sezione I civile; sentenza 29 marzo 1991, n. 3431; Pres. Scanzano, Est. Pannella, P.M. Martinelli(concl. conf.); Bongiovanni (Avv. Ledda) c. Soc. Salmi-Omc (Avv. Manzi, Dal Piaz) e altre.Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Torino 4 giugno 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3121/3122-3123/3124Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185733 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sarcitorio e compensativo, operavano ciascuno sia come criteri
di attribuzione, sia come parametri per la determinazione del
l'assegno tutti coesistenti ed applicabili ad entrambi i coniugi
(Cass. 26 aprile 1974, n. 1194, id., 1974, I, 1335; 12 luglio 1984, n. 4107, id., Rep. 1984, voce Matrimonio, n. 131) sicché il cri
terio assistenziale seguito dai giudici di merito si presenta cor
rettametne applicato. Anche in base alla nuova normativa il criterio assistenziale
ha trovato pieno riconoscimento subordinando il legislatore la
concessione dell'assegno alla mancanza di mezzi adeguati ed al
l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive. Non v'è quindi
alcun dubbio che anche in base all'art. 10 1. 74/87 il criterio
assistenziale trovi pieno riconoscimento normativo alla stregua
dell'operata riforma. Il problema è semmai l'accertare se, a se
guito della nuova disciplina, la natura composita dell'assegno
sia stata modificata a favore di un accentuato carattere assi
stenziale. Si ritiene, infatti, a seguito della mutata disciplina
che il legislatore abbia abbandonato la tesi della natura compo
sita dell'assegno di divorzio per affermare, invece, la natura
eminentemente assistenziale dello stesso. E ciò perché la nuova
legge richiede, come condizione necessaria per affermare il di
ritto di un coniuge di ottenere dall'altro l'assegno di divorzio,
che il coniuge istante non abbia redditi adeguati, tali cioè che
gli consentano di mantenere un tenore di vita adeguato a quello
che aveva in costanza di matrimonio (cfr. Cass. 17 marzo 1989,
n. 1322, id., 1989,1, 2512). Ma tale tesi che distingue tra criteri di attribuzione (quello assistenziale) e parametri per la determi
nazione del quantum dell'assegno (criterio compensativo e cri
terio risarcitorio), rifiutandone l'applicazione omogenea e pari
taria che ha dato luogo però a perplessità sia in ordine al dato
normativo che pure impone di valutare tutti gli altri elementi
anche in rapporto alla durata del matrimonio, sia in ordine al
dato sistematico, avendo l'ordinamento inteso operare una net
ta distinzione tra la separazione — che appartiene al macro si
stema codicistico — ed il divorzio — strutturato come micro
sistema autonomo ed indipendente — distinzione che verrebbe
travolta in quanto l'assegno di divorzio costituirebbe soltanto
una revisione di quanto stabilito in sede di separazione, non
tenendo più conto della definitività della rottura del rapporto
familiare, né dei presupposti propri del divorzio.
Con il secondo motivo del proposto ricorso si duole il ricor
rente che la decisione impugnata abbia attribuito alla Raimondi
una quota della pensione, stabilendo la corretta corresponsione
da parte dell'Inps, ai sensi dell'art. 8 1. 898/70, nonostante che
la pensione Inps non possa equipararsi ad un reddito da presta
zione d'opera, e non sussista alcun rapporto di lavoro tra l'Inps
ed il pensionato. Anche quest'assunto non è fondato. Ed infatti, allo scopo
di rafforzare la tutela dovuta all'ex-coniuge creditore dell'asse
gno di divorzio o di mantenimento dei figli minori, il legislatore
del 1970 rimise al giudice il potere di ordinare che una quota
dei redditi o dei proventi di lavoro del coniuge obbligato, fosse
versata direttamente all'ex-coniuge avente diritto all'assegno di
divorzio; con la riforma disegnata dall'art. 12 1. 74/87 il mecca
nismo di tutela prescinde da qualsiasi intervento giudiziale ri
mettendo esclusivamente all'attività del creditore dell'assegno
il perseguimento del risultato avuto di mira attraverso la c.d.
azione diretta.
Il riferimento ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente
somme di denaro al coniuge coobbligato contenuto nel 3° com
ma dell'art. 8, cosi come novellato dall'art. 12 1. 74/87, chiari
sce senza possibilità di dubbi il senso della precedente espressio
ne che faceva riferimento ai redditi o proventi di lavoro. Resta
in tal modo legittimata l'interpretazione più estensiva per quan
to attiene alle prestazioni dovute in maniera continuativa dal
terzo, in conformità con la giurisprudenza di questa corte (cfr.
