sezione I civile; sentenza 6 maggio 1991, n. 4994; Pres. Scanzano, Est. Lipari, P.M. Scala (concl.conf.); Soc. Gea (Avv. Boldrini) c. Min. finanze. Conferma App. Bologna 4 marzo 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3379/3380-3391/3392Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185777 .
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3379 PARTE PRIMA 3380
matoria della caparra in questione, si sottrae, allora, ai rilievi
critici del ricorrente, siccome congruamente e logicamente moti
vato sul rilievo, di per sé decisivo, dell'omessa previsione della
caparra come corrispettivo di una facoltà di recesso.
Ed invero è principio fermo nella giurisprudenza di questa corte che la caparra ha normalmente carattere confirmatorio
e che tale carattere deve esserle riconosciuto ove non risulti —
e questa situazione è attuale nella specie — che le parti si siano
riservato, attraverso di essa, il diritto di recedere dal contratto.
Si è quindi precisato (v., per ultimo, Cass. 11 marzo 1988, n.
2399, ibid., n. 324) che la mera indicazione, in un contratto, della dazione di una somma a titolo di caparra, anche se espres samente definita penitenziale, non lo è di per sé sola sufficiente
ad attribuirle natura penitenziale ai sensi dell'art. 1386 c.c., ma
occorre che risulti la stipulazione di una pattuizione di recesso, alla quale la dazione stessa sia collegata come corrispettivo di
tale facoltà, atteso che l'art. 1386 costituisce norma speciale
rispetto al disposto dell'art. 1385, che invece attribuisce in ge nerale alla caparra la funzione di quantificazione del danno in
favore del contraente non inadempiente il quale, in caso di ina
dempimento della controparte, preferisca recedere dal contratto
anziché chiederne l'adempimento o la risoluzione.
Col terzo motivo si denunzia la violazione degli art. 112 e
115 c.p.c., dell'art. 2671 c.c. e delle disposizioni generali sulle
prove, nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo.
La corte di merito — ricorda il ricorrente — ha respinto l'ec
cezione di «impossibilità» dell'esecuzione specifica del contrat
to preliminare de quo, per l'avvenuta alienazione ad un terzo
dell'immobile oggetto del medesimo, sul rilievo che la vendita, anteriore all'instaurazione del giudizio, non risultava però tras
critta, a differenza della domanda introduttiva.
Cosicché, stante la prevalenza sulla vendita della domanda
di adempimento in forma specifica, determinata dall'anteriorità
della trascrizione di quest'ultima rispetto all'atto di disposizio ne posto in essere dal promittente (art. 2652, n. 2, c.c.), non
sussisteva nella specie un ostacolo alla «possibilità» di emettere
una pronunzia di accoglimento della domanda anzidetta.
Cosi argomentando, deduce il Borrelli, i giudici d'appello non
hanno considerato che l'atto di vendita del bene al terzo, stan
do all'annotazione apposta sul retro dell'ultima pagina del rogi
to, era stato trascritto in data anteriore a quella della domanda
di esecuzione specifica, e che comunque ciò che nella specie essenzialmente rilevava, e che non aveva bisogno di riscontri
nella nota di trascrizione, era la provata, sicura anteriorità del
l'alienazione al terzo rispetto alla data di detta domanda.
Il motivo è fondato sotto questo secondo profilo. Presuppo sto imprescindibile dell'accoglimento della domanda di esecu
zione specifica dell'obbligo di concludere un contratto (art. 2932
c.c.), è che il promittente abbia conservato le proprietà e dispo nibilità del bene oggetto del contratto preliminare, la sua even
tuale alienazione ad un terzo (con negozio valido ed efficace) creando una situazione ostativa alla coattiva sostituzione della
sentenza alla mancata manifestazione di volontà negoziale del
promittente. Sarebbe invero concettualmente, prima ancora che giuridica
mente, impossibile — e nella formulazione dell'art. 2932 il legis latore non ha mancato di sottolineare che l'emissione della sen
tenza che tenga le veci e produce gli effetti del contratto non
concluso, deve essere «possibile» —, far uscire coattivamente
dalla sfera patrimoniale di un soggetto, un bene di cui questi, in forza di un libero atto di disposizione, siasi già spogliato.
Gli stessi criteri vanno applicati in tema di esecuzione specifi ca di contratti preliminari di compravendita, e, specificamente, in materia di preliminari di vendita di immobili, senza che alcu
na rilevanza in contrario possano spiegare le norme sulla tras
crizione dei contratti di trasferimento della proprietà di detti
beni e delle domande giudiziali dirette ad ottenere l'esecuzione
in forma specifica dell'obbligo di concludere un simile contrat
to (compresa quella, di cui all'art. 2652, n. 2, c.c., per cui la
trascrizione della sentenza che accoglie la domanda di esecuzio
ne specifica prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite con
tro il convenuto dopo la trascrizione della domanda medesima). Dette norme, alla cui stregua trovano soluzione — in base
al criterio della priorità della trascrizione dell'atto nei pubblici
registri immobiliari — i conflitti fra più acquirenti del medesi
II Foro Italiano — 1991.
mo diritto immobiliare, vengono infatti in considerazione sol
tanto quando si tratti di risolvere un simile conflitto, e quindi, in materia di esecuzione specifica di un preliminare di compra vendita immobiliare, quando si tratti di risolvere la contesa tra
il promissario, divenuto proprietario del bene a seguito dell'ac
coglimento della domanda ex art. 2932 c.c., ed il terzo al quale il promittente abbia alienato il medesimo bene, ma non anche
quando, come nella specie, si controverta tra promittente e pro missario, nel giudizio promosso per ottenere l'esecuzione speci fica del contratto, sulla concreta «possibilità» giuridica di emet
tere una sentenza di trasferimento coattivo di un bene di cui
già altri abbia acquistato, per avergliela trasferita il promitten
te, la proprietà. In quest'ultimo caso non si pone una questione di conflitto
tra più acquirenti del medesimo bene ma di ricorrenza delle con
dizioni perché l'acquisto della proprietà del bene possa, nella
forma ed attraverso la sentenza di accoglimento della domanda
di esecuzione specifica, essere conseguito giudizialmente dal pro missario nei confronti del promittente inadempiente. E tra que ste condizioni, per quanto sopra si è detto, vi è certo quella della perdurante disponibilità del bene da parte del promittente, convertendosi altrimenti il diritto all'esecuzione specifica nel di
ritto al risarcimento del danno.
Ha errato perciò la corte di merito, in una fattispecie caratte
rizzata da ciò che il promittente — com'è pacifico — si era
spogliato dell'immobile oggetto del preliminare, vendendolo ad
un terzo in data anteriore alla data della domanda di esecuzione
specifica, nel ritenere che una simile situazione non costituisse
una ragione di impossibilità giuridica di accoglimento della do
manda stessa, cosi come ha errato nel considerare applicabile,
per la soluzione del caso, la norma di cui all'art. 2652, n. 2, c.c.
All'accoglimento del ricorso, nei limiti e per le ragioni innan
zi esposti, segue la cassazione, senza rinvio, della sentenza im
pugnata.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 maggio
1991, n. 4994; Pres. Scanzano, Est. Lipari, P.M. Scala
(conci, conf.); Soc. Gea (Aw. Boldrini) c. Min. finanze. Con
ferma App. Bologna 4 marzo 1986.
Registro (imposta di) — Atto tassato — Natura — Effetti —
Fattispecie (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 634, disciplina dell'im
posta di registro, art. 19).
La tassazione di un atto ai fini dell'imposta di registro deve
essere effettuata con riguardo all'intrinseca natura ed agli ef
fetti dell'atto tassato, anche se non vi corrispondono il titolo
e la forma apparente (nella specie, è stato assoggettato ad
imposta di registro, quale conferimento dì immobile, l'atto
di trasformazione di una s.n.c. in s.a.s., considerato che l'im
mobile dichiarato nell'attivo della s.n.c. era stato acquistato non dalla società ma dai soci di questa in proprio). (1)
(1-2) I. - Entrambe le sentenze riflettono un'impostazione del Supre mo collegio volta al superamneto dei vincoli formali ai fini dell'indivi duazione della materia imponibile (nel caso di specie ai fini dell'impo sta di registro e dell'imposta sul valore aggiunto).
