sezione I civile; sentenza 19 ottobre 1990, n. 10171; Pres. Granata, Est. Lupo, P.M. Tridico(concl. parz. diff.); De Sisto (Avv. Bosso, Pronzello) c. Banca popolare di Novara (Avv. Contaldi,Casella, Gambino). Conferma App. Torino 11 febbraio 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2153/2154-2157/2158Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185567 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
lare e non quelli già in corso, che rimanevano regolati dalla
normativa (usuale) preesistente. È vero che il provvedimento dell'autorità rendeva applicabile
la 1. n. 1913 del 1939 che dispone che i contratti di borsa a
termine conclusi senza che nessuna delle parti abbia effettuato
il deposito non sono validi; ma tale sanzione di nullità riguarda soltanto i contratti stipulati «nel periodo di tempo opportuno in relazione alle condizioni del mercato» individuato dall'auto
rità ai sensi del precedente comma, e cioè non tutti i contratti
già in corso, ma solo quelli conclusi (come si esprime la legge, che ha riguardo al momento della stipulazione e non al momen
to dell'efficacia) nel periodo di tempo suddetto: nella specie, dal 17 giugno 1981 in poi. La limitazione temporale del provve dimento autoritativo e la sua mancanza di retroattività risulta
no dalla lettera e dalla ratio della norma, che intende fornire
alla pubblica amministrazione gli strumenti per correggere le
distorsioni del mercato, per un certo periodo di tempo, di mo
do che il 2° comma si deve leggere in stretta correlazione col
10 comma e cioè con la limitazione di durata dei provvedimenti al periodo di tempo opportuno, in relazione alle condizioni di
mercato.
Col terzo motivo, il Nico denuncia la violazione e falsa appli cazione della teoria della presupposizione e degli usi di borsa, dell'art. 1 1. 10 novembre 1954 n. 1079 e degli art. 1256 e 1463
c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), osservando che il
contratto a premio, proprio per le caratteristiche facoltà in esso
previste di negoziare espertamente i titoli, tende a far cogliere tutte le opportunità che il mercato offre, e che il termine e le
facoltà nello spatium deliberandi previste dal contratto a pre mio sono elementi essenziali e decisivi; senonché l'aspetto dina
mico del contratto a premio è rimasto paralizzato dai provvedi menti Consob, nonostante che l'aspetto stesso sia stato pun tualmente garantito dagli usi di borsa.
A seguito dei provvedimenti della Consob e del ministro del
tesoro, il Nico si era trovato nell'assurda situazione di non po ter negoziare i titoli in questione perché non li aveva in possesso ed anche se avesse esercitato la facoltà di acquistarli subito, la manovra si era ridotta, in quanto i provvedimenti suddetti, mediante il blocco d'imperio delle contrattazioni non a contanti
impedirono che il contratto si perfezionasse. I contratti a pre mio sono quasi sempre stipulati in combinazione con diverse
quote di fisso, allo scopo di limitare o modificare il rischio an
che in operazioni più complesse; il premista ha la possibilità di modificare nell'arco del termine il proprio campo d'azione
e limitare il rischio assunto; rischio e possibilità d'intervento
valutati alla stregua del termine, che è elemento essenziale del
contratto. La diminuzione ad imperio del termine ha quindi pa ralizzato il mercato del premio.
Col quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e fal
sa applicazione degli art. 1467 e 1469 c.c., nonché degli art.
1176 e 1375 c.c., con difettosa motivazione su un punto decisi
vo (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), osservando che al mercato azio
nario accede anche il singolo non dotato di specifiche conoscen
ze e l'ambito di applicazione dell'art. 1467 c.c. diventa operati vo in caso di sopravvenienza di circostanze da ritenersi
obiettivamente prevedibili, ma che sono oggettivamente al di
là del potere di previsione dell'uomo medio. La circostanza del
factum principis, pur se prevedibile, intervenuta a determinare
un mutamento del rapporto di valore fra le prestazioni, laddove
ha impedito all'operatore di negoziare i titoli nello spatium de
liberandi, accompagnata ad un'eccessiva onerosità, è divenuta
causa di risoluzione, perché l'accordo originario non è più me
ritevole di tutela.
