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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1990,...

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sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1990, n. 796; Pres. Scansano, Est. Sensale, P.M. Simeone (concl. conf.); Soc. f.lli Turati ed altri (Avv. Terranova, Scarpa) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). Dichiara inammissibile ricorso avverso Cass. 20 dicembre 1986, n. 7783 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1990), pp. 2233/2234-2237/2238 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184798 . Accessed: 25/06/2014 01:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.67 on Wed, 25 Jun 2014 01:21:52 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1990, n. 796; Pres. Scansano, Est. Sensale, P.M. Simeone (concl. conf.); Soc. f.lli Turati

sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1990, n. 796; Pres. Scansano, Est. Sensale, P.M. Simeone(concl. conf.); Soc. f.lli Turati ed altri (Avv. Terranova, Scarpa) c. Min. finanze (Avv. delloStato La Porta). Dichiara inammissibile ricorso avverso Cass. 20 dicembre 1986, n. 7783Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2233/2234-2237/2238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184798 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Fatto e diritto. — Con ricorso al Pretore di Roma, in funzione di giudice del lavoro, depositato il 22 maggio 1977 Paola Vendet

ti, premesso di essere stata avviata al lavoro ai sensi della 1. n. 482 del 1968, dall'Uplmo di Roma presso la Sava Leasing s.p.a., lamentando di non essere stata assunta, conveniva in giudizio la detta società chiedendo la costituzione del rapporto ai sensi del l'art. 2932 c.c. e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni.

Costituitasi in giudizio, la Sava Leasing eccepiva l'incompeten za per territorio del giudice adito, assumendo che, non essendo ancora sorto il rapporto di lavoro, la competenza andava deter minata secondo gli ordinari criteri di competenza richiamati dal 4° comma dell'art. 413 c.p.c.

Con sentenza depositata il 31 ottobre 1987, il Pretore di Roma dichiarava la propria incomptenza per territorio indicando come

competente il Pretore di Torino.

Avverso questa decisione la Vendetti ha poposto istanza di re

golamento di competenza; la società convenuta ha depositato me moria difensiva.

In data 29 luglio 1988 il procuratore generale concludeva per la dichiarazione di competenza del Pretore di Torino in quanto:

1. - Quello di Roma, rilevato che il rapporto di lavoro non si era costituito, aveva ritenuto di dover individuare il giudice competente per territorio «ai sensi del combinato disposto degli art. 413 e 19 c.p.c.».

Di questa decisione si è doluta la ricorrente assumendo che:

a) il riferimento al luogo ove è sorto il rapporto di lavoro, contenuto nel 2° comma dell'art. 413 c.p.c., deve essere «inteso in senso estensivo» e tale da ricomprendere anche il richiamo al

luogo in cui si sarebbe dovuto instaurare il detto rapporto e ciò, non solo per evitare un trattamento di minor favore degli appar tenenti alle categorie protette (altrimenti costretti ad adire il giu dice del luogo ove ha sede il datore di lavoro inadempiente), ma anche in coerenza con l'inclusione delle relative controversie tra

quelle contemplate nel n. 1 del precedente art. 409; b) in ogni caso, venendo in discussione le conseguenze dell'ina

dempimento dell'obbligazione di stipulare il contratto di lavoro, avrebbe dovuto trovare applicazione anche il foro del luogo ove è sorta o deve essere eseguita l'obbligazione previsto dall'art. 20

c.p.c.;

Secondo la giurisprudenza i tre fori previsti dall'art. 413, 2° comma, sono alternativi; cosi per Trib. Milano 3 novembre 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 101, i tre fori competenti per territorio ai sensi dell'art. 413 c.p.c. hanno carattere alternativo senza che sia individuabile alcuna pre valenza dell'uno sull'altro; cosi anche Pret. Livorno 24 ottobre 1987, ibid., n. 102 (e Giust. civ., 1988, I, 1877); Cass. 26 giugno 1982, n. 3877, Foro it., Rep. 1982, voce cit., nn. 107, 117; 29 giugno 1981, n. 4233, id., 1981, I, 2720; ma vedi anche Pret. Milano 18 giugno 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 110, secondo cui foro dell'azienda e della dipendenza non sono alternativi a scelta dell'attore: deve riconoscersi competenza

