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sezione I civile; sentenza 26 aprile 1989, n. 1940; Pres. Vela, Est. Lupo, P.M. Donnarumma(concl. conf.); Soc. Weitnauer Trading Company (Avv. Giorgianni, Pedersoli), c. Min. finanze eSoc. Universal Express A.G. (Avv. Arnaboldi); Soc. Universal Express A.G. c. Min. finanze e Soc.Weitnauer Trading Company. Conferma App. Roma 22 dicembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 195/196-201/202Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184465 .
Accessed: 28/06/2014 16:50
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PARTE PRIMA
versia che non rientra nell'ambito della giurisdizione dell'autorità
giudiziaria ordinaria. Giova premettere, al fine dell'individuazione della natura del
rapporto intercorrente tra il comune di Chiavari e l'ing. Balzarot
ti, che al comune l'amministrazione marittima, con atto del 16
maggio 1973, approvato con d.m. 28 giugno 1973, assenti la con
cessione, per la durata di cinquant'anni, di un'area demaniale
marittima, allo scopo del completamento del porto di Chiavari
e della sua gestione, per i soli tre quarti; quale approdo turistico, con facoltà di provvedere all'assegnazione dei posti d'ormeggio
agli utenti, mentre la rimanente parte dell'approdo sarebbe rima
sta a disposizione dei natanti in transito.
Il concessionario, in base all'art. 7 del predetto atto, era tenuto
a predisporre un regolamento contenente le norme di esercizio
e di uso dell'approdo turistico, regolamento adottato dal consi
glio comunale con deliberazione del 3 agosto 1974, successiva
mente modificata, ed approvato dalle competenti autorità
marittime.
Tale regolamento — nella parte che qui interessa — prevede
l'assegnazione degli ormeggi, ai fini dell'utilizzazione, a lungo o
a breve termine, secondo i criteri stabiliti dal comune, e la stipu lazione, nella prima ipotesi, di contratti di ancoraggio.
Nella disciplina degli ormeggi assegnati per l'intera durata del
la concessione, il regolamento prevede la piena disponibilità, da
parte dell'utente, dell'ormeggio assegnatogli e l'impegno del co
mune di mantenerlo libero nel caso della di lui assenza dall'ap
prodo turistico per un qualsiasi periodo di tempo. Con contratto registrato il 14 febbraio 1975 all'odierno ricor
rente venne assegnato, per l'intera durata della concessione de
maniale, l'ormeggio 22 della categoria C (cioè un posto per imbarcazioni da otto a dodici metri).
Ciò premesso, ritiene la corte che il rapporto di cui si è fatto
cenno vada inquadrato nell'ambito delle concessioni su beni de
maniali, con le conseguenze che se ne traggono in ordine al pro blema del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
I porti, come è noto, ai sensi degli art. 822 c.c. e 28 c. nav., fanno parte del demanio marittimo.
Oltre ad elementi terrestri, la nozione di porto comprende an
che la zona di mare destinata al riparo e all'asilo delle navi. Non
è, invero, di ostacolo all'appartenenza al demanio la mutevolezza
delle acque. Nella classificazione dei porti di cui all'art. 2 t.u. 2 aprile 1885
n. 3095, quelli turistici appartengono alla quarta classe della se
conda categoria. Come tale il porto di Chiavari è indicato nel
menzionato atto di concessione.
Tale qualificazione, però, non incide sul problema in esame, essendo soltanto rilevante, ai fini che qui interessano, la ricorda
ta appartenenza dello specchio d'acqua di cui trattasi al demanio
necessario dello Stato. Da questa appartenenza discendono, in
fatti, inevitabilmente effetti in ordine alla natura del rapporto che si viene ad instaurare tra il concessionario della gestione del
porto e l'utente del posto di ormeggio cui sia assegnato un diritto di utilizzazione avente le caratteristiche di esclusività innanzi ac cennate.
La natura demaniale dello spazio acqueo assegnato per l'or
meggio incide sul problema anzidetto, posto che l'assentita utiliz
zazione, con le caratteristiche evidenziate, si concreta in un uso
eccezionale del bene di proprietà pubblica, che può scaturire sol
tanto da un atto avente natura di concessione.
Invero, i beni che fanno parte del demanio pubblico non pos sono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi
e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 823 c.c.). Perciò i negozi relativi all'utilizzazione di detti beni non possono dar luogo che ad atti di concessione in godimento temporaneo.