Il ricorrente, rilevato che il dont non è un contratto aleato
rio, ma commutativo e che è comunque soggetto alle regole dell'eccessiva onerosità, in quanto l'alea prevista è tipflca e non
illimitata, osserva che i provvedimenti della Consob sono estra
nei al concetto stesso di alea perché alterano gravemente l'equi librio contrattuale, sì da rendere accoglibile la domanda di riso
luzione per eccessiva onerosità.
Il factum principis era stato eccepito e tale eccezione avrebbe
dovuto dissuadere la banca dall'addebitare il premio sul conto
di controparte; non era certo nell'interesse della controparte che
la banca si era comportata, incamerando il premio. Col quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art.
1468 c.c. e l'omessa motivazione su un punto decisivo (richiesta
11 Foro Italiano — 1991.
di riduzione del prezzo), osservando che in sede di merito aveva
chiesto, subordinatamente, che l'importo del premio avrebbe
dovuto essere commisurato al numero delle giornate disponibi li, con l'esigenza di un ricalcolo, che valesse comunque ad im
pedire un danno sproporzionato a carico del premista. Sul pun to vi è stato assoluto silenzio della corte ed il vizio di omessa motivazione era palese.
I tre motivi vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
La problematica sollevata con essi è stata già presa in esame, da questa sezione, con varie sentenze (fra cui la n. 4825 del
4 agosto 1988 e la n. 4857 del 6 agosto 1988, id., 1989, I, 415) che hanno respinto tutte le argomentazioni del ricorrente, per cui è sufficiente rinviare alle suddette motivazioni, non essendo
stato prospettato alcun profilo che non sia stato già ampiamen te esaminato (si vedano, in particolare quelli della presupposi
zione, dell'impossibilità sopravvenuta totale o parziale e della
risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta).
È, poi, evidente che quest'ultimo profilo non può essere ac
colto, contrariamente a quanto si legge nella memoria, per quanto
riguarda l'asserita eccessiva onerosità dell'importo del premio commisurato al numero delle giornate disponibili, a fronte della
notevole decurtazione del periodo di tempo entro il quale il pre mista avrebbe potuto esercitare la propria scelta. Invero, detta
decurtazione è dipesa, come è stato dimostrato nei richiamati
precedenti, da un mutamento delle regole del mercato che non
può considerarsi imprevedibile nel particolare settore delle con
trattazioni di borsa, ma anzi connaturato con quel mercato, sia per gli operatori professionali che per quelli occasionali. Il
problema della determinazione, in concreto, della eccessiva one
rosità, perde quindi rilevanza (anche sotto il profilo dell'art.
1468 c.c., ammesso e non concesso che il contratto de quo sia
con obbligazioni di una sola parte, per quanto attiene al rap
porto fra opzione e premio) perché anche il rimedio dell'art.
1468 è concesso «nell'ipotesi prevista dall'articolo precedente» e cioè soltanto nel caso di verificarsi di «avvenimenti straordi
nari ed imprevedibili; imprevedibilità che — si ripete — non
si riscontra nei provvedimenti dell'autorità preposta alle borse.
Nella discussione orale, il difensore del ricorrente ha ammes
so che la censura — contenuta nella memoria — inerente al
comportamento della banca, che avrebbe dovuto non dare se
guito all'acquisto dei titoli, per il prezzo pattuito, ma avrebbe
dovuto limitarsi (secondo buona fede) ad incamerare il premio, non si attaglia alla fattispecie, nella quale la banca si comportò
appunto in tal modo, limitandosi ad incamerare il premio; ma
tale deduzione difensiva costituisce la migliore risposta a quella
parte del quarto motivo in cui si addebita alla banca, come
contrario a buona fede, l'incameramento del premio, in quanto il premista aveva già comunicato la sua volontà di risolvere il
contratto. Invero, non era nel potere del premista la facoltà
di risolvere il contratto, ma solo quello di scegliere fra la sua
esecuzione totale e l'abbandono del premio. La seconda alter
nativa, secondo quanto si legge nella stessa memoria del ricor
rente, è quella improntata a correttezza e buona fede.
Rigettato il ricorso principale, quello incidentale è assorbito, non avendo il resistente interesse alla cassazione della sentenza
sul punto (espressamente deciso) dell'inammissibilità dell'appello.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 otto
bre 1990, n. 10171; Pres. Granata, Est. Lupo, P.M. Tridi
co (conci, parz. diff.); De Sisto (Avv. Bosso, Pronzello) c. Banca popolare di Novara (Avv. Contaldi, Casella, Gam
buto). Conferma App. Torino 11 febbraio 1987.
società — aocieia cooperativa — Assemoiea — xiiiiiua uegii amministratori — Votazioni su schede con nomi prestampati
predisposte dal consiglio di amministrazione — Legittimità — Condizioni (Cod. civ., art. 2532, 2535).
