sezione I civile; sentenza 22 aprile 1989, n. 1929; Pres. ed est. Vela, Rel. Jofrida, P.M.Romagnoli (concl. diff.); Cortis e Amore (Avv. Fabbri) c. Codazzi. Conferma App. Roma 30marzo 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 955/956-957/958Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184584 .
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PARTE PRIMA
tributiva» ai fini previdenziali va, però, coordinata con la più
ampia definizione di «retribuzione annua contributiva» di cui al
l'art. 30, 3° comma, 1. 26 aprile 1983 n. 131, di conversione del
d.l. 28 febbraio 1983 n. 55 (recante provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l'anno 1983), che è cosi enun
ciata: «per le casse pensioni dipendenti enti locali, sanitari ed
insegnanti degli istituti di previdenza, la retribuzione annua con
tributiva, definita dagli art. 12, 13 e 14 1. 11 aprile 1955 n. 379,
è costituita dalla somma degli emolumenti fissi e continuativi do
vuti come remunerazione per l'attività lavorativa».
Stante il carattere generale di tale definizione, essa vale in so
stituzione o a modifica dell'art. 11 1. n. 152 del 1968, cosicché
il quesito che si poneva nella specie era se l'indennità di coordi
namento fosse o meno un emolumento fisso e continuativo dovu
to come remunerazione per l'attività lavorativa prestata. E ciò
tenuto conto dell'applicabilità dell'art. 30, 3° comma, 1. n. 131
del 1983, in considerazione della data del collocamento a riposo dello Schininà (1° febbraio 1985).
Il tribunale ha dato risposta negativa al suddetto quesito, ma — a parere di questa corte — erroneamente e con motivazione
illogica. Anzitutto, come si evince dall'art. 8 d.p.r. 20 dicembre 1979
n. 761 (stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali),
non può dubitarsi che il coordinatore amministrativo dell'ufficio
di direzione dell'unità sanitaria locale svolga una determinata at
tività lavorativa connessa con la funzione, per la quale (5° com
ma) «deve possedere specifiche esperienze in servizi tecnico
amministrativi dell'organizzazione sanitaria», consistendo il suo
incarico, come quello del coordinatore sanitario, nell'assicurare
«il conseguimento degli obiettivi stabiliti dagli organi della unità
sanitaria locale e i relativi adempimenti da parte dei servizi» (6°
comma). Per tale attività è prevista la corresponsione ai coordi
natori (amministrativi e sanitari) di «una indennità nella misura
stabilita dall'accordo nazionale unico» (9° comma). L'art. 44 d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348 (norme risultanti dalla
disciplina prevista dagli accordi per il trattamento economico del
personale delle unità sanitarie locali) stabilisce a favore dei coor
dinatori amministrativi e sanitari, ai sensi dell'art. 8 d.p.r. n.
761 del 1979, «una indennità differenziata fissa annua lorda e
costante» (che è di lire 2.800.000 per unità sanitaria locale fino
a 150.000 abitanti e di lire 3.600.000 per unità sanitaria locale
superiore ai 150.000 abitanti, ovvero con presenza di una struttu
ra ospedaliera generale ex regionale). L'indennità annua di coordinamento, definita dall'art. 44 d.p.r.
n. 348 del 1983 «fissa» e «costante» rientra pienamente nel con
cetto di «retribuzione annua lavorativa» quale «somma degli emo
lumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazione per l'atti
vità lavorativa» di cui all'art. 30, 3° comma, 1. n. 131 del 1983,
di conversione del d.l. n. 55 del 1983; questa norma, col richia
mare l'art. 12 1. 11 aprile 1955 n. 379 (miglioramenti dei tratta
menti di quiescenza e modifiche agli ordinamenti degli istituti di
previdenza presso il ministero del tesoro), recepisce altresì il con
cetto di «retribuzione annua contributiva» come «parte fissa e
continuativa del complesso degli emolumenti che l'iscritto perce
pisce nell'intero anno».
