sezione I civile; sentenza 8 marzo 1990, n. 1842; Pres. Bologna, Est. Senofonte, P.M. AmatucciE. (concl. conf.); Upica di Modena c. Medici. Cassa Pret. Sassuolo 7 marzo 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1891/1892-1893/1894Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184734 .
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1891 PARTE PRIMA 1892
nn. 3 e 5, c.p.c.), l'azienda ricorrente censura la sentenza impu
gnata per avere ritenuto che, nei concorsi interni, non possa esse
re richiesto l'attestato senza richiedere, contestualmente, il titolo
di studio corrispondente (laurea). Con il terzo motivo, denunciando vizio di motivazione (art.
360, n. 5, c.p.c.), l'azienda ricorrente censura la sentenza impu
gnata per avere negato che le organizzazioni sindacali maggior mente rappresentative (Fnle-Cgil, Flaei-Cisl, Gew-Asgb, che rap
presentano il 92% del personale dell'azienda) frossero d'accordo
sull'espletamento del concorso interno, di cui si discute, sebbene
il contrario risultasse dagli elementi di prova acquisti e dalle stes
se ammissioni dell'attuale resistente (nel ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado). Il primo motivo del ricorso è fondato e l'accoglimento, che
ne consegue, assorbe gli altri motivi.
2. - La tutela giurisdizionale contenziosa (non solo) di mero
accertamento, garantita anche costituzionalmente (art. 24, 1° com
ma, Cost.; 99 c.p.c.), ha quale presupposto ed oggetto soltanto
diritti soggettivi ed interessi legittimi — situazioni giuridiche sog
gettive, cioè, di carattere sostanziale — e non già meri fatti, an
corché giuridicamente rilevante, o norme giuridiche astratte (in tal senso, vedi, per tutte, Corte cost. 16/60, Foro it., 1960, I,
535; 7/62, id., 1962, I, 606; 8/62, ibid., 400; 94/62, ibid., 2160; 11, 16, 30/64, id., 1964, I, 690; 50/79, id., 1979, I, 1641; 68/80, id., 1980,1, 1553; 131/84, id., 1984,1, 2091; e, nella giurisprudenza di legittimità, le sentenze 814/76, id., 1976, I, 2688; 2963/73,
id., 1974, I, 2441 delle sezioni unite e le sentenze 240/88, id.,
1988, I, 2984, anche in motivazione; 2488/86, id., 1986, I, 1855;
3388/83, id., 1983, I, 3038; 5763/82, 6175/81, id., Rep. 1982, voce Infortuni sul lavoro, nn. 86, 71 delle sezioni semplici).
Deve incidere, quindi, su diritti soggettivi quell'incertezza, obiet
tiva e pregiudizievole, che l'azione di mero accertamento intende
eliminare e che, perciò, concorre ad integrarne l'interesse ad agi re (art. 100 c.p.c.), in uno con la necessità imprescindibile del
richiesto intervento del giudice per evitare il paventato pregiudi zio (oltre alla giurisprudenza testé citata, vedi Cass. 5551/84 e
3737/84, id., Rep. 1984, voce Procedimento civile, nn. 57, 59;
6101/81, id., Rep. 1981, voce Tributi in genere, n. 823; 5352/81,
ibid., voce Competenza civile, n. 285), ed a rendere, perciò, am
missibile l'azione stessa (anche) al di fuori delle ipotesi di azioni
«tipiche» di mero accertamento, previste espressamente dalla leg
ge (art. 949, 1079, 1012, 2° comma, 2653, n. 1, 2691 c.c.). Coerente con i principi di diritto, ora enunciati, è — a titolo
di esempio — quella giurisprudenza di legittimità che — a seguito della cessazione del rapporto di lavoro — nega l'interesse del pre statore ad agire per l'autonomo accertamento del diritto ad una
superiore qualifica (v. Cass. 1825/86, id., Rep. 1986, voce Lavo
ro (rapporto), n. 925) — attesoché la qualifica assume rilievo
finché dura il rapporto, in quanto rappresenta la posizione del
lavoratore nell'organizzazione aziendale — oppure che subordina
l'interesse del lavoratore ad agire, per l'accertamento dell'illegit timità del proprio trasferimento, solo se ne derivino ragioni di
danno o di rimborso spese non precluse dalla cessazione del rap
porto (v. Cass. 7818/86, id., Rep. 1986, voce Rinvio civile, n. 18). La sentenza impugnata si è discostata dagli enunciati principi
— che questa corte non ha motivo per non confermare — e meri
ta, quindi, le censure che le vengono mosse con il primo motivo
del ricorso.
