sezione I civile; sentenza 9 marzo 1990, n. 1930; Pres. Vercellone, Est. Corda, P.M. Zema (concl.conf.); Dati (Avv. Dati, Cipolla) c. Min. finanze. Conferma App. Bologna 12 luglio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 1537/1538-1543/1544Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185468 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
in base al noto brocardo quod nullum est, nullum producit ef
fectum. Sottolineato infine che nessuna violazione è stata prospettata,
né è ravvisabile con riguardo agli art. 2030 e 2031 c.c. i quali,
riguardanti l'esercizio di professioni intellettuali e la relativa iscri
zione negli albi professionali, sono stati dal ricorrente soltanto
citati, debbono dichiararsi assorbiti il secondo motivo di ricorso
principale ed il ricorso incidentale. Essi infatti dipendono tutti
dalla risoluzione della principale questione concernente l'inter
pretazione del contratto e la ravvisabilita dell'inadempimento di esso da parte della società, lamentato dal Carini.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e gli atti vanno rimessi ad altro giudice di pari grado, che si ritiene
opportuno desginare nel Tribunale di Chiavari, il quale riesami
nerà la controversia alla stregua dei principi prima enunciati
con riguardo sia alla contraddittorietà della motivazione, che
con riferimento alle norme sull'interpretazione dei contratti ed
infine a quelle sul funzionamento della società, tenendo conto
che in nesun caso tali norme possono essere pattiziamente dero
gate in quanto attengono alla struttura del funzionamento delle
società regolari e sono da ritenersi di ordine pubblico perché destinate ad incidere sulla sfera di interessi generali della collet
tività.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 marzo
1990, n. 1930; Pres. Verceixone, Est. Corda, P.M. Zema
(conci, conf.); Dati (Aw. Dati, Cipolla) c. Min. finanze.
Conferma App. Bologna 12 luglio 1985.
Tributi locali — Imposta sulla pubblicità — Targa recante l'in
dicazione di studio professionale — Ubicazione — Assogget tabilità (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639, imposta comunale sul
la pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni, art. 6, 20). Tributi locali — Imposta sulla pubblicità — Avvocato — Targa
recante l'indicazione di studio professionale — Esenzione —
Esclusione (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639, art. 20).
È soggetta all'imposta sulla pubblicità la targa apposta a lato
della porta d'ingresso di uno studio professionale, sito all'in
terno di un cortile di un fabbricato, e recante l'indicazione
del nominativo del professionista (nella specie, si trattava di
uno studio legale). (1) Non è applicabile l'esenzione dall'imposta sulla pubblicità, di
sposta in favore delle targhe la cui esposizione sia obbligato ria per disposizione di legge, in relazione ad una targa con
cui si indichi l'ubicazione di uno studio legale. (2)
II
TRIBUNALE DI NAPOLI; sentenza 23 febbraio 1990; Pres.
De Martino, Est. Militerni; De Simone (Avv. De Simone) c. Soc. Igap (Avv. Limongelli, Maniscalco Intarretta).
Tributi locali — Imposta sulla pubblicità — Targhe recanti l'in
dicazione di studi professionali — Assoggettabilità (D.p.r. 26
ottobre 1972 n. 639, art. 6).
Anche le insegne e le targhe che non presentino contenuti pro
pagandistici o di réclame, quali quelle che indicano l'ubica
zione di uno studio professionale, sono soggette all'imposta sulla pubblicità. (3)
(1-3) I. - Con le sentenze in epigrafe muta bruscamente l'indirizzo
giurisprudenziale nella materia della tassazione, con l'imposta di pub blicità, delle targhe che solitamente campeggiano ai lati degli ingressi
degli stabili ove hanno sede gli studi professionali. Sinora avevano af
frontato tale questione solo due pronunce dei giudici di merito: App. Genova 23 aprile 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Tributi locali, n. 320
Il Foro Italiano — 1991.
I
Svolgimento del processo. — Il comune di Bologna notifica
va all'avv. Sergio Dati due avvisi di accertamento relativi al
l'imposta sulla pubblicità, con riferimento agli anni 1973 e 1974,
per l'esposizione, a lato della porta d'ingresso dello studio pro fessionale (sito nel cortile interno di un fabbricato), di una tar
ga recante la scritta «studio avv. S. Dati».