.esclusiva al pretore del luogo dove il lavoratore presta la sua opera. Quanto alla posizione giuridica del lavoratore avviato al lavoro dall'uf

ficio di collocamento, la dottrina dominante è nel senso che il lavoratore è titolare di un diritto alla stipulazione del contratto. Secondo un orienta mento minoritario (Pera, Diritto del lavoro, 1984, 504 ss.), con la pre sentazione del lavoratore al datore di lavoro si avrebbe automatica costi tuzione del rapporto di lavoro: in tal caso sarebbe applicabile il foro del luogo ove il rapporto si è costituito. Resta da chiedersi se la rapidità e funzionalità, principi cui è ispirato il rito del lavoro introdotto nel 1973, non restino frustrati ove la competenza sia sempre attribuita alle preture dei grandi centri urbani dove sono situate in gran parte le sedi delle mag giori imprese, e soprattutto ove a fronte di un ricorso presentato nel 1977 la decisione di mero rito con cui il pretore dichiara la propria incompe tenza sia pronunciata dieci anni dopo.

Sull'argomento, vedi specificamente: E. Pioli, nota a Cass. 29 giugno 1983, n. 4436, cit. e F. Ferroni, I criteri di individuazione della compe tenza per territorio nelle cause di lavoro ex art. 413 c.p.c., in Giust. civ., 1983, I, 3239. Inoltre, più in generale sull'art. 413, 2° comma, A. Proto Pisani (V. Andrioli, C.M. Barone, G. Pezzano), Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 299 ss. Inoltre, più in generale sull'art. 413, 2° comma, A. Proto Pisani, In tema di competenza per territorio nelle controversie di lavoro, in Foro it., 1986, I, 326; Cosio D'Allura, Il giudice competente per territorio in materia di agenzia, in Dir. e pratica lav., 1986, 1071; Orsi, Competenza territoriale nel proces so del lavoro, in Dir. lav., 1977, II, 445; Frus, In tema di competenza per territorio nel nuovo processo del lavoro, in Giur. it., 1976, I, 2, 837; Martone, Alternatività ed esclusività dei fori territoriali del giudice del lavoro, in Dir. lav., 1974, I, 256; Napoletano, Fori speciali in materia di lavoro e continenza di cause, in Giur. it., 1973, I, 1, 1579.

Il Foro Italiano — 1990.

e) e derivava, in applicazione di entrambi i criteri, la compe tenza del Pretore di Roma quale giudice del luogo ove, a seguito dell'atto di avviamento, era sorta l'obbligazione e dove la stessa doveva essere adempiuta con la costituzione, in tale località, del

rapporto di lavoro.

2. - Il ricorso, secondo il procuratore generale, non è meritevo le di accoglimento.

Va, in primo luogo, precisato che, rientrando nella previsione dell'art. 409, n. 1, c.p.c. le controversie relative alla mancata as sunzione dei lavoratori avviati obbligatoriamente (la giurisprudenza sul punto è ormai costante, v., da ultimo, Cass. 1° febbraio 1988, n. 892, Foro it., Rep. 1988, voce Lavoro e previdenza (controver sie), n. 54), il giudice competente per territorio deve essere indivi duato esclusivamente in applicazione dell'art. 413 c.p.c.

E poiché tale norma sia pure in via sussidiaria, e cioè nell'ipo tesi di inapplicabilità dei fori speciali previsti nel 2° comma, ri chiama esclusivamente gli art. 18 e (deve ritenersi implicitamente) 19 c.p.c., tutte le argomentazioni svolte con riferimento al foro dei rapporti obbligatori previsto nel successivo art. 20 non sono meritevoli di ulteriore approfondimento.

Quanto poi all'applicazione dei fori speciali previsti dalla cita ta norma, si deve confermare l'orientamento giurisprudenziale già reiteratamente espresso (v., tra le altre, Cass. 4 maggio 1983, n.

