sezione I civile; sentenza 27 agosto 1990, n. 8762; Pres. Vela, Est. Tilocca, P.M. Amirante (concl.diff.); Benedetti (Avv. Pirrongelli, Baldi Papini), c. Costagli (Avv. Manfredini, Tognoni). CassaApp. Firenze 28 luglio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 117/118-121/122Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185217 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
senso di escludere il riesame di questioni di diritto o di fatto che non
siano state oggetto di specifica censura: e ciò in coerenza con l'evolu
zione diretta a comprimere l'effetto devolutivo dell'appello e ad accen
tuare il valore dei motivi anche in funzione di individuare l'oggetto del giudizio d'appello, ma senza giungere al punto di escludere qualsiasi nuova deduzione di fatto in appello; bb) quanto all'accertamento del
fatto, nel senso di limitare il riesame al solo controllo logico della con
gruità della motivazione, ma di non escludere che — ove tale esame
si concluda nel senso della fondatezza della censura, nonché sempre che per ragioni di giustizia si consenta la deduzione di nuovi fatti o
nuove prove in appello — il giudice d'appello (in ipotesi tendenzialmen
te eccezionali) possa rinnovare o effettuare per la prima volta egli stesso
l'accertamento del fatto: il che mi sembra si muova nel senso di precise linee evolutive ancorché si situi ancora nel bel mezzo di una strada
le linee dei cui sviluppi male si riescono ad intravedere con precisione;
c) limitazione sia delle questioni di diritto suscettibili di essere fatte
valere in Cassazione (e ciò perché la formalizzazione dell'appello quale azione di impugnativa avente ad oggetto i motivi e non il rapporto e l'esclusione per il giudice d'appello di rilevare d'ufficio questioni di
diritto (30) dovrebbe agire nel senso di ridurre drasticamente le questio ni di diritto ancora deducibili in Cassazione in quanto non precluse o dal giudicato interno o dalla novità della questione) sia delle questioni relative alla congruità logica della motivazione in fatto suscettibili di
essere fatta valere in Cassazione (e ciò perché questo motivo di ricorso
per cassazione non dovrebbe mai potersi proporre direttamente contro
sentenze di rigetto dell'appello per infondatezza dei motivi (31) e con
tro sentenze rescissorie di accoglimento per motivi di diritto che non
comportino l'accertamento di fatti controversi non effettuato dal giudi ce di primo grado; cosi che le uniche sentenze d'appello suscettibili di
ricorso per questo motivo sarebbero quelle, residuali, indicate retro 8
sub é) nelle quali il giudice d'appello abbia rinnovato o effettuato per la prima volta egli stesso l'accertamento del fatto);
d) attribuzione all'appello della funzione di assicurare in modo pieno la garanzia soggettiva dell'impugnazione, e di agire da impugnazione filtro rispetto al ricorso per cassazione: e ciò allo scopo per un verso
di ridurre il numero dei ricorsi (per motivi di diritto e soprattutto per
controllo sulla congruità logica della motivazione in fatto), per altro
verso di consentire alla Corte di cassazione di svolgere il suo compito
istituzionale di nomofilachia. Strettamente conseguenziale alla funzione che si vorrebbe attribuire
ad un appello ristrutturato secondo le presenti linee, sarebbe, infine,
l'affermazione senza eccezioni dell'appellabilità di tutte le sentenze di
primo grado ed in genere di tutti i provvedimenti a cognizione piena
in unico grado con attitudine al giudicato, ancorché dichiarati inappel
labili (con conseguente abrogazione con clausola generale di tutte le
disposizioni che sanciscono l'inappellabilità di sentenze o di provvedi menti in unico grado con attitudine al giudicato) (32).
Andrea Proto Pisani
(30) V. per alcune precisazioni quanto osservato alla nota precedente; nonché il testo dell'art. 609, 2° comma, c.p.p. del 1988.