Contro tale accertamento il contribuente ricorreva all'inten
dente di finanza, ai sensi dell'art. 20 d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 639. L'Intendente annullava l'accertamento, ritenendo non dovuta
l'imposta; ma la relativa decisione veniva riformata dal ministe
ro delle finanze.
e Trib. Genova 16 ottobre 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 262 (invo cate dal ricorrente, che ne lamentava la mancata considerazione, a mo' di precedenti vincolanti, da parte dei giudici d'appello, ricevendo —
cosi — una discreta, ma non meno decisa, 'tirata d'orecchie' dai giudici di legittimità in ordine alla funzione nomofilattica attribuita dalla legge alla sola Corte di cassazione: v. da ultimo, in argomento, O. Fanelli, La funzione nomofilattica della Corte di cassazione, id., 1988, I, 3302), entrambe concordi nell'escludere che le targhe in questione potessero essere soggette all'imposta sulla pubblicità, in quanto difettava il requi sito tipico della «pubblicità» nella mera indicazione del luogo in cui veniva svolta l'attività professionale. Con motivazioni convincenti (fon date sulla ricostruzione storica dell'imposta di pubblicità e della previ gente imposta sulle insegne quella dei giudici partenopei e su di una lettura sistematica della disciplina introdotta col d.p.r. 639/72 quella della Cassazione) le decisioni su riportate mettono in chiaro come il
presupposto dell'applicazione del tributo non sia costituito dalla speci fica attitudine del mezzo utilizzato (sia esso un'insegna, una targa, un'i scrizione o una di «tutte le altre forme pubblicitarie visive o acustiche» ex art. 6 d.p.r. 639/72; per un'elencazione esemplificativa di tali mezzi v. l'art. 8 del citato d.p.r.) a svolgere una funzione pubblicitaria strido sensu (intesa come pubblicità diretta a fini commerciali), ma dalla più ampia capacità del mezzo di raccogliere l'attenzione di una pluralità di persone su un bene od un servizio, pur senza svolgere una specifica funzione di propaganda commerciale. Su tale profilo, la corte di legitti mità aveva già avuto modo di pronunciarsi: cfr. sent. 4 marzo 1985, nn. 1801 e 1802, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 285, 286 (relative ad
ipotesi di applicazione dell'imposta nei confronti di società petrolifere relativamente alle indicazioni del nominativo della società sui serbatoi installati nelle raffinerie); 10 dicembre 1984, n. 6487, ibid., n. 284 (che ha escluso «l'assoggettabilità all'imposta di una tabella volta ad identi
ficare, con una data denominazione, il territorio di una riserva di caccia
aperta ai soli soci e non anche ad estranei, per l'inidoneità dell'insegna a determinare il conseguimento di alcun possibile profitto»). Contra, nemmeno a dirlo, un'altra pronuncia di giudici liguri: v. Trib. La Spe zia 7 luglio 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 194 (relativa alle scritte
apposte su containers indicanti il nome del proprietario della relativa
ditta). Va ricordato che l'amministrazione finanziaria aveva già espresso la
propria posizione, che oggi riceve la conferma dalla Suprema corte: v. min. fin. 28 novembre 1986, n. 111/3394-84, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 292 e, ancor prima, min. fin. 24 luglio 1978, n. 3/11435, id.,
Rep. 1978, voce cit., n. 182. II. - La sentenza della Cassazione ha affrontato anche il profilo rela
tivo alla nozione dei luoghi in cui l'attività pubblicitaria deve essere svolta per esser sottoposta al tributo ex art. 1 d.p.r. 639/72. La partico lare ubicazione dello studio legale dell'avvocato ricorrente (il cui ingres so si affacciava su di un cortile interno, a fianco di altri ingressi di
studi professionali e scalinate per raggiungere i piani superiori) ha im
posto di valutare se ricorresse, nella specie, il requisito del «luogo aper to al pubblico» in cui era esposto il mezzo pubblicitario. Verifica ope rata alla stregua dell'ordinamento consolidato nella giurisprudenza pe nalistica (sicuramente conferente, attesa l'identità della ratio sottesa alle
norme penali ove è fatto riferimento al «luogo aperto al pubblico» e
alla normativa tributaria in esame, ossia la percezione di un determina
to fatto storico da parte di una pluralità indeterminata di soggetti), a mente del quale sono luoghi aperti al pubblico «tutti quei luoghi, ancorché appartenenti a privati, nei quali terze persone, anche se in
numero limitato, possono accedere sia pure in certi momenti ed a certe
condizioni» (cosi Cass. 12 giugno 1984, Di Marco, id., Rep. 1985, voce
Atti osceni e contrari alla pubblica decenza, n. 1); si sono, cosi, consi
derati luoghi aperti al pubblico un locale abbandonato, privo di porta
(Cass. 20 giugno 1984, Altrignani, ibid., n. 2), un gabinetto di radiolo
gia di un ospedale pubblico (Cass. 1° giugno 1983, Scopel, id., Rep.
1984, voce cit., n. 2), una cella carceraria (Cass. 20 maggio 1983, Guli
no, ibid., n. 3), un circolo privato (Cass. 15 giugno 1982, Ventri, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 2), per ricordare solo le decisioni più recenti.
