sezione I civile; sentenza 20 giugno 1990, n. 6209; Pres. Granata, Est. Carbone, P.M. Amirante(concl. parz. diff.); Anas (Avv. dello Stato Sgrola) c. Scopelliti (Avv. Zimatore). Cassa App.Catanzaro 4 novembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2807/2808-2815/2816Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184898 .
Accessed: 28/06/2014 12:16
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 12:16:18 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2807 PARTE PRIMA 2808
può valere l'incertezza dell'esito del giudizio di rivalsa, nelle mo
re promosso. Ciò posto, essendo risultato dalla consulenza tecnica che nel
triennio antecedente il tasso specifico aziendale della Samp era
stato del 14,96 per mille, poteva applicarsi la richiesta riduzione
ulteriore del 10%, considerato che il tasso medio anzidetto diffe
riva di oltre il 50% dal tasso medio di tariffa (voce di tariffa 6321; tasso medio 42 per mille rispetto al tasso aziendale specifi co del 14,96 per mille).
Contro la sentenza l'Inail ha proposto ricorso per cassazione
affidato ad un motivo. Resiste la società intimata con controri
corso con il quale contestualmente propone ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Denuncia l'Inail la violazione e
falsa applicazione degli art. 39, 40, 41 d.p.r. 1124/65 e del d.m.
10 dicembre 1978, nonché il difetto di motivazione della seiftenza
impugnata che censura per non avere considerato che nella deter
minazione degli oneri non si può tener conto dei crediti eventuali
che l'istituto può vantare nei confronti dei terzi responsabili di
un infortunio, ma soltanto dei rimborsi effettivi.
L'azione giudiziaria in corso non legittima la contabilizzazione
ai fini della riduzione del tasso medio aziendale di un credito
che, essendo sub indice, potrebbe rimanere insoddisfatto per ina
dempienza del debitore.
Il diritto del datore di lavoro alla valutazione dell'incidenza
sul tasso medio aziendale può valere, pertanto, solo dopo il recu
pero effettivo delle somme.
Nel caso in esame il recupero era avvenuto il 9 dicembre 1981
per cui non poteva di esso tenersi conto nella determinazione del
tasso dovuto nell'anno 1980 riferibile al triennio 1976-1978.
Con il ricorso incidentale la Samp denuncia la violazione del
l'art. 437 c.p.c. per avere l'istituto eccepito soltanto in appello la non deducibilità di quanto recuperato, avendo in primo grado articolato la sua difesa sulla non esatta indicazione della somma
riscossa e sul fatto che il tasso specifico non era inferiore del
50% dal tasso medio di tariffa. L'introduzione di un nuovo tema di indagine avrebbe dovuto essere rilevata d'ufficio dal tribunale.
Il ricorso principale e quello incidentale, avendo ad oggetto la stessa sentenza, vanno riuniti in un unico processo (art. 335
c.p.c.). Il motivo posto a fondamento del ricorso dell'Inail non è
fondato.
La questione che si sottopone a questa corte attiene all'applica bilità del 2° comma dell'art. 15 della tariffa premi di cui al d.m.
14 novembre 1978, pubblicata alla G.U. n. 378 dello stesso anno, che prevede l'applicazione di una riduzione o di un aumento del
10% (che si aggiunge al 20% della variazione in più o in meno
prevista dal precedente art. 14) in relazione all'andamento infor
tunistico aziendale, in tutti i casi in cui il tasso specifico aziendale
differisce di oltre il 50% dal tasso medio di tariffa.
Si pone questione in particolare se nel caso in cui l'Inail recu
peri attraverso l'esercizio del dirito di regresso in tutto o in parte l'indennizzo debba contabilizzare detto indennizzo nella determi nazione degli oneri posti a raffronto con le mercedi per la deter
minazione del tasso medio aziendale con riferimento al triennio
antecedente ala domanda di riduzione (art. 14 del cit. decreto), ovvero se tale contabilizzazione, come sostiene l'istituto, debba
essere fatta con riguardo al momento in cui si sia avuto l'effetti vo realizzo del credito nei confronti del responsabile dell'infortunio.
Quest'ultima prospettazione contrasta chiaramente con la ratio del sistema e conduce a conseguenze inaccettabili sul piano prati co, per cui non può essere condivisa.
Occorre rilevare che la determinazione del premio, quale risul
ta dal complesso meccanismo previsto dal decreto, è essenzial
mente basata sulla variabilità del tasso medio di tariffa in relazio
ne all'andamento infortunistico aziendale di un determinato pe riodo di tempo. Il tasso medio di tariffa cioè può essere aumentato
o diminuito in rapporto all'efficienza della struttura antifortuni
stica dell'azienda, desumibile dagli oneri affrontati in un triennio
dell'Inail, per indennizzi posti a rapporto con i salari. Il termine
triennale di riferimento deve considerarsi indispensabile per la for mulazione di un giudizio globale ai fini di una corretta valutazio
ne della regolarità dello svolgimento delle attività produttive in
sé pericolose, assicurativamente protette: perché solo nell'ambito
di un arco di tempo sufficiente può stabilirsi la condotta antifor
tunistica dell'azienda e perché il premio riguardando una deter
minata annata assicurativa (e non altra) deve essere fondato su
Il Foro Italiano — 1990.
vicende temporali che precedono detta annata.
L'accadimento di un infortunio ed il conseguente indennizzo
della vittima da parte dell'istituto incide su tali vicende e le carat
terizza perché costituisce un onere che influenza l'andamento azien
dale di un determinato periodo ed opera come fattore negativo
per la concessione di riduzioni del premio.
Orbene, è evidente che nel caso in cui sussista il diritto dell'en
te assicuratore di agire in regresso verso il responsabile dell'infor
tunio, che il datore di lavoro non può pretendere alcuna riduzio
ne del premio, fino al momento in cui l'istituto non abbia effetti
vamente realizzato il suo diritto al rimborso dell'indennizzo.
In questo momento soltanto sorge il diritto del datore di lavo
ro di pretendere il riesame della liquidazione del premio; con rife
rimento però al triennio nel quale il fatto infortunistico ebbe luo
go e di ottenere cosi il riequilibrio tra l'onere effettivo sopportato dall'Inail e i salari e in relazione a questo rapporto la determina
zione esatta del tasso medio aziendale.