Mentre in parlamento sono ancora in discussione i disegni di legge relativi all'introduzione nel nostro sistema di una norma generale antie lusiva (vedi infra), la Cassazione anticipa tale introduzione attraverso
un'interpretazione che, quanto meno per ciò che concerne l'imposta sul valore aggiunto, non sembra avere avuto adeguato sviluppo né in
giurisprudenza né in dottrina. La sentenza n. 3726, «dilata» il concetto di operazione imponibile,
di cui agli art. 1 ss. d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, ricomprendendo in questo anche fattispecie complesse e collegamenti negoziali.
Per la corte, infatti, al fine di individuare il regime impositivo di
un'operazione economica, occorre porre l'attenzione al risultato con
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 aprile
1991, n. 3726; Pres. Vercellone, Est. Carbone, P.M. Don
narumma (conci, conf.); Soc. agraria Morelli (Avv. Russo) c. Min. finanze. Conferma Comm. trib. centrale 11 gennaio
1986, n. 106.
Valore aggiunto (imposta sul) — Fattispecie complesse — Col
legamenti negoziali — Operazione imponibile — Fattispecie
(D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina del
l'imposta sul valore aggiunto, art. 1). Valore aggiunto (imposta sul) — Ramo d'azienda — Cessione
— Gestione indivisa — Contabilità non separata — Assog
gettabili (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 2). Valore aggiunto (imposta sul) — Imposta di registro — Alter
natività — Erroneo pagamento dell'imposta di registro — In
tervenuta definitività — Irrilevanza (D.p.r. 26 ottobre 1972
n. 633, art. 38). Valore aggiunto (imposta sul) — Circostanze esimenti — Viola
zioni — Inapplicabilità (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 48).
creto indirettamente perseguito dal contribuente e non soltanto agli ef
fetti propri dell'operazione stessa. Non constano precedenti in tali esatti termini.
V. Comm. trib. centrale 18 novembre 1987, n. 8342, Foro it., Rep.
1987, voce Valore aggiunto (imposta), n. 95, che ha deciso per l'impos sibilità per l'ufficio impositore di presumere, sulla scorta di induttive
valutazioni, la dissimulazione di un negozio giuridico («obliterando i
pur chiari schemi formali e sostanziali delle intercorse pattuizioni») sen
za offrire alcuna concreta documentazione.
In dottrina, sul concetto di operazione imponibile, oltre le trattazioni
istituzionali, v. R. Lupi, Iva, voce dei)'Enciclopedia giuridica Treccani,
Roma, 1989, XVI, 6; S. Ingrosso, Le operazioni imponibili ai fini del
l'Iva, in Dir. e pratica trib., 1973, I, 448; M. Scarlata Fazio, I pre
supposti dell'Iva, in Bollettino trib., 1972, 566; A. Fantozzi, Presup
posti e soggetti passivi dell'Iva, in Dir. e pratica trib., 1972, I, 735;
Id., Operazioni imponibili ed esenti nel procedimento di applicazione
dell'Iva, in Riv. dir. fin., 1973, 138; C. Vinci - M. Gagliardi, Osserva
zioni sui presupposti oggettivi dell'Iva: le cessioni di beni, in Corriere
trib., 1986, 2537. Nella motivazione della sentenza n. 3726 — peraltro non esaustiva
in relazione all'importanza e novità del principio affermato — la corte
sembra ritenere che tale principio antielusivo abbia, in materia tributa
ria, portata generale, facendo riferimento anche al principio espresso
dall'abrogato art. 8 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, in base al quale le «tasse» di registro sono applicate secondo l'intrinseca natura degli atti o dei trasferimenti, se non vi corrisponde il titolo o la forma appa rente (si veda, successivamente, l'art. 19 d.p.r. 634 del 1972 ed, attual
mente vigente, l'art. 20 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, di analogo con
tenuto). Giova sottolineare che innanzi alla Cassazione non si poneva un pro
blema di esatta interpretazione del contenuto di un singolo atto (rispet to al quale, anche volendone estendere l'applicazione a tributi diversi
da quello di registro, opera ora la norma di cui all'art. 20 d.p.r. 26
aprile 1986 n. 131); nel caso di specie la Corte di cassazione ha ravvisa
to in una sequenza di atti, posti in essere tra una società, un socio
di questa e — a quanto dato comprendere dalla motivazione — altri
terzi, il presupposto per l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto. In questo modo la corte ha evidentemente ritenuto che tale presupposto
comprenda anche le cessioni di beni realizzate mediante un conferimen
to di azienda in società (operazione non imponibile ai sensi dell'art.
2, 3° comma, lett. e, d.p.r. 633/72) e la successiva cessione della relati
va partecipazione ad altri soggetti, tra i quali un socio (la cessione di
quote sociali è esente dall'Iva ai sensi dell'art. 10, 1° comma, n. 4, stesso decreto), riscontrandovi un collegamento negoziale.
II. - Mentre la sentenza n. 3726 afferma un principio di diritto nuovo
ed originale (la cui razionalità e configurabilità con il sistema dovrà
comunque essere verificata), la sentenza n. 4994 si collega ad una prece dente giurisprudenza, finalizzata anch'essa a ridurre la possibilità di
«elusione del tributo», ma che, in materia di imposta di registro, trova
solidi appigli normativi.
La corte, infatti, con riferimento all'art. 19 d.p.r. n. 634 del 1972, ha affermato che «la portata tipica dell'art. 19 della legge di registro è quella di consentire all'ufficio di squarciare il velo verbale delle clau
sole per metterne a nudo la reale portata ed efficacia», ribadendo la
possibilità del superamento dei vincoli formali e l'importanza degli aspetti sostanziali dell'atto.
V. anche Cass. 28 novembre 1989, n. 5172, Foro it., Rep. 1989, voce Registro, n. 360; 17 dicembre 1988, n. 6902, id., Rep. 1988,
voce cit., n. 68; Comm. trib. centrale 10 maggio 1989, n. 3208,
Il Foro Italiano — 1991.
L'ampio concetto di operazione imponibile di cui agli art. 1
ss. d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 è idoneo a ricomprendere anche fattispecie complesse e collegamenti negoziali (nella spe
cie, è stata assoggettata ad Iva, in quanto assegnazione di
azienda ad unico socio, l'operazione con la quale una società
ha dapprima conferito tale azienda in altra società e poi ha
ceduto la relativa partecipazione ad un socio ed ai figli di
questo). (2)
id., Rep. 1989, voce cit., n. 86; 8 ottobre 1987, n. 7068, id., Rep. 1987, voce cit., n. 146; 2 settembre 1986, n. 6950, ibid., n. 73; 22 no
vembre 1984, n. 10117, id., Rep. 1985, voce cit., n. 67; 23 agosto 1984, n. 7890, id., Rep. 1984, voce cit., n. 55; 4 marzo 1981, n. 2549, id.,
Rep. 1981, voce cit., n. 58.
Sempre in tema di imposta di registro, ma con riferimento all'art.
8 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, Cass. 12 luglio 1984, n. 4097 (id., 1984, I, 2463) ha affermato che la simulazione di un atto da tassare, anche se non desumibile da elementi estranei all'atto sottoposto a regi strazione, può venire accertata, ove non risulti la corrispondenza tra il titolo e la forma apparente da un lato e l'intrinseca natura e gli effetti
dell'atto dall'altro, in relazione alla «oggettività del suo contenuto» e
alla «ricognizione positiva del suo significato». In dottrina: G. Tremonti, La fiscalità industriale, Bologna, 1988,
10, rileva che «elusione fiscale è solo un modo di dire o di pensare: nel sistema fiscale italiano infatti giuridicamente l'elusione non esiste;
giuridicamente esiste solo un numerus clausus di fattipecie assoggettate a regimi particolari, ispirati da ragioni di cautela fiscale. Ma si tratta
appunto di fattispecie particolari, la cui previsione specifica non prova, ma piuttosto esclude, l'esistenza di un super-principio, in base al quale l'elusione fiscale apparterrebbe al genere dei mala in se. Essa appartie ne piuttosto al genere dei mala quia prohibita, lecito quando non è
oggetto di specifiche previsioni limitative»; F. Gallo, Evasione, elusio
ne e risparmio d'imposta, in Giur. comm., 1989, 377; Id., Elusione
senza rischio: il fisco di fronte a un fenomeno tutto italiano, in Dir.