È legittimo in sede di votazione per il rinnovo delle cariche sociali
(nella specie di società cooperativa) avvalersi di schede nelle
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2155 PARTE PRIMA 2156
quali siano prestampati i nomi dei candidati proposti dal con
siglio di amministrazione, se è salvaguardata, mediante espli cito richiamo nel testo della scheda, la facoltà di ogni socio
di cancellare i nominativi prestampati e sostituirli con altri
di proprio gradimento. (1)
Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato in data
8 maggio 1984 il sig. Franco De Sisto Orsogna convenne davan
ti al Tribunale di Novara la Banca popolare di Novara, soc.
coop, a r.L, esponendo che egli, socio di detta società, aveva
comunicato al consiglio di amministrazione la volontà di porre la sua candidatura alla carica di consigliere di amministrazione; che il suo nome non era stato inserito tra quelli prestampati sulle schede predisposte per la votazione, recanti i nomi dei can
didati proposti dal consiglio; e che la presidenza dell'assemblea
non aveva accolto la sua richiesta di aggiungere il suo nome
a quelli prestampati. Dedusse, quindi, l'illegittimità si tale com
portamento, di cui assumeva essere riprova il fatto che nel cor
so dell'assemblea i sindaci in carica, avv. Giulio Cesare Allegra e Marco Broggi, avevano rassegnato le dimissioni e immediata
mente si erano candidati come consiglieri di amministrazione.
Concluse per l'annullamento della delibera di rinnovo delle ca
riche sociali adottata il 25 marzo 1984.
Costituitosi il contraddittorio, in comparsa conclusionale l'at
tore chiese anche l'annullamento «dell'elezione di tutti coloro
che risultavano incompatibili per legge con la carica» alla quale erano stati eletti.
Il tribunale (sentenza 31 ottobre 1985), ritenendo che il Di
Sisto avesse concorso all'approvazione della delibera impugna
ta, dichiarò improponibile l'impugnazione oggetto dell'atto in
troduttivo nel giudizio, e giudicò inammissibile la domanda con
tenuta nella comparsa conclusionale.
Il Di Sisto propose gravame, chiedendo, in via principale, l'annullamento della delibera di rinnovo delle cariche sociali e, in subordine, l'annullamento della parte di essa concernente la
nomina dei soci Allegra e Broggi a consiglieri di amministrazione.
Con sentenza 11 febbraio 1987 la Corte d'appello di Torino
CForo it., Rep. 1987, voce Società, n. 444), in parziale riforma
della decisione del primo giudice, respinse l'impugnazione av
verso la delibera di rinnovo delle cariche sociali e dichiarò inam
missibile la domanda subordinata.
La corte osservò che l'impugnativa della delibera assembleare
da parte del Di Sisto doveva considerarsi proponibile, avendo
egli tempestivamente manifestato il proprio dissenso rispetto al
metodo di votazione seguito, ma era infondata nel merito, in
quanto — non dettando le norme del codice civile, in materia
di società cooperative, alcuna disposizione circa la presentazio ne delle candidature e le modalità della votazione per la nomina
alle cariche sociali, e non sussistendo nello statuto alcuna nor
ma che impedisse al consiglio di amministrazione di proporre
(1) Per la prima volta la Corte di cassazione si pronuncia, afferman done la compatibilità con il nostro ordinamento societario, sull'utilizza zione di schede prestampate nelle votazioni per l'elezione degli organi (amministrativi) societari, pur precisando che tale modalità di votazione
(particolarmente ricorrente nelle società cooperative, sebbene non estra nea alla prassi statutaria delle società di capitali: cfr. U. Morera e G. Niccolini, Spigolature da un Busart: gli statuti di società nei fasci coli regionali Marche del 1987, in Riv. dir. comm., 1990, I, 370) deve, comunque, salvaguardare la possibilità per i soci di esprimere candida ture diverse. Conformemente orientati: Trib. Reggio Emilia 22 maggio 1989, Foro it., Rep. 1989, voce Società, n. 513 (e Società, 1989, 1265, con osservazioni di V. Salafia); Trib. Bari 20 dicembre 1988, Foro
it., Rep. 1989, voce cit., n. 516 (e Nuova giur. civ., 1989, I. 741, con nota di C. Ciriello, Società cooperativa. Elezione alle cariche sociali, nonché in Giur. comm., 1989, II, 741 con nota A. Antonucci, Note in tema di nomina di amministratori di enti creditizi, schede prestampa te e decadenza dall'ufficio); App. Torino 11 febbraio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 444, ora confermata dalla sentenza in epigrafe. Contra, Trib. Sulmona 17 luglio 1986, id., 1987, I, 3183, con nota di richiami, cui adde, Pret. Novara, ord. 18 marzo 1986, id., Rep. 1987, voce Provvedimenti di urgenza, n. 195 (e Foro pad., 1986, I, 459, con nota di M. Galli, La scheda del pretore, ovvero la «democrazia» as sembleare, i diritti dei soci e l'interesse sociale). Da ultimo, Pret. Nova ra, ord. 15 marzo 1988, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 171 (e Giur.