Nel caso specifico, pertanto, ottenuto il rimborso dell'inden
nizzo, l'istituto avrebbe dovuto contabilizzare l'incasso relativa
mente al periodo 1976-1978.
Una diversa interpretazione appare infatti in contrasto con la
lettera della legge e con la funzione delle riduzioni del premio strettamente connessa alla struttura antinfortunistica aziendale nel
periodo di tempo cui il premio si riferisce.
Non avrebbe senso la contabilizzazione in un periodo successi
vo a quello dell'infortunio, contabilizzazione che in tal caso sa
rebbe legata ad un andamento infortunistico aziendale che di per sé potrebbe non essere meritevole di riduzione del premio. D'al
tra parte, non sembra possa essere lasciato all'istituto il potere di scegliere il periodo più favorevole per operare la contabilizza
zione delle somme riscosse in via di regresso, senza escludere che
potrebbe avvenire che nelle more l'azienda potrebbe cessare la
lavorazione o che il tasso medio di tariffa di questa potesse veni
re modificato per sopravvenuti mutamenti strutturali delle lavo
razioni.
In definitiva, il ricorrente istituto sgancia dal tasso medio azien
dale la riduzione richiesta, che se legittimamente poteva essergli avanzata solo dopo l'avvenuta effettiva riscossione dell'indenniz
zo, doveva essere posta in riferimento con riguardo ad un perio do della vita aziendale pregresso, connesso con l'evento che ave
va dato causa all'esborso da parte dell'ente.
Il ricorso va, pertanto, respinto, restando assorbito il ricorso
incidentale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 giugno 1990, n. 6209; Pres. Granata, Est. Carbone, P.M. Amirante
(conci, parz. diff.); Anas (Aw. dello Stato Sgrola) c. Scopelli ti (Aw. Zimatore). Cassa App. Catanzaro 4 novembre 1986.
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione legittima — Irreversibile destinazione del suolo alla realizzazione dell'o
pera pubblica — Mancanza del decreto d'esproprio — Decor
renza dell'effetto acquisitivo — Scadenza del periodo di occu
pazione legittima (Cod. civ., art. 934, 936, 938, 939, 940).
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione legittima — Scadenza dei termini — Irreversibile destinazione del suolo
alla realizzazione dell'opera pubblica — Acquisto a favore del la pubblica amministrazione — Diritti del proprietario (Cod. civ., art. 934, 946, 938, 939, 940).
Espropriazione per pubblico interesse — Irreversibile destinazio
ne del suolo privato alla realizzazione dell'opera pubblica —
Acquisto a favore della pubblica amministrazione — Contro
valore del suolo — Debito di valore — Cumulo degli interessi con la rivalutazione — Ammissibilità — Criteri di computo (Cod. civ., art. 934, 936, 938, 939, 940, 1219, 1223, 1224, 2056, 2058).
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione legittima — Irreversibile destinazione del suolo alla realizzazione dell'o
pera pubblica — Determinazione dell'indennità di occupazione
legittima (Cod. civ., art. 934, 936, 938, 939, 940; 1. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazione per causa di pubblica utilità, art.
72).
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 12:16:18 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il trasferimento a favore della pubblica amministrazione del di
ritto di proprietà sul suolo privato, che durante l'occupazione
legittima sia stato irreversibilmente destinato alla realizzazione
dell'opera pubblica, si perfeziona nel momento in cui scade
il periodo di occupazione legittima, qualora l'ente pubblico non
emani, prima di tale termine, il decreto d'esproprio. (1)
Qualora durante il periodo di occupazione illegittima (per inter
venuta scadenza del biennio) il suolo privato sia stato irreversi
bilmente destinato alla realizzazione dell'opera pubblica, il pro
prietario ha diritto: 1) all'indennità per il periodo di occupazio ne legittima; 2) al risarcimento del danno per il mancato
godimento del bene dalla scadenza dell'occupazione legittima sino al momento dell'irreversibile destinazione; 3) al controva
lore del bene acquisito a titolo originario dalla pubblica ammi
nistrazione. (2) Posto che l'obbligazione gravante sulla pubblica amministrazione
di corrispondere al privato proprietario il controvalore del suo
lo acquisito a titolo originario per irreversibile destinazione alla
realizzazione dell'opera pubblica, costituisce debito di valore, è necessario esprimere, in termini attuali al tempo della decisio
ne, il valore del bene, stimato nel momento in cui si perfeziona la fattispecie acquisitiva; sulla somma vìa via rivalutata (utiliz zando indici annuali medi di svalutazione), in assenza di diversi
elementi probatori, andranno calcolati gli interessi, come crite
rio di determinazione del danno sofferto dal proprietario per il ritardato conseguimento dell'equivalente monetario del
bene. (3) Qualora l'irreversibile destinazione del suolo privato alla realizza
zione dell'opera pubblica sia avvenuta nel corso o a seguito di un'occupazione legittima, l'indennità relativa a quest'ulti
ma, in mancanza di elementi probatori idonei a dimostrare il
pregiudizio subito dal proprietario, va commisurata agli inte
ressi legali sul valore venale del bene, determinato al momento
in cui scade il periodo di occupazione legittima. (4)
(1-4) Con la pronuncia in epigrafe la sezione prima sviluppa il discorso iniziato con la sentenza 11 luglio 1990, n. 7210 (in questo fascicolo, I, 2789, con nota di De Marzo), deliberata nella medesima data, in tema di c.d. occupazione espropriativa. La Suprema corte, muovendo dalla distinzione tra momento possessorio e momento traslativo della proprie tà, ha escluso che a quest'ultimo possa riferirsi una qualificazione in ter mini di illiceità: ne discende che al privato già proprietario viene ricono sciuto non già il diritto al risarcimento del danno (soggetto alla prescri zione quinquennale), bensì' la pretesa al controvalore del bene.