Ma non sono mancate in passato decisioni assai vicine alla fattispecie
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1539 PARTE PRIMA 1540
Con citazione del 6 dicembre 1979, l'avv. Dati conveniva,
quindi, il comune e l'amministrazione delle finanze davanti al
Tribunale di Bologna, chiedendo fosse dichiarata l'illegittimità dell'accertamento in base al rilievo della non assoggettabilità
all'imposta della targa in questione; rilievo imperniato sulle se
guenti ragioni: a) la targa non esprimeva alcun messaggio pro
mozionale, sia perché non aveva le caratteristiche dell'insegna, sia perchè aveva un contenuto semplicemente indicativo; b) la
stessa targa, inoltre, non era esposta in un luogo pubblico, ma
nell'interno del cortile di un fabbricato cioè in un luogo «priva to»; c) sussisteva, in ogni caso, l'esenzione di cui all'art. 20, n. 12, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639, perché l'esposizione era
necessitata dall'esigenza di rendere noto il luogo di esplicazione di un servizio di pubblica necessità.
Il contraddittorio si instaurava con la costituzione di entram
bi i convenuti, i quali resistevano alla domanda.
Il comune, nel frattempo, notificava all'avv. Dati un analogo avviso di accertamento relativo all'anno 1975; avviso che, an
nullato dall'intendente di finanza, veniva invece dichiarato le
gittimo dal ministro.
Con citazione notificata anch'essa il 6 dicembre 1979, l'avv.
Dati conveniva il comune e il ministero sempre davanti al Tri
bunale di Bologna, proponendo analoga domanda.
Il contraddittorio si costituiva anche in questa seconda causa.
I due procedimenti, trattati parallelamente, venivano conclusi
con due sentenze del tribunale, entrambe in data 8 febbraio
1983. Con esse venivano respinte le domande dell'attore (anche se, nelle formule dispositive, il totale rigetto, riferito ai tre eser
cizi finanziari, risultava solo successivamente, per effetto della
«correzione di errore materiale» eseguita in sede di appello), in base ai seguenti rilievi: a) la legge assoggetta all'imposta sulla
pubblicità non solo le insegne, ma anche le targhe (come poteva evincersi dal fatto che erano specificamente menzionate le tar
ghe per le quali era prevista un'esenzione; b) non era applicabi le l'esenzione invocata dall'attore, poiché la stessa è prevista
per i casi in cui una norma (di legge o regolamentare) prescriva
l'esposizione della targa; c) era da considerare «luogo aperto al pubblico» il cortile nel quale si apriva il portone a lato del
quale era apposta la targa. Contro tali sentenze proponeva separati appelli il soccomben
te aw. Dati, ripresentando la propria tesi.
Previa riunione dei due procedimenti, la Corte d'appello di
Bologna con la sentenza denunciata in questa sede (pubblicata il 12 luglio 1985) ha confermato la pronuncia dei primi giudici.
L'avv. Dati ricorre per cassazione con tre motivi di censura.
Il ricorso, inizialmente notificato al solo comune di Bologna, è stato successivamente notificato anche all'amministrazione fi
nanziaria, in ottemperanza all'ordine di integrazione del con
esaminata dalla Cassazione: cfr. Cass. 6 luglio 1967, Zingo, id., Rep. 1968, voce Pubblicazioni oscene, n. 73 (relativa ad un androne di un
palazzo ove era situata la guardiola del portiere); 14 giugno 1967, Gine stri, ibid., voce Atti osceni e contrari alla pubblica decenza, n. 2 (con cernente la scala di un fabbricato); 20 maggio 1966, Mich, id.. Rep. 1966, voce cit., nn. 11, 12 (riguardante in genere le parti condominiali
dell'edificio). In dottrina, v. G. Ziccone, Luogo pubblico, aperto al pubblico, espo
sto al pubblico, voce dell'Enciclopédia del diritto, Milano, 1975, XXV, 90; G. De Vero, Pubblicità (diritto penale), id., 1988, XXXVII, 1040.
III. - La disciplina dell'imposizione concernente le forme di pubblici tà, cosi come delineata — prima dell'entrata in vigore del d.p.r. 639/72 — dal t.u. della finanza locale e dalle leggi speciali ad esso successive — in particolare, la I. 5 luglio 1961 n. 641 —, può essere agevolmente ricostruita attraverso le pagine di C.M. Iaccarino, Affissioni pubbli che e pubblicità affine (servizio delle), voce dell' Enciclopedia del dirit to, Milano, 1958, I, 711; A. D. Giannini, Affissioni (diritti comunali
per le), ibid., 721; M. Morelli, Insegna (diritto tributario), id., 1971, XXI, 719.
Sull'attuale normativa, cfr. G. N. Ferrara, Pubblicità (imposta sul la), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1986, VI, 172; E. Righi, Pubblicità e pubbliche affissioni (imposta), voce dell'Enciclope dia del diritto, Milano, 1988, XXXVII, 1066, cui si rinvia per ulteriori riferimenti.