comm., 1988, II, 1017, con nota di A. Monteverde, La votazione dei soci dipendenti e altre questioni).
In dottrina, da ultimo, vedi F. Bonelli, R. Sacchi, L'intervento ed il voto nell'assemblea della s.p.a. Profiliprocedimentali, Torino, 1990, 87-88.
Il Foro Italiano — 1991.
la candidatura di determinati soci — la prestampa delle schede
coi nomi dei candidati proposti doveva considerarsi legittima,
quale strumento per portare a conoscenza dei votanti i nomi
dei candidati «raccomandati» dal consiglio; e che la facoltà di
ciascun votante, richiamata nel testo della scheda, di cancellare
uno o più nominativi e di sostituirli con altri, permetteva a cia
scuno di dissentire dalla proposta del consiglio e di votare per
qualsiasi altro socio. Rilevò, inoltre, che la domanda subordi
nata di annullamento parziale della delibera, limitatamente agli eletti Allegra e Broggi, era nuova nella causa petendi e nel peti
tum, risolvendosi in una domanda di decadenza di singoli con
siglieri eletti, per asserita loro incompatibilità, che presuppone va la validità e l'efficacia della votazione.
2. - Avverso questa pronuncia il Di Sisto ha proposto ricorso
per cassazione, in base a due motivi. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la Banca popolare di Novara, che ecce
pisce l'inammissibilità del ricorso, producendo, ex art. 372 c.p.c., documenti a sostegno della dedotta inammissibilità.
Motivi della decisione. — 1. - Pregiudizialmente, va esamina
ta l'eccezione di inammissibilità del ricorso, dedotta dalla Ban
ca popolare di Novara sotto due distinti profili. Sotto un primo profilo la resistente deduce l'inammissibilità
del ricorso per effetto della perdita, da parte del ricorrente, del
la legittimazione ad agire e dell'interesse ad agire, ricollegando entrambe le vicende al venir meno della sua qualità di socio, a seguito della sua esclusione dalla società nel corso della lite, e produce documenti che dovrebbero comprovare tale esclusione.
In realtà, la legittimazione cui la resistente fa riferimento, si identifica con la titolarità della posizione soggettiva fatta va
lere dal Di Sisto Orsogna nel processo, ed attiene, quindi, al
merito. Egualmente, attiene al merito della dedotta carenza del
l'interesse ad agire del ricorrente, in quanto lo stesso interesse
sarebbe venuto meno per il venir meno della posizione sostan
ziale, in dipendenza della cessazione della situazione giuridica
soggettiva sostanziale dedotta con l'atto introduttivo del giudi zio di primo grado.
Sotto aspetti diversi è, quindi, fatta valere una questione di
merito, che non può essere proposta in sede di legittimità, e
la cui prova non può essere ricondotta nell'ambito dell'art. 372
c.p.c., al quale sono estranee le questioni di merito. (Omissis) 2. - Col primo motivo il ricorrente deduce che la corte di
merito non ha considerato che il sistema delle schede prestam
pate coi nominativi dei candidati proposti dal consiglio di am
ministrazione lede il principio della parità di trattamento dei
soci, posto a base della disciplina legale e statutaria delle socie
tà cooperative, desumibile dall'art. 2532, 2° comma, c.c., e non
suscettibile di deroga neppure da parte dell'assemblea dei soci.
