivamente le perdite che potrebbero verificar
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
si), indica il reddito medio ordinario, ritraibile dall'immobile, al netto, non solo delle spese di riparazione e manutenzione
e di altre eventuali spese, ma anche di ogni altra eventuale per
dita, ponendo sullo stesso piano le spese e le perdite quali com
ponenti negative del reddito.
Ancora più evidente è quanto si viene affermando, se si con
siderano le norme sulla determinazione del reddito d'impresa,
costituito dagli utili netti in base alle risultanze del conto dei
profitti e delle perdite, delle quali si tiene conto, salvo in deter
minati casi (art. 52 d.p.r. 597/73), anche quando derivino dal
mancato conseguimento di ricavi e proventi imputati al conto
dei profitti e delle perdite in precedenti periodi d'imposta, o
siano costituite da oneri o maggiori oneri sostenuti in relazione
a ricavi e proventi imputati al conto di periodi precedenti, o
derivino dalla eliminazione di attività iscritte nei precedenti bi
lanci (art. 57 d.p.r. cit.). Quanto agli art. 17, 24 e 28 d.p.r. n. 598 e all'art. 84 d.p.r.
n. 597, essi concernono le perdite di esercizi precedenti «ripor
tabili» e non sono componenti negativi del reddito dell'esercizio
in cui sono utilizzate, ma solo impediscono in tutto o in parte
l'applicazione dell'Irpeg e dell'Irpef (non anche dell'Ilor) per
effetto di compensazione con gli utili dell'esercizio in cui sono
utilizzate; ed è evidente come non sia proponibile un confronto
tra perdite confluenti nel conto economico dell'esercizio e per
dite «riportabili», impeditive, dall'esterno, dell'imposizione Ir
peg ed Irpef.
Se, dunque, il reddito è la risultante dell'attivo prodotto, de
purato dalle passività costituite da spese, oneri e perdite, l'art.
3 d.p.r. 598/73 non può essere interpretato se non nel senso
che, quando si riferisce al reddito, vi include anche le sue com
ponenti negative; e, che quando, occupandosi al 2° comma dei
soggetti localizzati in Italia ma che esercitano attività commer
ciali all'estero, stabilisce che si considerano prodotti nel territo
rio dello Stato i redditi derivanti dall'attività svolta all'estero
senza una stabile organizzazione, intende dire che nel reddito
prodotto in Italia confluiscono sia gli utili che le perdite di quel
l'attività, in quanto imputabili ad un'unica organizzazione im
prenditoriale che ha il suo centro in Italia.
All'inverso, per la stessa ragione, i redditi derivanti da attivi
tà esercitate all'estero con una stabile organizzazione e con ge
stione e contabilità separate, non confluiscono nel reddito pro
dotto nel territorio dello Stato né nelle componenti positive né
in quelle negative, entrambe costituenti il risultato di una ge
stione che fa capo ad una distinta organizzazione imprendito
riale avente contabilità propria. La ratio di tale disciplina (che la ricorrente individua un in
tento di agevolare il contribuente, incentivandone l'attività svolta
oltre confine) risiede, in realtà, nello scopo di considerare estra
nea all'imposizione in Italia l'attività svolta all'estero, mediante
stabile organizzazione (e quindi, in tutte le sue componenti, il
reddito prodotto da tale attività), sia per evitare il pericolo di
doppie imposizioni (dovendosi ritenere che lo Stato estero, in
cui è svolta l'attività, non omette di tassare il relativo reddito,
al netto delle perdite), sia perché lo Stato italiano difetterebbe
dei necessari strumenti di controllo degli utili, come dei costi,
degli oneri e delle perdite, inclusi in una contabilità separata
tenuta all'estero. Lo scopo, che la norma si prefigge, sarebbe
vanificato dalla possibilità concessa al contribuente (già tutelato
nel senso che è messo al riparo dal rischio di una doppia impo
sizione) di sottrarre alla tassazione in Italia gli utili conseguiti
all'estero e, nel contempo, di utilizzare, in una diversa contabi
lità facente capo a una distinta organizzazione, le correlative
perdite. Né vale l'obiezione della ricorrente tratta dal rilievo che, nel
caso in cui il reddito è prodotto in più comuni, viene fra essi
ripartito, mentre le perdite, dovunque verificatesi, spiegano au
tomatica rilevanza sul reddito prodotto in ciascun comune. In
questo caso, infatti, i redditi prodotti nei vari comuni concorro
no a formare un reddito unitario, si che unitariamente devono
considerarsi le perdite, anche se questo reddito, ai fini dell'im
posta locale, viene poi ripartito tra i vari comuni in cui risulta
prodotto, mentre il reddito prodotto all'estero con stabile orga
nizzazione non concorre a formare il reddito prodotto in Italia:
è, cioè, un altro reddito, da questo tenuto distinto sin dall'ori
gine con le perdite che vi afferiscono. Non a caso, secondo l'art.