In ordine allo specifico tema dell'esenzione dettata dall'art. 20, n. 12 d.p.r. 639/72, v. Truppi, In tema di esenzioni dall'imposta sulla pubblicità (art. 20, punto 12, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639), in Finanza loc., 1982, 905.
Il Foro Italiano — 1991.
traddittorio (impartito da questa corte con ordinanza del 15 gen naio 1988). Dei due intimati si è costituito il solo comune di
Bologna, il quale resiste al gravame mediante controricorso.
Considerato in diritto. — 1. - Col primo motivo di ricorso
(denunciando, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione
e falsa applicazione degli art. 6, 8, 11, 12 e 20 d.p.r. 26 ottobre
1972 n. 639; nonché, ai sensi dell'art. 360, n. 5, l'omessa, insuf
ficiente e contraddittoria motivazione) l'impugnante censura la
sentenza della corte bolognese nella parte in cui ha risolto il
problema della «funzione pubblicitaria» della targa recante la
scritta «Studio aw. S. Dati». Deduce che sarebbe erronea la
soluzione di segno positivo data al problema dai giudici di me
rito, per le seguenti ragioni: a) le scritte o i segni aventi conte
nuto meramente indicativo non svolgono alcuna funzione pro mozionale e, perciò, pubblicitaria; b) è contraddittorio affer
mare che una scritta meramente indicativa, cioè priva di un
messaggio comunque promozionale, è assoggettata a un'impo sta che colpisce il messaggio propagandistico; c) è contradditto
rio affermare che ha funzione pubblicitaria anche l'indicazione
della sola sede che espone la targa per i propri fini»; d) è arbi
trario negare che la giurisprudenza della Suprema corte non
avrebbe escluso dalla imponibilità il messaggio semplicemente indicativo; è) non si sarebbe dovuta ignorare la «giurisprudenza dei giudici genovesi»; f) si sarebbe dovuto tener conto che la
targa non è «una specie dell'insegna», ma un quid assolutamen
te diverso.
Questo motivo di ricorso, che è stato qui riportato in tutte le sue articolazioni, è completamente privo di fondamento.
Il d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639 assoggetta a imposta le inse
gne, le iscrizioni e tutte le altre forme pubblicitarie visive o acu
stiche esposte o effettuate nell'ambito del territorio comunale
(art. 6). Con riferimento alle questioni che si agitano nel caso concre
to, occorre quindi risolvere i due seguenti problemi: se le targhe sono assoggettate all'imposta; se l'assoggettamento presuppone che l'esposizione svolga una funzione «promozionale
propagandistica».
Quanto al primo problema, la soluzione positiva si ritrae, a contrario, dal testo della legge, la quale elenca singolarmente
(art. 20) le targhe esenti dall'imposta (fra le quali non è com
presa quella in esame, come sarà chiarito esaminando il terzo
motivo di ricorso). Si ricava, cioè, la conclusione che se la targa non è da ricomprendere fra quelle «esenti», è sicuramente gra vata dall'imposta.
Anche il secondo problema trova soluzione positiva nel testo
della norma di esenzione, dal quale si evince che sono, appun to, esenti dall'imposta le targhe apposte per l'individuazione di
talune sedi (rappresentanze diplomatiche e consolari, organizza zioni pubbliche internazionali, enti di assistenza e beneficenza,
ospedali, associazioni e circoli religiosi, culturali, ricreativi, ecc.). Dal che si desume che se le targhe sono apposte per indicare sedi diverse da quelle elencate, non beneficiano di alcuna «esen
zione» e sono, perciò, gravate da imposta.
Questa seconda conclusione, già contenuta (al pari della pri ma, del resto) nella sentenza impugnata, è contrastata dal ricor rente con l'osservazione che la legge assoggetterebbe a imposta solo i mezzi comunicativi aventi una funzione «propagandisti ca». Ma è chiaro che se con siffatta espressione il ricorrente
ha voluto esprimere il convincimento che oggetto di tassazione è unicamente la pubblicità finalizzata a scopi commerciali, l'er
roneità dell'impostazione si ricava dalla semplice considerazio
ne che, se l'intento del legislatore fosse stato (unicamente) quel lo, non vi sarebbe stata necessità alcuna di stabilire le «esenzio ni» di cui al citato art. 20 (addirittura di dichiarare «esenti» le forme pubblicitarie comunque effettuate dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali). Se, invece, con la riferita espressione il ricorrente ha voluto indicare la finalità del semplice «rendere noto» il quid rappresentato nel mezzo pubblicitario, l'ovvia ri
sposta è che le targhe (compresa quella per cui è causa) adegua tamente adempiono a quella funzione. Infatti, indicare a un numero indeterminato di persone che in un certo luogo ha sede un determinato studio legale, già significa svolgere un'attività
«propagandistica» (nel senso etimologico della parola), cioè un'at tività che la legge ben considera ai fini della imposizione fiscale.