Cass. 10 gennaio 1979, n. 159, id., 1979, I, 310) secondo cui
tra i proventi o redditi di lavoro vanno inclusi gli assegni pen
sionistici, sia che costituiscano trattamento di quiescenza diret
tamente scaturente dal rapporto di lavoro, sia che presentino,
come quelli dovuti dall'Inps, natura prevalentemente previden
ziale e relazione solo indiretta con il rapporto di lavoro.
I proventi pensionistici, come può evincersi dall'art. 38 Cost.,
assolvono ad una funzione non dissimile da quella espletata dalla
retribuzione (art. 36 Cost.), essendo entrambi destinati a garan
tire un'esistenza dignitosa al pensionato o al lavoratore ancora
in servizio ed alle loro famiglie. Secondo l'interpretazione giuris
II Foro Italiano — 1991.
prudenziale che ha trovato piena conferma nella novella del 1987,
il legislatore ha inteso riferirsi a qualsiasi fonte reddituale anche
se estranea ai rapporti di lavoro.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 marzo
1991, n. 3431; Pres. Scanzano, Est. Pannella, P.M. Mar
tinelli (conci, conf.); Bongiovanni (Avv. Ledda) c. Soc.
Salmi-Omc (Aw. Manzi, Dal Piaz) e altre. Dichiara inam
missibile ricorso avverso App. Torino 4 giugno 1986.
Concordato preventivo — Sentenza di omologazione in fase di
appello — Ricorso per cassazione — Legittimazione — Cura
tore — Esclusione (R.d. 16 marzo 1962 n. 267, disciplina del
fallimento, ar. 183).
Il curatore (speciale) del fallimento, dichiarato dal tribunale che
neghi l'omologazione del concordato preventivo, non è legit
timato a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza
con cui il giudice di appello, riformando la sentenza di primo
grado, abbia omologato il concordato. (1)
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Torino con de
creto del 15 ottobre 1984 dichiarava aperta la procedura di con
cordato preventivo in favore della s.r.l. Salmi-Omc che, già in
amministrazione controllata, ne aveva fatto richiesta con offer
ta della cessione di tutti i suoi beni ai creditori, nominando
il dr. Francesco Jerace, commissario giudiziale.
Successivamente, il medesimo tribunale, acquisite la relazione
tecnica valutativa dei beni anche immobili nonché la relazione
del commissario, con sentenza dell'I 1 luglio 1985 respingeva la
proposta, negando l'omologazione al concordato sul convinci
mento di inesistente sufficienza dei beni e della mancanza di
convenienza, e dichiarava il fallimento della società, nominan
do il medesimo dr. Francsco Jerace, curatore di esso.
Proposto gravame dalla soc. Salmi-Omc, la Corte d'appello
di Torino con sentenza del 4 giugno 1986, riformando la deci
sione impugnata, omologava il proposto concordato, revocan
(1) In senso conforme Cass. 26 ottobre 1988, n. 5797, Foro it., Rep.
1989, voce Fallimento, n. 252, citata in motivazione. L'interpretazione strettamente letterale dell'art. 183 1. fall., norma che non ricomprende il curatore fra i soggetti litisconsorti necessari delle fasi di gravame nel
processo di omologazione del concordato preventivo, oltre a porsi co
me fondamento delle cennate pronunce, è seguita anche in dottrina da
Frascaroli-Santi, Il concordato preventivo, Padova, 584; Maisano, Concordato preventivo, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Ro
ma, 1988, 10; Rocco di Torrf.padula, Concordato preventivo, voce
del Digesto priv., Torino, 1988, 280; Lo Cascio, Il concordato preven
tivo, Milano, 1986, 482; Provinciali, Concordato preventivo, voce del
Novissimo digesto, Torino, 1967, III, 985; Vaselli, Concordato pre
ventivo, voce dA\'Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 518.
La decisione in rassegna non prende posizione in ordine alla legitti mazione al ricorso per cassazione da parte del commissario giudiziale, mentre in senso negativo si era pronunciata, seppure in obiter dictum,
Cass. 13 aprile 1987, n. 3676, Foro it., Rep. 1987, voce Concordato
preventivo, n. 78.
Diversamente da quanto enunciato in motivazione, Cass. 26 marzo
1981, n. 1758, id., Rep. 1981, voce cit., n. 53, stando al testo della
massima, sembra riconoscere al curatore la legittimazione alla proposi zione del ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la corte
d'appello omologa il concordato; in questo senso, ovverosia per l'atec
nica formulazione dell'art. 183 1. fall, (laddove parla di commissario
giudiziale e non di curatore nell'ipotesi in cui il tribunale rigetti la do
manda di concordato e dichiari il fallimento), si era pronunciata App.