3069, id., Rep. 1983, voce cit., n. 52; 29 giugno 1983, n. 4436, id., 1984, I, 791; 25 marzo 1985, n. 2120, id., Rep. 1985, voce cit., n. 143) in ordine all'inapplicabilità del criterio del luogo ove è sorto il rapporto.

In conformità a tali premesse, il procuratore generale ha rite nuto che l'inidoneità dell'atto di avviamento a costituire il rap porto (anche nel caso di collocamento obbligatorio) costantemen te affermata dalla Corte di cassazione, non consente di superare la formulazione letterale della norma che all'origine del rapporto fa tassativo riferimento. Né le argomentazioni svolte in sede di ricorso sono tali da giustificare un superamento dell'indirizzo

giurisprudenziale ora richiamato, anche in considerazione della circostanza che si tratta di un foro previsto in via alternativa e non esclusiva e la cui determinazione, in presenza del solo atto di avviamento al lavoro, potrebbe rilevarsi estremamente difficile

presupponendo, in caso di aziende con più dipendenze sul territo rio nazionale, l'individuazione della dislocazione dell'ufficio (o della persona) legittimato a stipulare il contratto di lavoro.

E poiché la stessa argomentazione deve valere anche per il foro della dipendenza cui è addetto il lavoratore (che egualmente pre suppone la costituzione del rapporto), deve confermarsi il princi pio che, nelle controversie relative alla mancata assunzione del lavoratore avviato obbligatoriamente, il giudice competente è quello del «luogo ove si trova l'azienda» con riferimento, peraltro, non alla sede legale (come nel caso di diretta applicabilità dell'art. 19 c.p.c.), ma alla sede nella quale si accentrano i poteri di dire zione e amministrazione dell'impresa (in tal senso la Cassazione — v., da ultimo sent. 30 gennaio 1985, n. 590, id., Rep. 1985, voce cit., n. 134 — ha precisato il relativo criterio di collegamen to previsto nel 2° comma dell'art. 413 c.p.c.).

Cosi precisati i principi di diritto applicabili, deve comunque confermarsi l'indicazione operata dal Pretore di Roma in quanto dalla documentazione agli atti emerge che la società convenuta ha in Torino la sua sede effettiva.

La corte, condividendo le suesposte considerazioni, che fa pro prie, decide in conformità.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 febbraio

1990, n. 796; Pres. Scansano, Est. Sensale, P.M. Simeone

(conci, conf.); Soc. f.lli Turati ed altri (Aw. Terranova, Scar pa) c. Min. finanze (Aw. dello Stato La Porta). Dichiara inam

missibile ricorso avverso Cass. 20 dicembre 1986, n. 7783.

Revocazione (giudizio di) — Sentenza della Cassazione — Que stione irrilevante di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. civ., art. 395).

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Page 3: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione I civile; sentenza 6 febbraio 1990, n. 796; Pres. Scansano, Est. Sensale, P.M. Simeone (concl. conf.); Soc. f.lli Turati

2235 PARTE PRIMA 2236

Revocazione (giudizio di) — Sentenza della Cassazione — Inam

missibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 360, 395).

È irrilevante la questione di legittimità costituzionale, in riferi mento agli art. 3 e 24 Cost., dell'art. 395, n. 4, c.p.c., nella

parte in cui non prevede la revocabilità delle sentenze della Cas

sazione al di fuori dei casi contemplati nell'art. 395, n. 4, c.p.c.,

con riguardo all'ipotesi in cui non si censuri un errore di fatto

commesso dalla Corte di cassazione, bensì' un errore di giudizio

del giudice di merito. (1) È inammissibile il ricorso per revocazione della sentenza della

Corte di cassazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. quando la sentenza

del giudice di merito sia stata impugnata per violazione di

legge. (2)

Svolgimento del processo. — Le seguenti aziende cotoniere:

s.p.a. Cotonificio bresciano Ottolini, s.p.a. Cotonificio Cantoni,

s.p.a. Carminati industrie tessili, in liquidazione, s.p.a. M.T. Ca stoldi, s.r.l. Cotonificio di Conegliano, s.p.a. Manifattura di Le

gnano, s.p.a. Manifattura Rotondi, Cotonificio Rossi, in ammi

nistrazione straordinaria, s.p.a. Cotonificio Olcese-veneziano, s.p.a.