Questa Suprema corte già ha avuto occasione di affermare che
la natura del bene incide sulla qualificazione del rapporto, che, se ne costituisce oggetto un bene appartenente al demanio, non
può che essere considerato una concessione amministrativa (v. sent. 5 settembre 1974, n. 2417, id., Rep. 1974, voce Acque pub bliche e private, n. 14; e sez. un. 21 maggio 1973, n. 1457, id.,
Rep. 1973, voce Demanio e patrimonio dello Stato, n. 9, secondo
cui la concessione-contratto costituisce lo strumento tipico ed or
dinario attraverso il quale si suole consentire al privato l'utilizza
zione dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile). Nel caso di specie, tenendo presente la concezione tradizionale,
secondo la quale dei beni pubblici dovrebbero esser considerate
li Foro Italiano — 1990.
tre categorie di usi da parte dei singoli: l'uso comune, l'uso spe ciale e l'uso eccezionale (concezione che la moderna dottrina ten
de a superare, ritenendo più corretta dal punto di vista giuridico la distinzione tra uso generale e uso particolare, che designano
rispettivamente l'uso cui tutti vengono indiscriminatamente am
messi, uti cives, anche se talvolta occorra il pagamento di un
prezzo o di una tassa o il rilascio di un permesso, e l'uso cui
vengono ammessi, uti singuli, i beneficiari di specifici provvedi menti di concessione), non può revocarsi in dubbio che l'uso del
bene demaniale concesso al privato rientri nella categoria dell'uso
eccezionale, risultando sottratto lo spazio di ormeggio all'uso co
mune (o a quello dell'amministrazione) dall'assegnazione di esso
all'utente, che ne gode in modo esclusivo in virtù del cosiddetto
contratto di ancoraggio. Tale contratto — attesi i principi sopra ricordati — attua, nei
limiti dello spazio costituente l'ormeggio, una subconcessione di
bene demaniale, pienamente aderente al contenuto e allo spirito della concessione in favore del comune di Chiavari, cui è stato,
infatti, consentito di utilizzare, come si è detto, i tre quarti del
l'approdo, con facoltà di provvedere all'assegnazione dei posti di ormeggio agli utenti.
Può dirsi, anzi, che nel caso dei porti turistici l'interesse sociale
trovi soddisfazione appunto attraverso questa utilizzazione parti colare del bene pubblico esercitata da singoli soggetti.
Definito in tal modo il rapporto tra il comune — subconceden
te — e l'assegnatario dell'ormeggio (del rapporto la cui sorte è
ovviamente legata a quella del rapporto di concessione, revocabi
le per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio discrezionale del
l'amministrazione marittima), le relative questioni rientrano di con
seguenza nella previsione degli art. 5 e 7 1. 6 dicembre 1971 n.
1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali. Trova applicazione nel caso di specie l'ipotesi del 1° comma
del citato art. 5, secondo cui le controversie relative a rapporti di concessione di beni o servizi pubblici devono ritenersi devolute
al giudice amministrativo, sia che attengano a diritti soggettivi sia che afferiscano ad interessi legittimi.
Invero, la controversia in esame, pur riguardando rimborsi ri
chiesti all'utente dall'ente pubblico subconcedente, non rientra
nella previsione del 2° comma del predetto articolo, che fa salva
la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria per le contro
versie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi. L'og
getto della contestazione, infatti, non è limitato al mero profilo
patrimoniale, investendo la facoltà di determinazione anticipata e forfetaria degli oneri di gestione, riconosciuta esplicitamente al comune, nella sua qualità di gestore dei servizi portuali, dal
l'art. 10 del relativo regolamento, richiamato nell'art. 6 del con
tratto di ancoraggio. Tale facoltà risulta correlata ad una serie di attività, specificate
nello stesso atto di concessione, regolate dalla più ampia discre
zionalità.
La contestazione di cui trattasi, che riguarda non già la corri
spondenza alle tariffe del corrispettivo richiesto dall'utente, bensì' il corretto esercizio del potere discrezionale del comune di deter minazione delle tariffe stesse, rientra, dunque, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 aprile 1989, n. 1940; Pres. Vela, Est. Lupo, P.M. Donnarumma
(conci, conf.); Soc. Weitnauer Trading Company (Aw. Gior
gianni, Pedersoli), c. Min. finanze e Soc. Universal Express A.G. (Avv. Arnaboldi); Soc. Universal Express A.G. c. Min.
finanze e Soc. Weitnauer Trading Company. Conferma App. Roma 22 dicembre 1986.
Dogana — Importazione — Sottrazione della merce per rapina — Obbligazione tributaria doganale (D.p.r. 23 gennaio 1973
n. 43, approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, art. 37; d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, dispo sizioni urgenti in materia tributaria, art. 22 ter, 1. 22 dicembre
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1980 n. 891, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
31 ottobre 1980 n. 693, art. 1).
Dogana — Importazione — Sottrazione della merce per rapina — Obbligazione tributaria doganale — Questione manifesta
mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 53; d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, art. 37; d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, art. 22 ter, 1. 22 dicembre 1980 n. 891, art. 1).
Valore aggiunto (imposta sul) — Importazione — Sottrazione della
merce per rapina — Obbligazione tributaria (D.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, art. 37; d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, art. 22 ter, 1. 22 dicembre 1980 n. 891, art. 1).