e pratica trib., 1991, I, 257, nel quale l'autore rileva che «il problema dell'elusione è anche, in via astratta, un problema di rapporto fra "for
ma" ("apparenza") e "sostanza" nel dirittro tributario» e che può es
sere risolto «individuando (o mantenendo) in certi casi le singole fatti
specie antielusive e preoccupandosi però, nel contempo, di individuare
in via generale l'elusione illegittima nel componimento di atti, singoli o funzionalmente collegati, al solo fine di eludere le norme tributarie»; D. Jarach, I contratti a gradini e l'imposta, in Riv. dir. fin., 1982,
11, 79, secondo il quale «se il presupposto di fatto definito dalla legge non comprende il negozio giuridico realizzato concretamente dalle par
ti, l'intenzione di eludere l'imposta non può far nascere un'imposta come se detto presupposto si fosse realmente verificato»; F. Tesauro, in Riv. dir. fin., 1987, II, 75, sostiene che, nonostante «l'assenza nel
nostro ordinamento, d'una norma generale che permetta di applicare le leggi d'imposta non tanto in base alla veste formale dei negozi o
istituti posti in essere, quanto in base alla sostanza economica dell'affa
re», il fisco può reprimere i comportamenti elusivi «secondo la tecnica
interpretativa delle norme giuridiche, e valutativa dei negozi e degli isti
tuti, che appartiene alla nostra cultura giuridica sotto l'etichetta di fro
de alla legge»; F. D'Ayala Valva, I problemi dell'evasione e dell'elu
sione nell'attuale normativa, in Dir. e pratica trib., 1989, I, 1154, evi
denzia che «nella normativa italiana è sempre mancata una norma
generale anti-elusiva (. . .), questa mancanza risponde alla peculiarità del sistema impositivo italiano, il quale prevede, perché la pretesa fisca
le dello Stato sorga, che sia necessario che la potestà di imposizione
venga concretamente esercitata»; M. A. Galeotti Flori, l'elusione tri
butaria, in Fisco, 1989, 1985, per il quale «l'elusione è un mezzo di
difesa tributaria del quale il cittadino può avvalersi»; U, Morello, Il
problema della frode alla legge nel diritto tributario, in Dir. e pratica
trib., 1991, I, 8, secondo il quale «la frode alla legge va intesa come
un principio generale (di cui l'art. 1344 c.c. appare solo una specifica zione con efficacia nell'ambito del contratto illecito) suscettibile di ap
plicazione in tutti i settori del nostro ordinamento giuridico e, in parti
colare, nel diritto tributario»; G. Zizzo, Sul «lease back» e l'elusione
tributaria, in Riv. dir. trib., 1991, 225, per il quale è dimostrata «l'in
sussistenza di seri impedimenti a che si consideri attivo nel settore tribu
tario dell'ordinamento giuridico il principio generale della frode alla
legge, e in forza di esso si ritengano inopponibili al fisco i vantaggi di ordine fiscale promananti da operazioni qualificabili come elusive,
e cioè, per l'appunto, in frode alla legge tributaria»; G. Eugeni, Eva
sione e frode fiscale strumenti di lotta, in Tributi, 1990, 5, il quale rileva come, oltre a specifiche norme antielusive, «esistono nel nostro
sistema tributario numerose norme che consentono all'amministrazione
di spiegare la prorpia azione accertatrice in presenza di elementi ed in
dici rilevatori di salti d'imposta. E il caso, in materia di imposta di
registro, dell'art. 20 del corrispondente testo unico 131/86 (. . .). Al
di là della tentazione di attribuire funzione interpretativa generale a
questa norma, è inconfutabile nel suo ambito naturale la finalità antie
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3383 PARTE PRIMA 3384
Ai sensi dell'art. 2, 3° comma, lett. b), d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 633 (nel testo vigente dal 1° gennaio 1975 al 31 marzo
1979) la cessione di un ramo d'azienda, non gestito in manie
ra autonoma o con contabilità separata, deve essere assogget tata all'imposta sul valore aggiunto. (3)
Il contribuente che abbia erroneamente corrisposto l'imposta di registro per un'operazione da assoggettare all'imposta sul
lusiva»; F. Verde, Frode alla legge e fisco: uno spunto da una recente
sentenza delle sezioni unite della Cassazione in tema di applicabilità dell'art. 1344 c.c., in Dir. e pratica trib., 1990, II, 83, secondo il quale non è possibile «affermare, in base a precisi, puntuali ed ineccepibili assunti di ordine dommatico, che l'art. 1344 c.c. possa astrattamente e generalmente applicarsi ai negozi stipulati in frode alla legge tributa ria in funzione antielusiva»; S. Dus, Norme antielusive in materia di
operazioni societarie, in Fisco, 1991, 1221, per il quale il 1° comma dell'art. 10 1. n. 408 del 1990, pur essendo riferito alle operazioni socie
tarie, «potrebbe svolgere effetti anche al di là delle fattispecie indivi
duate, posto che il principio in essa contenuto appare dotato di notevo le capacità espansiva — anche se solo per il futuro — non sussistendo
oggettive ragioni per limitarne l'applicazione alle sole operazioni socie tarie previste». V. anche, in argomento, S. Cipollina, Elusione fiscale, in Riv. dir. fin., 1988, 122; A. Bompani, I concetti di evasione, erosio ne ed elusione del reddito nel vigente sistema tributario, in Fisco, 1985, 3316.
Sull'elusione tributaria e le problematiche connesse, vedi, inoltre, P. M.
Tabellini, L'elusione tributaria, Milano, 1989. III. - In ordine alle problematiche dell'elusione — intesa quale utiliz
zo di «strumenti frequentemente utilizzati per raggiungere risultati iden tici o analoghi, sul piano della sostanza economica, a quelli presi in considerazione da vigenti disposizioni impositive, eludendo l'applicazio ne di queste ultime» (dalla relazione al disegno di legge n. 1301 del 1° settembre 1988, in Corriere trib., 1988, 2433) — si veda: la proposta di legge 4 febbraio 1986 n. 3461, presentata alla camera dei deputati (in Dir. e pratica trib., 1986, I, 843), con la quale, nonostante il dichia rato intento di introdurre una norma generale antielusiva (v. la relazio ne di presentazione, ibid., 844), si è prevista invece una norma relativa solo alla determinazione del reddito complessivo imponibile; il disegno di legge n. 1301 del 1° settembre 1988 (in Fisco, 1988, 4766) che preve deva, all'art. 31, una norma generale antielusione successivamente mo
dificata, in sede di esame della VI commissione permanente (finanze e tesoro) del senato, con la previsione specifica di atti e comportamenti elusivi (in II Sole - 24 Ore del 15 dicembre 1988) e, infine, stralciata dalla stessa commissione nella seduta del 21 dicembre 1988. V. anche il disegno di legge n. 3705 dell'8 marzo 1989 (in Fisco, 1989, 6559), approvato dalla camera dei deputati nella seduta del 3 maggio 1989, nella cui relazione si osserva «che il nostro ordinamento è uno dei po chi, tra quelli dei paesi occidentali, a non avere una disposizione di carattere generale che abbia una specifica finalità antielusiva», più vol te emendato, ed approvato dal senato (A.S. n. 1746, id., 1989, 6572), con la soppressione dell'articolo relativo. In dottrina, v. M. Trinco, Analisi storico-critica dei progetti di norma generale antielusiva, in Fi
sco, 1991, 3690. V. anche: le considerazioni del servizio centrale degli ispettori tributari al disegno di legge n. 1301 (in Corriere trib., 1988, inserto al n. 47, pag. Vili); le osservazioni del consiglio nazionale dei
ragionieri e dei periti commerciali (ibid., XXII); le osservazioni del con
siglio nazionale dei dottori commercialisti (ibid., XII). V., per l'attribuzione all'amministrazione finanziaria del potere di
disconoscere, ai fini fiscali, gli schemi contrattuali posti in essere dal contribuente «senza valide ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d'imposta», l'art. 10, 1° com
ma, 1. 29 dicembre 1990 n. 408.
(3) La Cassazione afferma, con riferimento alla normativa vigente al momento dell'operazione di cessione di un ramo d'azienda (anno 1975), che per rientrare nel regime di esclusione dall'Iva, stabilito dalla lett. b), 3° comma, dell'art. 2 d.p.r. 26 ottobre 1973 n. 633, è necessa rio che il ramo d'azienda ceduto fosse gestito in maniera autonoma 0 con contabilità separata.
Il testo originario (vigente dal 1° gennaio 1973 al 31 dicembre 1974) escludeva dall'Iva le cessioni che avessero per oggetto «aziende, com
presi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa gestiti di stintamente con contabilità separata». Successivamente l'art. 1 d.p.r. 23 dicembre 1974 n. 687 ha modificato la norma in oggetto, con effetto dal 1° gennaio 1975, non considerando cessioni di beni «le cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami d'impresa gestiti con contabilità separata». Infine l'art. 1 d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24 (tuttora vigente) ha modificato la norma in esame, con effetto dal 1° febbraio 1979, sancendo l'esclusione dall'I va per le «cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa».