Dell'Acqua, s.p.a. Pirelli, s.a.s. F.lli Turati, s.p.a. Unione mani

fatture, fallimento del Cotonificio Felice Fossati, s.p.a. Cotonifi

cio Defferrari, in liquidazione, s.p.a. Cotonificio Valvaraita, s.p.a.

Cotonificio Bustese, s.p.a. Giovanni Milani e nipoti; s.p.a. Coto

nificio del Mella, s.a.s. Manifattura Mazzonis, in liquidazione,

s.p.a. Cotonificio Venzaghi, Soc. Cotonificio Poss, in liquidazio ne, s.p.a. Manifattura Tosi, in liquidazione, s.p.a. Pirelli Sicilia, s.p.a. Niggeler e Krupfer, s.p.a. Filatura di Pilzone, Fallimento

della soc. anonima Bernocchi, s.p.a. Sintesi, importatrici di coto

ne in massa da paesi aderenti al Gatt, incluso nella voce 662 della

tabella A allegata alla 1. 12 agosto 1457 n. 757, furono assogget

tate al pagamento dell'Ige all'importazione con l'aliquota del 6%

(poi elevata al 7,20%) a norma dell'art. 2 di detta legge. Invo

cando il principio della parità fiscale tra prodotti nazionali e pro dotti importati da paesi dell'area Gatt, chiesero che, essendo ap

plicabile l'aliquota del 4% (elevata, poi, al 4,80%) indicata per

i prodotti nazionali dell'art. 5 1. 21 marzo 1958 n. 267, fosse

restituita l'imposta versata in più. Rimaste soccombenti in primo e in secondo grado, le aziende

cotoniere proposero ricorso per cassazione, rigettato con la sen

tenza n. 7783 del 20 dicembre 1986 (Foro it., Rep. 1986, voce

Entrata (imposta), n. 4), la quale si articola nelle seguenti propo

sizioni: a) la regola della parità fiscale tra prodotti importati e

prodotti nazionali (art. 3 — ora IV — n. 2, dell'accordo Gatt),

dev'essere intesa in senso globale, cioè come uguaglianza del com

plessivo carico fiscale gravante su prodotti similari, nazionali ed

importati, indipendentemente dalla identità o diversità delle sin

gole imposte e delle singole aliquote; b) il potere del giudice di

accertare se l'art. 2 1. 757/57 — con lo stabilire la stessa aliquota

per il cotone in massa nazionale e per quello importato — avesse

determinato, o meno, un maggior carico fiscale sul cotone nazio

nale, sia pure sotto il limitato profilo dell'a/i, è da escludere quan

do, per singoli tributi, ricorrono norme direttamente introduttive

di una determinata perequazione a priori; e la Corte costituziona

le, con la sentenza n. 96/82 (id., 1982, I, 2395), aveva stabilito

che, al momento dell'entrata in vigore dell'aliquota del 4%, il

(1-2) La Cassazione, ha deciso identiche questioni con le sentenze 6

febbraio 1990, nn. 791 a 795 (Foro it., Mass., 105). In senso conforme, v. Cass. 30 settembre 1989, n. 3948, id., Mass.,

582; sez. un. 21 gennaio 1988, n. 437, id., 1988, I, 3315, con nota di

I. Mariani.

Sempre nel senso di mantenere la revocazione delle sentenze della Cas

sazione nei ristretti limiti delineati da Corte cost. 30 gennaio 1986, n.

17, id., 1986, I, 313, con nota di A. Proto Pisani, v. Cass. 2 febbraio

1988, n. 944, id., Rep. 1988, voce Revocazione (giudizio di), n. 8 e Giust.

civ., 1988, 1, 1523, secondo la quale estendere la revocazione alle senten

ze della Cassazione oltre i limiti posti dalla Corte costituzionale, consen

tirebbe un riesame del merito fuori dei compiti istituzionali della Corte

di cassazione; sempre in senso limitativo, v. inoltre Cass. 3 luglio 1989, n. 3187, Foro it., Mass., 466, per la quale le sentenze emesse su regola mento della giurisdizione non sono soggette a revocazione.