L'assunto, infine, che nella giurisprudenza di questa corte si
rinvenirebbero affermazioni contrarie a quelle contenute nella
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sentenza impugnata (e qui convalidate) è completamente privo di fondamento. Il ricorrente, infatti, indica la sentenza 27 gen naio 1981, n. 626 (Foro it., Rep. 1981, voce Tributi locali, n.
285); ma non considera che quella pronuncia riguardava la di versa fattispecie dell'apposizione del marchio sui prodotti fab bricati dal titolare, non dell'apposizione del marchio medesimo su insegne, targhe, ecc., cioè sui «mezzi pubblicitari» considera ti dalla legge in esame. Da quell'arresto, in altri termini, si rica va unicamente la regola che la sola funzione pubblicitaria del
marchio non è sufficiente ai fini della specifica imposizione fi scale qui considerata; ma ciò non è per niente utile ai fini della
risoluzione del problema in esame.
Per quanto, poi, attiene al rilievo della scarsa considerazione in cui sarebbe stata tenuta la giurisprudenza «dei giudici geno vesi», è appena il caso di osservare che non svolgendo la giuris prudenza dei giudici di merito quella funzione nomofilattica che la legge (art. 65 dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. 30 gennaio 1941 n. 12) riserva a questa Corte di cassazione, il di
scostarsi da un indirizzo giurisprudenziale dei giudici predetti, fosse anche «consolidato», non comporta particolari obblighi motivazioniali.
2. - Col secondo motivo di censura (denunciando, ai sensi
dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione de
gli art. 6 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639, 614 e 615 c.p., 86 t.u.
per la finanza locale, 174 r.d. 6 maggio 1940 n. 635; nonché, ai sensi dell'art. 360, n. 5, del citato codice di rito, l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) il ricorrente critica la sentenza nel punto in cui ha dichiarato che la targa era espo sta in un luogo aperto al pubblico; e sostiene che, essendo la
targa, di fatto, esposta nel cortile interno di un fabbricato, sa
rebbe stato falsato il concetto di «luogo aperto al pubblico». Anche questa censura è infondata. L'art. 6 d.p.r. 26 ottobre
1972 n. 639 prescrive l'applicabilità dell'imposta per i casi in
cui il mezzo pubblicitario sia esposto o effettuato «in luoghi
pubblici o aperti al pubblico o comunque da tali luoghi perce
pibili». È chiaro, dall'esegesi della norma, che la legge ha voluto sot
toporre a tassazione l'attività di chi, con i mezzi di cui si è
detto precedentemente, intenda far pervenire ad altri un mes
saggio avente finalità «pubblicitarie» (in senso lato, come pure si è detto); e a tal fine ha previsto che l'attività è tassabile se
viene svolta in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero in
un luogo che da quelli è percepibile. E chiaro, cioè, che il legis latore ha presunto che il messaggio pubblicitario abbia dei pos sibili destinatari se viene lanciato da uno dei detti luoghi o in
direzione di essi; ed è incontestabile, allora, che il presupposto
dell'imponibilità va ricercato nell'astratta possibilità del mes
saggio, in rapporto all'ubicazione, di avere un numero indeter
minato di destinatari, che diventano tali solo perché vengano a trovarsi in quel luogo determinato.
Ora, nel caso concreto, la targa era esposta in luogo sicura
mente privato, ma che i giudici di merito — con giudizio di
fatto adeguatamente motivato — hanno definito «aperto al pub
blico», perché in esso poteva accedere un numero indetermina to di persone. Ed è proprio quest'ultima l'affermazione che il ricorrente si sforza di censurare, addirittura rappresentando co
me delitto di violazione di domicilio l'ingresso degli «estranei»
nel cortile ov'era apposta la targa. Ma siffatta prospettazione urta contro una motivata valutazione di merito, ancorata peral tro «all'istruttoria espletata in primo grado», la quale è com
pendiata nell'affermazione che «si tratta di un ampio cortile
interno al quale si accede per mezzo di due grandi portoni che
si aprono alle estremità del lato adiacente il muro perimetrale sulla strada. Lungo gli altri tre lati del cortile si aprono a bre
vissimi intervalli gli ingressi di studi professionali di vario gene re, oltreché alcune scalinate che adducono ai piani superiori. Dall'istruttoria espletata in primo grado è risultato che i porto ni vengono chiusi solo di notte, di modo che durante il giorno il cortile diviene una propaggine della strada, essendo frequen tato da quel numero indeterminato di persone che debbono re
perire e raggiungere i numerosi studi professionali che vi si
aprono».