A norma dell'art. 37 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, interpretato autenticamente dall'art. 22 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693 (con vertito in l. 22 dicembre 1980 n. 891), la sottrazione della mer
ce importata (nella specie, per rapina) non impedisce l'avvera
mento del presupposto dell'obbligazione tributaria doganale. (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 22 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, convertito in
l. 22 dicembre 1980 n. 891 (che è norma di interpretazione au
tentica dell'art. 37 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43), per effetto del quale la sottrazione della merce importata non impedisce l'avveramento del presupposto dell'obbligazione tributaria do
ganale, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost. (2) La sottrazione della merce importata (nella specie, per rapina)
non estingue l'obbligazione del pagamento dell'Iva, dovendosi
applicare l'art. 37 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, interpretato autenticamente dell'art. 22 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693 (con vertito in l. 22 dicembre 1980 n. 891), e non l'art. 53 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633. (3)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 16 maggio 1981 la Weitnauer Trading Company s.a. conveniva
davanti al Tribunale di Roma l'amministrazione delle finanze e
la Universal Express A.G., esponendo di avere stipulato con que st'ultima un contratto di trasporto per merci varie destinate ai
Magazzini generali di Roma, in ordine alle quali era stata sotto
scritta garanzia da parte di una banca di Francoforte sul Meno.
Le merci, transitate al valico di Aosta, erano state sottratte nel
corso di una rapina, il 19 marzo 1980, in località prossima a
Piacenza. Poiché l'amministrazione finanziaria aveva preteso, no
nostante il furto totale della merce, il pagamento dei diritti doga nali e dei tributi accessori, la banca garante vi aveva dato corso, versando la cauzione di lire 71.287.500. Tanto premesso, la socie
tà Weitnauer, proprietaria della merce e mittente del trasporto,
esposta, in quanto tale, alla rivalsa della Universal Express, chie
deva che fossero dichiarati non dovuti i tributi chiesti dall'ammi
nistrazione e fosse disposta la restituzione della cauzione indebi
tamente versata.
Con distinto atto di citazione notificato il 24 ottobre 1981 la
(1-3) L'affermazione circa l'avveramento del presupposto dell'obbliga zione tributaria doganale nonostante la sottrazione (furto o rapina) della merce importata rappresenta un dato costante in giurisprudenza, stante, peraltro, la meticolosità delle prescrizioni legislative in materia, oggetto persino di specifico intervento interpretativo autentico (cfr. art. 22 ter d.l. 693/80). Con particolare riferimento alla sorte, nella fattispecie pro spettata, dell'obbligo del versamento dell'Iva, invece, non risultano pre cedenti che abbiano affrontato esplicitamente la questione. Sul punto, v. Cass. 9 febbraio 1987, n. 1376, Foro it., Rep. 1987, voce Dogana, n. 27; 14 gennaio 1987, n. 177, ibid., n. 28; 6 novembre 1986, n. 6484, id., 1987, I, 844, con nota di richiami; 7 settembre 1984, n. 4779, id., Rep. 1984, voce Fabbricazione (imposte di), n. 4, anch'essa, come la
precedente, in materia di imposte di fabbricazione (alla quale è ugual mente applicabile l'art. 22 ter d.l. cit.); 15 maggio 1984, n. 2942, ibid., voce Dogana, n. 40; 15 maggio 1984, nn. 2943 e 2947, id., 1984, I, 2221 e 2214, con nota di richiami.
Quanto ai profili di costituzionalità delle disposizioni applicate dalla
Cassazione, v. Corte cost. 31 marzo 1988, n. 373, id.. Rep. 1988, voce
cit., nn. 29, 30, che rigetta le questioni di legittimità sottopostele in riferi mento agli art. 3 e 53 Cost. La non manifesta infondatezza era stata dichiarata da App. Genova 5 luglio 1984, id., Rep. 1987, voce cit., n.
24, con nota di F. Graziano, Furto di merce estera in deposito doganale ed obbligazione tributaria, in Dir. e pratica trib., 1987, II, 301; Trib. Catania 2 aprile 1982, Foro it., 1984, I, 320 (m). In senso contrario, hanno deciso, invece, Cass. 12 marzo 1987, n. 2554, id.. Rep. 1987, voce
cit., n. 25; 14 gennaio 1987, n. 177, cit.; 6 novembre 1986, n. 6484, cit.
Il Foro Italiano — 1990.
Universal Express A.G., premesse le medesime circostanze in fat
to ed altresì' che il 10 ottobre 1981 le era stata notificata ingiun zione per il pagamento di lire 163.800.030, corrispondente al resi
duo importo dei diritti doganali, non copeto dalla cauzione ver
sata, conveniva davanti allo stesso tribunale l'amministrazione finanziaria per sentire dichiarare l'illegittimità dell'ingiunzione, non sussistendo i presupposti dell'obbligazione tributaria.
Il tribunale, riuniti i giudizi, emanava la sentenza depositata il 26 luglio 1984, con la quale, in parziale accoglimento delle do
mande della due società, dichiarava non dovute le somme liqui date a titolo di Iva e, pertanto, limitatamente a questo tributo, 1 ' illegittimità dell'ingiunzione.