In dottrina, per un esame approfondito dei problemi connessi alla re

vocazione delle sentenze della Cassazione ed in particolare alla prospetti va di ampliare l'ambito di ammissibilità di tale rimedio, v. C. Consolo, La revocazione delle decisioni della Cassazione e la formazione del giudi cato, Cedam, Padova, 1989, spec. 132 ss.

Il Foro Italiano — 1990.

prodotto nazionale scontava un onere aggiuntivo e che la mag

giore aliquota (6%), gravante sul prodotto importato, era giusti

ficata sia da tale onere aggiuntivo, sia dal presentarsi come ali

quota media unica, contrapposta alla somma degli oneri afferenti

l'intero ciclo produttivo del prodotto nazionale e computata in

concreto sulla base di una insindacabile discrezionalità del legis

latore nazionale.

Né a tale conclusione ostava l'art. 9 d.l. 2 luglio 1969 n. 319

(convertito, con modificazioni, nella 1. 1° agosto 1969 n. 477),

che rispristinava l'identità all'Ige, sui cotoni nazionali ed esteri,

poiché il testo originario prevedeva l'assorbimento dell'aliquota

del 6% sul cotone in seme e la mancata conversione di tale assor

bimento era stata determinata da inesatezze nei criteri di valuta

zione dei carichi fiscali complessivi. Pertanto, alla restaurazione

normativa, cosi operata, non può attribuirsi, in sede ermeneuti

ca, il significato di un consapevole disconoscimento sia della spe

requazione creatasi con la 1. 757/57, sia della funzione perequati

va della 1. 267/58 (cosi si era espressa anche questa corte, a sezio

ni unite, con la sentenza n. 5024/84, id., Rep. 1984, voce Dogana,

n. 69); e perciò la Corte costituzionale ha escluso l'errore del

legislatore e l'esistenza di un eccesso del potere legislativo a pro

posito dell'art. 5 I. 267/58. Di qui l'esclusione del carattere age

volativo di tale norma e l'affermazione del suo carattere perequa

tivo; c) la deduzione che l'errore nella scelta dei mezzi si era pro

dotto per un preliminare errore del legislatore nella valutazione

degli effetti della preesistente norma di cui all'art. 2 1. 757/57

(i quali non sarebbero stati discriminatori nei confronti del pro

dotto nazionale) non mutava i termini della questione, rimanen

do precluso al giudice ordinario (e riservato alla Corte costituzio

nale che lo aveva già compiuto con risultato negativo) il sindaca

to sulle scelte operate dal legislatore anche se su un presupposto

erroneo; d) le questioni sollevate dalle aziende cotoniere circa l'o

riginaria non sperequazione a svantaggio del prodotto nazionale

da parte della 1. 757/57 — e cioè che l'espressione «cotone in

massa», secondo le note esplicative della tariffa doganale, com

prende sia il cotone in seme sia quello depurato del seme; che

il cotone in seme è prodotto agricolo che si conferisce all'ammas

so; che la 1. 757/57 non aveva bisogno di istituire l'imposta di

conguaglio, non istituita neppure dopo la legge del 1969 — alle

gavano un insindacabile errore del legislatore, peraltro escluso

dalla Corte costituzionale.

Contro tale sentenza, le aziende cotoniere suidicate hanno pro

posto ricorso ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., cui l'amministra

zione delle finanze ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione. — Le ricorrenti — nel proporre impu

gnazione contro la precedente sentenza di questa corte n. 7783

del 1986 ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. in relazione agli art.