9 d.p.r. 598/73, le imposte pagate all'estero si detraggono dal
reddito se i redditi prodotti all'estero concorrono a formarlo
Il Foro Italiano — 1991.
e, a contrario, se questi non concorrono a formare il reddito
prodotto in Italia, tali imposte non si detraggono, ponendosi
in tal modo un parallelismo tra reddito e detrazione, analogo
a quello esistente tra reddito e perdita, nel senso che l'uno e
le altre o rilevano o non rilevano congiuntamente ai fini del
l'imposizione in Italia. Il richiamo all'art. 4, 3° comma, d.p.r. n. 599 (a norma del
quale, per i soggetti indicati alle lettere a, b e c dell'art. 2 d.p.r.
598/73, l'imposta si applica sull'ammontare del reddito com
plessivo determinato ai fini dell'Irpeg, escludendo le deduzioni
di cui all'art. 17 del detto decreto e i redditi prodotti all'estero),
per affermare che lo stesso legislatore, pur prevedendo espres
samente alcune perdite non deducibili, non può avere inteso
allargarne il numero parlando, peraltro, solo di redditi, non
tiene conto del fatto che la norma, riferendosi ai redditi, non
ha operato alcun «allargamento» del numero delle perdite, per
ché il reddito prodotto all'estero, nell'ipotesi di attività con sta
bile organizzazione, è, come si è detto, di per sé «netto», e
del fatto che esso, nelle sue componenti negative e positive, non
concorre a formare il reddito prodotto in Italia; né, infine, del
fatto che le perdite di esercizi precedenti di cui all'art. 17 cit.,
come pure si è precisato, non sono componenti negative del
reddito dell'esercizio in cui, ai fini dell'Irpef, sono utilizzate,
ma impediscono l'applicazione dell'imposta, senza che possa isti
tuirsi un confronto tra perdite confluenti nel conto economico
dell'esercizio e perdite «riportabili».
L'interpretazione data agli art. 3 e 4 d.p.r. n. 599 non rimane
scalfita dal t.u. delle imposte dei redditi approvato col d.p.r.
22 dicembre 1986 n. 917, a prescindere dalla sua applicabilità,
o meno, alla presente controversia in virtù dell'art. 36 d.p.r.
4 febbraio 1988 n. 42, che, comunque, trattandosi di una dipo
sizione transitoria postula un mutamento di disciplina fra le ci
tate norme del precedente decreto e gli art. 117 e 118 t.u., che
invece non è ravvisabile.
Invero, l'art. 117, 2° comma, disponendo, ai fini dell'Ilor,
che, nei confronti dei soggetti residenti nel territorio dello Sta
to, si considerano prodotti nel territorio stesso anche i redditi
derivanti da attività commerciali esercitate all'estero senza una
stabile organizzazione con gestione e contabilità separate, non
offre spunti interpretativi contrari rispetto all'art. 3 d.p.r. n.
599, di cui riproduce, nella sostanza, il testo. E neppure l'art.