3. - Quantomeno a seguito della rinuncia dell'unico concorren
te e vincitore al posto (di collaboratore del capo ufficio del per
sonale), che è stato assegnato all'esito del concorso interno di
cui si discute, il relativo bando — che risulta investito dalle do
mande (di «invalidazione» ed accertamento pregiudiziale) dell'as
sociazione sindacale (ed attuale resistente) — ha esaurito, infatti,
ogni suo effetto giuridico e, come tale, pare inidoneo a pregiudi care diritti soggettivi (od altre posizioni giuridiche sostanziali) del
l'associazione stessa (e, sia detto per inciso, di qualsiasi altro sog
getto), tanto più ove si consideri che l'azienda municipalizzata
(ed attuale ricorrente) ha provveduto a bandire un nuovo concor
so (questa volta esterno) per l'assegnazione del medesimo posto di lavoro.
Ancorché sussistesse inizialmente — siccome pare ormai accer
tato con autorità di giudicai (v., per tutte, Cass. 3670/87, id.,
Rep. 1987, voce Procedimento civile, n. 97; 1553/74, id., Rep.
1974, voce cit., n. 97; 3220/71, id., Rep. 1971, voce cit., n. 121)
Il Foro Italiano — 1990.
— l'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) di detta associazione sinda
cale è venuto meno, tuttavia, a seguito dell'evidenziata sopravve
nienza, comportando l'inammissibilità della domanda proposta dall'associazione stessa.
4. - Oltre a comportare l'assorbimento del secondo e del terzo
motivo del ricorso — che investono statuizioni di merito della
sentenza impugnata — l'accoglimento del primo motivo, che de
nuncia la ritenuta inammissibilità delle domande (dell'associazio ne sindacale resistente) per difetto sopravvenuto dell'interesse ad
agire (art. 100 c.p.c.), impone — secondo l'insegnamento di que sta corte (vedine, per tutte, le sentenze 2359/88, id., Rep. 1988,
voce Cassazione civile, n. 119; 991/72, id., Rep. 1972, voce cit., n. 384) — la cassazione senza rinvio (art. 382, ultimo comma,
c.p.c.) della sentenza impugnata e di quella pretorile, non poten do il processo essere proseguito (a seguito del difetto sopravvenu to dell'interesse ad agire), con la conseguente necessità di provve dere (ai sensi dell'art. 385 c.p.c.) al regolamento delle spese di
tutto il giudizio (in base alla regola della soccombenza, per il
giudizio d'appello e quello di cassazione; compensando, invece,
quelle di primo grado, essendo l'inammissibilità della domanda
sopravvenuta alla sentenza pretorile).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 marzo
1990, n. 1842; Pres. Bologna, Est. Senofonte, P.M. Ama
tucci E. (conci, conf.); Upica di Modena c. Medici. Cassa Pret.
Sassuolo 7 marzo 1984.
Commercio (disciplina del) — Oggetti di produzione artigianale — Esposizione per la vendita in locale annesso al laboratorio
artigianale — Obbligo di esporre i cartelli indicanti i prezzi —
Sussistenza (L. 11 giugno 1971 n. 426, disciplina del commer
cio, art. 38, 39).