Alcuni passi della motivazione sembrano avvalorare ciò che nella sen tenza 7210/90 appare implicitamente riconosciuto: la fattispecie estintivo
acquisitiva si perfeziona non con il completamento dell'opera (come si
legge in Cass., sez. un., 10 giugno 1988, n. 3940, Foro it., 1988, I, 2262, che fa della realizzazione dell'opera pubblica l'indefettibile punto di arri vo della fattispecie; si leggano anche le considerazioni di Caranta, Il nuovo indirizzo della Corte di cassazione in materia di occupazione ap priopriativa, in Resp. civ., 1990, 391, sull'orientamento che la Suprema corte sembrava aver assunto «ritardando il momento nel quale si perfe ziona la perdita del diritto in capo al privato»), sibbene con l'irreversibile
destinazione del suolo alla realizzazione dell'opera pubblica (come in Cass., sez. un., 26 febbraio 1983, n. 1464, Foro it., 1983, I, 626, con osserva zioni sul punto di Oriani).
La sezione prima ha, infatti, confermato la decisione del giudice di
merito, che aveva ritenuto la tardività del decreto d'esproprio, intervenu to «quando già era iniziata la realizzazione dell'opera pubblica», nel sen so che «si era già verificata la definitiva sostanziale perdita del bene da
parte del privato, data l'impossibilità di costringere la pubblica ammini strazione alla cessazione del comportamento antigiuridico».
Al di là di questi rilievi, la decisione che si riporta appare decisamente innovativa laddove, ammesso con riferimento ai debiti di valore il cumu lo della rivalutazione con gli interessi, esclude che questi ultimi vadano
computati sulla somma rivalutata, a partire dalla data dell'illecito, secon
do il consolidato orientamento della Suprema corte: essi andranno calco
lati, sempre a partire da quella data, sul capitale via via rivalutato, secon
do indici annuali medi di svalutazione. La Suprema corte ritorna cosi sul tema dell'ammissibilità di cumulare
gli interessi e la rivalutazione intervenuta in relazione a debiti di valore: materia nella quale si era già registrata di recente Cass. 18 luglio 1989, n. 3352 (id., 1990, I, 933), dovuta al medesimo estensore della sentenza
che si riporta, che, discostandosi dalla tradizionale qualificazione giuris
prudenziale di siffatti interessi come corrispettivi, aveva parlato di inte
ressi moratori. La soluzione accolta dalla prima sezione trova un precedente dottrinale
nell'opinione di Favara (Incidenza della svalutazione monetaria sul debi to di interessi, id., 1951, I, 1332; Ancora sull'incidenza della svalutazione
Il Foro Italiano — 1990.
Svolgimento del processo. — Pasquale ed Anna Scopelliti con
una prima citazione del 30 luglio 1966 convennero davanti al Tri
bunale di Catanzaro l'Anas che aveva occupato due suoli siti in
Catona per circa 430 mq. di cui solo 140 assistiti da regolare decreto di occupazione legittima. Con successiva citazione del 16
aprile 1971 gli istanti riconvennero l'Anas davanti allo stesso giu dice per l'occupazione di altri tre suoli in Scilla e Cannitello, per uno dei quali era intervenuto anche il decreto di esproprio. Con
la terza citazione del 31 luglio 1974 Pasquale Scopelliti impugnò i decreti di esproprio per gli altri due fondi di Scilla e Cannitello, intervenuti dopo la realizzazione dell'opera pubblica. Riuniti i pro
cessi, l'adito tribunale condannò l'Anas a depositare in favore
di Pasquale Scopelliti, anche quale erede della sorella, la somma
di lire 16.619.400 per indennità di esproprio nonché a corrispon dere la somma di lire 22.037.625 per risarcimento del danno per le occupazioni illegittime.
Su gravame principale dello Scopelliti che ribadì' la tardività
dell'emissione del decreto di esproprio chiedendo l'applicazione del criterio del valore venale oltre al maggior danno per svaluta
zione monetaria e su gravame incidentale dell'Anas che eccepì' la prescrizione ed in subordine chiese una riduzione delle somme
liquidate dal giudice di primo grado, la Corte d'appello di Catan
zaro, con decisione del 4 novembre 1986, oggetto della presente
impugnativa, ritenuta la tardività dei decreti di esproprio e riget tata l'eccezione di prescrizione, condannò l'Anas al risarcimento
dei danni determinati in lire 55.590.230, oltre gli interessi legali, secondo la stima dei singoli suoli, operata dal consulente e condi
visa espressamente dal giudice del merito. Determinò inoltre l'in
sul debito di interessi, id., 1952, I, 1524), il quale riteneva che far decor rere gli interessi sulla somma rivalutata a far tempo dal momento dell'il
lecito, significava rivalutare automaticamente il debito per interessi, «tras
formandolo, cosi, da debito di valuta in debito di valore, quale non è». Tale ricostruzione non sembrava convincente per Pugliese (Adegua
mento monetario del danno da fatto illecito e obbligo di corrispondere gli interessi, in Giur. Cass, civ., 1951, I, 975), che riteneva di non poter assumere a base del conteggio somme non dovute realmente e, quindi, inidonee a produrre interessi. Non convinse neanche De Martini (Riva lutazione del danno da fatto illecito e danno per ritardato pagamento, ibid., 1619). Quest'ultimo a., al contrario, avallò l'orientamento della
Suprema corte, successivamente consolidatosi: il calcolare gli interessi sulla somma rivalutata, ritenendo che gli interessi andassero a risarcire il dan no da ritardo nella reintegrazione del patrimonio, ossia il danno consi stente «nella perdita delle utilità che la disponibilità del bene è atta a
procurare». In assenza di una più precisa prova del danno sofferto, que sto andava stimato ricorrendo agli interessi, in quanto «criterio fornito
dall'esperienza pratica sulla base di una valutazione della produttività media dei beni idonei a dare frutti (civili o naturali)».
La decisione che si riporta muove anch'essa dal riconoscimento dell'i
napplicabilità dell'art. 1224 c.c. ai debiti di valore, anch'essa distingue il danno da ritardo da quello derivante dall'inadempimento; ma stima
che, in mancanza di altri elementi probatori, gli interessi (che perciò non
possono esser qualificati come moratori) vadano a risarcire il danno subi to dal danneggiato per il ritardato conseguimento dell'equivalente pecu niario del bene perduto.
Questa valutazione è comune a Libertini, Interessi, voce deli'Enciclo
pedia del diritto, Milano, 1972, XXII, 119, il quale, tuttavia, esclude che la liquidazione degli interessi legali sulla somma rivalutata debba con siderarsi «normale», in relazione al mancato guadagno del danneggiato. 11 giudice sarà, perciò, chiamato a valutare il rendimento derivante dal
presumibile impiego della somma da parte del creditore, «nella misura in cui questo non risulti assorbito dal tasso di svalutazione monetaria».