118 dà una nozione di «reddito» diversa da quella qui accolta
alla stregua della precedente disciplina.
Tale diversa nozione deriverebbe dal fatto che secondo tale
norma, l'imposta si applica, per le società e gli enti soggetti
all'Irpeg residenti nel territorio dello Stato, e per quelli non
residenti con stabile organizzazione nel territorio stesso, sul red
dito complessivo determinato con i criteri stabiliti nel titolo II,
diminuito dei redditi prodotti fuori dal territorio dello Stato.
Senonchè, come l'imposta si applica sul reddito netto, in quan
to vi sia; cosi il reddito da portare in diminuzione è, parallela
mente, il reddito netto in quanto sussista.
Per la determinazione del reddito, la norma richiama il titolo
II (Irpeg), il cui art. 89 (base imponibile), contenuto nel capo I,
per le società e gli enti commerciali rinvia, a sua volta, al capo
II, il cui art. 95 stabilisce che il reddito complessivo, da qualsiasi
parte provenga, è considerato reddito d'impresa ed è determina
to secondo le disposizioni degli art. da 52 a 78, il primo dei quali
fa riferimento al risultato netto del conto dei profitti e delle per
dite, relativo all'esercizio chiuso nel periodo d'imposta, e stabili
sce che le perdite risultanti dall'applicazione del 1° comma deb
bano computarsi in diminuzione del reddito complessivo, deter
minato, a norma dell'art. 8, al netto, appunto, delle perdite.
La decisione impugnata ha, quindi, accolto una interpreta
zione dell'art. 3, 2° comma, d.p.r. 599/73 che questa corte con
divide e la concisione della motivazione adottata, in quanto ri
solutiva di una pura questione di diritto, non può essere censu
rata ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.
Questa interpretazione manifestamente non si pone in contra
sto con gli art. 3 e 53 Cost.: con l'art. 3, perché per l'Ilor,
per l'Irpef e per l'Irpeg il presupposto della imposizione è in
ogni caso delimitato escludendo i risultati tanto positivi quanto
negativi dell'attività d'impresa esercitata all'estero con stabile
organizzazione e, nella previsione normativa, la nozione di «red
dito» coincide con quella di «reddito netto», e perché, ove vo
lesse ravvisarsi una disparità di disciplina per le imprese che
esercitano attività all'estero a seconda che ciò avvenga con o
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2143 PARTE PRIMA 2144
senza una stabile organizzazione, tale disparità sarebbe giustifi cata dalla obiettiva diversità delle situazioni considerate; con
l'art. 53, perché anzi proprio la tesi della ricorrente condurreb
be a tassare il contribuente al di sotto della sua reale capacità contributiva col consentigli di escludere dall'imposizione in Ita
lia i soli elementi positivi della gestione all'estero e non invece
il reddito nella nozione che se n'è data.
Pertanto, il ricorso principale dev'essere rigettato e ciò deter
mina l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato pro
posto dall'amministrazione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 28 no
vembre 1990, n. 11461; Pres. Brancaccio, Est. Nardino, P.M. Di Renzo (conci, conf.); Regione Lazio (Avv. L. Leo
ne, Dall'Aglio) c. Cooperativa albergo mensa spettacolo e
turismo (Avv. Visconti, Solazzi) e altri; Istituto per il diritto
allo studio universitario-Università «La Sapienza» c. Regione Lazio e altri. Regolamento di giurisdizione.
Sindacati — Amministrazione pubblica — Repressione della con
dotta antisindacale — Diritti sindacali in senso stretto — Giu
risdizione ordinaria — Fattispecie (Cost., art. 39, 40; cod.
proc. civ., art. 37, 41; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla
tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sinda
cale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento, art. 28, 37; 1. 29 marzo 1983 n. 93, legge qua dro sul pubblico impiego, art. 23, 28, 29).