Secondo il ricorrente, non sarebbe, perciò, consentito al consi
glio di amministrazione raccomandare certe candidature, anche
perché un'attività di propaganda da parte di questo organo vio
lerebbe la libertà di espressione del voto e favorirebbe alcuni
soci, finanziandone la campagna elettorale con denaro della
società.
Il motivo è infondato. Il giudice del merito, con apprezza mento insindacabile, ha accertato che, nella fattispecie, «la fa
coltà di ciascun socio votante, espressamente richiamata nel te
sto della scheda, di cancellare uno o più nominativi a stampa e di sostituirli con altri, da indicarsi nelle apposite righe», pone va ciascun votante nella condizione di dissentire dalla proposta del consiglio, e di votare qualsiasi altro socio, ancorché non
ufficialmente candidato per la nomina; e che la prestampa delle
schede coi nomi dei candidati proposti, altro non era che il mezzo
per pubblicizzare e portare a conoscenza dei soci votanti i can
didati segnalati dal consiglio. Ha poi stabilito che «l'agevolazione» procurata mediante tale
sistema ad uno o più canditati, era puramente eventuale, in quan to «espressione della continuità stessa dell'indirizzo di gestione
sociale, basata su una sorta di fiducia dei soci che si comunica
dal consiglio uscente a quello subentrante, e che diviene, inve
ce, inefficace e, anzi, controproducente, quando tale rapporto fiduciario interno viene meno».
Sulla base di tali valutazioni la sentenza impugnata ha, quin
di, statuito che il principio della parità di trattamento tra i soci, invocato dal Di Sisto, inteso come espressione del diritto di elet
torato attivo (esercizio del voto in assemblea) e di elettorato
passivo (possibilità di accedere alle cariche sociali), riconosciuto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dalla legge (art. 2532 e 2535 c.c.) e dallo statuto sociale (art. 12 e 21) ad ogni socio, non era stato leso con le modalità di
votazione stabilite con la deliberazione di rinnovo delle cariche
sociali nell'assemblea del 25 marzo 1984; e che, in mancanza
di specifica, diversa previsione della legge e dello statuto, all'or
gano amministrativo non era precluso propone candidature di
determinati soci all'assemblea.
3. - Le enunciazioni della corte non meritano censura.
In particolare, va condiviso il principio che nella votazione
per le cariche sociali della società cooperativa è legittimo avva
lersi di schede stampate con i nomi dei candidati proposti dal
consiglio di amministrazione, se è salvaguardata la facoltà di
ogni socio, mediante esplicito richiamo nel testo della scheda, di cancellare i nominativi e sostituirli con altri di proprio gradi
mento, in quanto tale sistema non viola l'esercizio del diritto
di elettorato attivo e di elettorato passivo, che deve essere inde
rogabilmente assicurato in modo paritario ai soci.
Questa affermazione si basa sulle seguenti argomentazioni. Il rilievo che nelle società cooperative assume la persona del
socio (di cui è espressione la norma che attribuisce ad ogni so
cio persona fisica un solo voto in assemblea) non esclude che
anche in questo tipo di società gli amministratori, in ragione della loro posizione nell'ambito della struttura societaria, ab
biano il potere-dovere di formulare proposte, indicando le solu
zioni che meglio rispondano all'interesse sociale. In questo potere
dovere, che può essere esercitato in modo formale, utilizzando,
quindi, anche le strutture sociali, trova giustificazione la facoltà
dell'organo di amministrazione di segnalare su schede prestam
pate i nomi di tutti o di alcuni dei candidati; ferma la prerogati va dell'assemblea di valutare le modalità di votazione proposte e di stabilirne autonomamente altre, nel rispetto del principio
maggioritario. Nel contesto ed in correlazione col principio della parità di
elettorato attivo e passivo deve essere considerato anche il pro filo della legittimità o meno dell'impiego di denaro sociale per sostenere i candidati proposti dal consiglio; profilo che, in se
e per se, non rileva sul piano formale, quando il comportamen to degli amministratori si conformi all'interesse sociale e non
risulti pregiudicata l'attuazione di quel principio. Né può dirsi che la preferenza espressa dal consiglio di ammi
nistrazione determini una sperequazione a vantaggio dei candi
dati da questo indicati a svantaggio degli altri, perché — come
ha puntualmente rilevato la corte d'appello — le aspettative dei
candidati proposti sono legate al maggiore o minore credito di
cui il consiglio gode in concreto, ed essa può, quindi, risolversi
in un rifiuto delle indicazioni, proprio perché provenienti dal
consiglio di amministrazione.