Ma se il problema si pone in termini di mancato guadagno, come la sezione prima mostra di ritenere, appaiono più che fondate le critiche di Vaicavi (L'indennizzo del mero lucro cessante, come criterio generale di risarcimento del danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie, in Foro
it., 1990, I, 2220), che rileva l'arbitrarietà delle soluzioni fondate sulla rivalutazione e sugli interessi sul capitale rivalutato (anche se gradual mente rivalutato, Valcavi, Il problema degli interessi monetari nel risar cimento del danno, in Resp. civ., 1987, 3). Come è noto, l'a. da tempo sostiene che l'inapplicabilità dell'art. 1224 c.c. ai c.d. debiti di valore non ha fondamento normativo, in quanto per obbligazioni pecuniarie si devono intendere tutte le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di
denaro, liquide o liquidande. È difficile dire se le incertezze giurisprudenziali preludano ad un ripen
samento delle conclusioni tradizionalmente accolte. In effetti, pare giunto il tempo che la giurisprudenza raccolga l'autorevole monito di Ascarelli
0Obbligazioni pecuniarie, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1959, 8, che pure elaborò la categoria dei debiti di valore e sostenne il computo degli interessi sulla somma liquidata (op. cit., 535, n. 1), a fare i conti con la portata delle varie soluzioni fondate su considerazioni
equitative. [G. De Mauro]
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 12:16:18 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2811 PARTE PRIMA 2812
dennità di occupazione legittima dovuta dall'Arias e condannò
la stessa al risarcimento del danno per il periodo di occupazione
illegittima. Secondo la decisione impugnata, raffrontando i dati cronologi
ci delle singole occupazioni con i rispettivi atti di citazione, lo
Scopelliti ha fatto valere il suo diritto al risarcimento del danno
prima che decorresse la prescrizione quinquennale dall'intervenu
ta irreversibile destinazione del bene all'opera pubblica. Inoltre, secondo la corte territoriale, l'Anas con la notifica sia pure tardi
va dei decreti di esproprio contenenti la notizia dell'avvenuto de
posito dell'indennità avrebbe comunque interrotto la prescrizione in virtù dell'esplicito riconoscimenro del diritto privato ad avere
un indennizzo per il pregiudizio sofferto.
Avverso questa decisione ricorre l'Anas sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso lo Scopelliti.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del proposto ricorso l'Anas censura l'impugnata sentenza perché la tardività
del decreto di esproprio, fatta valere dall'espropriato in primo
grado, sarebbe stata abbandonata nel corso dello stesso giudizio e riproposta poi solo con l'atto d'appello. L'assunto non ha pre
gio. La decisione impugnata infatti si è diffusamente soffermata
sullo svolgimento del processo e sulle domande di risarcimento
dei danni proposte sin dagli originari atti introduttivi del presente
giudizio da parte dello Scopelliti, il quale ha sempre evidenziato
la tardività, e quindi l'ininfluenza, dei decreti di esproprio. In
proposito, è appena il caso di ricordare la costante giurisprudenza di questa corte secondo cui è del tutto inutiliter l'emanazione del
decreto di esproprio quando la realizzazione dell'opera pubblica si è già avverata, poiché l'irreversibile acquisizione di un suolo
appartenente ad un privato, come conseguenza della realizzazio
ne dell'opera pubblica in regime di occupazione sine titulo, deter
minando l'estinzione del diritto di proprietà del privato con con
testuale acquisizione della stessa a titolo originario in favore del
l'ente costruttore, rende privo di qualsiasi effetto il decreto di
esproprio successivamente adottato e rende pertanto, irrilevante
ogni indagine sulla circostanza se tale decreto sia stato reso o
meno in persistenza del potere ablativo (cfr. sez. un. 26 febbraio
1983, n. 1464, Foro it., 1983, I, 626; 21 maggio 1984, n. 3118, id., Rep. 1984, voce Espropriazione per p.i., n. 259; 8 novembre
1984, n. 5644, ibid., n. 298; 17 luglio 1985, n. 4208, id., Rep. 1985, voce cit., n. 306; 15 novembre 1985, n. 5597, id., Rep. 1986, voce cit., n. 322; 10 giugno 1988, n. 3943, id., Rep. 1988, voce cit., n. 272). Deve, pertanto, ribadirsi, come la giurisprudenza ha avuto cura di precisare, l'assoluta irrilevanza del provvedi mento epropriativo intervenuto successivamente alla realizzazio
ne dell'opera pubblica — considerato tamquam non esset — sia ai fini dell'assetto proprietario, che ai fini dell'individuazione del
giudice competente. Con il secondo motivo del proposto ricorso l'Anas censura l'im
pugnata sentenza per violazione dell'art. 13 1. 2359/1865 perché l'esecuzione dell'opera pubblica sarebbe avvenuta durante l'occu
pazione legittima ed i decreti di esproprio sarebbero stati emessi
prima della scadenza dei termini di efficacia della dichiarazione
di pubblica utilità, richiamando in proposito un lontano prece dente di questa corte (Cass. 26 gennaio 1985, n. 383, id., Rep. 1985, voce cit., n. 294).
La censura non è fondata. Riesaminando espressamente la de dotta questione (sez. un. 15 novembre 1985, n. 5597; sez. I 13 novembre 1987, n. 8344, id., 1987, I, 3236) questa corte ha già ritenuto che il trasferimento della proprietà del terreno dal priva to alla pubblica amministrazione epropriante — che l'ha irrime
diabilmente trasformato con la realizzazione dell'opera pubblica
prima della scadenza dei termini di occupazione legittima — si
compie nel momento in cui termina l'occupazione legittima dan do luogo all'insorgere del diritto dell'ex proprietario al controva
lore del bene perduto. In proposito, a nulla rileva che sia ancora efficace la dichiarazione di pubblica utilità, in quanto l'eventuale
perdurare del potere espropriativo non tien conto del diverso ti
tolo acquisitivo della proprietà nel frattempo maturato ed inoltre il decreto di esproprio è privo di causa (per essere già avvenuta
l'acquisizione) e addirittura di oggetto (in quanto il bene da espro
priare appartiene già ex lege a titolo originario alla pubblica am ministrazione espropriarne senza bisogno dell'atto ablativo di im
perio). In particolare, la corte territoriale ha individuato con ac
curata indagine, richiamando gli elaborati peritali di primo e di secondo grado, i suoli occupati abusivamente dall'Anas senza de
creto di esproprio e senza neppure l'occupazione d'urgenza, e
Il Foro Italiano — 1990.