Proposto appello principale dall'amministrazione delle finanze
e appello incidentale dalla Weitnauer Trading Company s.a., e
costituitasi anche la società Universal Express, la Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 22 dicembre 1986, osservava che l'avvenuta rapina della merce non faceva venire meno l'ob
bligazione tributaria, in quanto essa doveva presumersi definiti
vamente immessa in commercio a norma degli art. 36 e 37 del
t.u. leggi doganali, tenuto conto dell'interpretazione autentica che
all'art. 37 aveva dato l'art. 22 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, secondo cui la parola «perdita» (ipotesi in cui non opera detta
presunzione) va «intesa nel significato di disfunzione e non di
sottrazione della disponibilità del prodotto». La corte dichiarava
manifestamente infondate le questioni di legittimità costituziona
le della menzionata norma di interpretazione autentica, sollevate
in relazione agli art. 3, 23 e 53 Cost. Siffatta norma era dalla
corte ritenuta applicabile anche in ordine alla disciplina dell'Iva
sull'importazione, per il fatto che quest'ultima imposta è sogget ta alla stessa normativa prevista per i diritti doganali. Pertanto, la corte d'appello riformava la sentenza del tribunale limitata
mente alla sussistenza dell'obbligo dell'importarore di pagare an
che l'Iva, oltre che i dazi doganali. Di conseguenza era accolto l'appello principale dell'ammini
strazione finanziaria, mentre era respinto l'appello incidentale pro
posto dalla società Weitnauer, con conseguente rigetto totale dal
l'opposizione all'ingiunzione fiscale presentata dalla Universal
Express. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma hanno pro
posto separati ricorsi per cassazione la società Weitnauer Trading
Company (con atto notificato il 6 e 7 luglio 1987) e la società
Universal Express (con atto notificato il 26 e 28 settembre 1987). In ambedue i giudizi l'amministrazione delle finanze ha presenta to controricorso.
Tutte le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - I due ricorsi per cassazione van
no riuniti, essendo diretti contro la medesima sentenza della Cor
te d'appello di Roma.
2. - Con il primo dei tre motivi del ricorso la società Weitnauer
Trading Company deduce violazione e falsa applicazione degli art. 34, 35, 36 e 37 t.u. delle leggi doganali (approvato con d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43), in relazione all'art. 22 ter d.l. 31 ottobre
1980 n. 693 (convertito nella 1. 22 dicembre 1980 n. 891), nonché
per contrasto con gli art. 3, 23 e 53 Cost. La società ricorrente
premette che, secondo il t.u. doganale del 1973 (a differenza del
precedente t.u. del 1940), l'obbligazione doganale nasce non al
passaggio della linea doganale, bensì con la destinazione delle
merci al consumo, la quale costituisce l'effetto di un atto volon
tario del contribuente. Consegue che, come è stato affermato an
che da sentenze di questa corte, la sottrazione della merce ai vin
coli doganali da parte di ladri esclude la nascita dell'obbligazione tributaria a carico dell'importatore, in quanto il debito di impo sta nasce, in tale caso, solo in capo a colui che immette le merci
rubate al consumo, e quindi a carico del ladro-contrabbandiere.
Secondo la società ricorrente, l'art. 22 ter d.l. 693/80 contrasta
con i detti principi informatori della legge doganale, onde esso
deve ritenersi con conforme agli art. 3 e 53 Cost.
Il motivo di ricorso è infondato. Se è vero che il presupposto
dell'obbligazione doganale è costituito, per le merci estere, dalla
loro destinazione al consumo entro il territorio doganale (art. 36, 1° comma, t.u. doganale), è anche vero che, secondo il 5° com
ma dello stesso art. 36, «si presume definitivamente immessa in
consumo la merce che sia stata indebitamente sottratta ai vincoli
doganali o che comunque non sia stata presentata alle verifiche
o controlli doganali nei termini prescritti o non sia stata rinvenu
ta all'atto delle operazioni predette». La presunzione di immis
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PARTE PRIMA
sione al consumo non opera soltanto nei casi previsti dall'art. 37 t.u. doganale. Da questi casi il citato art. 22 ter ha escluso — con norma espressamente qualificata d'interpretazione auten tica ed avente perciò efficacia retroattiva — la sottrazione della
disponibilità del prodotto (in tal senso si sono già pronunziate le sentenze di questa corte 31 ottobre 1981, n. 5769, Foro it., 1982, I, 722; 15 maggio 1984, n. 2943, id., 1984, I, 2221; 7 set tembre 1984, n. 4779, id., Rep. 1984, voce Fabbricazione (impo ste di), n. 4; 6 novembre 1986, n. 6484, id., 1987, I, 844; 14
gennaio 1987, n. 177, id., Rep. 1987, voce Dogana, n. 28; 9 feb braio 1987, 1376, id., Rep. 1988, voce cit., nn. 29, 30).