Neanche può ritenersi che il sistema delle liste prestampate violi la libertà di espressione del votante, perché la garanzia di segretezza del voto e la consapevolezza, che ogni socio deve
acquisire, informandosi con diligenza e senso di responsabilità delle vicende societarie, in ordine all'importanza della manife
stazione di volontà che col voto intende esprimere, escludono
apprezzabili condizionamenti alla libertà individuale. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 9 ot
tobre 1990, n. 9928; Pres. Brancaccio, Est. Giustiniani, P.M.
Di Renzo (conci, conf.); Cocchi (Avv. Ritarossi) c. Parroc
chia della chiesa collegiata di S. Maria Annunziata in Fumo
ne. Conferma Trib. Frosinone 9 luglio 1986.
Chiesa ed edifici di culto — Banco in chiesa — Diritto — Valu
tazione discrezionale dell'autorità ecclesiastica — Giudice ita
liano — Difetto di giurisdizione (L. 25 marzo 1985 n. 121,
ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addiziona
le, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modifi
cazioni al concordato lateranense dell'11 febbraio 1929 tra
la Repubblica italiana e la Santa Sede: accordo, art. 2).
La controversia sul diritto del fedele «al banco» in chiesa (nella
specie, manutenzione del possesso), implicando la valutazio
li Foro Italiano — 1991.
ne dell'esercizio del potere dell'autorità ecclesiastica in ordine
al culto ed alle modalità di esso, non rientra nella giurisdizio ne del giudice italiano. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Alatri
dell'8 luglio 1980 i germani Arsenio e Francesco Cocchi espone vano d'avere diritto al banco nella chiesa collegiata di Fumone, denominata della S. Maria Annunziata, quali discendenti dei
sig. Cocchi, che tale diritto avevano acquisito con atti 31 agosto
1854, per notar Crescenzi di Veroli, ed 11 novembre 1911 per notar Fiorilli di Veroli, e di aver essi continuato a possedere tale diritto pubblicamente, pacificamente e tranquillamente, fin
ché in data 21 febbraio 1980 il rev. don Cristoforo d'Amico,
(1) La decisione (che trova un lontano precedente in termini nella
giurisprudenza di merito: Pret. L'Aquila 28 maggio 1951, Foro it., Rep. 1951, voce Banco in chiesa, n. 1 e, per esteso, in Dir. eccles., 1951, 1171, con osservazioni di Barillaro) ha il sapore di una testimonianza a futura memoria dato che il nuovo codex iuris canonici ha cancellato
quelle vestigia della chiesa tridentina — quali i diritti di banco o di affaccio (coretto, tribuna, ecc.: cfr., per queste nozioni, Petroncelli, Diritto canonico, Napoli, 1980, 312) — legate ad una visione delle ac tiones liturgicae come actiones privatae, cui assistere semplicemente (pos sibilmente in posizione comoda e cum praeminentia) invece che parteci pare attivamente.
Nell'intento di restituire alla liturgia il carattere di azione «apparte nente all'intero corpo ecclesiale» (cost. Sacrosanctum concilium, n. 26) il secondo concilio vaticano — che costituisce il «punto di riferimento» del nuovo codex: cfr., su questa relazione, Feliciani, Codice di diritto
canonico, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, VI, 4 — con una norma di carattere immediatamente precettivo, inserita tra quelle basate sulla «natura comunitaria della liturgia», aveva dispo sto che, «tranne gli onori dovuti alle autorità civili a norma delle leggi liturgiche, non si faccia alcuna preferenza di persone private o di condi zioni sociali, sia nelle cerimonie sia nelle solennità esteriori» (ibid., n.
32): di guisa che — precisò la S. Congregazione dei riti nella successiva instructio del 26 settembre 1964 — «è da riprovare la consuetudine di riservare dei posti a persone private».
A questo privilegio — di carattere odioso perché si risolve in un pre giudizio degli altri fedeli ed entra quindi in collisione con la loro «vera
eguaglianza» (cost. Lumen gentium, n. 32) — si riteneva tralaticiamen te conferisse legittimità un passo della lettera di Paolo ai romani (13,7), in cui questi vengono esortati a dare alle autorità civili «ciò che è dovu to: a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi l'onore, l'onore». Fondamento scritturistico del diritto di banco, questo, davve ro fantasioso: infatti, è di per sé «banale e priva di interesse questa esortazione: fate quello che già fate», come rilevava nel classico com
mento di quella lettera Karl Barth, L'epistola ai romani, Milano, 19782, 472, che la trovava significante solo come dimostrazione della «grande possibilità negativa di Dio».