(31) Sarebbe invero pensabile che in Cassazione si possa censurare, sotto il profilo della congruità logica, la motivazione con cui il giudice
d'appello ha ritenuto congniamente motivata in fatto la pronuncia di
primo grado e rigettato la relativa censura (alla stessa stregua di come
già oggi accade, quanto agli accertamenti di fatto contenuti nella sen
tenza arbitrale, riguardo al controllo in Cassazione sulla motivazione
della sentenza con cui la corte d'appello, in sede di impugnazione per nullità ex art. 827 c.p.c., ha ritenuto congruamente motivata in fatto
la pronuncia arbitrate). Mi sembra però che una risistemazione dell'appello secondo le linee
che si è tentato di indicare, dovrebbe consentire nelle ipotesi ora in
esame: a) se non di escludere del tutto, quanto meno di limitare il con
trollo in Cassazione alle sole ipotesi di omesso esame del motivo d'ap
pello o di mancanza o manifesta illogicità della motivazione con cui
il motivo stesso è stato dichiarato infondato; b) di favorire un energico
selfrestraint della Corte di cassazione (e questo, mi sembra, dovrebbe
essere il risultato più importante). (32) Sul punto rinvio a quanto già osservato nelle Note introduttive
al dossier Per la Corte di cassazione, in Foro it., 1987, V, 205 ss., § 7.
Il Foro Italiano — 1991.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 agosto
1990, n. 8762; Pres. Vela, Est. Tilocca, P.M. Amirante
(conci, diff.); Benedetti (Avv. Pirrongelli, Baldi Patini),
c. Costagli (Avv. Manfredini, Tognoni). Cassa App. Firen
ze 28 luglio 1986.
Competenza civile — Dichiarazione giudiziale di paternità —
«Ius superveniens» in tema di competenza — Giudizi in corso — Applicazione (Cod. civ., art. 269; disp. att. cod. civ., art.
38; 1. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina dell'adozione e dell'af
fidamento dei minori, art. 68).
Competenza civile — Dichiarazione giudiziale di paternità —
Sentenza emessa dal tribunale ordinario — Appello — «Ius
superveniens» in tema di competenza — Effetti (Disp. att.
cod. civ., art. 38; 1. 4 maggio 1983 n. 184, art. 68).
L'art. 68 l. 4 maggio 1983 n. 184 che, modificando l'art. 38
disp. att. c.c., ha attribuito la competenza a conoscere dell'a
zione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di materni
tà naturale relativa a minori al tribunale per i minorenni, è
norma che — al pari di tutte quelle che modificano la compe
tenza — ha natura pubblicistica e trova quindi, in difetto di
una contraria disposizione transitoria, immediata applicazio
ne alle controversie già pendenti, alla data della sua entrata
in vigore. (1) Il sopravvenire nel corso del giudizio d'appello proposto innan
zi alla corte d'appello in composizione ordinaria dell'art. 68
I. 4 maggio 1983 n. 184 che — coordinato con l'ultimo com
ma dell'art. 38 disp. att. c.c. — attribuisce alla sezione mino
rile della corte d'appello la competenza a conoscere in secon
do grado delle controversie in tema di dichiarazione giudizia
le di paternità o maternità naturale di minore, pur non
determinando la nullità della sentenza emessa in primo grado
dal tribunale ordinario, impone alla corte d'appello di decli
nare la propria competenza in favore di quella del giudice
minorile. (2)
(1-2) Con la sentenza in rassegna, la prima sezione della Corte di
cassazione torna a rimeditare il problema della sopravvenienza nel cor
so del processo d'appello iniziato avanti la corte d'appello in composi zione ordinaria dell'art. 68 1. 4 maggio 1983 n. 184 che, avendo attri
buito al tribunale per i minorenni la competenza a conoscere, in primo
grado, dei procedimenti per la dichiarazione giudiziale di paternità o
di maternità naturale relativamente ai minori, ha altresì determinato — in combinazione con l'ultimo comma dell'art. 38 disp. att. c.c. —
10 spostamento alla sezione per i minorenni della corte d'appello della
competenza a decidere sui motivi d'impugazione avverso i provvedi menti resi in primo grado dal tribunale per i minorenni.
In argomento qualche mese addietro la Suprema corte con la senten
za 13 marzo 1990, n. 2032 (est. Sensale, Foro it., 1990, I, 2544, con
nota di R. Oriani) modellando in gran parte le proprie argomentazioni, su quelle di Cass. 2 febbraio 1989, n. 654 (est. Borruso, id., 1989,
I, 2849, con osservazioni e richiami giurisprudenziali di A. Proto Pisa
ni) aveva sostenuto l'assoluta irrilevanza del novum ius sopravvenuto nel corso del giudizio d'appello: a) rispetto alla pregressa pronuncia di primo grado che parrebbe sopravvenire al mutamento della compe tenza determinatasi dopo la sua pubblicazione e in pendenza del secon
do grado in ossequio al principio tempus regit actum sancito dall'art.