La particolare tutela dei diritti soggettivi delle organizzazioni sindacali apprestata dalla l. 300/70 non trova ostacolo nella
circostanza che il comportamento addebitato ad una pubblica amministrazione si sostanzi in un formale provvedimento am
ministrativo; rientra perciò nella giurisdizione del giudice or
dinario la controversia avente come petitum sostanziale la le
sione di diritti soggettivi sindacali in senso stretto (nella spe cie, si sono ritenuti rientrare nella giurisdizione del pretore ex art. 28 statuto lavoratori i capi della domanda relativi alla
richiesta di indizione di elezioni per la nomina del consiglio del personale, di convocazione del sindacato per l'approva zione del regolamento sulla mobilità ed i trasferimenti interni e la determinazione dei criteri di inquadramento e dei profili del personale, alla richiesta di informazioni sindacali, al pa
gamento di contributi previsti dalla legge ed alla declaratoria
di antisindacalità del comportamento dell'ente, volto a boi
cottare l'esercizio del diritto di sciopero; si è, invece, ritenuto
rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo il capo della domanda relativo all'asserita illegittimità del trasferimento di singoli dipendenti, nominativamente individuati). (1)
(1) La sentenza, depositata in cancelleria posteriormente all'entrata in vigore della 1. 146/90, ha in realtà riferimento al previgente sistema. In particolare, la distinzione tra diritti sindacali in senso stretto e diritti connessi — o correlati — a posizioni soggettive individuali costituisce ormai ius receptum della Cassazione: sul punto, nonché sull'inapplica bilità dell'art. 28 statuto lavoratori allo Stato (e sulla possibilità di tute la dei diritti sindacali in senso stretto davanti all'a.g.o. nella normale sede contenziosa in tutti i casi in cui non sia esperibile il procedimento ex art. 28), v. Cass., sez. un., 26 luglio 1984, n. 4399, Foro it., 1984, I, 2106, con nota di A. Proto Pisani; 26 luglio 1984, n. 4386, ibid., 2111; 26 luglio 1984, n. 4390, ibid., 2108; 26 luglio 1984, n. 4387, id., Rep. 1984, voce Sindacati, n. 146; 3 giugno 1985, n. 3288, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 829; 16 luglio 1985, n. 4154, id., Rep. 1986, voce Sindacati, n. 84; 25 marzo 1986, n. 2099, id., 1986, I, 2514; 9 aprile 1986, n. 2467, id., Rep. 1986, voce cit., n. 86; 9 aprile 1986, n. 2468, ibid., n. 90; 21 maggio 1986, n. 3371, ibid., n. 89; 15
gennaio 1987, n. 249, id., Rep. 1987, voce Ferrovie e tramvie, n. 175; 13 luglio 1987, n. 6092, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 141; 14
Il Foro Italiano — 1991.
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Roma
in funzione di giudice del lavoro Luigi Nicastrini, nella qualità di rappresentante sindacale aziendale dello Snals, ed Antonino
Stramondo, segretario regionale del Confsal-Snals, denunciava
no come discriminatorio ed antisindacale il comportamento te
nuto dall'Idisu (Istituto per il diritto allo studio) dell'università
di Roma nei confronti del sindacato ricorrente e concretatosi
in una serie di atti, provvedimenti, iniziative ed omissioni inten
zionalmente diretti ad impedire o limitare l'esercizio della liber
tà e dell'attività sindacale da parte dello Snals, a screditare il
medesimo nei confronti dei dipendenti dell'istituto e a determi
nare una progressiva diminuzione degli iscritti.