Consegue che è erronea l'interpretazione che la società ricor rente dà al t.u. doganale, nel senso di richiedere per la nascita
dell'obbligazione doganale una destinazione al consumo che si
ricolleghi esclusivamente ad un atto volontario dell'importatore. Al contrario, l'esistenza della presunzione di immissione in con sumo posta dal 5° comma dell'art. 36 di detto t.u. dimostra che il presupposto dell'obbligazione doganale può prescindere da un
comportamento volontario dell'importatore. Né questa situazione normativa si pone in contrasto con gli
art. 3 e 53 Cost. Tutti i motivi di incostituzionalità prospettati nel ricorso, già ritenuti manifestamente infondati dalla sentenza di questa corte n. 177/87, che li ha analizzati in modo completo, sono stati giudicati non fondati dalla sentenza della Corte cost, n. 373 del 31 marzo 1988 (id., Rep. 1988, voce cit., nn. 29, 30), anche per quanto attiene all'efficacia retroattiva dell'art. 22 ter d.l. 693/80.
In particolare, per quanto riguarda la conformità di tale dispo sizione all'art. 53 Cost., va ribadito che «la capacità contributiva si evidenzia nello stesso momento dell'introduzione della merce nel territorio dello Stato in funzione di successiva immissione nel
mercato, senza che rilevi il sopravvenire di fatti che abbiano fru strato la legittima aspettativa dell'importatore di ricavare denaro dalla vendita del prodotto importato» (sentenza di questa corte
177/87). Né sussiste violazione dell'art. 3 Cost, per i diversi effetti pro
dotti dalla dispersione della merce (che non incide su tale presup posto). Come ha osservato la citata sentenza della Corte costitu
zionale, le due situazioni messe a raffronto sono diverse, «non sussistendo nell'una, a differenza dell'altra, la possibilità di im
missione in commercio della merce importata». Una volta che il furto e la rapina della merce importata sono
considerati fatti non idonei a superare la presunzione di immis sione al consumo posta dall'art. 36, 5° comma, del t.u. dogana le, consegue che al pagamento dell'imposta doganale è obbligato il proprietario della merce (nel particolare significato che a que sta nozione dà il successivo art. 56), secondo la regola generale dell'art. 38, 1° comma, dello stesso t.u. Tale obbligazione non
può venire meno per la sussistenza di un titolo di responsabilità a carico del ladro o del rapinatore, anche se tale responsabilità sia ritenuta operante non solo nei confronti del proprietario della merce sottratta, ma altresì' nei rapporti con l'amministrazione fi nanziaria (v. amplius la citata sentenza 177/87, in motivazione).
3. - Con il secondo motivo di ricorso la società Weitnauer de duce la violazione delle stesse norme del t.u. doganale indicate nel primo motivo in relazione all'art. 112 c.p.c., nonché l'omesso esame di fatti decisivi. Secondo la ricorrente la sentenza impu gnata non ha pronunziato sull'esecuzione da essa opposta che la merce era destinata ad ambasciate straniere a Roma, e quindi era esente dal pagamento dei diritti doganali.
Il motivo è infondato. È vero che la tesi difensiva della società Weitnauer sopra riassunta non è stata espressamente presa in esa me dalla sentenza impugnata. Tale tesi, però, introduce una que stione che deve ritenersi assorbita nei motivi posti a fondamento della pronunzia della corte d'appello. Come si è detto in relazio ne al primo motivo di ricorso, detta pronunzia ha ritenuto ope rante la presunzione d'immissione in consumo posta dal 5° com ma dell'art. 36 t.u. doganale. Per effetrto di tale presunzione, si è verificato il presupposto dell'obbligazione doganale a carico della società ricorrente (art. 36, 1° comma, e 38 t.u. doganale), e ciò rende ininfluente ogni altro fatto od eccezione intesa a so stenere l'insussistenza di detta obbligazione.
4. - Con il terzo motivo del ricorso la società Weitnauer censu ra la sentenza impugnata nella parte in cui, accogliendo l'appello principale dell'amministrazione, ha affermato che sui beni sot tratti è dovuta anche l'Iva sulle importazioni. Al riguardo la ri corrente deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 34-37
Il Foro Italiano — 1990.
del t.u. doganale e degli art. 1, 53, 67 e 70 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 (recante la disciplina dell'imposta sul valore aggiun to), nonché l'omesso esame di fatti decisivi. Si sostiene, nel ricor
so, l'applicabilità nella presente fattispecie dell'art. 53 d.p.r. 633/72, secondo cui la presunzione di cessione dei beni non ope ra nel caso di perdita dei detti beni, concetto in cui rientra il furto degli stessi, secondo una circolare della stessa amministra zione finanziaria.