Ora, indubbiamente l'indennità annua di coordinamento è un'in
dennità lavorativa «fissa» perché è cosi espressamente definita
dall'art. 44 d.p.r. n. 348 del 1983, ed è anche un'indennità «con
tinuativa» perché definita da questa stessa norma come «costan
te» e perché connessa con lo svolgimento di un incarico continua
tivo, di cui costituisce il corrispettivo, avendo l'incarico di coor
dinatore una durata non inferiore a tre anni, con possibilità di
rinnovo senza limiti numerici (art. 8, 7° comma, d.p.r. n. 761
del 1979), e, quindi, essendo un incarico, ancorché temporaneo, tuttavia di «lunga durata» e, conseguentemente, continuativo.
Illogicamente la sentenza impugnata, sul rilievo della tempora neità dell'incarico di coordinatore, ha negato il carattere conti
nuativo del relativo compenso, e ciò senza considerare: a) che, richiamando l'art. 30, 3° comma, 1. n. 131 del 1983, di conver
sione del d.l. n. 55 del 1983, ai fini della «retribuzione annua
contributiva», tra gli altri, l'art. 12 1. n. 379 del 1955, e qualifi cando il 3° comma di quest'ultimo articolo la «retribuzione an
nua contributiva» come «la parte fissa e continuativa del com
plesso degli emolumenti che l'iscritto percepisce nell'intero an
no», il carattere di continuità della stessa (e dei singoli componenti) non può che riferirsi all'arco di ciascun anno; b) che continuati
vità del compenso non equivale a definitività dello stesso, come
Il Foro Italiano — 1990.
sembra opinare l'impugnata sentenza che il carattere continuati
vo dell'indennità di coordinamento ha negato sul semplice rilievo
della sua temporaneità, collegata alla temporaneità dell'incarico
di coordinatore, perché per continuativo deve intendersi ciò che
è normale ed ha attitudine a continuare in contrapposto a ciò
che è saltuario o precario. Le altre considerazioni del ricorso rimangono assorbite.
Ne deriva che il ricorso va accolto e che l'impugnata sentenza
va cassata con rinvio della causa ad altro giudice d'appello, che
si designa nel Tribunale di Siracusa (sezione lavoro), il quale,
nel procedere a nuovo esame, si atterrà al seguente principio:
«Ai sensi degli art. 4 e 11 1. 8 marzo 1968 n. 152, 30 1. 26
aprile 1983 n. 131 (di conversione del d.l. 28 febbraio 1983 n.
55), 12 1. 11 aprile 1955 n. 379, 44 d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348 e 8 d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, l'indennità di coordinamento
spettante al coordinatore amministrativo dell'unità sanitaria loca
le, fa parte della retribuzione annua contributiva, per il suo ca
rattere di fissità e di continuatività, ed è computabile nell'inden
nità premio di servizio dovuta dall'Inadel».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 aprile
1989, n. 1929; Pres. ed est. Vela, Rei. Jofrida, P.M. Roma
gnoli (conci, diff.); Cortis e Amore (Aw. Fabbri) c. Codazzi.
Conferma App. Roma 30 marzo 1987.
Arbitrato e compromesso — Lodo arbitrale rituale — Mancata
dichiarazione di esecutività — Impugnazione per nullità — Inam
missibilità (Cod. proc. civ., art. 823, 825, 827, 828; 1. 9 feb braio 1983 n. 28, modificazioni alla disciplina dell'arbitrato, art. 2, 3).
È inammissibile l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale ri
tuale non dichiarato esecutivo dal pretore. (1)
Svolgimento del processo. — Il 26 gennaio 1985 il collegio dei
probiviri del sindacato Fisascat, pronunciandosi sul ricorso pre
sentato da Gennaro Codazzi e su quello proposto da Maria Gra
zia Amore e Luigi Cortis, irrogò alla seconda e al terzo, in appli cazione dell'art. 11 dello statuto dell'associazione, la sanzione del
l'immediata sostituzione da tutte le cariche sociali e la sospensione della loro qualità di soci per cinque mesi.