Giova, peraltro, ricordare che la giurisprudenza di questa corte, in sede penale (e con riferimento, ad esempio, all'art. 527 c.p.), ha costantemente chiarito che luogo aperto al pubblico è quello al quale può accedere chiunque, anche se solo in momenti de
terminati e con l'osservanza delle condizioni o limitazioni impo
II Foro Italiano — 1991.
ste da colui che esercita un diritto sul luogo stesso. E questa definizione non può non essere confermata in questa sede, ma
gari con l'ulteriore precisazione (opportuna per l'adattamento della regola alla particolare fattispecie dell'imponibilità del fat to pubblicitario) che i destinatari del messaggio sono anche e
soprattutto le persone che nel luogo aperto al pubblico si reca no per un fine diverso dal reperimento del luogo reclamizzato. La targa indicativa, cioè, non adempie in concreto al solo fine di indirizzare nel giusto ingresso le persone che nel cortile si
recano per accedere proprio allo studio legale indicato dalla tar
ga medesima, ma anche a quello di rendere nota quella «pre senza» alle persone che ivi accedono per altri fini. Ed è proprio in questo che consiste il presupposto dell'imponibilità.
Va da ultimo osservato — anche se solo per compiutezza di
indagine — che non si discute affatto in questa sede (né risulta che ciò sia stato fatto nelle sedi di merito) dell'idoneità della
targa (per la sua forma, dimensione, caratteristica del segno
grafico, ecc.) all'assolvimento del fine pubblicitario. 3. - Col terzo ed ultimo motivo di censura (denunciando, ai
sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazio ne degli art. 6, 12 e 20 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639, 24 Cost., 359 c.p., 125-128 c.p.c., 7 1. 14 ottobre 1974 n. 497, 19 1. 6
dicembre 1971 n. 1034, 417 c.p.c., coordinato con l'art. 82 stes
so codice, 1 ss. r.d. 30 dicembre 1923 n. 3283, 72 r.d. 30 gen naio 1941 n. 12, 32-34 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12; nonché, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., l'omessa, insufficiente e con
traddittoria motivazione) il ricorrente si duole che non sia stata
ritenuta applicabile l'esenzione (invocata, evidentemente, in via
subordinata) di cui all'art. 20, n. 12, d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 639, e sostiene che l'apposizione della targa indicativa dell'u
bicazione di uno studio legale doveva, in concreto, essere corre
lata al carattere di «servizio di pubblica necessità» esplicato da
gli avvocati esercenti la professione forense.
Anche quest'ultima censura è immeritevole di accoglimento. La norma invocata dal ricorrente dispone che «sono esenti
dall'imposta le insegne, le targhe e simili la cui esposizione sia
obbligatoria per disposizione di legge o di regolamenti (omis
sis)». Ma tale disposizione di legge non è applicabile al caso
concreto, per l'evidente ragione che nessuna norma di legge o
di regolamento impone agli avvocati l'esposizione della targa.
È, peraltro, vero che l'espletamento del servizio di pubblica necessità collegato all'esercizio della professione forense impo ne agli avvocati di rendere noto il loro domicilio; ma ciò non
ha niente a che vedere con l'esposizione di una targa idonea
a svolgere una funzione pubblicitaria. L'invocata norma di esenzione, peraltro, riguarda non tutte
le targhe obbligatorie, poiché restano fuori della previsione age volativa quelle targhe che, date le loro dimensioni, svolgono — oltre quella semplicemente indicativa — anche una funzione
tipicamente pubblicitaria. 4. - In conclusione, quindi, il ricorso deve essere respinto.
II
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 21
ottobre 1987, l'avv. Luigi De Simone, premesso — che, al lato dell'ingresso del fabbricato, in cui era sita
la propria abitazione-studio professionale, al di sopra dei cito
foni, aveva collocato una targa di ottone fuso delle dimensioni
di cm. 45x30, sulla quale era impressa la seguente dicitura: «Aw.