11 preleggi (e a quello, più generale, della conservazione e dell'econo
mia dei giudizi); b) rispetto alla competenza dell'adita corte ordinaria
d'appello che — stante il principio della natura funzionale della compe
tenza del giudice d'appello, da sempre conseguenziale a quella del giu
dice che ha deciso in primo grado (cfr. art. 341 c.p.c.) — non potrebbe
«ritrarsi» a fronte del sopravvenire di una nuova legge modificativa
della competenza (che, nel caso dell'art. 68 1. 184/83, fa riferimento,
oltretutto, al solo primo grado del giudizio). Se i precedenti appena richiamati «non prendono volutamente posi
zione sul tema generale dell'applicabilità dell'art. 5 c.p.c. al caso di
mutamento della normativa sulla competenza, quale si riscontra nel
l'art. 68 1. 184/83» (cosi R. Oriani, Novità e conferme in tema di «per
petuano iurisdictionis», nota cit., 2548), la sentenza in epigrafe muove
le proprie premesse proprio da una generica riaffermazione dell'orien
tamento della pressoché unanime giurisprudenza di legittimità che ritie
ne estranea al principio della perpetuatio iurisdictionis ogni modifica
zione legislativa della competenza e della giurisdizione (per un completo
panorama giursprudenziale e dottrinario si rinvia allo studio di R. Oriani,
La «perpetuatio iurisdictionis» (art. 5 c.p.c.), id., 1989, V, 35, ss.; Id.,
Novità e conferme, cit., nota in margine ad un gruppo di pronunce
della Cassazione tra le quali le innovative sent. 4 maggio 1989, n. 2088
e 26 aprile 1989, n. 1937 che — pur con riferimento a fattispecie diverse
da quella esaminata dalla sentenza in epigrafe — hanno sostenuto la
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Conclusosi, con il decreto 28
febbraio - 8 marzo 1978 del Tribunale di Pisa, il giudizio som
mario di cui all'art. 274 c.c. con la dichiarazione di ammissibili
tà dell'azione, Cosetta Postagli conveniva davanti lo stesso tri
bunale, con citazione notificata il 16 giugno 1978, Giuliano Be
nedetti deducendo che fra essa ed il convenuto era sorta
nell'aprile 1971 e si era protratta senza interruzione fino all'ot
tobre 1977 una relazione sentimentale, in conseguenza della quale
era rimasta in stato di gravidanza. La Costagli chiedeva, pertanto, che il Benedetti fosse dichia
rato il padre naturale del nascituro, nato, poi, di sesso femmi
nile, il 25 giugno 1978 nelle more del procedimento di primo
grado e registrato all'ufficio di stato civile con il nome di Giada
Costagli. Si costituiva il Benedetti resistendo alla domanda.
Con sentenza 16 ottobre - 23 dicembre 1980 il tribunale adito
dichiarava essere il Benedetti il padre naturale della bambina,
e lo condannava ad un contributo di mantenimeno della mede
sima in lire 400.000 mensili. Giuliano Benedetti proponeva ap
pello che veniva rigettato, nel contraddittorio della Costagli, dalla
Corte d'appello di Firenze in composizione ordinaria, con la
sentenza indicata in epigrafe. Ha proposto ricorso per cassazione Giuliano Benedetti sulla
base di cinque mezzi. Si è costituita, con controricorso, Cosetta
Costagli resistendo all'impugnazione. Motivi della decisione. — Con il primo mezzo, il ricorrente
deduce la violazione dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., falsa appli cazione dell'art. 269 c.c. e motivazione insufficiente censurando
la sentenza impugnata per essersi fondata sulla sola affermazio
ne della Cosetta Costagli. Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta la violazione del
l'art. 360, n. 5, c.p.c. (motivazione illogica e contraddittoria) rilevando «l'inconciliabilità del giudizio espresso nella sentenza
sulla credibilità della Costagli tratteggiata come fanciulla inge
nua, quasi vittima di un cinico Benedetti, con il passo della
stessa sentenza dove si ammette la di lei frequenza con altri
non applicabilità ai giudizi pendenti dello ius superveniens modificativo della disciplina sulla competenza e sulla giurisdizione; da ultimo, tutta
via, v. Cass. 20 aprile 1990, n. 3304, id., Mass., 486 che, con riferimen
to alle questioni di diritto intertemporale poste dall'art. 68 1. 184/83, ribadisce l'orientamento tradizionale).