V., con riferimento alla normativa originaria, Comm. trib. centrale 8 maggio 1985, n. 4418, Foro it., Rep. 1985, voce Registro, n. 57; 3 dicembre 1983, n. 3368, id., Rep. 1984, voce Valore aggiunto (impo sta), n. 83.
Il Foro Italiano — 1991.
valore aggiunto non può invocare, per esimersi dal pagamen to di tale tributo, la circostanza dell'intervenuta definitività del pagamento dell'imposta di registro. (4)
L'esimente di cui all'art. 48, ultimo comma, d.p.r. 26 ottobre
1972 n. 633, introdotta dal d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24, si
applica esclusivamente alle violazioni commesse successivamen
te alla sua entrata in vigore. (5)
I
Svolgimento del processo. — Con atto notarile del 10 dicem
bre 1975 Pietro Arpesella e Melodia Spaccarelli, soci della so
cietà in nome collettivo Arpesella e Spaccarelli, procedevano alla trasformazione della società in accomandita semplice, di
chiarando che nell'attivo sociale rientrava il complesso alber
ghiero «Grand Hotel di Rimini», acquistato con atto per notaio
Ciacci del 21 settembre 1963.
Il 7 agosto 1978 l'ufficio del registro di Bologna, rilevato che
con l'atto del 21 settembre 1963 il complesso alberghiero era
stato acquistato non dalla società in nome collettivo, ma da
Arpesella e Spaccarelli in proprio e che, conseguentemente, la
dichiarazione contenuta nell'atto di trasformazione aveva com
portato il conferimento in società del complesso stesso, proce deva alla notifica degli atti di accertamento per l'imposta com
plementare di registro per lire 168.000.000 e per imposta princi
pale Invim per lire 1.439.284.000, spiegando che l'imposta di
registro aveva natura complementare perché il conferimento dei
beni in società (non rilevabile immediatamente dalla registrazio ne dell'atto) era stato evidenziato «solo a seguito di accerta
menti operati dall'ufficio successivamente».
Contro tali avvisi di accertamento i contribuenti proponeva no ricorso alla commissione tributaria di primo grado di Bolo
gna deducendo che l'atto del 1975 era meramente ricognitivo e non traslativo della proprietà dei beni; che il conferimento
dell'immobile nella società era presunto; che, se l'atto fosse sta
to considerato quale negozio traslativo, il tributo avrebbe avuto
natura suppletiva, non complementare; che l'immobile doveva
ritenersi acquisito alla società in nome collettivo già in forza
del rogito Ciacci del 12 settembre 1963 e che la pretesa tributa
ria era prescritta. La commissione tributaria adita dichiarava
la natura suppletiva dell'imposta di registro, respingendo per il resto entrambi i ricorsi (riuniti).
Avverso tale decisione proponevano impugnazione sia i co
niugi Arpesella/Spaccarelli, sia la s.p.a. Arpesella e Spaccarelli, sia l'ufficio del registro, che insisteva sulla natura complemen tare dell'imposta (di registro).
La commissione tributaria di secondo grado di Bologna riget tava entrambi gli appelli. Contro tale decisione la s.r.l. Gea
(che aveva frattanto incorporato la s.p.a. Arpesella e Spaccarel
li, trasformata in s.r.l.) ed i coniugi Arpesella/Spaccarelli pro
ponevano impugnazione davanti alla Corte d'appello di Bolo
gna, che, con sentenza 13 dicembre 1985, rigettava l'impugna
zione, osservando che a norma dell'art. 19 1. n. 634 del 1972
gli atti presentati per la registrazione devono essere tassati se
condo la natura intrinseca degli stessi o per gli effetti giuridici che sono idonei a produrre (e non per il loro titolo o forma
apparente); che l'assunto, secondo il quale l'atto oggetto della
(4) Conforme, Cass. 26 marzo 1984, n. 1987, Foro it., Rep. 1984, voce Registro, n. 43.
Vedi anche, per un caso di pagamento dell'Iva in luogo dell'imposta di registro, Comm. trib. centrale 10 gennaio 1987 n. 151, id., Rep. 1987, voce cit., n. 65 (e, per esteso, Fisco, 1988, 2802) per la quale non è consentito all'amministrazione finanziaria di assoggettare ad una seconda tassazione ai fini dell'imposta di registro, per un importo inte
grale, la vendita immobiliare che abbia scontato l'Iva per lo stesso tito
lo, senza operare i necessari collegamenti, attraverso una disapplicazio ne formale e sostanziale dell'art. 38 d.p.r. n. 634 del 1972.
(5) Contra, Comm. trib. centrale 10 maggio 1988, n. 3950, Foro it.,
Rep. 1988, voce Tributi in genere, n. 1318, per la quale la facoltà attri buita alle commissioni tributarie dall'ultimo comma dell'art. 48 d.p.r. n. 633 del 1972, integrato dal d.p.r. n. 24 del 1979, di dichiarare non dovute le pene pecuniarie, può essere esercitata anche con riferimento alle infrazioni precedenti al 1° aprile 1979 e a quella data ancora all'e same degli organi del contenzioso tributario. [F. Carotti]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
contestazione avrebbe avuto natura meramente ricognitiva e non
traslativa (e che l'ufficio del registro sarebbe pervenuto alla con
clusione opposta utilizzando elementi estranei all'atto da regi
strare) era infondato, in quanto, pur essendo vietato far ricorso
ad elementi estranei all'atto, era consentito avvalersi di elementi
costituenti il presupposto dell'atto o ad esso connessi, dovendo
si ristabilire l'unità dei diversi atti al fine di sventare l'elusione
dell'imposta; che, pertanto, l'effettiva portata del rogito del 1975
ben poteva essere accertata alla luce dell'atto presupposto (e
cioè del precedente rogito del 21 settembre 1963), dal quale ri
sultava che il «Grand Hotel» non era stato acquistato dalla so
cietà in nome cqllettivo Arpesella e Spaccarella, ma dai soci
in proprio, onde l'effettiva loro volontà manifestata nell'atto
si rivelava diretta a trasferire l'immobile dal loro personale pa
trimonio a quello della società, com'era confermato dal fatto
che non vi era stata né espressa, né implicita o sottintesa, spen dita del nome sociale, mentre la contemplano domini era indi
spensabile e doveva risultare dal testo del contratto ab sub
stantiam.
Contro la riassunta pronuncia ricorrono per cassazione la Gea
s.r.l. e gli Arpasella e Spaccarelli denunciando violazione del
l'art. 19 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 634. I ricorrenti si dolgono
che la corte del merito abbia erroneamente riconosciuto effica
cia traslativa ad una dichiarazione avente natura meramente ri
cognitiva, pervenendo a tale conclusione mediante l'utilizzazio
ne di elementi estranei all'atto sottoposto a registrazione e sen
za considerare, altresì, che, per il principio della trascrizione
degli atti ai fini dell'opponibilità ai terzi e per l'altro principio della continuità nelle trascrizioni, la trascrizione dell'atto «Fo
restieri» a favore s.a.s. Arpesella/Spaccarelli non poteva comun
que produrre gli effetti del trasferimento della proprietà dell'al
bergo per l'interruzione della continuità delle trascrizioni, poi
ché mai era stato trascritto un atto di trasferimento di proprietà
del complesso alberghiero dai sig. Arpesella e Spaccarelli alla
s.n.c. Arpesella e Spaccarelli. Resiste, con controricorso, il mi
nistero delle finanze.