In realtà la giustificazione della dignior sedes in ecclesia (per ripren dere la dizione del can. 1445.3 del codex pio-benedettino) era di natura economica e trovava fondamento nella benemerenza, quando non pro
prio in un pagamento sotto forma di offerta (Jemolo, Lezioni di diritto
ecclesiastico, Milano, 1979, 390), del benefattore-protettore, legato alla chiesa da vincoli bilaterali.
Non è stato mai, a partire dalla dottrina canonistica classica (ampia mente richiamata da L. De Luca, Banco in chiesa, voce dell'Enciclope dia del diritto, Milano, 1959, V, 23), oggetto di dubbio che il detto
privilegio non configuri un diritto di proprietà. Qualche dubbio può sorgere nei casi in cui si tratti di situazioni precostituite dal privato
proprietario della chiesa prima dell'apertura della stessa al culto: s'è
ipotizzato, infatti, per le porzioni immobiliari riservategli ad uso di co
retto, o di cappella funeraria, ecc. un «diritto di proprietà residuale» in un quadro di «servitù reciproche fra parti rispettive dell'edificio»
(Zanchini, Di Castiglionchio, Edifici di culto, voce dell' Enciclopedia
giuridica Treccani, Roma, 1989, XII, 39). In tali casi, quindi, il patrono subirebbe una servitù, che viceversa
(nei casi ordinari, e di gran lunga più frequenti in passato, di costitu
zione del privilegio da parte dell'ente ecclesiastico proprietario dopo
l'apertura al culto della chiesa) opera a suo favore.
Ed invero per spiegare la natura ed il fondamento giuridico dell'uso del
banco riservato la dottrina e la giurisprudenza meno recenti facevano ri
corso allo schema del diritto di servitù (quando non di superficie), sia pu re sui generis: «servitù personale irregolare o, con maggiore esattezza, ca
ratteristico iusin re» (Cass., sez. un., 15 dicembre 1928, Foro it., 1929,1,246). Ma in realtà la validità di questo schema appare destituita di fonda
mento, in particolare e in generale. Con riferimento al diritto di banco, che concerne non una porzione immobiliare della chiesa ma l'uso di
un mobile, di regola non infisso stabilmente al suolo (come il giudice di merito ha rilevato anche nella specie), è da escludere, invero, l'espe ribilità dell'azione di manutenzione, siccome relativa solo a beni immo
bili (conf. Jemolo, op. cit., 392; anche De Luca, op. cit., 26, con
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ERRATA CORRIGE
A colonna 337 della parte quarta, in calce all'articolo di E. Cannizzaro è stata omessa la seguente avvertenza: «Il presente lavoro è un anticipo della ricerca finan ziata dal Cnr sul tema: La predisposizione normativa ed organizzativa dell'integra zione dei mercato unico europeo negli ordinamenti interni della Cee, promossa dal Cesifin (Centro per lo studio delle istituzioni finanziarie), diretta dal prof. A. Pre dieri. (Contratto n. 89.01169.26)».
A colonna 690 della parte prima, la data della sentenza n. 467 della Corte costituzio nale è 16 ottobre 1990 e non 13 ottobre 1990.
A colonna 893 della parte prima, l'anno della sentenza della Corte di cassazione è 1990 e non 1989.
A colonna 1313 della parte prima, il numero dell'ordinanza della Corte costituziona le del 15 maggio 1990 è 254 e non 250.
A colonna 2154 della parte prima, l'estensore della sentenza della Corte di cassazio ne è V. Proto e non E. Lupo.
A colonna 2320 della parte prima, nel testo della sentenza della Corte costituzionale, all'ultimo rigo, dopo il punto si deve leggere: «Con il mettere in discussione la
possibilità di operare tale riduzione per una certa categoria di delitti, viene necessa riamente messa in discussione anche la possibilità di avvalersi di quel procedimento speciale».
A colonna 2444 della parte prima, il titolo della osservazione di C.M. Barone va così integrato: «Ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria e giudizio di oppo sizione».
A colonna 3000 della parte prima, la data della sentenza della Corte costituzionale è 6 febbraio 1991 e non 28 gennaio 1991.
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