Riaffermata cosi in nome della «natura pubblicistica delle norme che
modificano la competenza» l'immediata applicabilità alle controversie
già pendenti in primo grado ed in appello dell'art. 68 1. 184/83, la
pronuncia in rassegna da un lato non porta alle estreme conseguenze questo assunto rimarcando l'insensibilità della sentenza di primo grado al cambiamento di competenza sopravvenuto in appello, dall'altro si
contrappone nettamente ai precedenti specifici più recenti (le citate Cass.
13 marzo 1990, n. 2032 e 2 febbraio 1989, n. 654) nel sostenere la necessità che la corte d'appello adita in composizione ordinaria declini la propria competenza in favore della sezione per i minorenni rendendo cosi vana l'attività processuale fino a quel momento compiuta.
Aldilà dei rilevanti problemi di economia processuale che tale solu zione pare suscitare (cfr. Salme, La disciplina dell'adozione e dell'affi damento dei minori, in Nuove leggi civ., 1984, 217), la lettura della sentenza può far sorgere qualche perplessità con riferimento ad una certa forzatura che sembra aver operato sulla lettera dell'art. 38, ultimo
comma, disp. att. c.c., che nel disporre che «quando il provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di corte d'appello per i minorenni», parrebbe collegare funzio nalmente la competenza del giudice minorile di secondo grado all'impu gnazione avverso le sole pronunce che siano state emanate dal tribunale
per i minorenni e non anche — come finisce per dire la Suprema corte — avverso quelle rese dal tribunale ordinario e successivamente divenu te di competenza del tribunale per i minorenni.
L'or evidenziato contrasto giurisprudenziale, ove abbia a perdurare, parrebbe render necessario l'intervento nomofilattico delle sezioni unite della Corte di cassazione, intervento che non potrebbe non tener conto dei più recenti contributi dottrinali diretti a ridisegnare i limiti di opera tività del principo della perpetualo iurisdictionis atteso che i risultati di tali studi sono stati tenuti presenti dall'attuale legislatore che con il disegno di legge recante Provvedimenti urgenti per il processo civile, (ora definitivamente approvato con 1. 26 novembre 1990 n. 353, Le
leggi, 1990, I, 2275, e destinato ad entrare in vigore dal 1° gennaio 1992) ha novellato l'art. 5 c.p.c. statuendo all'art. 2: «la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo». [C. Brilli]
Il Foro Italiano — 1991.
uomini e la si definisce donna non illibata, intraprendente e
anzi adusa a rapporti carnali, e si può aggiungere spregiudicata e interessata se si pensa alle menzogne, alla commedia del suici
dio per circuire e indurre il Benedetti a legarsi a lei, disposta
a barattare con quattro milioni la pretesa del riconoscimento».
Con la terza censura il ricorrente prospetta la violazione del
l'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. e dell'art. 269 c.c. sostenendo che
«se i rapporti ci furono, manca la prova che essi abbiano avuto
luogo anche nel settembre 1977, al quale deve farsi risalire il
concempimento ».
Con il quarto motivo il Benedetti lamenta vizi di motivazione
contestando di aver ammesso la propria paternità. Con il quinto ed ultimo mezzo deduce «omessa motivazione
circa un punto decisivo della controversia» censurando la sen
tenza impugnata per aver omesso di considerare le risultanze
dell'indagine ematologica, che pure la corte aveva stimato ne
cessario disporre.