Motivi della decisione. — 1. - In occasione della trasforma
zione di società in nome collettivo in accomandita semplice i
due soci hanno dichiarato che nell'attivo sociale era compreso
il complesso alberghiero denominato Grand Hotel di Rimini,
precisando che tale complesso era pervenuto alla società con
precedente rogito. Ma, poiché non vi era stata spendita del no
me sociale risultando acquistato il bene a favore dei compratori
uti singuli, l'ufficio del registro ha ritenuto di dover assoggetta
re ad imposta definita «complementare» il conferimento di beni
in società che si era effettivamente venuto a verificare a seguito
di quello che solo apparentemente risultava essere un atto rico
gnitivo. Il nucleo decisionale sta tutto nell'alternativa fra queste due
possibili qualificazioni avendo i giudici tributari di primo e se
condo grado e la corte d'appello uniformemente optato per il
carattere traslativo dell'atto, attesa la discrasia fra l'acquisto,
effettuato da soggetti che non dichiaravano di agire nella quali
tà di soci, ma in proprio ed il successivo passaggio del bene
stesso alla società, alla cui trasformazione, come tale priva di
valenza traslativa, si accompagnava sostanzialmente un trasferi
mento di beni, che precedentemente facevano parte del patri
monio personale dei conferenti in parti eguali, e non della so
cietà che si veniva a trasformare; impostazione questa presup
ponente l'inesattezza dell'inquadramento della pretesa tributaria
come imposta complementare ed il correlativo operare dei prin
cipi sull'imposta suppletiva (essendosi sul punto acquietata la
finanza alla decisione negativa delle commissioni di primo e se
condo grado). 2. - Questa essendo la materia del contendere, il fondamento
normativo della soluzione va attinto alla norma dell'art. 19 del
la legge di registro del 1972 sotto la cui disciplina ricade l'atto
considerato ratione temporis che ribadisce, con formulazione
più incisiva, un principio che inerisce alla funzione tipica del
tributo.
Costituisce al riguardo ius receptum che l'atto deve essere
tassato in base alla sua intrinseca natura ed agli effetti (ancor
ché non corrispondenti al titolo ed alla forma apparente) da
individuare attraverso l'interpretazione dei patti negoziali, se
condo le regole generali di ermeneutica, con esclusione degli
elementi desumibili aliunde. In tale indagine non è precluso il ricorso al dato letterale,
Il Foro Italiano — 1991.
ove esso non risulti in contrasto con la sostanza del negozio,
e neppure il collegamento fra più patti negoziali, ove siano espres
sione di un disegno unitario tale da evidenziare l'effettiva por tata dell'atto da tassare (Cass. 75/87, Foro it., Rep. 1987, voce
Registro, n. 69; 2239/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 186; 221/81,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 170).
L'indagine deve riguardare unicamente il contenuto dell'atto
quale risulta essere nella sua realtà effettuale e non solo verba
le, mentre la ricerca, trascendente il titolo e la forma apparenti è giustificata solo in quanto sia configurabile un contrasto tra
il documento ed il negozio voluto dalle parti.
Proprio perché occorre avere riguardo all'intrinseca natura
ed agli effetti dell'atto tassato, anche se non vi corrispondono
il titolo e la forma apparente, vengono in considerazione ai fini
impositivi non solo gli effetti voluti dalle parti ma anche quelli
che, ancorché non voluti, il negozio è oggettivamente idoneo
a produrre in forza della fattispecie normativa in cui si inqua
dra, sicché, sotto questo profilo, l'interpretazione può condurre
a risultati più ampi di quelli raggiungibili con un'interpretazio
ne del negozio incentrata esclusivamente sull'intenzione delle parti
(Cass. 2658/79, id., Rep. 1980, voce cit., n. 67; 2437/75, id.,
Rep. 1975, voce Titoli di credito, n. 29). In effetti, le clausole non vanno interpretate nella loro piatta
letteralità, ma devono essere valutate cogliendone l'effettiva po
tenzialità, per ricercare il concreto intento perseguito ed attuato
dalle parti, indipendentemente dal nomen iuris prescelto; essen
do consentito prendere in considerazione anche il collegamento
fra più patti, negoziali, quale espressione di un disegno unita
rio, si da evidenziare l'effettiva portata dell'atto da tassare (Cass.
5563/80, id., Rep. 1980, voce Registro, n. 55; 5693/78, id.,
Rep. 1978, voce cit., n. 36; 2437/75, cit.). E la relativa indagine sull'intrinseca natura e gli effetti giuri
dici di un atto, pur dovendosi fondare principalmente sul docu
mento presentato per la registrazione, può avvalersi di elementi
estrinseci all'atto medesimo, ma che ne costituiscano il presup
posto, o comunque siano ad esso connessi (Cass. 2658/75, id.,
Rep. 1975, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 382;
1715/78, id., Rep. 1978, voce cit., n. 375; 1737/76, id., Rep.
1976, voce Registro, n. 40). 3. - Alla stregua dei richiamati principi giuridici la tesi dei
ricorrenti appaiono prive di fondamento giuridico laddove pre
tendono che la corte d'appello abbia erroneamente riconosciuto
efficacia traslativa, senza considerare che l'ufficio del registro
è pervenuto, per sua esplicita ammissione, alla tassazione «com
plementare» utilizzando elementi estranei all'atto sottoposto a
registrazione. È fuori dubbio che l'atto, nella letteralità delle sue proposi
zioni, intende essere ricognitivo della consistenza patrimoniale
della società che si voleva trasformare, specificando che il Grand
Hotel di Rimini faceva parte del patrimonio della società tras
formata, sicché al riguardo non poteva verificarsi alcun passag
gio di beni sostanziali modificandosi soltanto la qualità societa
ria del centro d'imputazione dei beni medesimi.
Ma la portata tipica dell'art. 19 della legge di registro è quel
la di consentire all'ufficio di squarciare il velo verbale delle clau
sole per metterne a nudo la reale portata ed efficacia.
Era quindi doveroso per l'ufficio verificare il fondamento del
titolo di appartenenza alla società in nome collettivo che inten
deva trasformarsi in società in accomandita semplice, rappre
sentando al riguardo un fondamentale elemento di indagine, sce
vro da ogni indebita extratestualità, la circostanza che si era
richiamato l'atto dal quale sarebbe derivata l'attribuzione del
diritto alla società in trasformazione.
Sotto questo profilo ogni discorso che miri a sottolineare il
principio secondo cui il contenuto e la natura dell'atto da regi
strare debbono ricavarsi esclusivamente dalle clausole di esso
e senza possibilità di modificarne od integrarne i risultati in
base ad elementi desunti aliunde, sarebbe manifestamente un
fuor d'opera, perché l'ufficio del registro si trovava di fronte
ad un atto enunciato, del quale si sarebbe dovuto attivare sen
z'altro a verificare il contenuto: sia per controllarne la regolari
tà fiscale; sia per stabilire la corrispondenza di quanto enuncia
to ai fini del regime di tassazione dell'atto enunciante alla stre
gua del principio si vera sunt exposita; giacché soltanto se fosse
risultato un acquisto in capo alla società in nome collettivo la
trasformazione della società, inclusiva di quel bene, si sarebbe
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3387 PARTE PRIMA 3388
potuta verificare senza oneri di imposte proporzionali di trasfe
rimento, mentre il richiamo a quell'atto, fatto con l'espresso fine di giovarsene agli effetti della trascrizione e volturazione
catastale, avrebbe dovuto mettere sull'avviso per gli opportuni riscontri.
Non par dubbio al collegio che, trattandosi di fare riferimen
to ad un atto enunciato, per la più corretta qualificazione del
l'atto enunciante, l'ufficio nel richiamarsi ad esso si è unifor
mato alla giurisprudenza, anche più restrittiva, che inibisce di
far ricorso ad elementi estrinseci all'atto da tassare, ma consen
te di utilizzare tutti gli elementi che nell'atto trovino un loro
addentellato, costituendone l'antecedente prossimo per tale di
chiarato.
Il ricorrente insiste sulla circostanza che nella sua letteralità
l'atto in contestazione si presenta come atto meramente ricogni tivo. Ma il problema che l'art. 19 della legge di registro pone e risolve sta appunto nella possibilità di prescindere dalla lettera
del negozio per coglierne l'intrinseca portata, apparendo poi come
una manifesta forzatura il rilievo che la volontà ricognitiva non
può essere identificata e sostituita da quella traslativa.
Non avendo acquistato nel precedente rogito le parti in quan to soci, non essendovi stata spendita del nome sociale, il bene
non può considerarsi appartenente al patrimonio della società
ed i soci per farlo passare alla società hanno, in realtà sotto
l'apparenza dell'atto ricognitivo che consentiva di eludere il tri
buto di trasferimento, effettuato ora per allora il conferimento
in proprietà. Si potrebbe tutt'al più ritenere che per l'innanzi
il complesso del Grand Hotel di Rimini fosse stato conferito
verbalmente in mero «godimento» alla società in nome collettivo.