Il 1° marzo 1985 l'atto fu impugnato per nullità, come lodo
(1) La sentenza ribadisce le enunciazioni di App. Genova 3 gennaio
1986, Foro it., 1986, I, 1987, con nota di richiami, e il rilievo svolto
nella parte motiva di Cass. 9 giugno 1986, n. 3835, ibid., 1525, con osser
vazioni di C.M. Barone; adde, in relazione ad entrambe le pronunzie, vari commenti ricordati da Lotti, Sull'impugnabilità del lodo rituale non
reso esecutivo, in Riv. dir. proc., 1988 , 646 ss. e da Rotfini, Sui lodi
arbitrali non definitivi, ibid., 856 ss. Meritano, inoltre, di essere ricordate
le ulteriori analisi di Schlesinger, L'esecuzione del lodo arbitrale rituale,
ibid., 751 ss. e di Dalla Verità, Note sull'impugnazione del lodo arbi
trale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, 614.
A sostegno dell'affermazione riassunta in massima la corte richiama
il dato normativo, osservando che, pur dopo le modifiche introdotte con
la 1. 9 febbraio 1983 n. 28, sono rimaste inalterate «le disposizioni origi narie concernenti l'acquisizione, al lodo, dell'efficacia di sentenza per mezzo
del decreto pretorile, la qualificazione come sentenza arbitrale del lodo
omologato, la specificazione nell'azione di nullità e nella revocazione dei
mezzi d'impugnazione della sentenza predetta. E questo complesso di di
sposizioni» — prosegue la stessa corte — «preclude di per sé, proprio in quanto sistema, ossia insieme organico di norme, ogni tentativo di
ridurre il problema a questione di pura terminologia, superabile leggendo lodo in luogo di sentenza arbitrale». A questo punto, però, anziché con
cludere il discorso, la riportata sentenza avverte che «con riguardo al
lodo non depositato è sostenibile che l'impugnazione non debba essere diversa da quella riservata al lodo irrituale, ossia agli atti di autonomia
privata». In tal modo, con un obiter dictum, palesemente estraneo alla
controversia e alla sua ratio decidendi, la prima sezione civile, in linea
con alcune opinioni dottrinali, ricordate da Lotti, op. cit., 650, testo
e note, finisce per porre altri problemi (su cui, Punzi, Arbitrato, Arbitra
to rituale e irrituale, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, II,
34), alimentando cosi riserve e perplessità sulla novella del 1983 e sulla
sua idoneità a dare più moderno assetto alla disciplina della materia.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
arbitrale, da Amore e Cortis, i quali convennero innanzi alla Corte
d'appello di Roma il Codazzi e Amedeo Meniconi, quali segretari rispettivamente della Silaf-Cisl e della Fisascat-Cisl. Ma la corte ha dichiarato inammissibile la domanda, perché diretta contro un provvedimento che, ad onta della sua denominazione di «lodo
arbitrale», ha natura non decisoria ma disciplinare, con efficacia «interna all'associazione di categoria», essendo dotato di «imme diato valore esecutivo (art. 11, 6° comma, ultima parte, dello
statuto), mentre i lodi arbitrali . . . riservati alla competenza» della corte «in sede di impugnazione richiedono il previo deposito nel la cancelleria della pretura in cui sono stati pronunciati e la di chiarazione di esecutività, con decreto del pretore, al fine di ac
quistare efficacia di sentenza». Di questa pronuncia chiedono la cassazione Amore e Cortis
con ricorso affidato a due motivi. Codazzi e Meniconi non han no svolto attività difensiva in questa sede.
Osserva in diritto. — Con i due motivi, che si prestano ad una trattazione unitaria, si denuncia:
1) violazione e falsa applicazione degli art. 806 ss. c.p.c., in
particolare degli art. 808, 827 e 828, nonché motivazione insuffi ciente e contraddittoria, perché il fatto che il collegio probivirale avesse irrogato una sanzione disciplinare non doveva far oblitera re che il provvedimento era stato adottato a seguito di una proce dura instaurata e svoltasi nella forma di un vero e proprio proce dimento arbitrale, in conformità di apposite prescrizioni statutarie;
2) violazione e/o falsa applicazione degli art. 823 e 825 c.p.c., come modificati o integrati dagli art. 2 e 3 1. 9 febbraio 1983 n. 28, in quanto la sentenza, dando rilievo all'immediata esecuti vità del provvedimento, ha addotto un argomento tutt'altro che
decisivo, posto che per effetto dei citati articoli il lodo vincola le parti dalla data della sua sottoscrizione e il deposito è solo un onere addossato a chi ha interesse all'esecuzione del provvedi mento in Italia.