Rispetto alle censure cosi sintetizzate va esaminata con prece denza logica e giuridica l'eccezione di incompetenza per materia
dei giudici aditi di primo e di secondo grado (e di competenza
dei giudici minorili), sollevata per la prima volta dal difensore
del ricorrente all'udienza di discussione, ma rilevabile ai sensi
dell'art. 38, 1° comma, c.p.c. anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo e, quindi, persino in Cassazione qua lora non sia intervenuta un'esplicita statuizione non impugnata
sulla competenza e neppure una pronuncia di merito, passata in giudicato, che presupponga l'implicita affermazione della com
petenza del giudice che l'ha emessa (in generale Cass. n. 3490
del 1984, Foro it., Rep. 1984, voce Competenza civile, n. 91
e con riferimento specifico alla materia in esame Cass. n. 516
del 1987, id., Rep. 1987, voce Filiazione, n. 64). L'art. 68 1. 4 maggio 1983 n. 184 (sulla disciplina dell'adozio
ne e dell'affidamento dei minori), modificando l'art. 38 disp.
att. c.c., ha attribuito al tribunale per i minorenni e, quindi,
in grado d'appello alla corrispondente sezione specializzata del
la corte d'appello la competenza a conoscere dell'azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale,
quando il soggetto della cui filiazione si controverta, sia ancora
minorenne.
I dubbi manifestati da alcuni giudici di merito sulla legittimi tà costituzionale della norma in relazione agli art. 3 e 102 Cost,
sono stati già ritenuti infondati da Corte cost. n. 193 del 1987
(id., 1988, I, 2802). I predetti giudici avevano stimato intrinsicamente irragione
vole la norma in quanto la declaratoria della paternità e della
maternità naturale richiede al giudice un accertamento sulla ge nitura assolutamente indifferente al dato estrinseco costituito
dall'età del generato, essendo l'accertamento stesso «attinente
ad un fatto biologico storico ed oggettivo», senza alcun condi
zionamento alle esigenze psicologiche del procreato. La Corte costituzionale ha osservato in contrario che l'ordi
namento giuridico attribuisce al giudice, quando l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale
riguardi un minore, un complesso di particolari poteri, «ben
confacenti al tribunale per i minorenni, nell'ottica della sua spe cializzazione ai sensi dell'art. 102 Cost.», poteri che sono «sen
za riscontro quando si tratti di un maggiorenne», che fornisco
no, perciò, per il loro contenuto e per la loro portata, alla nor
ma «sufficiente giustificazione». Siffatta considerazione dimostra, già di per sé, che la norma
in esame, al pari del resto delle norme che modificano la com
petenza hanno natura pubblicistica e, perciò, non essendo di
versamente stabilito, trova applicazione anche nelle controver
sie che erano già pendenti alla data della sua entrata in vigore
(Cass. n. 4425 del 1985, id., 1985, I, 3119; n. 7763 del 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 63), pur se davanti al giudice com
petente secondo la legge vigente all'epoca della loro instaurazione.
Si deve tuttavia al riguardo precisare che, secondo l'orienta
mento consolidato di questa corte (sent. n. 211 del 1977, id.,
Rep. 1977, voce Competenza civile, n. 14; n. 4376 del 1986,
id., 1987, I, 140), lo ius superveniens in materia processuale in genere e di competenza in specie non travolge né rende inva
lidi gli atti o le fasi che precedentemente abbiano avuto luogo alla stregua del diritto allora vigente.
La nuova legge, precisamente, è applicabile (oltre che alle
fasi successive) alla fase processuale in corso, ancorché intro
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121 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 122
dotta sotto la precedente normativa (Cass. n. 8218 del 1987,
id., Rep. 1987, voce cit., n. 62; n. 4376 del 1986, cit.).
In base a tale principio si è ritenuto (Cass. n. 7763 del 1987,
ibid., n. 63; n. 4425 del 1985, cit.), che la sopravvenienza della
nuova norma nella fase di merito non può spiegare alcun effet
to sulla fase preliminare di ammissibilità, svoltasi interamente
davanti al tribunale ordinario, pur se ormai può ritenersi pacifi co che detta norma si riferisca anche a quest'ultima fase (Cass.
n. 516 del 1987, ibid., n. 64). Il principio richiamato e cioè che lo ius superveniens in mate
ria di competenza è immediatamente applicabile ma limitata
mente alla fase in corso e senza alcuna riflessione sulle fasi già
esaurite (e non se alla data della sua entrata in vigore è ancora
in corso il primo grado), conduce a ritenere che esso debba
trovare applicazione in grado d'appello qualora il giudizio si
trovi pendente in tal grado alla predetta data, mentre è ovvio
che il nuovo diritto non ha possibilità di interessare la fase di
legittimità in cui esso eventualmente sopraggiunga (Cass. n. 4376
del 1986, cit.), tranne che non riguardi specificamente la com
petenza (o i poteri) della Corte di cassazione.