Luigi De Simone — 1° piano — int. n. 4»; — che detta targa, con relativa dicitura, era realizzata con
lettere, a leggero sbalzo, dello stesso metallo e dello stesso colo
re della targa; — che il comune di Castellammare di Stabia, con ingiunzio
ne notificata il 23 settembre 1987, ritenendo detta targa sogget ta all'imposta comunale sulla pubblicità, aveva chiesto il paga mento della complessiva somma di lire 52.550;
— che detta ingiunzione era illegittima, non contenendo det
ta targa alcun messaggio pubblicitario e, quindi, non potendo considerarsi rientrante fra le ipotesi di cui all'art. 6 d.p.r. 639/72;
— che l'ingiunzione era, altresì, non conforme a legge, non
potendo il comune applicare né l'aumento stagionale, né la mag
giorazione del 200%, né la soprattassa del 100°7o per omessa
dichiarazione;
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1543 PARTE PRIMA 1544
tutto ciò premesso, conveniva in giudizio l'Igap - impresa ge nerale affissione e pubblicità s.p.a. per sentire dichiarare illegit tima la predetta ingiunzione. (Omissis)
Motivi della decisione. — La questione sottoposta all'esame
del tribunale consiste nello stabilire se siano soggette all'impo sta sulla pubblicità, ex art. 6 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 639, le insegne che non presentino contenuto propagandistici e recla
mistici. Premesso che pubblicità, per accezione corrente, è ogni for
ma di propaganda diretta ad ottenere dalla collettività la prefe renza nei confronti di un prodotto o di un servizio; che, pertan
to, la normativa di cui al d.p.r. n. 639 del 1972 trova applica zioni unicamente per gli oggetti che abbiano le caratteristiche
di forme pubblicitarie, l'opponente sostiene che la targa in ot
tone fuso di cm. 45x30 con le lettere a leggero sbalzo, formanti
la scritta «Aw. Luigi De Simone — 1° piano — int. n. 4»,
posta a fianco del cancello d'ingresso al fabbricato in cui ha
10 studio, al di sopra della pulsantiera dei citofoni, non è tassa
bile, non contenendo alcun messaggio pubblicitario. La tesi è priva di fondamento giuridico. È opportuno pre
mettere, al fine di una più corretta soluzione del prospettato
problema, che, fino al 1972, anno in cui è entrato in vigore 11 predetto decreto presidenziale, l'imposta comunale sulla pub blicità non si applicava alle insegne, essendo queste ultime di
sciplinate dalla sezione II del capo XII del titolo III del testo
unico per la finanza locale 14 settembre 1931 n. 1175, come
materia imponibile, ai fini della cosiddetta tassa sulle insegne
(rectius: imposta sulle insegne). L'art. 201 disponeva, infatti, che erano soggette alla tassa sulle insegne, entro «il perimetro
dell'abitato, le iscrizioni, avvisi, ecc... relative all'esercizio di
industrie, come merci e professioni... che avessero carattere per manente e fossero esposti o comunque visibili al pubblico, tan
to se collocati su porte o vetrate d'accesso agli esercizi...».
Le incertezze interpretative provocate dalla norma vennero
risolte dal decreto interministeriale del 25 novembre 1931, che,
per l'appunto, precisò l'esatta natura del mezzo assoggettabile
all'imposta. Il principio ispiratore dell'imposta consistente nel colpire qua
lunque insegna che avesse carattere permanente e che si riferisse
ad una attività avente fine di lucro, anche se si limitasse ad
individuarne o ad indicarne al pubblico il luogo di esercizio, non venne mai posto in discussione.
In conseguenza, la Commissione centrale delle imposte diret
te, con decisione 20 luglio 1939 (Foro it., Rep. 1940, voce Tasse
comunali, n. 64) affermò espressamente che la targa con la scrit
tura «avvocato» era soggetta alla tassa, in quanto indicava una
qualifica riferibile soltanto all'attività professionale e non alla
qualifica di persona. Istituita l'imposta comunale di publicità, a meglio evidenziare e circoscrivere il concetto di insegna, inter
venne la 1. 5 luglio 1961 n. 641 la quale precisò che, ai fini
dell'imposta comunale di pubblicità, non poteva considerarsi
pubblicità affine l'esposizione di insegne, soggette alla relativa
tassa, dovendosi intendere per tali «le scritte, tabelle e simili
a carattere permanente e su materia diversa dalla carta, esposte esclusivamente nella sede di un esercizio, di una industria, com
mercio, arte o professione contenenti il nome dell'esercente o
la ragione sociale della ditta...».
Le targhe professionali poste presso l'esercizio dell'attività in
base alla predetta normativa, cioè presso gli studi, erano sog
gette all'imposta sulle insegne, ma non all'imposta comunale
di pubblicità. Tale esclusione è però venuta meno col d.p.r. 639/72 che ha
abrogato la vecchia tassa sulle insegne comprendendo tutto il
materiale imponibile ai fini di questa imposta tra quello impo nibile ai fini dell'imposta di pubblicità.
L'art. 6, infatti, espressamente dispone che l'imposta si ap
plica alle insegne esposte in luoghi pubblici o aperti al pubblico
o, comunque, da tali luoghi percepibili. In conseguenza, appare evidente che, ai fini dell'imposta, non
ha rilevanza alcuna il fine pubblicitario in senso commerciale
(fine notoriamente vietato per gli avvocati e i procuratori lega
li), essendo sufficiente che si sia in presenza di un mezzo per manentemente installato al solo fine di individuare lo studio
professionale, anche escludendosi che serva a favorire che a que sto si indirizzino le persone interessate alla consulenza del legale.