Anche all'Iva sull'importazione si riferisce l'unico motivo del ricorso per cassazione proposto dalla società Universal Express A.G., con cui si prospettano censure analoghe a quelle dedotte nel terzo motivo del ricorso della società Weitnauer, ancorché
sviluppate in modo più ampio. In particolare, la società Univer sal rileva: a) che la merce sottratta era destinata solo a transitare nel territorio italiano, essendo essa diretta ad uno Stato estero, onde non si è verificata una «importazione», che è sempre un atto volontario del possessore della merce; b) che, per l'imposi zione Iva, è applicabile esclusivamente l'art. 53 d.p.r. 633/72, il quale esclude l'obbligazione tributaria nel caso in cui i beni sono andati «perduti»; c) che per la nozione di «perdita» prevista dal detto art. 53 non è applicabile la norma interpretativa intro dotta dall'art. 22 ter d.l. 693/80.
Il motivo comune dedotto dai due ricorsi è infondato. L'Iva
sull'importazione presenta caratteristiche diverse da quella sulla cessione di beni (e prestazioni di servizi) nell'interno dello Stato. Il presupposto oggettivo è costituito dal fatto obiettivo dell'im
portazione da chiunque effettuata (art. 1 d.p.r. 633/72); l'impo sta, applicata per ciascuna operazione (art. 70 dello stesso d.p.r.), ha per oggetto il valore pieno del prodotto importato (precedente art. 69) e colpisce quindi il valore aggiunto di tutte le precedenti fasi di produzione e di distribuzione del prodotto, restando inap plicabile il principio della detrazione «imposta da imposta» di cui all'art. 29 del citato d.p.r. 633/72.
La individuazione del presupposto dell'imposta è compiuta dal l'art. 67 d.p.r. 633/72, che si riferisce alle «operazioni considera te importazioni definitive ai sensi delle norme doganali». La nor mativa dell'Iva sull'importazione contiene, quindi, un rinvio alla
legge doganale per quanto attiene alla fonte della relativa obbli
gazione tributaria. Tale rinvio comporta che l'Iva disciplinata ne
gli art. 67-70 d.p.r. 633/72, al pari dell'imposta doganale, è do vuta per effetto della destinazione delle merci estere al consumo entro il territorio doganale, secondo il principio posto dall'art. 36 t.u. doganale. Consegue che sono operanti le presunzioni di definitiva immissione in consumo (e quindi di nascita dell'obbli gazione tributaria) poste dal 5° comma del citato art. 36. E poi ché tali presunzioni non sono escluse nell'ipotesi di furto dei pro dotti importati e sottoposti a vincoli doganale (art. 22 ter d.l.
693/80), deve ritenersi che lo stesso furto non è idoneo a fare venire meno il presupposto dell'Iva sull'importazione.
Ad uguale conclusione si perviene sulla base della disciplina del t.u. doganale. Se si tiene presente il disposto dell'art. 34 di detto t.u., l'Iva sull'importazione può considerarsi «un diritto do
ganale» (1° comma) ovvero può farsi rientrare nella particolare species di tali diritti costituita dai «diritti di confine» previsti nel 2° comma (al riguardo sussiste contrasto nella giurisprudenza pe nale di questa corte: v., ad esempio, nel primo senso, sez. Ili 14 marzo 1985, Figliomeni, id., Rep. 1986, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 248, e, nel secondo senso, sez. Ili 1° febbraio
1985, Biebow, id., Rep. 1986, voce Dogana, n. 60). Se l'Iva sull'importazione viene qualificata un diritto di confi
ne, ad essa sono direttamente applicabili gli art. 36 e 37 del t.u.
doganale, che si riferiscono alle «merci soggette a diritti di confi ne». Se — come sembra preferibile — l'Iva sull'importazione rien tra tra gli altri diritti doganali, l'applicabilità dei citati art. 36-37 deriva dal 2° comma del precedente art. 35, secondo cui «gli altri diritti doganali sono applicati secondo le norme del presente testo
unico, salvo che non sia diversamente disposto dalle leggi che li riguardano». E la disciplina dell'Iva sull'importazione, lungi dal contenere (negli art. 67-70 d.p.r. 633/72) disposizioni diverse da quelle dei citati art. 36-37 t.u. doganale, fa richiamo, per di versi aspetti applicativi (v., oltre l'art. 67, l'art. 68 relativo al
l'imponibile dell'Iva), alla normativa doganale. I ricorrenti ritengono che le considerazioni ora esposte siano
superate dall'art. 53 d.p.r. 633/72, il quale, dopo avere disposto che «si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività», precisa che tale presunzione non opera quando «i
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
beni stessi sono stati perduti». A fondamento della propria tesi
i ricorrenti rilevano che l'art. 22 ter d.l. 693/80 ha dettato una
norma interpretativa della nozione di «perdita» solo ai fini del
l'art. 37 t.u. doganale (e dell'art. 20 della legge sulle imposte di fabbricazione), ma non anche ai fini dell'art. 53 d.p.r. 633/72 sull'Iva onde nel concetto di perdita (escludente il presupposto dell'Iva sull'importazione) deve farsi rientrare anche l'ipotesi del