Torino 29 marzo 1974, id., Rep. 1976, voce cit., n. 36, rilevando che
unico è il soggetto che rappresenta la massa dei creditori (sul presuppo sto che, secondo l'id quod plerumque accidit, il commissario giudiziale
viene nominato curatore). [M. Fabiani]
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3123 PARTE PRIMA 3124
do la dichiarazione di fallimento e confermando nella carica
di commissario giudiziale il dr. Francsco Jerace.
Contro tale sentenza il rag. Federico Bongiovanni, nominato
curatore speciale del fallimento della s.r.l. Salmi-Omc con de
creto del Tribunale di Torino del 23 giugno 1986 in sostituzione
del curatore dr. Francesco Jerace per pretesa incompatibilità o contrasto di interessi derivanti dalla duplicità delle funzioni
dello Jerace: quale curatore del fallimento e commissario del
concordato preventivo, ha proposto ricorso per cassazione sulla
base di tre motivi.
La s.r.l. Salmi-Omc ha presentato controricorso, eccependo
pregiudizialmente l'inammissibilità del ricorso per due ragioni:
1) perché il ricorso sarebbe stato notificato in modo tardivo;
2) perché il ricorso sarebbe stato proposto da soggetto non le
gittimamente nominato curatore speciale del fallimento.
Motivi della decisione. — Prima dell'esame dei motivi di ri corso e, ancor prima dell'esame delle questioni di inammissibili
tà del ricorso stesso, il collegio ritiene di dover porsi d'ufficio
il problema, di carattere pregiudiziale, dell'ammissibilità del ri
corso per cassazione da parte del curatore fallimentare nella
ipotesi de qua, in cui, respinta dal tribunale la proposta di omo
logazione del concordato, la relativa sentenza venga appellata ai sensi dell'art. 183 1. fall, e riformata con sentenza della corte
d'appello che omologa, invece, il concordato medesimo.
L'indirizzo giurisprudenziale di questa corte regolatrice è nel
senso che nella procedura di concordato preventivo, se al com
missario giudiziale è riconosciuta legittimazione nei giudizi di
cognizione (sent. 26 marzo 1981, n. 1758, Foro it., Rep. 1981, voce Concordato preventivo, n. 53), la medesima è negata al
curatore, sulla considerazione — desumibile della ratio del si
stema — che la vicenda processuale fallimentare è un mero ri
flesso di quella concordataria.
L'art. 183 1. fall, dispone che l'appello contro la sentenza
che omologa o respinge il concordato dev'essere notificato al
debitore, al commissario giudiziale ed alle parti costituite in giu
dizio, con esclusione pertanto del curatore (pur essendo, la sua
esistenza in carica, ipotizzabile con riferimento al caso di reie
zione del concordato). Da ciò l'evidente voluntas legis che, an
che in appello, ravvisa un nuovo effetto riflesso della vicenda
concordataria su quella fallimentare (sent. 26 ottobre 1988, n.
5797, id., Rep. 1989, voce Fallimento, n. 252). Nella presente fattispecie, in applicazione del principio sue
sposto, dal quale non v'è motivo di allontanarsi, il ricorso, pro
posto dal rag. Federico Bongiovanni, curatore speciale in sosti
tuzione del curatore fallimentare, va dichiarato inammissibile,
per carenza di legittimazione sostanziale e processuale di lui.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 29 mar
zo 1991, n. 3388; Pres. Quaglione, Est. Giustiniani, P.M.
Tridico (conci, parz. diff.); Capitanio (Avv. Masala Detto
ri, Peroni, Moretti) c. Palamenghi (Avv. Procopio). Cassa
Trib. Brescia 23 febbraio 1988.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione — Equo canone — Integrazione del canone per riparazioni straordinarie — Ambito temporale di applicabilità — Aggior namento del canone — Base di calcolo — Inclusione (L. 27
luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili ur bani, art. 23, 24).
In tema di locazione abitativa, l'integrazione del canone previ sta dall'art. 23 l. 392/78 nel caso che vengano eseguite nel
l'immobile importanti ed improrogabili opere necessarie per conservare ad esso la sua destinazione o per evitare maggiori danni che ne compromettano l'efficienza in relazione all'uso
a cui è adibito, o comunque opere di straordinaria manuten
zione di rilevante entità, spetta al locatore non soltanto nel
li Foro Italiano — 1991.
corso del rapporto durante il quale i suddetti lavori sono stati
eseguiti, ma anche successivamente, e, come espressamente
previsto dall'art. 24 l. cit., va compresa nella base di compu to dell'aggiornamento del canone, a prescindere dalla circo
stanza che il contratto sia rinnovato con lo stesso conduttore
o con altri. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 9 aprile
1988, n. 2798; Pres. Albanese, Est. Tropea, P.M. Di Renzo
(conci, conf.); D'Ambrosi (Avv. De Simone) c. Amodio (Avv. De Vita). Conferma Trib. Napoli 8 settembre 1982.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione — Equo canone — Integrazione del canone per riparazioni straordinarie — Ambito temporale di applicabilità (L. 27 lu
glio 1978 n. 392, art. 23).