E difatti questa corte ha avuto occasione di affermare (sent,
n. 3578 del 1981, id., Rep. 1981, voce Contratti agrari, n. 256),
che «poiché l'art. 26, 1° comma, 1. 11 febbraio 1971 n. 11 ha
attribuito tutte le controversie concernenti l'affitto di fondi ru
stici alle sezioni specializzate agrarie ampliandone la competen
za per materia, esso, quale ius superveniens, trova applicazione
ai giudizi in corso sin dal momento della sua emanazione, an
che di ufficio, con la conseguenza, che, ove la controversia si
trovi in grado d'appello la stessa deve essere rimessa alla sezio
ne specializzata agraria della corte d'appello». Senonché una recente sentenza di questa stessa sezione (n.
654 del 1989, id., 1989, I, 2849) ha accolto un diverso orienta
mento proprio con riguardo al giudizio di dichiarazione della
paternità o maternità naturale di minore statuendo precisamen
te che «la sopravvenienza, in pendenza del gravame proposto
davanti la corte d'appello avverso la sentenza resa dal tribunale
in composizione ordinaria, della 1. 4 maggio 1983 n. 184 non
determina, in difetto di espressa disposizione transitoria, né la
invalidità della pronuncia di primo grado, perché la nuova nor
ma in tema di competenza non può travolgere retroattivamente
le sentenze emesse dal giudice competente secondo la disciplina
all'epoca vigente, né l'obbligo di rimettere il procedimento di
secondo grado alla sezione per i minorenni della corte d'appel
lo, posto che il giudice del gravame va individuato in correla
zione dal giudice che ha reso la statuizione impugnata (art. 341
c.p.c.)». Il collegio non ritiene di conformarsi alla seconda pronuncia.
L'art. 341 c.p.c. mira ad indicare il giudice d'appello secon
do che la sentenza di primo grado sia stata pronunciata dal
pretore o dal tribunale nonché a stabilire quale fra i possibili
giudici d'appello, astrattamente competenti per materia, sia an
che competente per territorio.
Ora tale duplice statuizione non esclude che il giudizio di ap
pello sia deferito alla sezione per i minorenni della corte d'ap
pello pur se la sentenza di primo grado sia stata pronunciata
dal tribunale in composizione ordinaria, atteso che la detta se
zione è organo della corte d'appello, e perciò la corte d'appello
stessa (art. 58, 1° comma, ord. giud.). La sezione di particolare non presenta rispetto alla sezione
c.d. ordinaria altra connotazione che quella di giudicare con
l'intervento di due esperti (art. 102, 2° comma, e 108, 2° com
ma, Cost.), i quali, peraltro, rivestono la qualifica di «consi
glieri onorari» della sezione stessa (art. 58, 3° comma, ord.
giud.). Il fatto, poi, che l'art. 68 1. n. 184 del 1983, modificando
l'art. 38 disp. att. c.c., «sottrae con effetto immediato la com
petenza in ordine alle cause per la dichiarazione giudiziale della
paternità e della maternità di minori al tribunale ordinario in
favore del tribunale per i minori, ma non anche alla corte d'ap
pello in favore della sezione specializzata in relazione al giudi
zio di secondo grado avanti la medesima pendenti», non sem
bra comportare il principio accolto nella precedente sentenza
di questa stessa sezione.
L'art. 68 1. n. 184 del 1983 si è limitato a sostituire il 1°
comma del predetto art. 38, il quale elenca i provvedimenti di
competenza del tribunale per i minorenni aggiungendo, in parti
colare, i provvedimenti contemplati dall'art. 269, 1° comma,
Il Foro Italiano — 1991.
c.c., di conseguenza è venuta ad ampliarsi anche la sfera di
competenza della sezione minorile della corte d'appello, sfera
che ai sensi dell'ultimo comma dello stesso art. 38 s'individua
sulla base di quella assegnata al tribunale per i minorenni.