3 e 24 Cost, nonché all'art. 2 1. 757/57, all'art. 5 1. 267/58 e

al d.m. 19 gennaio 1959 — osservano, in punto di ammissibilità,

che, con riguardo all'art. 395, la parte e n. 4, c.p.c., le sezioni

unite, con ordinanza n. 101/83 (id., 1983, I, 1931), ritennero non

manifestamente infondata la questione di legittimità costituziona

le, in relazione agli art. 3, 1° comma, e 24, 1° e 2° comma,

Cost., tenendo conto che, ove la decisione della Corte di cassa

zione richieda una indagine di fatto, come nel caso di denuncia

di vizi in procedendo, direttamente incidente sulla sorte della do

manda o di un capo di essa, e tale indagine risulti affetta da

pura e semplice svista su dati emergenti, in modo immediato,

non controverso e non controvertibile, dagli atti del processo, il limite della esperibilità della revocazione per le sole sentenze

rese dal giudice di merito si sarebbe potuto rivelare ingiustificato e lesivo dei precetti costituzionali sopracitati.

Le ricorrenti osservano, inoltre, che la conseguente dichiara

zione d'incostituzionalità della norma denunciata, con sentenza

n. 17 del 30 gennaio 1986 (id., 1986, I, 313), non giova nell'ipo tesi in esame, posto che la sentenza impugnata non è stata resa

su ricorso basato sul n. 4 dell'art. 360 c.p.c. bensì sul n. 3 (viola

zione e falsa applicazione di norme di diritto), ma che, — previa

rimessione alla Corte costituzionale — l'impugnabilità contro le

sentenze della Corte di cassazione debba essere estesa oltre i limi

ti nei quali fu esaminata nella sentenza n. 17/86, quando ricorro

no i presupposti previsti dall'art. 395, n. 4, c.p.c.

Quanto alla rilevanza e alla fondatezza della questione, le ri

correnti osservano che con il ricorso, sul quale si pronunziò l'im

pugnata sentenza, avevano denunziato l'errata interpretazione del

l'art. 2 1. 757/57, perché la corte del merito aveva affermato che

tale norma creava una sperequazione nel trattamento tributa

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

rio tra cotoni nazionali e cotoni importati da paesi dell'area Gatt; ed avevano spiegato che, essendo — la voce «cotone in massa» — comprensiva sia del cotone in seme che di quello depurato dal seme (con la conseguenza che, assolta l'Ige una tantum sulla

prima vendita del cotone in seme, sarebbe stata assorbita l'Ige dovuta sui passaggi successivi), l'art. 2 non creava la discrimina

zione della quale era stata tratta la giustificazione dell'asserito

intento perequativo dell'art. 5 1. 268/58. Esse avevano, quindi, chiesto che la Corte di cassazione, tenuto conto di ciò, rieffet

tuasse la comparazione del carico fiscale complessivo, rifiutata

dalla corte del merito ed errata da parte sia della Corte di cassa

zione, in precedenti sentenze, sia dalla Corte costituzionale con

la decisione n. 96 del 1982 (id., 1982, I, 2395). Secondo le ricor renti, la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto che, con

tali sentenze, l'originaria sperequazione a danno del cotone na

zionale fosse stata già accertata in riferimento alla nozione di

«cotone in massa» (data pure col d.m. 19 gennaio 1959), mentre

né la Corte di cassazione né la Corte costituzionale si erano mai

occupate della nozione suddetta quale risulta dal provvedimento ministeriale. La sentenza impugnata sarebbe, quindi, incorsa in

un error in procedendo, o comunque sul presupposto che si con

creta nell'avere ritenuto — quest'ultimo — come fatto la cui veri

tà è incontrastabilmente esclusa e che non costituì' punto contro

verso sul quale la sentenza di merito si era pronunziata; e lo sta

bilire la natura merceologica di una merce compresa nella tariffa

doganale è una indagine di fatto, come lo è lo stabilire se la

voce «cotone in massa» comprendesse solo il cotone senza semi

o anche quelle in seme.

Il ricorso è inammissibile. A parte la considerazione che la inesatta lettura dei precedenti

giurisprudenziali non costituisce errore di fatto e meno ancora

un error in procedendo e che, in ogni caso, non si tratta di errore

risultante dagli atti o documenti di causa, come prescrive l'art.