Comunque, perché il conferimento in beni immobili alla so
cietà deve farsi per iscritto a pena di nullità, pare evidente che,
quand'anche un accordo in senso traslativo in forma orale vi
fosse stato, non aveva spiegato alcun effetto giuridico per nulli
tà formale, e quindi la volontà consacrata nell'atto, anche se
meramente ricognitiva, all'apparenza di un trasferimento già ef
fettuato, intrinsecamente non poteva operare nel mondo del di
ritto come tale, perché il trasferimento, non agganciabile al pre cedente rogito per mancata spendita del nome sociale, non ave
va alcun adeguato supporto formale che gli attribuisse efficacia
e non poteva perciò essersi verificato in precedenza, donde l'at
tribuzione in proprietà ex novo con carattere traslativo esatta
mente ritenuta tassabile dal fisco. Se effettivamente l'atto invo
cato come titolo avesse comportato il trasferimento il carattere
meramente ricognitivo sarebbe stato fuori causa, ma se il tras
ferimento alla società non vi era stato ab origine, evidentemen
te si è verificato nel momento in cui si dichiarava, contro il
vero, che un passaggio di proprietà vi era stato, realizzando
un trapasso patrimoniale contrassegnato dal carattere della no
vità rispetto al soggetto sociale trasformato poiché non antece
dente alla trasformazione.
Il punctum saliens del ragionamento della corte d'appello sta
dunque nella valutazione dell'atto da cui si pretendeva fosse
scaturito l'acquisto della società, sebbene palesemente non vi
fosse stata spendita del nome sociale.
Ma è noto che se il soggetto che pretende di acquistare per una società di persone non spende il nome della società (o il
nome di altri soci quando si tratti di socio di una società di
fatto), il negozio concluso spiega effetti soltanto nei confronti
di chi abbia contrattato in proprio; ed allorché il contratto ab
bia ad oggetto il trasferimento di beni immobili la contemplano
domini, pur non richiedendo l'uso di formule sacramentali, de
ve risultare ad substantiam dallo stesso documento contrattua
le, restando irrilevante la conoscenza o l'affidamento creato nel
terzo contraente circa l'esistenza del rapporto sociale interno
(Cass. 936/84, id., 1984, I, 1287; 5471/82, id., Rep. 1982, voce Rappresentanza nei contratti, n. 7; 1532/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 423; 691/75, id., Rep. 1975, voce
Società, n. 164).
Questo essendo il principio di diritto che i ricorrenti non con
testano, l'apprezzamento del giudice di merito, che dà atto di
tale mancata contemplano nel contratto, ed osserva, a corrobo
rare l'espresso convincimento, la stranezza di un contratto sti
pulato il giorno dopo la costituzione della società di fatto nel
quale non si dà atto della destinazione «sociale» dell'acquisto, risulta insindacabile in questa sede nel senso che, non avendo
Il Foro Italiano — 1991.
gli Arpasella/Spaccarelli contrattato come soci, non potevano avere fatto acquistare alla società fra essi costituita tale com
plesso.
Soggiungono i ricorrenti che, poiché nell'atto di trasforma
zione della società gli Arpasella e Spaccarelli intervennero sol
tanto come soci della società in nome collettivo, ogni loro ma
nifestazione di volontà non poteva avere ripercussioni che sulla
loro posizione di soci e sui diritti nascenti da tale veste e non
anche sul loro patrimonio personale. Ma è agevole obiettare che proprio nella qualità di socio si
possono effettuare (ulteriori) conferimenti; e se effettivamente
quelli che appaiono essere meri atti ricognitivi in realtà manife
stano l'efficacia propria di conferimenti ex novo. Come tali deb
bono essere trattati ai fini della liquidazione delle imposte. La dichiarazione che il patrimonio della società conteneva il
complesso immobiliare del Grand Hotel di Rimini, pur essendo
stata espressa in modo meramente ricognitivo, poiché in realtà
non riconosceva un trasferimento precedente che non c'era sta
to, ma comportava l'effetto di costituire il diritto in capo alla
società per effetto del conferimento dei soci, non poteva che
essere tassata per quella che era la sua intrinseca portata, do
vendosi ancora una volta ribadire, alla stregua del costante in
dirizzo giurisprudenziale di questa Corte di cassazione (cfr. Cass.
4097/84, id., 1984,1, 2463), che il contenuto e la natura dell'at
to da registrare devono ricavarsi dalle clausole di esso, senza
possibilità di integrarne i risultati in virtù di elementi aliunde
desunti, poiché l'imposta di registro colpisce l'atto per quello che esso dichiara e per gli effetti che, come tale, è idoneo a
produrre. Ma, quando al titolo o alla forma apparente non cor
rispondano l'intrinseca natura e gli effetti dell'atto, non è pre cluso al giudice interpretare e qualificare la natura e gli effetti
giuridici dell'atto, quali si possono desumere dall'oggettività del
suo contenuto e dalla ricognizione positiva del suo significato, utilizzando gli eventuali atti enunciati per meglio fissare la reale
portata delle clausole, a tali precedenti negozi riferiti.
4. - Nemmeno le osservazioni del ricorso circa i profili della
trascrizione colgono nel segno. I ricorrenti sostengono che «l'assoluta infondatezza» della pre
tesa dell'amministrazione finanziaria si ricaverebbe dall'appli cazione dei principi sulla trascrizione. Dopo aver dato atto che
l'acquisto dei coniugi Arpesella e Spaccarelli è avvenuto a titolo
personale (con ciò peraltro contraddicendo alla tesi di fondo
circa la rispondenza alla realtà giuridica dell'atto di ricognizio ne dell'appartenenza del complesso al patrimonio della società) si soggiunge che la relativa trascrizione non è potuta avvenire
se non a titolo personale, mentre l'atto della cui tassazione si
controverte non poteva essere trascritto se non contro la società
Arpasella e Spaccarelli e non certo contro gli stessi personal
mente, sicché l'eventuale trascrizione non avrebbe potuto in nes
sun caso produrre gli effetti del trasferimento della proprietà del complesso alberghiero, stante l'interruzione del principio della
continuità delle trascrizioni.
Alla base del riassunto rilievo vi è, tuttavia, un errore giuridi co perché, come è noto, la trascrizione degli atti di trasferimen
to non attiene alla validità del contratto, ma si riflette sul piano
dell'opponibilità ai terzi che abbiano acquisito diritti sull'im
mobile oggetto del trasferimento, mentre comunque gli atti so
no soggetti all'imposta di registro indipendentemente dalla loro
trascrizione.
La soluzione adottata dalla corte d'appello appare in conclu
sione giuridicamente ineccepibile poiché i giudici hanno fatto
corretta applicazione della norma (che a torto i ricorrenti pre tendono essere stata violata), superando, come era loro consen
tito, la lettera delle clausole del negozio alla stregua della com
plessiva portata dell'atto per ricercare l'effettivo intento perse
guito dalle parti che era quello di non corrispondere l'imposta di conferimento nonostante l'atto, che spostava la proprietà del
complesso dalle persone fisiche originarie acquirenti alla società
che stavano trasformando, chiaramente spiegasse immutazione
dell'assetto proprietario del bene in termini di titolarità. Che
poi quest'intento potesse sul piano civilistico restare impacciato dalle norme sulla continuità delle trascrizioni è osservazione non
determinante proprio per il meccanismo operativo della trascri
zione medesima nel nostro ordinamento: quel che infatti rileva — ed è sufficiente — ai fini dell'imposta di registro è l'esistenza
di un atto traslativo valido inter partes.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In conclusione, la sentenza impugnata esce indenne dalle cen
sure che contro di essa sono state formulate e il ricorso deve essere respinto con le conseguenze di legge alla stregua del prin cipio della soccombenza.
II
Svolgimento del processo. — La guardia di finanza contestò con verbale del 30 maggio 1979 alla società agraria Morelli s.n.c. varie infrazioni relative agli anni 1975-1978. In conseguenza l'uf
ficio Iva di Lucca emise avvisi di accertamento e di rettifica
rilevando per il 1975 le seguenti irregolarità: a) cessioni di com
plessi aziendali relativi a rami di impresa non gestiti con conta
bilità separata; b) indebite detrazioni di imposta in parte conse
guenti alla precedente infrazione, in parte relative a dichiarazio ni o annotazioni infedeli o con dati inesatti; c) irregolare tenuta
dei registri dei corrispettivi. Su ricorso della soc. Morelli, la commissione tributaria di
primo grado, con decisione del 18 dicembre 1982, dichiarò la
nullità dell'avviso d'accertamento e rettifica ritenendo non tas
sabili in Iva le cessioni contestate dall'ufficio nonché l'estinzio
ne del giudizio per le altre infrazioni a seguito dell'intervenuta
sanatoria ex 1. 22 ottobre 1980 n. 882.