quelli su cui da tempo era stata realizzata l'opera pubblica quan do è intervenuto tardivamente il decreto di esprorio, precisando inoltre, ai soli fini della tardività del decreto relativamente a due
suoli, che il provvedimento ablatorio dovesse parimenti ritenersi
tamquam non esset perché intervenuto durante l'occupazione si
ne titulo quando già era iniziata la realizzazione dell'opera pub blica — circostanza non contestata o impugnata dall'Anas — nel
senso che si era già verificata la definitiva sostanziale perdita del
bene da parte del privato, data l'impossibilità di costringere la
pubblica amministrazione alla cessazione del comportamento an
tigiuridico (cfr. Cass. 17 giugno 1988, n. 4118, id., Rep. 1988, voce cit., n. 277; 25 ottobre 1982, n. 5566, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 305). Con il terzo motivo del proposto ricorso l'Anas impugna la
decisione della corte territoriale per violazione dell'art. 2043 c.c.
e per contraddittorietà di motivazione, avendo il giudice del me
rito condannato l'espropriante al risarcimento dei danni relativa
mente al periodo di occupazione illegittima, compreso tra la sca denza dell'occupazione legittima e la realizzazione dell'opera pub blica, anche perché per alcuni suoli (Scilla e Cannitello), ai soli fini della tardività del decreto di espropriazione si sarebbe tenuto
conto di un momento diverso.
La censura è infondata. Il giudice del merito si è attenuto alla
giurisprudenza di questa corte per la quale, in tema di occupazio ne irreversibile di un terreno per la costruzione di un'opera pub blica, iniziato con l'occupazione d'urgenza senza che però la pub blica amministrazione abbia provveduto a perfezionare la proce dura espropriativa, emettendo come prescrive l'ordinamento il
decreto di esproprio prima dello spirare dei termini dell'occupa zione legittima, il proprietario, che è stato privato del bene in
base alla c.d. occupazione espropriativa, ha diritto all'indennità
per il biennio di occupazione legittima, ad una somma corrispon dente al valore venale del bene irreversibilmente perduto ed al
risarcimento del danno per il mancato godimento del bene dalla scadenza dell'occupazione legittima fino al momento dell'irrever
sibile destinazione, cioè della radicale trasformazione del bene (cfr. Cass. 5 febbraio 1985, n. 784, id., Rep. 1985, voce cit., n. 303). Né sussiste la dedotta contraddittorietà di motivazione perché a
tutti i fini indennitari e risarcitori sono stati tenuti fermi i dati acquisiti dal consulente e non contestati, in relazione ai diversi
suoli espropriati che il giudice del merito ha fatto propri con am
pia ed esauriente motivazione priva di vizi o di errori denunciata li in questa sede.
Con il quarto motivo del proposto ricorso l'Anas si duole che
la sentenza impugnata, ai fini della determinazione dell'indennità
per l'occupazione legittima, abbia valutato i suoli di Scilla con
riferimento al 1975, mentre 1 Irreversibile trasformazione era sta ta fatta risalire, per la tardività del decreto di esproprio, ad una
data precedente. Con lo stesso motivo si censura, inoltre l'appli cazione degli indici Istat con erroneo richiamo all'art. 1226 c.c., nonché la concessione degli interessi legali sulle somme da corri
spondere a titolo di risarcimento danni, ragguagliate al valore venale del suolo stabilmente occupato, con decorrenza dalla data di scadenza delle singole occupazioni legittime. La complessa ed
articolata censura è fondata per quanto di ragione. Infondata è la censura relativa all'applicazione degli indici Istat
poiché in sede di adeguamento del debito risarcitorio ai valori in atto della moneta, il giudice del merito non è tenuto a fornire una specifica motivazione qualora determini la percentuale di ri valutazione in conformità degli indici del costo della vita elabora ti dall'Istat i quali si configurano come fatti notori (Cass. 23 gen naio 1985, n. 5815, id., Rep. 1985, voce Danni civili, n. 129). Inoltre, non sussiste la pretesa contraddittorietà, perché, come
già si è rilevato, il giudice del merito ha, con motivazione convin cente ed adeguata, fatto propri i dati chiari ed univoci predisposti dal consulente e non impugnati dall'Anas. Nella sentenza impu gnata, infatti, si fa presente che per il fondo di Catona, l'occupa zione legittima è durata dal novembre 1962 al novembre 1964, ed è ampiamente terminata prima del decreto di esproprio del 23 maggio 1966 che è stato inutiliter emesso, anche se i lavori
per la realizzazione dell'opera pubblica, benché avessero compor tato la sostanziale perdita del bene da parte del proprietario non erano ancora del tutto completati. Lo stesso è a dirsi per i suoli
espropriati in Scilla, per i quali l'occupazione legittima è scaduta nel gennaio 1970, molti anni prima dell'inutile emanazione del decreto di esproprio del 17 gennaio 1974, intervenuto ad occupa zione legittima scaduta e ad opera pubblica quasi completamente terminata.
Fondato è invece, per quanto di ragione, l'ulteriore profilo con
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 12:16:18 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il quale si censura la sentenza impugnata, perché calcola gli inte
ressi legali sulle somme già rivalutate, corrispondenti al valore,
all'attualità, dei beni acquistati ex lege, a titolo originario dalla
pubblica amministrazione. Interessi che decorrono dalla data del
fatto dannoso con funzione compensativa per il mancato godi mento della somma liquidata come corrispettivo del bene perdu to. Secondo l'amministrazione ricorrente, invece, gli interessi non
spettano al danneggiato, al quale compete soltanto l'equivalente
pecuniario, rivalutato, del bene irreversibilmente acquistato dalla
pubblica amministrazione.