Anche gli artigiani che esercitano nel luogo di produzione la ven
dita al pubblico dei soli oggetti da essi prodotti sono obbligati, ai sensi dell'art. 38, ultima parte, l. 426/71, ad indicare i relati
vi prezzi, con le modalità stabilite dal regolamento di esecuzio
ne della stessa legge, e sono soggetti, per la trasgressione di
tale obbligo, alla sanzione comminata dal successivo art. 39. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti negli esatti termini. La risalente Cass. 3 febbraio 1976, Lanzetti, Foro it., Rep. 1976, voce Commercio (discipli na del), n. 305 (avente evidentemente ad oggetto una fattispecie anteriore alla depenalizzazione dell'infrazione di cui si discute) ebbe ad affermare
che, qualora i prodotti dell'alta moda, dell'artigianato e gli accessori del
l'abbligliamento vengano posti in vendita nell'esercizio del commercio am
bulante, non sono soggetti all'obbligo dell'apposizione del cartellino del
prezzo, ai sensi dell'art. 55 d.m. 14 gennaio 1972 (decreto che reca le norme di esecuzione della 1. 426/71 sulla disciplina del commercio). La medesima pronuncia chiariva, tra l'altro, che i generi d'abbigliamento sono da considerarsi merce di largo e generale consumo e che la disposi zione di cui all'art. 38 1. 426/71 è applicabile anche per i generi di abbi
gliamento venduti su banchi di un mercato rionale. Più di recente, Cass. 13 gennaio 1982, n. 170, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 87, ha statuito che l'esposizione sul banco di vendita di vassoi di paste dolci in un esercizio commerciale di pasticceria abilitato non soltanto alla loro somministrazione ai clienti, cioè alla prestazione di un servizio che permetta la consumazione immediata del prodotto da parte degli avventori, ma anche alla vendita al minuto delle paste stesse, è sog getta all'obbligo dell'apposizione di cartellini indicativi del prezzo. Per l'affermazione secondo cui l'obbligo testé menzionato sorge non appena cessano di fatto le operazioni di allestimento delle vetrine, v. Pret. Firen ze 19 novembre 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 91.
L'esposizione in un esercizio commerciale di merce non contrassegnata da corrispondenti cartellini-prezzi è stata la fattispecie di cui si è occupata anche Cass. 12 giugno 1982, n. 3542, id., Rep. 1982, voce Sentenza civile, n. 30, ove, peraltro, si affronta la problematica specifica dei poteri del
giudice investito dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione. All'argomen to in discussione può essere ricondotto anche Trib. Como 16 giugno 1986, id., Rep. 1987, voce Tributi locali, n. 291, a cui dire, in materia di impo sta sulla pubblicità, i cartelli con l'indicazione dei prezzi assolvono alla mera funzione di rendere edotto il consumatore dei prezzi stessi, solo se vi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ordinanza-ingiunzione noti
ficata il 7 aprile, il direttore dell'ufficio provinciale per l'indu
stria, il commercio e l'artigianato di Modena ha irrogato (e ordi
nato di pagare) a Loredana Medici la sanzione amministrativa di lire 150.000, per violazione dell'art. 38 1. 11 giugno 1971 n.
426, avendo esposto in vendita, nella vetrina esterna del locale
annesso al proprio laboratorio artigiano per la produzione di ab
bigliamento, diverse confezioni femminili prive dei cartelli indi
canti i prezzi. L'intimata ha proposto opposizione dinanzi al Pretore di Sas
suolo, allegando che l'indicazione dei prezzi è obbligatoria solo
per le merci di largo e generale consumo, tra le quali non rientra
no i prodotti dell'artigianato, e ulteriormente specificando che
l'obbligo è, comunque, imposto ai commercianti, non anche agli
artigiani venditori dei propri prodotti. Con la sentenza del 7 marzo 1984, qui impugnata, il pretore,
nel contraddittorio delle parti, ha ritenuto che la 1. n. 426 del
1971 non si applichi agli artigiani, tenuti, tuttavia, ad indicare i prezzi in virtù dell'art. 4 r.d.l. 11 gennaio 1923 n. 138, e ha,
quindi, irrogato all'opponente, ai sensi del successivo art. 5, la
sanzione di lire 20.000.
L'Upica propone ricorso per cassazione affidato ad un solo
motivo, col quale, denunciando violazione e falsa applicazione
degli art. 38 e 39 1. 426/71 e dell'art. 4 r.d.l. 138/23, sostiene che la prima, essendo fondamentalmente diretta alla tutela del
consumatore, si applica anche agli artigiani, ancorché ispirata al
l'intento di disciplinare il commercio, e aggiunge che, comunque,
poiché l'art. 38 citato richiama l'art. 4 r.d.l. 138/23 (il quale sta
biliva l'obbligo di indicare i prezzi per le «merci di qualunque
specie»), la stessa ampiezza normativa deve interpretativamente attribuirsi alla norma richiamante. L'intimata non si è costituita.