Prospero gravame principale l'ufficio ed incidentale il contri
buente. La commissione di secondo grado accolse la tesi preli minare della società dichiarando la nullità dell'avviso per man
canza di motivazione.
L'amministrazione finanziaria si rivolse alla Commissione cen
trale negando il difetto di motivazione e ribadendo la tassabilità
delle contestate cessioni.
Con decisione dell'11 gennaio 1986, oggetto della presente
impugnativa, la Commissione tributaria centrale accolse il ri
corso dell'ufficio ed annullò senza rinvio la decisione della com
missione di secondo grado confermando la legittimità dell'avvi
so d'accertamento; nel merito rilevò sussistere le infrazioni rela
tive alla cessione di complessi aziendali (art. 41, 1° comma,
d.p.r. 633/72) relativi a singoli rami dell'impresa non gestiti con contabilità separata, nonché alle indebite detrazioni d'im
posta (art. 43, 2° comma, d.p.r. 633/72). Osservò, inoltre, che
non ricorre la non tassabilità in Iva di cui alla lettera f), 3°
comma dell'art. 2 d.p.r. citato nella formulazione originaria, in quanto la cessione dell'esercizio di via Caldera effettuata in
favore di un socio è espressamente assoggettata ad Iva per l'art.
2, 2° comma, n. 6, dello stesso d.p.r., mentre le altre due ces
sioni effettuate in favore di altra società hanno poi raggiunto, attraverso un complesso meccanismo negoziale, un altro socio, rientrando in tal modo nella tassabilità ex art. 2, 6° comma.
Respinse, infine, la richiesta esimente prevista nel 7° comma
dell'art. 48, nel testo novellato dal d.p.r. 29 gennaio 1979 n.
24, trattandosi di infrazione commessa precedentemente e cioè
nel 1975.
Avverso questa decisione propone ricorso la soc. agraria Mo
relli (trasformatasi in s.r.l.) sulla base di quattro motivi. Resiste
l'amministrazione finanziaria con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del proposto ricorso la società Morelli censura l'impugnata decisione per vio
lazione e falsa applicazione dell'art. 2 d.p.r. 633/72, nel testo
in vigore dal 1° gennaio 1975 al 1° aprile 1979 avendo la Com
missione centrale ritenuto che le cessioni effettuate sia alla s.a.s.
Euromarket, sia al socio Cecilio Morelli non rientrerebbero nel
regime di esclusione dell'Iva stabilito dal 3° comma, lett. b), relativo alle cessioni di singoli rami d'impresa gestiti con conta
bilità separata. Invece, secondo la ricorrente, l'operazione Eu
romarket sarebbe inquadrabile nell'ipotesi di cui all'art. 2, 2°
comma, lett. f), in quanto conferimento in società non assog
gettabile ad Iva, tant'è che l'atto di conferimento è stato sotto
posto all'imposta proporzionale di registro ed all'accertamento
del maggior valore; inquadramento che non sarebbe scalfito dalle
argomentazioni della decisione impugnata che configura la pre detta cessione come un'assegnazione ai soci in quanto la quota dell'Euromarket ricevuta dalla soc. Morelli era stata poco dopo trasferita dalla società ricorrente al proprio socio Domenico Mo
relli ed ai suoi figli. In relazione alla cessione dell'azienda di
via Caldera sussisterebbe invece il requisito della gestione sepa rata con applicazione dell'art. 2, 3° comma, lett. b).
La censura non è fondata. Ed infatti con riferimento alla
li Foro Italiano — 1991.
cessione dell'azienda di via Caldera di Lucca, la decisione im
pugnata, con congrua, convincente adeguata motivazione, ha
rilevato, in conformità degli accertamenti riferiti che l'esercizio di via Caldera non era dotato dei registri necessari per una con
tabilità separata, la presenza di taluni registri non essendo suf
ficiente a consentire la perfetta piena individuazione di una con
tabilità separata, come richiesto dalla norma allora in vigore. Di fronte a siffatte argomentazioni la società ricorrente si limita
a riproporre la propria tesi significando che il legislatore a par tire dal 1979 ha abolito il requisito della contabilità separata, ma, come correttamente rilevato dalla decisione impugnata, in
tanto la cessione de qua avrebbe potuto ritenersi non soggetta ad Iva, in quanto il ramo d'impresa cui afferiva il complesso aziendale fosse risultato gestito con contabilità separata come
allora richiesto dalla normativa vigente. D'altronde, ad integra re il concetto di «contabilità separata» non può bastare la tenu
ta di alcuni registri per gli acquisti e le vendite dello specifico
compleso aziendale ceduto, quando poi in sede di accertamen
to, senza che sul punto siano insorte contestazioni, è emersa
l'inesistenza di una contabilità separata, poiché uniche erano
le principali scritture contabili: libro giornale, piano dei conti, libro inventario, registro dei cespiti ammortizzabili, bilancio e
scritture ausiliarie. Può, pertanto, affermarsi che a norma del
l'art. 2, lett. b), d.p.r. nel testo vigente fino al 1979, prima cioè della modifica operata con il d.p.r. 24/79, la cessione di
un ramo di azienda che non sia stato gestito autonomamente
o con contabilità separata dev'essere assoggettato all'Iva, non
potendo beneficiare, per difetto dei presupposti, dell'esclusione
prevista dal 3° comma, lett. b), dell'art. 2.
In relazione alle altre due cessioni — per le quali la ricorrente
non contesta la decisione della centrale sull'inesistenza di una
contabilità separata — l'inassoggettabilità all'Iva sarebbe dedu
cibile dalla lettera f) del 3° comma dell'art. 2 nella tesi vigente tra il 1975 ed il 1979. Ma siffatta tesi è stata già espressamente
respinta dalla Commissione centrale con il rilievo che si è trat
tato di un complesso procedimento negoziale in base al quale alla predetta cessione all'Euromarket è poi seguita la cessione
da parte della soc. Morelli della partecipazione acquisita al pro
prio socio e ai suoi figli. Questa corretta impostazione della
decisione impugnata non è scalfita dalle argomentazioni della
società ricorrente secondo cui, da un lato, l'individuazione del
l'operazione che rileva ai fini impositivi è, e deve essere, anco
rata agli effetti propri della medesima e non al risultato pratico indirettamente perseguito dal contribuente e, dall'altro, i soci
cessionari e cioè Domenico Morelli e figli erano ormai soci del
l'Euromarket e non più della soc. Morelli. Infatti, il rilievo se
condo cui per individuare il regime impositivo di un atto o di
un'operazione economica non si dovrebbe tener conto degli ef
fetti giuridici in concreto perseguiti e realizzati contrasta con
principi da sempre vigenti in materia tributaria. Basti pensare all'art. 8 r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, considerato un princi
pio di portata generale, secondo cui «le tasse sono applicate secondo l'intrinseca natura degli atti o dei trasferimenti, se non
vi corrisponda il titolo o la forma apparente» (cfr. ora anche
art. 19 d.p.r. 634/72 e art. 20 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131).
Inoltre, lo stesso concetto di «imponibilità dell'operazione» di
cui agli art. 1 ss. d.p.r. 633/72 richiama l'attenzione sull'inten
to perseguito dalle parti e cioè, in ultima analisi, sulla funzione
economico-sociale in concreto assegnata all'atto.
Il secondo rilievo è del tutto inconferente. Avendo la società
ricorrente venduto — come si è sostenuto dalla stessa — singoli rami dell'impresa ne consegue che Domenico Morelli è rimasto
socio della s.r.l. agricola Morelli, attuale ricorrente; il fatto che
a seguito dell'operazione Euromarket sia divenuto anche socio
di quest'ultima non toglie che la cessione tra la società ricorren
te ed il proprio socio Domenico Morelli integri gli estremi del
l'assegnazione al socio, come rilevato dalla decisione impugna
ta, assegnazione tassabile ai sensi del citato art. 2, 2° comma,
n. 6.