Invero, la funzione pubblicitaria di un'insegna deve riguar darsi — come ha posto in rilievo il Supremo collegio (cfr. sent,
n. 1802 del 1985, id., Rep. 1985, voce Tributi locali, n. 286) nella sua oggettività, ricorrendo ogni volta che il detto mezzo
Il Foro Italiano — 1991.
di comunicazione, indipendentemente dalle ragioni o dalle fina
lità che ne hanno determinato l'esposizione, possegga oggettiva mente una concreta idoneità a rendere noto al pubblico, ossia
ad una massa indeterminata di possibii utenti, un nome, un'at
tività, anche se a tali informazioni non si accompagni una fun
zione progandistica o un intento reclamistico, diretto cioè ad
indicare i pregi e le qualità del prodotto, del servizio o dell'atti
vità offerti, che li rendono appetibili o preferibili rispetto ad
altri. Anche in tal caso il messaggio assume, attraverso il richia
mo dell'attenzione del pubblico e la conseguente oggettiva dif
fusione del nome, dell'attività fra i possibili utenti o clienti, una potenzialità ad incrementare o comunque a facilitare lo svol
gimento di quelle attività e ciò costituisce la ratio dell'impo sizione.
Alla stregua delle esposte considerazioni, non vi è dubbio che
la targa posta dall'avv. De Simone all'ingresso del fabbricato, realizzi le predette finalità e, quindi, sia soggetta all'imposta risultando dallo stesso atto di opposizione che essa rientra tra
quelle che, senza pubblicizzarlo, indicano l'ubicazione del pro fessionista. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 marzo
1990, n. 1808; Pres. Caturani, Est. Carbone, P.M. Donna
rumma (conci, conf.); Strobbia (Avv. Giacobbe, Barbanti,
Barosio) c. Bara e Regione Piemonte (Avv. E. Romanelli,
Maiorca). Conferma App. Torino 28 novembre 1987.
Elezioni — Contenzioso elettorale amministrativo — Ricorso
per cassazione — Difetto di motivazione della sentenza impu
gnata — Deduzione in via autonoma — Inammissibilità.
Elezioni — Azienda autonoma di turismo — Presidente — Con
sigliere regionale — Eleggibilità — Esclusione (Cost., art. 117;
d.p.r. 23 luglio 1977 n. 616, attuazione della delega di cui
all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382, art. 13, 56; 1. 23 aprile 1981 n. 154, norme in materia di ineleggibilità ed incompati bilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comu
nale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale, art. 2).
Nei giudizi in materia elettorale, nei quali la Corte di cassazione
è investita di poteri cognitori e decisori estesi anche al merito
della controversia, non è deducibile in via autonoma la cen
sura di difetto di motivazione, potendo la corte riesaminare
direttamente la controversia a prescindere dalla motivazione
addotta dal giudice di merito. (1) Le aziende autonome di turismo sono, dopo il trasferimento
alle regioni delle funzioni amministrative in materia di turi
smo ex art. 13 e 56 d.p.r. 23 luglio 1977 n. 616, enti dipen denti dalla regione e, pertanto, il loro presidente è ineleggibi le alla carica di consigliere regionale ai sensi dell'art. 2, n.
11, l. 23 aprile 1981 n. 154. (2)
(1) In termini, Cass. 3 dicembre 1982, n. 6576, Foro it., Rep. 1982, voce Elezioni, n. 226; 11 marzo 1980, n. 1622, id., 1980, I, 1664, con nota di richiami, fra cui si segnala Cass. 11 giugno 1974, n. 1730, id., 1975, I, 940, con nota di V. Messerini; per ulteriori riferimenti sul ricorso elettorale, v. Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 1982, n. 622, id., 1983, III, 204.
(2) La sentenza ribadisce i principi già affermati dalla giurispruden za in sede di interpretazione dell'art. 2, n. 11, 1. 154/81, nel senso che gli amministratori di istituto, consorzio o azienda dipendente dal
rispettivo ente pubblico territoriale sono ineleggibili anche se non mu niti di potere di rappresentanza (v. Cass. 25 giugno 1987, n. 5594, Foro it., Rep. 1987, voce Elezioni, n. 105) salvo che l'eletto, prima della convalida delle elezioni, abbia presentato le sue dimissioni irre vocabili e sia effettivamente cessato dalle funzioni (Cass. 8 aprile 1986, n. 2428, id., Rep. 1986, voce cit., n. 151, e — in relazione alla previ gente 1. 108/68, per presidente di ente provinciale del turismo — Cass. 11 giugno 1974, n. 1730, id., 1975, I, 940, con nota di richiami e osservazioni di V. Messerini); in altre occasioni è stato affermato che la semplice esistenza di un rapporto d'impiego con la regione non comporta l'ineleggibilità alla carica di consigliere comunale, salvo che non si tratti di titolari di organi individuali e componenti di organi
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