Premessa l'esposizione di precedenti vicende, che avevano co
stretto lo Snals ad esercitare ripetutamente l'azione di cui al
l'art. 28 1. n. 300 del 1970 (nel settembre 1981, nell'aprile 1982
e nel novembre 1983), i ricorrenti addebitavano all'Idisu: — di non essersi attivato per l'elezione del consiglio del per
sonale, in violazione delle leggi reg. 33/77 e 2/79, dell'ordinan
za del presidente della giunta regionale n. 38 del 1981 e di ac
cordi sindacali del novembre 1981 e del novembre 1982; — di aver adottato, al di fuori del controllo demandato per legge
al consiglio del personale «provvedimenti arbitrari clientelari», in
pregiudizio di iscritti alla Snals, in materia di trasferimento di di
pendenti, disattendendo gli impegni assunti nei confronti del sin
dacato, omettendo di dare riscontro al progetto di regolamento elaborato dal medesimo in ordine ai criteri per la «mobilità ed i
trasferimenti interni» e violando le vigenti disposizioni di legge; — di non aver convocato né informato lo Snals circa la con
cessione in appalto a terzi del servizio di mensa di via del Ca
stro Laurenziano, contro il divieto di legge ed in contrasto con
l'accordo raggiunto nel 1984 e ribadito nel 1986; — di avere risposto agli scioperi, indetti dal sindacato in rea
zione al comportamento da ultimo ricordato, con diffide, arbi
trarie contestazioni ed illegittime intimidazioni, aggravando i dan
ni derivanti dalla sospensione del servizio mensa e creando di
scordia tra gli utenti del servizio stesso ed il personale scioperante; — di avere omesso di convocare le organizzazioni sindacali
e di contrattare con esse, come prescritto dalla legislazione re
gionale, i criteri di inquadramento dei dipendenti (quasi tutti
iscritti allo Snals) nel quarto livello funzionale ai sensi della
1. n. 18 del marzo 1980, adottando a tal riguardo provvedimenti «individuali» manifestamente ispirati a favoritismo;
— di avere escluso la Snals dal gruppo di lavoro e dalla com
missione mista (costituita con i soli rappresentanti Cgil, Cisl
e Uil) per la individuazione dei profili professionali del perso nale da inquadrare nella quinta qualifica funzionale;
— di non aver dato riscontro ad una richiesta di «informa
zione sindacale» del 14 aprile 1987, creando disparità di tratta
mento fra dipendenti iscritti allo Snals (ai quali veniva chiesto
il rimborso di ingenti somme) e altri dipendenti, in favore dei
quali venivano effettuate arbitrarie ed illegittime erogazioni; — di avere unilateralmente modificato un accordo sindacale
relativo alla misura ed alla scadenza del contributo in favore
del Crai della ex Opera universitaria, di essersi rifiutato di cor
rispondere il finanziamento dovuto e di avere operato «un con tinuo e costante boicottaggio» alla gestione del Crai, in coinci denza del periodo di presidenza di Luigi Canestrino, rappresen tante dello Snals, al fine di costringere il medesimo a rassegnare le dimissioni e di screditare il sindacato nell'imminenza delle
elezioni per la nomina dei nuovi amministratori del Crai. Tutto ciò premesso, i ricorrenti, nelle sundicate qualità, for
mulavano le seguenti testuali conclusioni:
ottobre 1988, n. 5569, id., 1989, I, 624; 20 luglio 1989, n. 3404, id., 1990, I, 137 (tutte richiamate in motivazione). Nella giurisprudenza me no recente, v., anche, Cass., sez. un., 6 maggio 1972, n. 1380, id., 1972, I, 1201, con nota di Pera; 27 novembre 1974, n. 3872, id., 1975, I, 327; 9 novembre 1974, n. 3477, id., 1974, I, 3282; 8 aprile 1975, n. 1267, id., 1975, I, 1366, nonché Corte cost. 20 maggio 1976, n. 118, id., 1976, I, 1415 e 5 maggio 1980, n. 68, id., 1980, I, 1553 (tutte richiamate in motivazione). V. anche Corte cost., ord. 21 luglio 1988, n. 860, id., 1989, I, 623, del pari richiamata in motivazione. Il quadro è profondamente mutato a seguito dell'entrata in vigore della 1. 146/90:
per la ricostruzione del sistema della tutela giurisdizionale dei diritti sindacali nel pubblico impiego attualmente vigente e per ulteriori indi cazioni si rimanda alla nota a Cons. Stato, sez. VI, ord. 12 ottobre 1990, n. 1181, id., 1991, III, 252.
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