Ed infatti, dato l'ampio concetto di operazione imponibile, idonea a ricomprendere anche fattispecie complesse e collega menti negoziali, l'art. 2 del predetto d.p.r. considera cessioni
di beni tutti gli atti a titolo oneroso che trasferiscono o costitui
scono diritti reali su beni di ogni genere. Però, l'ordinamento
tributario non si accontenta di questa clausola generale ed ag
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3391 PARTE PRIMA 3392
giunge al 2° comma dell'art. 2 che costituiscono inoltre cessioni
«le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni
tipo ed oggetto». In altri termini, costituisce «operazione impo
nibile» qualsiasi assegnazione fatta dalla società al socio, a pre scindere dal tipo di titolo della cessione e da quello della socie
tà: non rileva infatti se l'assegnazione sia a titolo oneroso o
gratuito, se la società si di persone o di capitali. È il rapporto
d'assegnazione tra società e socio che costituisce cessione ad
ogni effetto. E nella specie l'assegnazione c'è stata perché Do
menico Morelli, che continua ad essere socio della società ricor
rente oltre che dell'Euromarket, ha ricevuto in assegnazione il
risultato della complessa operazione, iniziata appunto con il con
ferimento delle due aziende all'Euromarket e con l'assegnazio
ne al socio del corrispettivo di siffatto conferimento al socio
della soc. Morelli. Non può spiegare, infine, alcun rilievo la
circostanza dedotta per la prima volta in questa sede che l'asse
gnazione riguardò oltre che il socio Domenico Morelli anche
i figli dello stesso. Trattasi di una deduzione nuova come risulta
dalla decisione impugnata che ha considerato unitariamente la
posizione del socio Domenico Morelli e dei due figli, posto che
dall'altro socio Cecilio era stata assegnata l'azienda di via
Caldera.
Con il secondo motivo del proposto ricorso la soc. Morelli
censura l'impugnata sentenza per violazione e falsa applicazio ne del regime di alternatività tra imposta di registro ed Iva,
regolato dall'art. 38 d.p.r.-634/72 nel senso che se l'ufficio del
registro ha applicato alle predette operazioni l'imposta propor zionale di registro, siffatta qualificazione non potrebbe non vin
colare gli altri uffici finanziari e quindi anche l'ufficio Iva fa
cendo diventare incontestabile il regime tributario già applicato. Il motivo non è fondato. Come già ha ritenuto questa corte
(cfr. Cass. 26 marzo 1984, n. 1987, Foro it., Rep. 1984, voce
Registro, n. 43), perché un atto sia assoggettato all'Iva e non
al registro non rileva il semplice fatto che sia già stata corrispo sta un'imposta anziché un'altra, posto che nei casi d'imposizio
ne alternativa il contribuente e ancora di più l'ufficio hanno
rispettivamente l'obbligo di corrispondere o di richiedere il tri
buto effettivamente dovuto e non quello per primo corrisposto o scelto dal contribuente in base a considerazioni soggettive.
In altri termini, l'intervenuta definitività dell'imposta di regi stro corrisposta dalla società ricorrente non importa alcuna pre
clusione all'effettivo accertamento del tributo legalmente dovu
to, poiché il regime fiscale normativamente determinato non è
modificabile neppure dall'amministrazione finanziaria le cui de
terminazioni non possono influire sul regime tributario collega to ope legis all'atto o all'operazione in esame.
Con il terzo motivo del proposto ricorso la soc. Morelli cen
sura l'impugnata decisione per aver omesso di motivare non
solo sulla contabilità speciale ma anche sulla circostanza che
presso le aziende cedute esistevano i registri Iva. Anche questo motivo non è fondato. La decisione impugnata, con una moti
vazione ampia e convincente immune da errori o da vizi logico
giuridici, consente di cogliere il concetto di contabilità separata. Come si è già detto in relazione al primo motivo, la commissio
ne centrale ha da un lato ricordato espressamente, elencandole
senza pretesa di esaustività, le scritture contabili unitarie sistenti
presso la s.n.c. Morelli oggi s.r.l. ma non anche presso i singoli rami dell'impresa, dall'altro considerato irrilevanti «taluni altri
registri» non sufficienti ad integrare una contabilità separata. Da ciò discende, anche attraverso l'espresso richiamo com
piuto dalla Commissione centrale all'unica contabilità cosi co
me risultante dal processo verbale di constatazione, che la deci
sione non aveva alcun bisogno di individuare «gli altri registri»
separatamente tenuti avendo sottolineato l'unicità delle princi
pali essenziali scritture contabili a fronte della pur elevata di
stinzione dei rami di impresa cui inerivano i complessi aziendali
ceduti e l'inesistenza di scritture contabili essenziali separate co
si da poter affermare che gli altri registri non erano in grado di costituire quella contabilità separata delle principali scritture
contabili richieste dall'ordinamento.
Con l'ultimo motivo la società ricorrente si duole della man
cata applicazione nei suoi confronti dell'esimente di cui all'art.
48 d.p.r. 633/72, novellato con il d.p.r. 24/79 ritenuta dalla
decisione impugnata inapplicabile perché la norma è entrata in
vigore dopo la contestazione.
Il Foro Italiano — 1991.
Secondo il ricorrente sussisterebbero le condizioni di incertez
za come si evince dall'avvenuto pagamento dell'imposta di regi
stro; inoltre la novella del 1979, che rinvia al potere discrezio
nale del giudice senza specificare le fattispecie di applicazione, sarebbe applicabile alla fattispecie trattandosi di controversia
non esaurita e comunque insorta in base ad un accertamento
successivo; infine, tratterebbesi di disposizioni lato sensu pro
cessuali idonee ad evitare l'applicazione di misure afflittive nei
confronti dell'autore incolpevole. Il motivo non è fondato. Ed infatti non esplica alcun rilievo
il momento della contestazione poiché il dato normativo in esa
me, e cioè l'ultimo comma dell'art. 48 d.p.r. 633/72, introdotto
dal d.p.r. 24/79 è univoco nel riferirsi al momento della com
messa infrazione. Il giudice tributario deve far riferimento al
momento della «violazione» per accertare se è giustificata da
obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di
applicazione. Parimenti, non pertinente è la tesi della natura
della norma che la stessa ricorrente non esita a definire lato
sensu processuale. La norma infatti non riguarda il processo, essendo una norma di diritto sostanziale che prevede una causa
di estinzione della pena pecuniaria (come, ad esempio, il perdo
no giudiziale), con la conseguenza che per il principio dell'irre
troattività di cui all'art. 11 disp. sulla legge generale, essa non
dispone che per l'avvenire e cioè successivamente alla promul
gazione avvenuta nel 1979: cosi che non è applicabile ad una
violazione della norma tributaria commessa nel 1975, in man
canza di contraria disposizione del legislatore che espressamente ne sancisca la retroattività.
Ma v'è di più: dall'esame diacronico della norma appare evi
dente che il legislatore tributario fino al 1979 ha adottato coef
ficienti rigidi per l'applicazione delle circostanze attenuanti ed
esimenti. Resosi poi conto della mancanza di duttilità di questi
coefficienti e delle ingiustizie concrete cui potevano dar luogo ha preferito introdurre coefficienti elastici, rimessi ai giudici tri
butari quando la violazione appare giustificata da obiettive con
dizioni d'incertezza sulla portata e sull'ambito d'applicazione delle disposizioni tributarie. Ed infatti il testo originario del
l'art. 48 d.p.r. 633/72 consentiva la non applicazione delle san
zioni, quando tra i dati comunicati e quelli accertati la differen
za non fosse superiore al 50%. Quando invece l'imposta era
calcolata sul valore normale, la differenza non doveva superare il 10% per potersi escludere la sanzione pecuniaria. Le infrazio
ni contestate sono state commesse vigente questa normativa. Suc
cessivamente nel 1979 l'ordinamento ha drasticamente ridotto
il coefficiente rigido portandolo dal 50% al 10%, applicando cioè lo stesso coefficiente per l'inapplicabilità della sanzione al
le ipotesi previste nell'ultimo comma. Con l'occasione, ispirato ad evidenti criteri equitativi, ha consentito, rimettendone l'ac
certamento ai giudici tributari, l'inapplicabilità delle sanzioni
quando la violazione si presenta come giustificabile per obietti
ve condizioni di incertezza della disposizione violata, escluden
do l'applicazione della sanzione anche nelle ipotesi in cui la dif
ferenza superi il 10%. Appare quindi evidente che, come il cam
biamento, nel tempo, dei coefficienti non rende applicabili quelli successivi introdotti alle violazioni commesse nella vigenza del
precedente regime, cosi anche l'applicazione elastica degli stessi
non è possibile nei confronti delle violazioni verificatesi prece dentemente alla loro introduzione, in presenza della mancata
dichiarazione di retroattività della disposizione; circostanza que st'ultima rimessa alla discrezionalità del legislatore che però non
se ne avvalse nel caso di specie. In conclusione, il ricorso va rigettato.
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