furto o della rapina della merce importata e sottratta mentre era
ancora assoggettata a vincolo doganale. La tesi dei ricorrenti è infondata perché si basa su una inter
pretazione errata dall'art. 53 d.p.r. 633/72. La disposizione in
tale articolo contenuta, come si desume chiaramente dalla sua
formulazione letterale e come è confermato dalla sua collocazio
ne, si riferisce esclusivamente all'Iva dovuta sulla cessione di beni
nell'interno dello Stato, ed è quindi del tutto estranea alla disci
plina dell'Iva sull'importazione. Ed invero la perdita alla quale il detto art. 53 attribuisce rilievo esclude la «presunzione di ces
sione» del bene che non si trova nel luogo in cui il contribuente
esercita la sua attività e che risulti ivi essere precedentemente en
trato per effetto di un fatto di acquisto, di importazione o di
produzione (in relazione all'attività del soggetto rispetto al quale è operante la presunzione di cessione). Quindi, l'art. 53 non si
riferisce all'Iva dovuta sull'atto per effetto del quale il bene è
entrato nel luogo in cui il contribuente esercita la sua attività, bensì' all'atto di trasferimento successivo, pronendo una presun zione di cessione che non è operante — questa si — nell'ipotesi di furto o rapina del bene. La perdita alla quale attribuisce rile
vanza il citato art. 53 non ha, pertanto, alcun rilievo sull'imposi zione tributaria del precedente passaggio colpito dall'Iva sull'im
portazione. 5. - In conclusione, i due ricorsi vanno respinti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 aprile
1989, n. 1937; Pres. Bologna, Est. Lupo, P.M. Zema (conci,
conf.); Mazzei (Aw. Corrado) c. Anas. Cassa App. Napoli 19 aprile 1984.
Competenza civile — Competenza per territorio inderogabile —
Mancata impugnazione della pronuncia declinatoria — Rileva
bilità d'ufficio da parte del giudice dell'impugnazione (Cod.
proc. civ., art. 38, 45, 341).
Competenza civile — «Ius superveniens» — Giudizi pendenti —
Inapplicabilità (Cost., art. 25; cod. proc. civ., art. 5; 1. 18 gen naio 1983 n. 11, istituzione della Corte d'appello di Salerno
e aggregazione della Pretura di Sapri al Tribunale di Sala Con
silina, art. 1).
Dichiarata da parte del giudice d'appello la propria incompeten
za, la Corte di cassazione innanzi alla quale la sentenza sia
stata impugnata esclusivamente nella parte in cui ha pronun ciato sulle spese processuali, può riesaminare d'ufficio la que stione di competenza. (1)
In assenza di disposizioni transitorie, la legge sopravvenuta che
modifichi la disciplina della competenza (nella specie, istituen
do una nuova corte d'appello) non si applica ai giudizi
pendenti. (2)
(1-2) I. - La sentenza si segnala per l'enunciazione dell'importantissi mo principio riassunto nella seconda massima. Principio alla cui stregua i mutamenti della normativa sulla competenza non si applicano ai giudizi pendenti.
Il principio è enunciato in via estremamente generale, in quanto è basa to: a) sulla normale irretroattività della legge (art. 11,1° comma, disp. sulla legge in generale); b) sulla possibilità per il legislatore di modificare a posteriori le norme sulla competenza anche riguardo ai giudizi penden ti, solo ove una specifica disposizione attribuisca alla nuova legge caratte re retroattivo; c) sulla «opportunità di evitare interpretazioni ampliative di norme che modificano il giudice "precostituito", pure se con modalità tali da essere ritenute non violatrici delle garanzie perseguite dall'art. 25 Cost.» (v. Corte cost. 8 aprile 1976, n. 72, Foro it., 1976, I, 1161, richia mata in motivazione, cui adde gli altri richiami contenuti in Oriani, cit., infra, § 21).
Il Foro Italiano — 1990.
Svolgimento del processo. — Ferdinando ed Amedeo Mazzei, con atto di citazione del 19 ottobre 1972, proponevano davanti al Tribunale di Napoli opposizione alla stima relativa all'espro priazione di un loro terreno sito in agro S. Marino (provincia di Salerno), convenendo in giudizio l'Anas quale ente espropriarne.
La causa era decisa dal Tribunale di Napoli con sentenza 2 ottobre 1978, la quale era appellata in via principale dai Mazzei
ed in via incidentale dell'Anas.
La Corte d'appello di Napoli, con sentenza depositata il 19
aprile 1984, rilevava che la 1. 18 gennaio 1983 n. 11 aveva istitui
to la Corte d'appello autonoma di Salerno, entrata in funzione
il 4 agosto 1983; ravvisava, pertanto, la propria incompetenza, rimettendo le parti davanti alla Corte d'appello di Salerno ai sensi
Per la generalità della sua affermazione, il principio oggi enunciato si pone in netto contrasto con quell'orientamento assolutamente preva lente (ma non privo al suo interno di significative contraddizioni) secon do cui il principio della perpetuatio iurisdictionis enunciato dall'art. 5
c.p.c. si applicherebbe solo ai mutamenti degli stati di fatto e non anche ai mutamenti della normativa in tema di competenza (e di giurisdizione).