È opportuno al riguardo precisare che tale comma («quando
il provvedimento è di competenza del tribunale per i minorenni
il reclamo si propone davanti alla sezione di corte d'appello
per i minorenni»). Ora va osservato che né nell'art. 68 1. n. 184 del 1983, né
nel testo del 1° comma dell'art. 38 si precisa che la nuova com
petenza del tribunale per i minorenni è riferibile anche ai giudi
zi in corso; siffatto principio, senza dubbio esatto con i limiti
sopra indicati, si deduce dalla natura pubblicistica delle norme
che modificano la competenza sempreché, come nella specie,
non sia disposto altrimenti dalle stesse norme o da norme inclu
se nel medesimo testo legislativo.
Se, dunque, la 1. n. 184 del 1983 ha inteso includere nella
competenza dei giudici minorili, con effetto immediato, le con
troversie in materia di dichiarazione della paternità o maternità
naturale in relazione alla specificità dei poteri attribuiti al giudi
ce quando si tratti di figli minori (come ha osservato la Corte
costituzionale) e perciò nel preminente interesse dei medesimi
(e non soltanto, come si legge nella precedente sentenza, per
la sola ragione di concentrare presso un solo organo tutti i prov
vedimenti attinenti ai minori dedotta, peraltro, dalla considera
zione, confutata dalla Corte costituzionale, che si verterebbe
esclusivamente su fatti commessi da altri prima della nascita
del minore), non si vede perché debba privarsi il minore della
garanzia del giudice specializzato nel grado di appello solo per
ché il primo grado si è svolto davanti il tribunale ordinario per
essere entrato in vigore lo ius superveniens immediatamente do
po il suo esaurimento.
È ben noto che il giudice di appello, sia pure nell'ambito
dei motivi dedotti, ha gli stessi poteri del giudice di primo gra
do, di cui può riformare anche in toto la decisione sia per una
diversa valutazione degli elementi di fatto, sia per una differen
te interpretazione di norme giuridiche.
Che, infine, l'applicazione della nuova norma sulla compe
tenza dei giudici minorili ai giudici d'appello in corso presenti
degli inconvenienti (quali la reiterazione di tali giudizi e la pos
sibilità che nelle more della reiterazione il minore raggiunga la
maggior età) è rilievo che interferisce sulla discrezionalità pro
pria del legislatore che ha preferito devolvere, con effetto im
mediato, la cognizione delle controversie suindicate, al giudice
specializzato; inoltre, va osservato che si tratta di inconvenienti
che possono verificarsi sia per la norma in sé sia per la sua
riferibilità alla fase di primo grado, già in corso alla data in
cui essa è entrata in vigore. La sopravvenienza dell'art. 68 1. n. 184 ha colto il presente
giudizio nella fase d'appello, di conseguenza va dichiarato nullo
soltanto il secondo grado in quanto doveva essere rimesso alla
sezione per i minorenni della stessa Corte d'appello di Firenze.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 agosto
1990, n. 8508; Pres. Chiavelli, Est. De Rosa, P.M. Marti
nelli (conci, conf.); Inps (Avv. Vario, Ausenda, Starnoni)
c. Guareschi (Avv. Agostini). Conferma Trib. Roma 3 di
cembre 1987.
Previdenza sociale — Pensione sociale — Natura — Equipara
zione a prestazione previdenziale — Clausola di residenza in
Italia — Inapplicabilità (Trattato Cee, art. 177; 1. 30 aprile
1969 n. 153, revisione dei trattamenti pensionistici e norme
in materia di sicurezza sociale, art. 26; reg. 14 giugno 1971
n. 1408 Cee del consiglio, relativo all'applicazione dei regimi
di previdenza sociale ai lavoratori subordinati e autonomi e
alle loro famiglie che si spostano nell'ambito della Comunità,
art. 4, 10; d.l. 2 marzo 1974 n. 30, norme per il miglioramen
to di alcuni trattamenti previdenziali ed assistenziali, art. 3;
1. 16 aprile 1974 n. 114, conversione in legge, con modifica
zioni, del d.l. 2 marzo 1974 n. 30, art. 1).
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