395, n. 4, c.p.c., deve osservarsi che, nella previsione di tale nor

ma, «fatto» è un dato della realtà oggettiva un accadimento o,

più in genere, una situazione o una vicenda che nel processo sia

stata oggetto di mera percezione e non già di giudizio; ed è evi

dente che non può ricomprendersi nella categoria dei fatti il si

gnificato attribuito alla espressione «cotone in massa» figurante nell'art. 2 1. 757/57, sulla cui portata — comprensiva, o meno, del «cotone in seme» — l'impugnata sentenza sarebbe incorsa

in errore. Né giova all'assunto delle ricorrenti il rilievo secondo

cui lo stabilire la natura merceologica di una merce compresa nella tariffa doganale costituirebbe sempre una indagine di fatto,

poiché nel caso in esame non si trattava di stabilire quale fosse — in concreto — la merce del cui regime fiscale si controverteva, ma veniva in esame la questione circa l'applicabilità dell'art. 2

1. 757/57 al solo cotone depurato dai semi o anche a quello anco

ra in seme. Era, cioè, una questione d'interpretazione di una nor

ma di diritto quella dalla cui soluzione sarebbe dipeso, secondo

la tesi allora prospettata dalle attuali ricorrenti, l'accertamento

del falso presupposto in base al quale nel 1958 era stata dispsota la riduzione dell'aliquota ige sul solo prodotto nazionale.

Del resto, quando la sentenza del giudice di merito venga im

pugnata (com'era accaduto nella specie) ai sensi dell'art. 360, n.

3, c.p.c., ossia per violazione o falsa applicazione di norme di

diritto (nel qual caso è preclusa alla Corte di cassazione ogni in

dagine che investa gli elementi di fatto della causa), i fatti vanno

acquisiti, nel giudizio di cassazione, come li ha accertati il giudice del merito ed un errore da parte della Corte di cassazione che

possa dar luogo ad una impugnazione per revocazione ai sensi

dell'art. 395, n. 4, c.p.c., non è configurabile in via di principio. Se, infatti, non v'è possibilità di diversi o nuovi accertamenti di

fatto in Cassazione, l'errore di percezione inficiante l'esito ulti

mo della lite non potrebbe essere che quello contenuto nella pro nuncia di merito, la quale — e non la successiva decisione della

Corte di cassazione — sarebbe suscettibile di revocazione.

Escluso che l'errore (che si assume) inficiante l'impugnata sen

tenza possa configurarsi come errore revocatorio, il caso in esame

non è riconducibile nella previsione dell'art. 395, n. 4, c.p.c., con

la conseguenza che, non venendo in rilievo l'applicazione di tale

norma nel presente giudizio, il ricorso è inammissibile e la prospet tata questione di legittimità costituzionale rimane priva di rilevanza.

Il Foro Italiano — 1990.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 29 gennaio 1990, n. 560; Pres. Scanzano, Est. Proto, P.M. Nicita (conci,

conf.); Ajassa (Aw. Cardareli) c. Bouchè (Aw. Battino). Cassa App. Roma 4 gennaio 1988.

Famiglia (regime patrimoniale della) — Comunione legale — Ac

quisto dei beni — Alloggi dell'edilizia popolare ed economica

— Riscatto effettuato anteriormente alla sentenza di separazio ne — Inclusione fra i beni in comunione (Cod. civ., art. 177).

Rientrano nella comunione legale gli acquisti compiuti dai coniu

gi nel perìodo intercorrente fra l'adozione dei provvedimenti

presidenziali ex art. 708 c.p.c. ed il passaggio in giudicato della

sentenza di separazione; pertanto, deve ritenersi incluso fra i

beni della comunione l'alloggio dell'edilizia popolare ed econo

mica il cui trasferimento, conseguente all'integrale pagamento del prezzo ed all'accettazione della domanda di riscatto, sia

avvenuto nel periodo fra il provvedimento del giudice della se

parazione che autorizza i coniugi a vivere separatamente ed il

passaggio in giudicato della sentenza. (1)

Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato in data 11 gennaio 1985 Mirella Ajassa convenne davanti al Tribunale

di Roma Franco Bouchè, che aveva sposato nel 1949, e — pre messo che il marito il 27 luglio 1964 aveva ottenuto dall'Incis

l'assegnazione di un alloggio (int. 14, scala F, del fabbricato di

via Corridoni, n. 12, in Roma), verso un corrispettivo di lire 19.870

(1) Nei termini della questione affrontata dalla corte non risultano pre cedenti in sede di legittimità. Fra le decisioni di merito, v., nondimeno, Trib. Napoli 15 maggio 1981, Foro it.. Rep. 1984, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 35, che ha ritenuto ricompreso nella comunione l'allog gio assegnato, con promessa di futura vendita, anteriormente all'entrata in vigore della 1. 151/75 e trasferito all'assegnatario successivamente.