Di recente questo indirizzo assolutamente prevalente è stato sottoposto a serrata critica, nel contesto di un ampio e documentatissimo studio, da Oriani, La «perpetuatio iurisdictionis» (art. 5 c.p.c.), id., 1989, V, 35 ss., spec. 73-90, ed ivi complete indicazioni di dottrina e di giurispru denza (cui adde Cass. 2 febbraio 1989, n. 654, ibid., I, 2849, con osserva zioni di A. Proto Pisani).
Letta anche alla luce di questo recentissimo scritto, la decisione in epi grafe lascia sperare che i tempi siano oramai maturi per un superamento dell'orientamento dominante, superamento che sarebbe auspicabile riceva il rapido avallo delle sezioni unite.
II. - Cass. 22 dicembre 1987, n. 9581 (id., Rep. 1988, voce Competenza civile, n. 22 e Giust. civ., 1988, I, 970), richiamata in motivazione, costi tuisce un precedente zoppo: sebbene chiamata a pronunciarsi su di una identica fattispecie causata dall'entrata in vigore della legge istitutiva del la nuova Corte d'appello di Salerno e dall'efficacia o no di tale legge sui giudizi d'appello pendenti innanzi alla Corte d'appello di Napoli, essa
argomentò l'identica decisione cui è pervenuta la sentenza che si riporta sulla base del solo richiamo all'art. 341 c.p.c., avendo cura di ribadire
espressamente l'inapplicabilità dell'art. 5 c.p.c. ai mutamenti sopravvenu ti di legge sulla competenza.
In senso contrario al decisum di Cass. 9581/87 e della sentenza in ras
segna, v., riguardo sempre alla istituzione della Corte d'appello di Saler
no, Trib. Napoli 9 maggio 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Competenza civile, n. 76 (e Giust. civ., 1984, I, 2880); nonché, con riguardo all'istitu zione del Tribunale di Marsala, Cass. 28 giugno 1975, n. 2564, Foro
it., Rep. 1975, voce cit., n. 17; 10 maggio 1974 n. 1367, id., Rep. 1974, voce cit., n. 12; 13 ottobre 1973, n. 2583, id., 1974, I, 111.
III. - Assolutamente non convincente è il principio riassunto nella pri ma massima.
Nel caso di specie la Corte d'appello di Napoli con sentenza aveva dichiarato la propria incompetenza a favore della Corte d'appello di Sa lerno. Non essendo stata impugnata (con regolamento di competenza ne
cessario) la sentenza, si erano potute verificare due sole eventualità: a) nessuna delle parti aveva riassunto la causa innanzi alla Corte d'appello di Salerno; nel qual caso a seguito dell'estinzione del giudizio d'appello era passata in giudicato (formale e sostanziale) la sentenza di primo gra do, con conseguente assoluta irrilevanza della statuizione sulla competen za contenuta nella sentenza in epigrafe, statuizione che verrebbe, pertan to, ad acquistare valore di risoluzione di una questione astratta (il che fuoriesce dai compiti della Corte di cassazione, a meno che essa non sia investita tramite ricorso per cassazione nell'interesse della legge ex art. 363 c.p.c.); b) la causa era stata riassunta davanti alla Corte d'appel lo di Salerno: nel qual caso solo a questo giudice spettava la possibilità di riaprire la questione di competenza tramite la proposizione di regola mento di competenza d'ufficio ex art. 45 c.p.c. (come era avvenuto nella
fattispecie su cui si era pronunciata Cass. 9581/87, cit.). I precedenti (tutti relativi a pronunce di cui si conoscono solo le massi
me) richiamati in motivazione a giustificazione della possibilità di riesa minare d'ufficio le questioni di competenza, non sembrano conferenti:
— non lo è Cass. 13 novembre 1978, n. 5200 (id., Rep. 1978, voce
cit., n. 258), perché, secondo il tenore della sua massima ufficiale, enun cia addirittura il principio palesemente errato, secondo cui il giudice in nanzi al quale sia riassunta la causa, a seguito della pronuncia declinato ria di competenza per ragioni di materia o territorio inderogabile da parte del giudice originariamente adito, avrebbe «il potere di pronunciare sulla
propria competenza» e non già solo di sollevare regolamento di compe tenza d'ufficio;
— non lo è Cass. 20 gennaio 1979, n. 460 (id., Rep. 1979, voce cit., n. 121), perché la massima (in modo certo non chiarissimo) si limita ad affermare che «le questioni di competenza per materia possono essere
proposte o rilevate d'ufficio in ogni stato e grado del processo solo quan do esse non siano precluse da un'esplicita statuizione affermativa della
competenza che non sia impugnata, ovvero dal fatto che sia stata pro
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