Motivi della decisione. — Il ricorso è fondato, nei sensi ap
presso specificati. Il pretore ha escluso l'applicabilità nel caso concreto della I.
426/71 sulla base della seguente concatenazione argomentativa: la legge disciplina il commercio; il suo art. 1, 2° comma, n. 2, definisce commerciante al minuto chiunque professionalmente ac
quista merci e le rivende direttamente al consumatore; l'artigiano venditore dei propri prodotti non li acquista e, quindi, non li
rivende, ma li produce e vende (per la prima volta); egli non
rientra, perciò, tra gli esercenti il commercio e non può ritenersi,
pertanto, soggetto alla legge de qua, compresa la disposizione dell'art. 38 sulla pubblicità dei prezzi.
è contiguità spaziale e logica tra cartelli e merci; in caso contrario essi sono da considerare mezzi pubblicitari, e, come tali, soggetti ad imposta.
Come ricordato nella motivazione della sentenza sopra riportata, Corte cost. 7 luglio 1976, n. 152, id., 1976, I, 2771, ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità degli art. 38 e 39 1. 426/71. In argomento, cfr. anche Cass. 30 ottobre 1974, Confortini, id., Rep. 1975, voce Com mercio (disciplina del), n. 223, nonché Pret. Viadana 19 febbraio 1974, ibid., n. 224.
Circa le modalità idonee a garantire il rispetto dell'obbligo di pubbli cizzare i prezzi, v. Cass. 21 aprile 1976, Mattiello, id., Rep. 1977, voce
cit., n. 93; 12 marzo 1975, Danza, id., Rep. 1976, voce cit., n. 308; 6 ottobre 1975, Mariotti, ibid., n. 310; 9 giugno 1975, Franzoni, ibid., n. 311; 28 gennaio 1974, Coletto, id., Rep. 1975, voce cit., n. 225; 26
gennaio 1972, Agarbati, id., Rep. 1972, voce Commercio di venduta al
pubblico, n. 74. Nel senso che l'obbligo di apporre sulla merce esposta al pubblico per
la vendita i prescritti cartellini indicanti i prezzi non sussiste per il com mercio all'ingrosso, v. Cass. 21 marzo 1973, Parovel, id., Rep. 1973, voce Commercio (disciplina del), n. 77.
In dottrina, cfr. Ragonesi, La disciplina dell'attività commerciale, Mi
lano, 1985, 505 ss.; Pirro, Sprovieri, Pubblicità dei prezzi delle merci
esposte in vendita, in Giur. agr. it., 1972, 340. La sentenza riportata affronta anche il problema del rapporto esistente
tra attività artigianale e disciplina del commercio. Di recente Tar Pie
monte, sez. I, 3 marzo 1988, n. 74, Foro it., Rep. 1988, voce Artigiano, n. 29, ha affermato che l'attività commerciale svolta dall'artigiano non rientra nel sistema disciplinato dalla 1. 11 giugno 1971 n. 426 e dalle successive leggi che hanno regolato il settore, ivi compresa la 1. 28 luglio 1971 n. 558 (recante disciplina dell'orario dei negozi e degli esercizi di
vendita al dettaglio), atteso che, ai sensi dell'art. 2 1. n. 426 cit., nell'am bito dei soggetti che costituiscono il settore-sistema del commercio, sono da annoverare anche gli artigiani, ma con esclusione di quelli che, iscritti al relativo albo, commercializzino nel luogo di produzione gli oggetti da
loro fabbricati. In argomento, v. anche Cass. 14 febbraio 1986, n. 874, id., Rep. 1986, voce cit., n. 17 e Tar Umbria 24 settembre 1984, n. 303, id., Rep. 1985, voce Commercio (disciplina del), n. 28.
Il Foro Italiano — 1990.
La sequenza argomentativa muove, dunque, dalla premessa che
il referente della legge in esame sia esclusivamente il commercio
in senso stretto, ossia l'attività di intermediazione nella circola
zione dei beni.