Il ricorso non è fondato. È opportuno precisare che un'attenta lettura della sentenza della corte d'appello dimostra che questa ha negato alla deliberazione del collegio probivirale il carattere di provvedimento impugnabile a norma dell'art. 827, non tanto
perché costituisse un «mero provvedimento disciplinare», quanto perché era stata dotata di «immediato valore esecutivo» da un articolo dello statuto dell'associazione sindacale, indipendentemente quindi dal provvedimento pretorile. Infatti, il contenuto del prov vedimento impugnato è bensì esposto per primo, ma come conse
guenza della considerazione svolta in ordine all'esecutività, subi to dopo formulata in maniera esplicativa: si noti, in proposito, 1'«invero» con cui ha inizio il secondo periodo.
Questa motivazione, posta in relazione ed integrata con il da
to, pacifico, che il c.d. lodo non risulta depositato, essendo stato immeditamente impugnato per nullità, resiste alle censure espres se con il ricorso. Infatti, poiché il 5° comma dell'art. 825 c.p.c. (testo attuale) dispone che «il decreto del pretore conferisce al lodo efficacia di sentenza» e poiché avverso tale «sentenza arbi trale» i successivi art. 827 ed 828 rendono esperibile esclusiva mente quello specifico rimedio che è l'impugnazione per nullità
presso la corte d'appello e che in concreto è stato utilizzato dai ricorrenti Amore e Cortis, si deve ritenere, con il giudice a quo, che l'azione è nella specie inammissibile per carenza di oggetto, quali che fossero la materia controversa ed il procedimento previ sto dallo statuto e seguito — dicesi — dai probiviri.
La corte avverte nel secondo motivo (il primo è, per quel che si è appena detto, irrilevante) l'eco di dottrine che, sviluppatesi subito dopo l'emanazione della 1. 9 febbraio 1983 n. 28 ed orien tate per un verso da rendere la disciplina dell'arbitrato conforme a quelle recepite da convenzioni internazionali e da Stati europei, per un altro verso a superare la distinzione fra arbitrato rituale e arbitrato irrituale, sostengono che il lodo è oggi impugnabile anche senza il deposito e l'omologazione. Tuttavia ritiene questa tesi non convincente, ancorché ne riconosca la indubbia suggesti vità in quanto essa elimina radicalmente ogni problema di coor
dinamento fra la parte del codice di procedura modificata e quel la rimasta immutata.
Può essere esatto che la legge del 1983 abbia inteso allineare la disciplina dell'arbitrato alle convenzioni internazionali (special mente a quella di New York del 10 giugno 1958, resa esecutiva
con 1. 19 gennaio 1968 n. 62 e a quella di Ginevra del 21 aprile 1961, resa esecutiva con 1. 10 maggio 1970 n. 418), nonché ad
ordinamenti stranieri i quali ignorerebbero l'omologazione del lo do da parte del giudice. Ma questo è un dato che, come ogni altro procedente dall'individuazione del fine politico perseguito dagli interventi legislativi, può acquistare reale forza orientativa
Il Foro Italiano — 1990.
nell'interpretazione del vigente sistema solo dopo e nella misura in cui se ne sia verificata l'effettiva realizzazione, ossia solo se ed in quanto il detto scopo si sia tradotto in quell'intenzione del
legislatore che l'art. 12 disp. prel. c.c. impone all'interprete di enucleare dal contesto della legge, quale risulta obiettivamente formulata.
In secondo luogo, il richiamo a remote ma mai acquietatesi teorie — peraltro, disattese dalla giurisprudenza — sulla ricondu cibilità del lodo rituale e di quello libero in un'unica categoria, non basta per inferirne che oggi finalmente il legislatore ha rico nosciuto che, avendo entrambi i lodi origine negoziale, non abbi
sognano né l'uno, né l'altro di alcun exequatur. L'argomento non è determinante sia perché forma tuttora oggetto di acceso dibatti to ed è persino condiviso da chi giunge al risultato del tutto op posto di ritenere ineludibile l'impugnazione per nullità del lodo
depositato, sia perché richiede anch'esso, come ogni prospetta zione dottrinaria, il riscontro con il diritto positivo.