Si ricorderà che, nella specie, la corte ha cassato la sentènza d'appello che aveva ecluso dalla comunione legale l'alloggio popolare facendone risalire l'acquisto al momento della sua assegnazione quando i coniugi erano in regime di separazione dei beni. E, nel senso che per l'acquisto della proprietà degli alloggi dell'edilizia popolare ed economica occorra la stipulazione di un contratto di diritto privato fra l'assegnatario e l'ente

assegnante, cfr., oltre le sentenze già citate in motivazione, da ultimo Cass. 29 marzo 1989, n. 1551 (id., 1989, I, 1800, con osservazioni di

Pardolesi), che, peraltro, si occupa delle conseguenze dannose a carico

dell'assegnatario conseguenti al ritardo colposo dell'istituto assegnante nella

stipula del contratto per la cessione della proprietà dell'alloggio. Per quanto riguarda, invece, il riflesso della comunione legale sui dirit

ti di obbligazione nascenti dal rapporto di assegnazione di un alloggio in locazione con diritto di riscatto, Cass. 23 luglio 1987, n. 6424, id.. Rep. 1988, voce cit., n. 47, ha escluso che tali diritti spettanti al marito

assegnatario potessero costituire oggetto della comunione, rientrandovi soltanto i diritti reali (la sentenza si legge con annotazione di Venturini, in Giur. it., 1988, I, 1, 2020 e con annotazione di De Falco, in Nuova

giur. civ., 1988, 456). Sul tema, in qualche modo affine, dell'acquisto degli alloggi di coope

rative edilizie da parte del socio coniugato in regime di comunione legale, si è ritenuto che questo si comunichi ipso iure all'altro coniuge, a nulla rilevando la mancanza dei requisiti soggettivi per accedere alla cooperati va (App. Genova 27 luglio 1985, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 27); ma v. le due decisioni fra loro discordanti di Trib. Roma 5 luglio 1983, id., Rep. 1985, voce cit., n. 43, a cui dire l'acquisto della proprietà del

l'alloggio non rientra nella comunione, quand'anche la stipulazione del contratto di mutuo individuale si verifichi dopo il matrimonio, e 10 giu gno 1983, ibid., n. 44, secondo la quale la titolarità di un immobile edifi cato in cooperativa si determina non con riferimento al tempo dell'iscri zione del socio, bensì al momento dell'assegnazione dell'alloggio, sicché se l'assegnazione è successiva alla celebrazione del matrimonio l'immobi le è da intendersi acquistato in regime di comunione, prescindendo dal l'accertamento in ordine a chi abbia effettuto i pagamenti. E cosi, v. anche App. Genova 4 gennaio 1984, ibid., n. 42, che, in riferimento ad un contratto di vendita a rate con riserva di proprietà stipulato prima della riforma del diritto di famiglia, ha ritenuto che il pagamento dell'ul tima rata di prezzo in costanza del regime di comunione determini l'ac

quisto del bene alla comunione. Infine, è interessante notare Trib. Bari 12 luglio 1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 41, che ha ritenuto costituisca

oggetto della comunione legale l'alloggio di cooperativa edilizia ultimato

dopo la separazione coniugale, anche se uno solo dei coniugi aveva ac

quistato la qualità di socio della cooperativa in epoca anteriore al ma

trimonio. Sulla determinazione del momento cui far risalire lo scioglimento della

comunione legale, cfr. Corte cost., ord. 7 luglio 1988, n. 795, id., 1989, I, 929, con nota di richiami.

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