In tema di locazione abitativa, l'integrazione del canone previ sta dall'art. 23 l. 392/78 nel caso che vengano eseguite nel
l'immobile importanti ed improrogabili opere necessarie per conservare ad esso la sua destinazione o per evitare maggiori danni che ne compromettano l'efficienza in relazione all'uso
a cui è adibito, o comunque opere di straordinaria manuten
zione di rilevante entità, spetta al locatore soltanto in dipen
denza di opere effettuate durante il corso del rapporto di lo
cazione, e non anche in relazione ad opere ultimate anterior
mente ad esso. (2)
(1-2) L'integrazione del canone di locazione prevista dall'art. 23 1.
392/78, tra contrasti interpretativi e innovazioni normative.
1. - Le pronunzie che si riportano evidenziano un nuovo contrasto
insorto nell'ambito della terza sezione civile della Cassazione riguardo
all'interpretazione di una norma della legge c.d. dell'equo canone. Il
problema è di stabilire quale incidenza hanno sulla misura (massima)
legale del canone (e cioè sul c.d. equo canone), al di fuori del rapporto di locazione nel corso del quale siano state eseguite, le opere di «ripara zione straordinaria» previste dall'art. 23 1. 392/78: alla tesi (seguita da
Cass. 3388/91) secondo cui tale incidenza si sostanzia in una maggiora zione dell'equo canone, rapportata in misura percentuale alla spesa ri
masta a carico del locatore, si contrappone l'interpretazione secondo
cui, cessato il rapporto locatizio in corso quando i lavori sono termina
ti, questi influiscono sull'entità dell'equo canone sotto un profilo diver
so, e cioè soltanto ai fini dell'art. 21, se abbiano influito oggettivamen te (migliorandolo) sullo stato di conservazione e di manutenzione del
l'immobile locato. Si noti, peraltro, che — per la riportata Cass. 2798/88 — le due differenti modalità di incidenza sul canone delle opere con
template dall'art. 23 non sono incompatibili, ma possono concorrere, nel senso che (nel corso del rapporto durante il quale viene realizzato) lo stesso intervento manutentivo potrebbe giustificare, a richiesta del
locatore, oltre ad un'integrazione ex art. 23, anche un adeguamento del canone ai sensi dell'art. 25 1. cit., qualora per effetto di esso l'im mobile abbia riportato miglioramenti significativi sotto il profilo del
l'art. 21 (passando, per esempio, da uno stato «scadente» ad uno stato
«mediocre», o da «mediocre» a «normale»). Il contrasto interpretativo cui ha dato luogo la pronunzia più recente
della Suprema corte (che, peraltro, ignora del tutto l'esistenza del pre cedente contrario) non è di poco conto, soprattutto ove si consideri
che — stante il dettato dell'art. 24 1. 392/78 — anche la parte di canone
spettante al locatore ai sensi del citato art. 23 è soggetta ad aggiorna mento, e — soprattutto — che l'art. 1 1. 26 novembre 1990 n. 353, entrato in vigore il 16 dicembre 1990, ha portato (dal 5%) al 10% il
tasso legale degli interessi: «l'interesse legale sul capitale impiegato nel le opere e nei lavori effettuati» (dedotte «le indennità e i contributi di ogni natura che il locatore abbia percepito o che successivamente
venga a percepire») segna infatti il limite massimo dell'aumento ex art. 23. A tale ultimo proposito, C. Sforza Fogliani, Nuova misura degli
interessi legali, riparazioni straordinarie e deposito cauzionale, in Arch,
locazioni, 1990, 657, ritiene che il nuovo tasso di interesse si applichi anche con riferimento alle integrazioni del canone ex art. 23 «già in
corso al 16 dicembre». Di contraria opinione sembrerebbe, invece, F.
Lazzaro, Le locazioni per uso abitativo, Milano, 1991, 390 ss., dal momento che si pone il problema della «misura» (in conseguenza del l'entrata in vigore dell'art. 1 1. 353/90, che ha sostituito l'art. 1284
c.c.) solo per quanto concerne la «integrazione relativa a lavori ultimati
prima del 16 dicembre 1990, richiesta tuttavia successivamente a tale
data». A mio avviso, il principio di irretroattività della legge nuova
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