Se, dunque, è alle disposizioni del codice di procedura civile che occorre aver riguardo, si deve constatare che l'aggiunta di un comma all'art. 823, disposta con l'art. 2 della legge del 1983, per cui il lodo ha oggi, a differenza che per il passato, «efficacia vincolante tra le parti dalla data della sua ultima sottoscrizione», e l'introduzione, come 2° comma dell'art. 825, operata dall'art. 3 della legge, del principio che la parte la quale «intende eseguire il lodo nel territorio della repubblica è tenuta a depositarlo . . . nel la cancelleria della pretura del luogo in cui è stato deliberato nel termine — perentorio — di un anno dal ricevimento», non hanno
impedito la conservazione delle disposizioni originarie concernen ti l'acquisizione, al lodo, dell'efficacia di sentenza per mezzo del decreto pretorile, la qualificazione come sentenza arbitrale del lo do omologato, la specificazione nell'azione di nullità e nella re vocazione dei mezzi di impugnazione della sentenza predetta. Que sto complesso di disposizioni, tutto imperniato sul concetto —
discutibile de iure condendo, ma inequivocabile de iure condito — che senza decreto pretorile non si ha sentenza arbitrale e quin di non si può applicare lo specifico regime riservato a tale tipo di provvedimento, preclude di per sé, proprio in quanto sistema, ossia insieme organico di norme, ogni tentativo di ridurre il pro blema a questione di pura terminologia, superabile leggendo lodo in luogo di sentenza arbitrale. Ed impone, al contrario, di pren dere atto della coesistenza, nella vigente disciplina dell'arbitrato, di due ipotesi distinte, caratterizzate l'una dalla presenza pura e semplice di una pronuncia degli arbitri, l'altra dall'omologazio ne di tale pronuncia. Con riguardo al lodo non depositato, posto che secondo Cass., sez. un., 9 giugno 1986, n. 3835 (Foro it., 1986, I, 1525) la sua vincolatività per le parti «ha palesemente natura negoziale», è sostenibile che l'impugnazione non debba essere diversa da quella riservata al lodo irrituale, ossia agli atti di autonomia privata; con riguardo alla sentenza arbitrale, può discutersi se si tratti di vera e propria sentenza, oppure di provve dimento a questa parificato negli effetti, ma si dovrà comunque tener per certo che l'atto riceve dall'intervento del giudice, per quanto sommario e formale questo possa essere, una peculiare qualità (v., anche, Corte cost. 12 febbraio 1963, n. 2, id., 1963, I, 397) che lo rende suscettibile di esecuzione nello Stato e di
acquisire stabilità, se non impugnato, oppure di formare oggetto di denuncia all'autorità giudiziaria nella forma all'uopo prevista. Né contro questa conclusione vale opporre — come residua obie zione — che non ha senso prescrivere alla parte che intenda far valere la nullità del lodo di chiederne prima l'omologazione: a
parte che nulla esclude che tale richiesta provochi un giudizio di irregolarità del lodo, va comunque notato che ogni procedi mento prevede oneri i quali condizionano l'esercizio di facoltà e che nel caso in esame, attesa la predisposizione dell'ordinamen to ad attribuire ai lodi la forza delle sentenze, l'onere ha la fun zione di far sì che solo pronunce formalmente corrette acquisi scano tale forza.
Piuttosto è da ammettere che la riforma del 1983, sebbene vo luta per adeguare la disciplina dell'arbitrato alle discipline inter nazionali e di altri Stati, si è fermata, lungo tale direzione, lette
ralmente a mezza strada, aprendo l'àdito, per di più, a radicali
ricostruzioni dell'istituto in sede teorica ed imponendo, in sede
pratica, la ricerca di raccordi fra l'uno e l'altro segmento dai
quali è formato attualmente l'arbitrato. Ma tutto ciò è al di fuori
della controversia e, come detto, non impedisce di ribadire che
anche dopo quella riforma il lodo in tanto è impugnabile per nullità, a norma dell'art. 827 c.p.c., in quanto sia stato deposita to e dal pretore dichiarato esecutivo.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
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