Con questa censura si ripropone espressamente il problema della
corresponsione degli interessi in tema di espropriazione sostanzia
le. Secondo l'archetipo di questo indirizzo giurisprudenziale (sez. un. 26 febbraio 1983, n. 1464), a seguito del verificarsi della fat
tispecie acquisitiva-estintiva l'ente pubblico acquista la proprietà
dell'opera pubblica comprensiva del bene del privato, mentre que st'ultimo perde definitivamente il bene, rimanendo titolare sol
tanto di un diritto di credito nei confronti della pubblica ammini
strazione. In altri termini, al privato spetta «il valore economico
che al bene deve attribuirsi al momento» del verificarsi della pre detta fattispecie acquisitiva-estensiva, valore «espresso in termini
monetari che tengono conto dell'eventuale diminuzione del pote re d'acquisto della lira intervenuta tra tale momento e quello del
la liquidazione». Non vi è dubbio, pertanto, che il diritto del privato al contro
valore, possa qualificarsi come debito di valore ragguagliabile al
l'attualità. Il problema è, semmai, se sul debito di valore decor
rono anche i tassi di interessi cosi come ritiene la prevalente dot
trina e buona parte della giurisprudenza anche se non sempre con omogeneità di accenti, mentre altra parte della dottrina e
la giurisprudenza, specie di merito, hanno negato la compatibili tà tra rivalutazione monetaria ed interessi, affermando che la con
danna giudiziaria alla corresponsione degli interessi legali oltre
alla rivalutazione delle somme dovute, abbia come conseguenza il risarcire due volte il medesimo danno, con un lucro ingiustifi cato per il creditore.
A sostegno del proprio assunto, il primo orientamento ritiene
che nella liquidazione del danno spettante al proprietario del fon
do illegittimamente occupato e definitivamente trasformato a se
guito dell'irreversibile realizzazione dell'opera pubblica, siano com
patibili la rivalutazione della somma dovuta per la perdita del
bene e gli interessi legali sulla stessa, nel senso che la prima è
rivolta a ripristinare la situazione patrimoniale del privato, po nendolo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l'effetto estin
tivo non si fosse verificato, mentre i secondi, che decorrono dalla
data del fatto dannoso e si computano sulla somma risultante
dalla rivalutazione, adempiono ad una funzione compensativa e
intendono ristorare il privato del mancato godimento della som
ma liquidata. Queste considerazioni, però non hanno trovato riscontro nella
giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 22 aprile 1980, n. 60,
id., 1980, I, 1249), che, da un lato, ha sbrigativamente inglobato anche il ritardo nel risarcimento del danno per l'inadempimento
e, dall'altro, ha affermato che «gli interessi moratori possono essere riconosciuti solo per il periodo successivo alla valutazione
e liquidazione giudiziale del danno». Su questo abbrivio, alcuni
giudici di merito hanno affermato che nel risarcimento del danno
gli interessi vanno computati non dalla data del fatto, bensì dalla
data della sentenza, che, liquidando il debito, converte in debito
di valuta l'originario debito di valore.
Riesaminato il problema, ritiene questo collegio che il valore
economico del bene perduto dal privato perché divenuto parte
integrante dell'opera pubblica, debba essere valutato al momento
della perdita e del contestuale acquisto dello stesso da parte della
pubblica amministrazione; valore che, ove non sia immediatamente
corrisposto, non può non essere rivalutato e rapportato all'attua
lità onde eliminare l'incidenza della svalutazione che possa inter
venire tra il momento della valutazione del bene perduto, ancora
to al verificarsi della fattispecie acquisitiva-estintiva e quello della
liquidazione al momento della decisione. In altri termini, in tema
di espropriazione sostanziale, la realizzazione dell'opera pubbli
ca, in conformità ad una precedente dichiarazione di pubblica
utilità, comporta la perdita della proprietà da parte del privato
ed il contemporaneo acquisto a titolo originario della stessa in
favore della pubblica amministrazione che deve corrispondere al
privato il pagamento di una somma pari al valore che il suolo
aveva al momento dell'irreversibile destinazione, somma che se
Il Foro Italiano — 1990.
non immediatamente corrisposta dev'essere rivalutata perché, trat
tandosi di un debito di valore, l'eventuale diminuzione del potere di acquisto del denaro fino alla liquidazione non deve ricadere
sul privato creditore.
Ma, se può riscontrarsi una sostanziale concordia sull'art e sul
quantum dovuto dalla pubblica amministrazione che realizza l'o
pera pubblica, dichiarata di pubblica utilità, ritardando od omet tendo l'emissione del decreto di esproprio e la corresponsione al
privato della giusta indennità, ed in tal modo distaccandosi dal
procedimento epropriativo classico, altrettanto non può rilevarsi
in relazione alla valutazione del ritardo. Ed infatti, l'ente pubbli co che ha acquistato a titolo originario la proprietà del bene,
già appartenente al privato, è debitore del controvalore e, se non
10 corrisponde al momento dell'acquisto, si verifica l'inadempi mento dell'obbligazione che su di lui grava di corrispondere al
privato il valore economico del bene sottrattogli e divenuto com
ponente dell'opera pubblica. E poiché il valore è espresso in ter
mini monetari bisognerà tener conto dell'eventuale diminuzione
del potere d'acquisto della moneta fino al momento della liquida zione giudiziale. Ma la rivalutazione monetaria rappresenta sol
tanto l'attualizzazione della misura del debito di valore, cosi che
nel caso di inadempimento e di determinazione giudiziale del va
lore del bene perduto, la rivalutazione monetaria, ben chiara nel
la giurisprudenza sin dalla sentenza 1464/83, adempie alla fun
zione tencnica di determinare esattamente, in relazione al valore
dovuto, l'oggetto della prestazione inadempiuta di cui il creditore
chiede il soddisfacimento. Ed infatti, la natura di debito di valore
comporta che il denaro rilevi solo come espressione del potere di acquisto e non come oggetto della prestazione o, secondo un
noto brocardo, come mensura e non come mensuratum. Nessuno
vuol negare l'origine empirica e casistica della categoria del debi
to di valore, che sebbene osteggiata dal punto di vista concettua
le, continua a dimostrare una notevole capacità espansiva, legitti mandosi sul piano dell'effettività giurisprudenziale. Risponde in
fatti all'esigenza di rendere in taluni rapporti il creditore immune
dai rischi della svalutazione monetaria che si realizza consenten
do—a differenza che nei debiti di valuta — una diretta inciden
za delle variazioni monetarie sull'ammontare della prestazione do
vuta, lasciando «aperta» l'entità debitoria diretta ad integrare o
reintegrare il patrimonio del debitore in misura corrispondente ad un determinato valore.