Ma questa premessa già la legge stessa categoricamente smenti
sce là dove, ad esempio, include tra le attività ad essa soggetta la somministrazione di bevande e alimenti (art. 1, 2° comma, n. 3) da chiunque professionalmente prestati (e, quindi, anche
se somministrati al pubblico direttamente da chi li abbia prodot
ti), nonché la vendita per corrispondenza su catalogo (art. 36), normalmente esercitata, com'è noto, dal fabbricante, cosi come
dai produttori possono essere direttamente venduti ai consumato
ri buona parte dei prodotti elencati nelle tabelle merceologiche determinate in applicazione dell'art. 37 1. cit., a partire da quelle
allegate al d.m. 30 agosto 1971, comprensive, significatamente, anche dei prodotti dell'artigianato (tabella IX). Parimenti signifi cativo, del resto, è che proprio in tema di pubblicità dei prezzi l'art. 55 del regolamento di esecuzione approvato con il d.m. 14
gennaio 1972 (non modificato sul punto dal successivo d.m. 28
aprile 1976) prendeva le distanze, al fine specifico, dalla nozione
di «commercio» in senso stretto, adottando, in pieno accordo
con l'art. 38 della legge di riferimento, quella, più lata, di «ven
dita» (fatta propria, in linea di continuità storica, dagli ulteriori
provvedimenti normativi emanati nella materia, fino al recente d.m. 4 agosto 1988 n. 375, contenente le nuove norme di esecu
zione della 1. 426/71), senza restrizione alcuna quanto alla quali tà dei venditori e, quindi, sicuramente idonea a comprendere tra
essi anche gli artigiani.
Questi dati testuali (coerenti, d'altra parte, con la ratio legis, senza dubbio costituita dalla tutela estesa del consumatore) esclu
dono, in principio, che la legge di cui si discute possa intendersi
riferita solo al commercio in senso stretto (conforme, ad altro
fine, Cass. 874/86, Foro it., Rep. 1986, voce Artigiano, n. 7) e fanno, ad un tempo, ritenere che proprio in essa (e non altrove, come la sentenza impugnata propone) debba essere individuata
la fonte dell'obbligo di indicazione dei prezzi anche da parte de
gli artigiani. Se è vero, infatti, che i prodotti di questi ultimi non sono an
noverabili (al contrario di quanto il ricorrente scontatamente ri
tiene) tra le «merci di largo e generale consumo», dato che, in
ragione del loro costo, notoriamente elevato e, comunqe, supe riore a quello dei prodotti industriali (al punto che la tab. IX
allegata al d.m. del 30 agosto 1971 li accomunava ai prodotti dell'alta moda), non si prestano ad essere fruiti dalla generalità
(più o meno ampia) dei consumatori, non si vede perché, in man
canza di esenzioni, dovrebbero essere esclusi dal novero delle «al
tre merci», per le quali l'art. 38 cit. parimenti ribadisce l'obbligo di pubblicità dei prezzi, demandando al regolamento di esecuzio
ne la scelta delle relative modalità (congegnate, invece, dalla pri ma parte della stessa norma al r.d.l. 138 del 1923 — ma anche
ciò al pretore è sfuggito — per i soli prodotti di largo e generale consumo esposti nelle vetrine esterne, all'ingresso dei locali o sui
banchi di vendita: Corte cost. 152/76, id., 1976, I, 2771, che
ha ritenuto non ragionevole il particolare trattamento), con la
conseguente applicabilità della sanzione comminata dal successi
vo art. 39 per il caso di inosservanza (dell'obbligo, non delle mo
dalità stabilite dal regolamento e da questo separatamente san
zionate). La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rin
vio, anche per le spese di questa fase, al Pretore di Carpi, il
quale si uniformerà al seguente principio di diritto:
«Anche gli artigiani che esercitano nel luogo di produzione la
vendita al pubblico dei soli oggetti da essi prodotti sono obbliga
ti, ai sensi dell'art. 38, ultima parte, 1. 426/71, ad indicare i rela
tivi prezzi, con le modalità stabilite dal regolamento di esecuzio
ne della stessa legge, e sono soggetti, per la trasgressione di tale
obbligo, alla sanzione comminata dal successivo art. 39».
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