Diverso è il problema degli interessi legali che si chiedono per 11 ritardo con il quale l'ente pubblico adempie alla sua prestazio
ne, stante la piena autonomia sia sotto il profilo concettuale che
della diversa disciplina positiva del ritardo rispetto all'inadempi mento. Autonomia di posizioni, oggetto, non da oggi, di contra
sti e di incertezze. Si rimette in discussione, infatti, la stessa legit timità della corresponsione degli interessi per il ritardato paga mento dei debiti di valore, poiché si assume che ai sensi degli art. 1219 ss. c.c., il ritardo nell'adempimento nei debiti di valore
non dà luogo a interessi moratori, tant'è che, nonostante gli sfor
zi di una parte della dottrina per far rientrare tra gli interessi
moratori previsti dall'art. 1224, 1° comma, anche quelli relativi
ad obbligazioni non pecuniarie, la maggior parte della dottrina
ed in particolare la giurisprudenza continuano a qualificare e a
liquidare gli interessi come compensativi, in quanto finalizzati so prattutto a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal
ritardato conseguimento dell'equivalente monetario del danno.
Questa giustificazione, di sapore anche equitativo, è derivata dal
la considerazione che il problema degli interessi, nelle obbligazio ni di risarcimento danni, come in quelle di valore, non è attual
mente previsto da alcuna norma, né è loro applicabile estensiva
mente la disciplina dettata dall'art. 1224 c.c., che, peraltro, non
è richiamata dall'art. 2056 c.c. che pure regola il risarcimento
del danno nell'ipotesi di responsabilità aquiliana. L'inapplicabili tà dell'art. 1224 alle obbligazioni di valore non comporta però
che il creditore sia privo di tutela per il ritardo nell'adempimento. La diversa disciplina dell'obbligazione pecuniaria rispetto a quel
la di valore, specie quando si tratta di risarcimento dei danni,
è giustificata dall'opportuno richiamo all'art. 2058 c.c., in base
al quale il danneggiato, qualora sia possibile, può chiedere l'ese
cuzione in forma specifica. Ed infatti, potendo il creditore sce
gliere tra reintegrazione specifica e reintegrazione per equivalente
usque ad ultimum diem, codesto equivalente, per essere tale, de
ve corrispondere ai valori correnti al momento della decisione.
Nella stessa logica si muove una parte della giurisprudenza e una
qualificata dottrina, secondo cui per i crediti di valore oc
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 12:16:18 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2815 PARTE PRIMA 2816
corre distinguere tra la aestimatio rei, e cioè la valutazione del
bene perduto, dalla taxatio che rappresenta la liquidazione dello
stesso con il riconoscimento dell'eventuale svalutazione moneta
ria. Ma la possibilità di chiedere la reintegrazione in forma speci fica — salvo che il giudice disponga il risarcimento per equivalen te ove la reintegrazione risulti eccessivamente onerosa per il debi
tore — conferma che il danno da inadempimento, che può essere
liquidato in forma specifica, va distinto dal danno da ritardo che, di regola, è liquidato separatamente, come, del resto, può rica
varsi dalla disposizione dell'art. 1223 c.c. che prevede il risarci
mento del danno per l'inadempimento o per il ritardo adoperan do un'espressione avente un chiaro significato disgiuntivo e non
aggiuntivo. Tenendo distinti inadempimento e ritardo, l'equivalente pecu
niario nei debiti di valore, ove non sia possibile il risarcimento
in forma specifica, realizza l'integrale soddisfacimento del credi
tore per il bene perduto, ma non anche per il ritardo con il quale riceve e quindi può godere il controvalore del bene che gli appar teneva. Poiché nel nostro sistema il risarcimento per equivalente costituisce il principale strumento per la reintegrazione del patri monio leso, la liquidazione dell'obbligazione di valore potrebbe teoricamente assicurare la soddisfazione anche per gli eventuali
danni conseguenti al ritardo non attraverso una valutazione for
fettizzata, ma piuttosto attraverso un esame articolato della spe cifica lesione arrecata, aggiungendo un'altra componente di dan
no a quella presa in esame sotto il profilo dell'inadempimento.
Questa posta di danno per il ritardo si sostanzia nella disecono
mia conseguente all'aver sofferto, da parte del creditore per un
determinato lasso di tempo un'ingiusta diminuzione patrimonia le. In altre parole, consiste nella perdita di quella utilitas che il
creditore avrebbe tratto dalla somma originariamente dovuta al
posto del bene perduto, più strettamente legata al concetto di
mora, che consiste nel ritardo frapposto dal debitore alla reinte
grazione del patrimonio nel lasso di tempo tra la perdita del bene
e la corresponsione del controvalore, rivalutato all'attualità. Questa
perdita, non essendo di avevole determinazione è di solito liqui data equitativamente in misura corrispondente agli interessi legali sull'ammontare spettante al creditore, ma si tratta pur sempre di danno da ritardo e non di attribuzione di interessi moratori.
Occorre inoltre tener presente che, nel caso di specie, il priva
to, che ha perduto il proprio bene entrato a far parte dell'opera
pubblica, ha diritto, non al risarcimento del danno, che si pre scrive nell'ordinario termine quinquennale, ma al valore che il
bene aveva al momento in cui è stato acquistato a titolo origina rio dalla pubblica amministrazione, cosi come qualunque altro
soggetto privato, entrato in conflitto con un precedente proprie tario nelle ipotesi codicistiche degli art. 934 ss. (cfr. amplius la
sentenza deliberata in data odierna sui ricorsi nn. 2192 e 2827/87). Se queste considerazioni in ordine allo sganciamento dell'ac
quisto della proprietà da parte dell'ente pubblico dal piano risar
citorio sono esatte, la diseconomia che grava sul creditore per il mancato tempestivo godimento dell'equivalente di denaro del bene leso, va liquidata con riferimento non al valore corrente
al momento della liquidazione, ma al valore del bene cosi come
è stato stimato nel momento del verificarsi della fattispecie
acquisitiva-estintiva, cioè nel momento in cui è sorto per il priva to il diritto al controvalore del bene perduto. Se, come è stato
già detto (cfr. Cass. 8 giugno 1979, n. 3243, id., 1980, I, 162), il privato non ha più diritto ai frutti naturali prodotti dal bene, cosi come la pubblica amministrazione non è più tenuta a corri
spondere l'indennità per il suo mancato godimento, perché la ve
rificata fattispecie acquisitiva-estintiva non è più lesiva di alcun
diritto del privato; se, come è stato anche detto, il diritto di cre
dito del privato è insensibile alle eventuali successive sorti positi ve o negative del bene ormai parte integrante dell'opera pubblica, il ritardo, a carico del debitore, non può che rapportarsi al mo
mento in cui il controvalore avrebbe dovuto essere spontanea mente pagato dall'ente pubblico. Se cosi non è stato, in mancan
za di altri elementi probatori, il ritardo va liquidato nella misura
degli interessi legali, rapportati inizialmente al valore del bene al momento della fattispecie acquisitiva. In mancanza di fenome ni inflattivi, non si porrebbero altri problemi, poiché il valore
del bene perduto con la realizzazione dell'opera pubblica rimar
rebbe inalterato. Quando, invece, il potere di acquisto della lira
viene a ridursi, per cui occorre più denaro come mensura del
debito di valore (cfr. Cass. 1464/83), gli interessi legali vanno rapportati non al momento finale della taxatio, ma ai successivi
Il Foro Italiano — 1990.
mutamenti del potere di acquisto della moneta fino al momento
della decisione, nel senso che l'interesse legale, liquidato come
compenso corrispondente al ritardo nella corresponsione del con
trovalore, va calcolato in funzione del detto potere di acquisto. In altri termini, ì'utilitas perduta dal creditore, come debito di
valore, assume una misura crescente per effetto della sopravve nuta svalutazione monetaria, sicché il punto di riferimento per il calcolo degli interessi, non è costante, ma aumenta in relazione
all'aumentare della misura del controvalore del bene perduto. E
la difficoltà di accertare i vari progressivi mutamenti del potere
d'acquisto della moneta, trattandosi di liquidazioni equitative, pos sono essere superate utilizzando indici annuali medi di svalutazione.
Il giudice di rinvio che si designa in altra sezione della Corte
d'appello di Catanzaro, determinerà il danno da ritardo nella mi
sura degli interessi legali, rapportati inizialmente al valore del be
ne al momento della fattispecie acquisitiva, tenendo però conto
dei successivi, eventuali, mutamenti del potere d'acquisto della
moneta fino al momento della decisione.
Con il quinto ed ultimo motivo del proposto ricorso si censura
l'impugnata sentenza per aver determinato l'indennità per occu
pazione legittima facendo ricorso all'usuale criterio di commisu
razione della stessa agli interessi sul capitale rappresentato dal
valore venale del bene al momento della decisione, mentre avreb
be dovuto far riferimento al momento del valore del fondo alla
scadenza dell'occupazione legittima. L'assunto è fondato. Ed infatti l'indennità per il periodo di
occupazione legittima può essere liquidata, in mancanza di altri
elementi offerti dalle parti, in base al calcolo degli interessi legali sull'ammontare dell'indennità espropriativa, quantificata in base
al valore venale del bene medesimo, non rilevando l'eventuale
sfruttamento a fini agricoli al momento dell'occupazione che pri va il proprietario del potere di imprimere al bene una destinazio
ne conforme alla sua effettiva natura (cfr. Cass. 26 novembre
1988, n. 6370, id., Rep. 1988, voce Espropriazione per p.i., n.
138; 15 giugno 1981, n. 3870, id., Rep. 1981, voce cit., n. 305). La liquidazione secondo il criterio degli interessi va fatto sull'in
dennità di espropriazione o sul controvalore del bene, cosi come
determinato al momento del verificarsi della fattispecie acquisitiva
estintiva, quando, come nella specie, per la colpevole inerzia del
la pubblica amministrazione, il procedimento espropriativo non
si è svolto nei tempi e nei modi previsti dall'ordinamento.
Ma, se l'indennità di occupazione legittima non risulta liquida ta dalla pubblica amministrazione che pure aveva disposto l'oc
cupazione d'urgenza né con il decreto iniziale, né con un decreto
successivo, l'indennità stessa va determinata dal giudice tenendo
conto che l'art. 72 1. 2359/1865 regola il procedimento, ma nulla
precisa circa i criteri che devono essere seguiti nella liquidazione stessa. È certo che il proprietario, sia pure legittimamente spos
sessato, deve essere interamente ristorato delle conseguenze del
mancato godimento dell'immobile nel corso dell'occupazione. Ed
è altresì pacifico che il proprietario possa provare l'entità del pre
giudizio subito. In mancanza però, poiché la perdita del godi mento dell'immobile per il periodo di occupazione legittima me
rita di essere comunque indennizzata, la giurisprudenza adotta
il criterio della liquidazione degli interessi legali sul valore venale
del bene da attribuire al proprietario. Se al termine dell'occupa zione legittima, in mancanza del decreto di esproprio si verifica
la fattispecie acquisitiva-estintiva, è a questo momento che va
riferito il valore e quindi anche l'indennità di occupazione legitti ma. Ma può anche accadere che, spirato il termine dell'occupa zione legittima, la pubblica amministrazione continui ad occupa re il bene sine titulo», salvo a realizzare successivamente l'opera
pubblica. Anche in questo caso, l'indennità per l'occupazione le
gittima si determina, in mancanza di altri elementi probatori, nel
la misura degli interessi legali, con riferimento al valore del bene
al momento della scadenza del periodo di occupazione legittima. È questo il momento in cui è cessato il potere di spossessamento
legittimo da parte della pubblica amministrazione ed è a questo momento che va riferito il mancato godimento del bene sotto
forma di interessi legali, cioè come frutti civili, che il privato avrebbe percepito se gli fosse stato corrisposto al termine dell'oc
cupazione un somma pari al valore venale del cespite. Il giudice di rinvio sopra designato determinerà l'indennità di
occupazione legittima nella misura degli interessi legali con ri
guardo al valore che il bene aveva al momento dello spirare del
l'occupazione stessa.
This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 12:16:18 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions