sezione II civile; sentenza 28 maggio 1988, n. 3657; Pres. Carotenuto, Est. Sammartino, P. M.Simeone (concl. conf.); Regione Lazio (Avv. Lorizio) c. Università agraria di Riano (Avv. De LaGrange) e Zuliani. Cassa Commiss. usi civici del Lazio 30 dicembre 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 451/452-457/458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183794 .
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451 PARTE PRIMA 452
Nel caso di specie, pertanto, risulta infondata la censura della
ricorrente all'impugnata sentenza, che, rettamente applicando l'art.
38 1. 392/78, ha affermato la piena validità della comunicazione
del proprietario-locatore delle condizioni di vendita, anche se pri vo dell'indicazione del nome dei terzi, ai quali il proprietario,
poi, ha venduto l'immobile per il mancato esercizio del diritto
di prelazione da parte della conduttrice, con conseguente perdita
per quest'ultima del diritto di riscatto dell'immobile dai suddetti
terzi acquirenti.
II
Motivi della decisione. — Le ricorrenti denunciano: 1) la viola
zione degli art. 38 1. 392/78 e 12 disp. sulla legge in generale: violazione e/o falsa applicazione degli art. 1326, 1328 e 1329 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. per avere la corte erronea
mente ritenuto che nella formazione del rapporto contrattuale di
compravendita che si instaura tra proprietario-locatore e condut
tore, nell'ambito della normativa dell'art. 38 1. 392/78 non siano
apllicabili le regole generali sull'accordo delle parti e sulla revo
cabilità della proposta finché il contratto non sia concluso, salvo
il caso di espressa convenzione delle parti o disposizione espressa di legge, non ricorrenti peraltro nella fattispecie; 2) la violazione
dell'art. 38 1. 392/78, violazione e/o falsa applicazione dell'art.
2332 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. per avere la corte
erroneamente ritenuto che per l'accoglimento della domanda di
esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto fosse
sufficiente la tempestiva dichiarazione dell'onerato di volere adem
piere alla prestazione dovuta laddove la disposizione dell'art. 38
1. 392/78 richiederebbe esplicitamente il necessario versamento del
prezzo entro il termine da essa previsto, contestualmente alla sti
pula del contratto di compravendita e del contratto preliminare. La prima censura è fondata. Questa Suprema corte ha già ripe
tutamente affermato che la comunicazione al conduttore — pre vista dall'art. 38 — non configura una proposta irrevocabile nel
termine dei sessanta giorni, né alcun atto vincolisitco preliminare
unilaterale; ma una sorta di obbligo di interpello che — sia per i meccanismi che la denuntiatio aziona, sia per la indeterminatez
za che la situazione presenta — non concreta una proposta con
trattuale (Cass. 9 maggio 1985, n. 2897, Foro it., 1985, I, 3105) e quindi tanto meno una proposta irrevocabile. Si è, altresì, rile
vato che in tema di locazione di immobile urbano ad uso non
abitativo, la comunicazione del conduttore dell'intento di vende
re il bene non configura una espressione di volontà negoziale, ma soltanto l'ottemperanza ad un obbligo che è fissato dall'art.
38, al fine di mettere in condizione il conduttore medesimo di
esercitare l'eventuale diritto di prelazione, ove le parti si determi
nino al negozio, perfezionando cosi contrattualmente in suo fa
vore una vicenda acquisitiva di tipo legale (Cass. 10 aprile 1986, n. 2521 e 17 aprile 1986, n. 2726, id., 1986, I, 2161).
L'art. 38 prevede per il locatore l'onere della comunicazione
per il solo fatto che egli intenda trasferire a titolo oneroso l'im
mobile locato e si concreta in un obbligo legale di informativa
circa l'esistenza di una vicenda traslativa alla quale la norma col
lega il meccanismo legale di acquisto preferenziale. Se, quindi,
prima che intervenga l'adesione del conduttore, viene meno la
manifestazione di volontà traslativa del locatore, il negozio non
può avere vita, non sussistendo, come invece afferma la sentenza
impugnata, alcun contratto preliminare unilaterale, né, di conse
guenza, alcun obbligo di contrarre. Non può condividersi l'opi nione della sentenza impugnata, secondo la quale la configurazione della comunicazione come proposta irrevocabile troverebbe fon
damento e ragione nell'interesse che il conduttore continui l'atti
vità economica da lui iniziata nell'immobile locato e pervenga alla riunione nella sua stessa persona della qualità di proprieta rio. Infatti, la disposizone in esame tutela sufficientemente il con
duttore già attraverso il diritto di prelazione, nel caso di effettiva
e definitiva manifestazione della volontà di alienare da parte del
locatore; e, nel caso di violazione del diritto potestativo, attraver
so la possibilità di esercizio del diritto di riscatto.
Non può, quindi, configurarsi un'ulteriore limitazione del di
ritto di proprietà, già efficacemente operata con le norme di cui
agli art. 38 e 39, in assenza di una specifica indicazione del legis
latore, che non è reperibile nel testo della legge, né nella sua
interpretazione.
Il Foro Italiano — 1989.
Il controricorrente ha richiamato la giurisprudenza di questa corte in materia di esercizio del diritto di prelazione in tema di
affitto di fondi rustici che ha ricondotto lo ius praelationis nello
schema normativo della proposta irrevocabile, entro il termine
in cui alla controparte compete il diritto di esercitarlo. Il richia
mo non sembra conferente per la diversa disciplina dei due istitu
ti, che, pur attenendo entrambi all'istituto della prelazione,
configurano situazioni giuridiche e di fatto che non possono esse
re assimilate.
L'art. 38 1. 392/78 fa, infatti, generico riferimento al'intenzio
ne del locatore di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato
ed impone l'obbligo della comunicazione del corrispettivo richie
sto e delle altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe
essere conclusa. Diversamente l'art. 8 1. 26 maggio 1965 n. 590
e la successiva versione dell'art. 8 1. 14 agosto 1971 n. 817 im
pongono, tra l'altro, l'obbligo — in tema di comunicazione al
l'affittuario per l'acquisto del fondo rustico — di trasmettere il
preliminare di compravendita dell'immobile stipulato con il ter
zo, preliminare in cui debbono essere indicati il nome dell'acqui
rente, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite, compresa la clausola per la eventualità della prelazione. È evidente la diver
sità delle situazioni giuridiche, in relazione alla differente limita
zione dell'autonomia negoziale e della stessa struttura della
comunicazione, che, nel caso di affitto di fondi rustici, non si
esaurisce in un obbligo di interpello, ma nella creazione di una
situazione giuridica passiva a carico del proprietario e di una atti
va a carico dell'affittuario, che viene a godere del diritto potesta tivo di subentrare al terzo, quale parte del contratto già posto in essere. Il primo motivo del ricorso deve, quindi, essere accol
to. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 28 maggio
1988, n. 3657; Pres. Carotenuto, Est. Sammartino, P. M.
Simeone (conci, conf.); Regione Lazio (Avv. Lorizio) c. Uni
versità agraria di Riano (Avv. De La Grange) e Zuliani. Cassa
Commiss, usi civici del Lazio 30 dicembre 1985.
Cosa giudicata civile — Giudicato interno — Inammissibilità di
gravame — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 324).
Trascorso il termine per l'impugnazione della sentenza che di
chiara l'inammissibilità dell'appello, si forma un giudicato in
terno al processo che rende incontestabile l'inappellabilità della
sentenza di primo grado e determina l'accoglimento del ricorso
in Cassazione contro la sentenza che aveva dichiarato l'inam
missibilità della domanda di revocazione sul presupposto che
la sentenza di primo grado fosse appellabile. (1)
(1) La sentenza decide una vicenda abbastanza complessa che conviene riassumere schematicamente. Contro la sentenza 27 luglio 1985 del com missario per gli usi civici venivano proposti domanda di revocazione e
appello; il commissario dichiarava l'inammissibilità della prima sul pre supposto dell'appellabilità della sentenza di primo grado (sent. 30 dicem bre 1985); la corte d'appello a sua volta dichiarava l'inammissibilità
dell'appello ai sensi dell'art. 32 1. 16 giugno 1927 n. 1766, non avendo la causa ad oggetto questioni relative all'esistenza, la natura e l'estensio ne dei diritti di uso civico o la rivendicazione delle terre (sent. 6 giugno 1986). Nessun gravame era proposto contro la pronuncia della corte d'ap pello, mentre con un unico atto veniva proposto ricorso in Cassazione contro entrambe le sentenze del commissario (27 luglio 1985 e 30 dicem bre 1985). Col ricorso si denunciava l'errore in cui egli era incorso rite nendo appellabile la sent. 27 luglio 1985 e si produceva copia della sentenza della corte d'appello a sostegno di quanto affermato; la parte resistente
negava la configurabilità del giudicato su una pronuncia meramente pro cessuale, «la quale si limita a dichiarare in un diverso processo l'inam missibiltà di un mezzo di impugnazione».
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso contro la sentenza pronun ciata dal commissario sulla domanda di revocazione, affermando:
a) La configurabilità del giudicato formale su sentenze meramente pro cessuali; v. in proposito Cass. 11 aprile 1983, n. 2550, Foro it., Rep. 1983, voce Cosa giudicata civile n. 3; 7 gennaio 1983, n. 112, ibid., n. 4; 4 novembre 1978, n. 5006, id., Rep. 1978, voce Competenza civile,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso al commissario per la liquidazione degli usi civici per il Lazio, l'Umbria e la Tosca na, proposto contro la regione Lazio e contro Gabriele Zuliani
in data 15 giugno 1985, l'universtià agraria di Riano lamentava
un'arbitraria interferenza della regione nella amministrazione dei
beni del demanio civico locale perché la stessa affermava di avere
il diritto-potere di assentire o negare la destinazione di una parte di tali beni a cave di tufo, ai sensi dell'art. 12 1. 16 giugno 1927 n. 1766. Sosteneva che tale pretesa «costituiva quanto meno una
molestia di diritto ed una compressione dei diritti reali, del potere di disposizione e di godimento che compete alla popolazione di
n. 257, citate in motivazione, cui adde Cass. 7 maggio 1987, n. 4230, id., Rep. 1987, voce Cosa giudicata civile, n. 30; 15 gennaio 1981, n.
339, id., 1981, I, 1037; 2 luglio 1980, n. 4180, id., Rep. 1980, voce Giuri
sdizione civile, n. 106; 15 febbraio 1979, n. 979, id., 1979, I, 2399; 17 novembre 1978, n. 5330, id., Rep. 1979, voce cit., n. 146 (e in Giur.
it., 1979, I, 1, 1710); sez. un. 7 luglio 1977, n. 3016, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 157 (e in Giust. civ., 1977, I, 1463); 2 gennaio 1977, n. 323, Foro it., Rep. 1977, voce Competenza civile, n. 217. In dottrina, v. Pugliese, Giudicato civile, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1967,
XVIII, 839; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 991; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1984, II, 273 e
423; contra, Laudiso, La sentenza processuale, Milano, 1982, 181.
b) L'efficacia di dette sentenze nell'ambito dello stesso processo nel
quale sono state emanate (c.d. giudicato interno); a questo proposito si
possono richiamare le sentenze precedentemente citate, nelle quali si af
ferma anche che «le decisioni su questioni processuali sono suscettibili
di formazione del giudicato soltanto nell'ambito dello stesso processo (co siddetto giudicato interno) e non impediscono la riproposizione delle me
desime questioni in un successivo giudizio». A tal proposito è però necessario un chiarimento; se infatti è pacifica
l'efficacia endoprocessuale delle sentenze di rito dei giudici di merito, è anche consolidato l'indirizzo che riconosce efficacia extraprocessuale alle sentenze della Corte di cassazione che risolvono questioni di giurisdi zione e di competenza.
In tema di competenza l'art. 310, 2° comma, c.p.c. espressamente af
ferma la sopravvivenza delle sentenze in oggetto all'estinzione del proces so, senza distinguere fra quelle pronunciate in sede di regolamento di
competenza e quelle pronunciate in sede di ricorso ordinario (anche in
tal caso, infatti, la corte è chiamata a «statuire sulla competenza» ex
art. 382, 2° comma, c.p.c.); v., in questo senso, Andrioli, Diritto pro cessuale civile, cit., 1014; Redenti, Diritto processuale, civile, Milano,
1957, II, 384; Satta, Commentario, Milano, 1959-1960, II, I, 449; Lieb
man, Manuale, cit., II, 210. In tema di giurisdizione, stante il silenzio dell'art. 310 c.p.c., si è fatto
riferimento agli art. 65 dell'ordinamento giudiziario e 382, 1° comma,
c.p.c., che attribuiscono alle sezioni unite della Suprema corte la funzio
ne istituzionale di assicurare il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizio
ni, risolvendo i conflitti positivi e negativi e statuendo sulla giurisdizione, con pronunce che, pertanto, operano anche al di fuori del processo nel
corso del quale sono state emanate e vincolano qualsiasi giudice, sempre che si tratti della medesima controversia fra le stesse parti (v., tra le altre,
Cass., sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6221, Foro it., 1986, I, 3009, con
nota di A. Proto Pisani, In tema di giudicato interno, giudicato esterno
e preclusione; 5 novembre 1984, n. 5579, id., Rep. 1985, voce Cosa giudi cata civile, n. 9 e in Giust. civ., 1985, I, 1146, con nota di S. Menchini, Orientamenti giurisprudenziali in tema di giudicato sulla giurisdizione; 2 maggio 1983, n. 3006, Foro it., 1983, I, 1985, con nota di A. Lener; sez. un. 11 aprile 1981, n. 2121, id., Rep. 1981, voce Cassazione civile, n. 85, e in Giust. civ., 1981, I, 686).
Per un maggiore approfondimento ed ulteriori richiami in dottrina e
giurisprudenza, v. Menchini, Il giudicato civile, in Giurisprudenza siste
matica di diritto processuale civile, Torino, 1988, 249 ss.
c) La capacità del processo di articolarsi in senso orizzontale in varie
«serie» processuali, mantenendo intatta la propria unicità, e la conse
guente efficacia del giudicato formatosi in una di tali «serie», anche nelle
«serie» parallele; in ordine a tale capacità, v. Cass. 29 settembre 1978, n. 4350, Foro it., Rep. 1978, voce Cosa giudicata civile, n. 28, citata
in motivazione, nella quale si afferma che il procedimento va «dalla pro
posizione della domanda alla decisione della causa» con possibilità di
articolarsi diversamente da un caso all'altro.
d) La rilevanza dei motivi al fine di stabilire l'efficacia delle sentenze
di mero rito; in proposito, v. Menchini, op. ult. cit., 249 ss., ove si
precisa che «le sentenze processuali possono avere ad oggetto vuoi que stioni suscettibili di ripresentarsi in modo identico a come furono dibat
tute nel precedente giudizio, ove venga riproposta la stessa domanda (...),
vuoi questioni che riguardano il processo in se stesso, la validità o la
nullità dei suoi singoli atti (...) che non si ripresentano mai in modo
identico in un secondo processo, pur relativo allo stesso diritto».
Questa distinzione, posta allo scopo di delimitare l'efficacia extrapro cessuale delle sentenze di rito, è adottata anche dalla sentenza in rassegna
Il Foro Italiano — 1989.
Riano. Chiedeva pertanto che fosse dichiarato che il demanio in
questione, in difetto della previa assegnazione a categoria (art. 14 1. 1766/27), era «liberamente utilizzabile dalla popolazione di
Riano, e, per essa, dell'università» e che, in particolare, «non
era necessario chiedere ed ottenere l'autorizzazione regionale per utilizzare i terreni per l'attività estrattiva».
La regione resisteva alla domanda eccependo in via pregiudi ziale il difetto di giurisdizione del commissario. Lo Zuliani non si costituiva.
In corso di causa l'università precisava che il ricorso era diretto
ad ottenere anche la tutela possessoria contro la molestia confi
gurabile nella pretesa della regione e chiedeva che fosse dichiara
ta l'invalidità e l'inefficacia della clausola dei contratti di
concessione a terzi dello sfruttamento delle cave con cui l'opera tività dei contratti stessi era subordinata alla preventiva autoriz
zazione della regione. Con sentenza 25 luglio 1985 il commissario rigettava l'eccezio
ne di difetto di giurisdizione (e su ciò si è formato il giudicato per mancanza d'impugnazione) e accoglieva le domande formula
te dall'università agraria. Contro questa sentenza, notificata ex officio in data 30 luglio
1985, venivano proposti: a) domanda di revocazione dallo stesso
commissario, da parte della regione, in data 4 ottobre 1985; b) reclamo alla Corte d'appello di Roma, sezione speciale usi civici, dallo Zuliani, in data 10 ottobre, e dalla regione in data 14 otto
bre 1985.
Con sentenza 30 dicembre 1985 il commissario dichiarava inam
missibile la domanda di revocazione ritenendo: a) che le doman
de proposte dall'università agraria dovevano essere inquadrate nello
schema dell'azione negatoria prevista dall'art. 949, 2° comma,
c.c.; b) che tale azione rientrava fra quelle di «rivendicazione»
previste dall'art. 32, 1° comma, 1. 1766/27, con la conseguenza che la sentenza del commissario 25 luglio 1985 era appellabile.
Contro questa sentenza, notificata ex officio il 12 gennaio 1986, nonché contro la prima sentenza 25 luglio 1985 la regione Lazio
ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 22 febbraio 1986) sulla base di tre motivi illustrati con memoria. L'università di
Riano resiste con controricorso illustrato da memoria. Lo Zuliani
non ha svolto attività difensiva. Insieme con le memorie alla ri
corrente ha prodotto copia della sentenza 6 giugno 1986 della
Corte d'appello di Roma, sezione usi civici, passata in giudicato, con il quale il reclamo contro la sentenza del commissario 25
luglio 1985 è stato dichiarato inammissibile in quanto le doman
date proposte dell'università di Riano non rientrano nello schema
dell'azione di rivendicazione come previsto dall'art. 32, 1° com
ma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766.
Motivi della decisione. — 1. - La regione Lazio ha proposto unico ricorso per cassazione, notificato il 22 febbraio 1986, sia
contro la sentenza 30 dicembre 1985, pronunciata dal commissa
rio in sede di revocazione e notificata il 12 gennaio 1986 (terzo motivo del ricorso), sia contro la sentenza 25 luglio 1985, pro nunciata dal commissario in primo grado e notificata il 30 luglio 1985 (primo e secondo motivo del ricorso).
L'università agraria di Riano ha sollevato tre eccezioni di inam
missibilità del ricorso: due, col controricorso, relative alla impu
gnazione della prima sentenza 25 luglio 1985 (sotto i profili: a) della appellabilità e, quindi, la non ricorribilità in Cassazione ex
art. Ill Cost.; b) della avvenuta decorrenza del termine di impu
gnazione, anche computando il periodo di sospensione ex lege
conseguente al giudizio di revocazione); la terza, con la memoria,
relativa al ricorso in sé in quanto proposto, con unico atto, con
tro entrambe le sentenze del commissario.
con riferimento al giudicato interno, per delineare l'ambito di efficacia
del giudicato formatosi su una delle «serie» in cui il processo si è artico
lato, nelle «serie» parallele; si legge infatti nella motivazione che «una
pronuncia processuale come quella di inammissibilità dell'appello, non
può essere valutata al di fuori delle ragioni che l'hanno determinata»
e che nel caso di specie «l'inammissiblità non è stata dichiarata per ragio ni attinenti alla forma, al contenuto o ai termini dell'atto di impugnazio ne (...) nel qual caso le ragioni della pronuncia esauriscono la loro efficacia
nell'ambito della serie processuale considerata (...). L'inammissibilità è
stata invece dichiarata con riguardo all'identificazione dell'oggetto della
domanda giudiziale che ha dato origine al rapporto processuale (...)»;
per questo il giudicato «opera necessariamente nell'ambito di tutte le 'se
rie' processuali nelle quali il rapporto si è articolato». [M. Raunich]
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PARTE PRIMA
Quest'ultima eccezione, da esaminarsi in via preliminare, è pa lesemente infondata.
È sufficiente il rilievo che la giurisprudenza di questa corte am
mette la proponibilità con unico atto del ricorso per cassazione
contro la sentenza emessa in sede di revocazione e contro la sen
tenza che ha formato oggetto di quel giudizio, salvo il caso che
la revocazione non investa l'intero oggetto della controversia ed
esista assoluta autonomia tra le questioni e il ricorso contro la
sentenza pronunciata in sede di revocazione e le questioni e il
ricorso contro la prima sentenza. Ipotesi che non ricorre nel caso
di specie in cui l'errore di fatto denunciato in sede di revocazione
era, nella prospettazione logica fatta valere dalla regione, tale
da far venire meno il fondamento della prima sentenza nella sua
interezza.
2. - Considerando che l'esame del motivo di ricorso contro
la sentenza pronunciata in sede di revocazione (il terzo ) deve
precedere l'esame dei motivi contro la prima sentenza, le eccezio
ni di inammissibilità di questa seconda impugnazione (proposta ai sensi dell'art. Ill Cost.) dovranno essere esaminate da queta corte solo nell'ipotesi di rigetto dall'indicato terzo motivo.
3. - Col terzo motivo di ricorso la regione Lazio, denunciando
la violazione dell'art. 32 1. 16 giugno 1927 n. 1766, deduce che
il commissario ha errato nel ritenere che la sentenza 25 luglio 1985 fosse appellabile e che, di conseguenza, la domanda di revo
cazione fosse inammissibilie. L'oggetto della causa definita con
la sentenza precedente non riguardava infatti né l'esistenza, la
natura e l'estensione dei diritti di uso civico, né la rivendicazione
di terreni.
Allo scopo di convalidare il suo assunto la regione ha prodot
to, insieme con la memoria ex art. 378 c.p.c., copia della senten
za 6 giugno 1986 della Corte d'appello di Roma, sezione usi civici,
passata in giudicato, con la quale il reclamo proposto contro la
prima sentenza del commissario ai sensi dell'art. 32 della legge
sugli usi civici è stato dichiarato inammissibile, trattandosi di de
cisione non appellabile e non avendo essa ad oggetto questioni concernenti l'esistenza, la natura e la estensione dei diritti di uso
civico o la rivendicazione delle terre.
4. - La difesa dell'università agraria, nella discussione orale, ha sostenuto l'irrilevanza della produzione peraltro irrituale, del
la indicata sentenza della corte d'appello perché non è configura bile l'efficacia di giudicato di una pronuncia meramente
processuale, come quella in esame, che si limita, in un diverso
processo, a dichiarare l'inammissibilità di un mezzo d'impu
gnazione. La corte ritiene invece che per effetto della sentenza della corte
d'appello si sia determinata una preclusione in forza della quale è diventato incontestabile, nel processo, che la sentenza 25 luglio 1985 del commissario non era appellabile.
5. - Pur esssendo esatto che parte della dottrina esclude la con
figurabilità del giudicato per le pronunce meramente processuali è da considerare che la giurisprudenza di questa corte ha ripetu tamente affermato l'efficacia di giudicato, in senso formale, delle
sentenze che risolvono questioni processuali — come quelle sulla
competenza — purché emanate nell'ambito dello stesso processo nel quale il giudicato è fatto valere (cfr. Cass. 11 aprile 1983, n. 2550 e 7 gennaio 1983, n. 112, Foro it., Rep. 1983, voce Cosa
giudicata civile, nn. 3, 4; 4 novembre 1978, n. 5006, id., Rep. 1978, voce Competenza civile, n. 257).
Occorre quindi accertare se il giudicato (formale) in questione
possa qualificarsi interno.
6. - Per stabilire se una pronuncia intervenga nell'ambito di
uno stesso processo, in modo che possa configurarsi il giudicato
interno, ovvero nell'ambito di un processo diverso, in modo che
possa configurarsi il giudicato esterno, soccorre la giurisprudenza di questa corte la quale ha precisato che il rapporto processuale, che si svolge attraverso le varie fasi del giudizio, va «dalla propo sizione della domanda alla decisione definitiva della causa» (Cass. 29 settembre 1978, n. 4350, id., Rep. 1978, voce Cosa giudicata civile, n. 28).
Dalla proposizione di una determinata domanda giudiziale ha
origine quindi un determinato e solo rapporto processuale il qua le non perde la sua unicità solo perché — come è avvenuto nel
caso di specie contro la sentenza di primo grado, siano stati pro
posti tre diversi mezzi di impugnazione (l'appello, la revocazione, il ricorso per cassazione) in relazione alle due ipotesi della appel labilità (che rende possibile solo l'appello) o della inappellabilità
Il Foro Italiano — 1989.
(che rende possibile sia la revocazione sia il ricorso per cassazione
ai sensi dell'art. Ill Cost.). In questo caso il rapporto si articola, in senso orizzontale, in
distinte «serie» processuali (rami diversi del medesimo tronco) entro le quali si distinguono poi «fasi» processuali diverse (in senso verticale). Di conseguenza, è errato pensare che, per effetto
delle coesistenti impugnazioni dell'unica sentenza di primo gado,
venga data origine a processi distinti e autonomi nell'ambito di
ciascuno dei quali possano formarsi dei giudicati intrasferibili nel
l'ambito degli altri. Si tratta di giudicati che si formano nell'am
bito dello stesso rapporto, sorto dalla originaria unica domanda
giudiziale, che hanno o possono avere, secondo le precisazioni che verranno fatte nel paragrafo seguente, diretta incidenza non
solo nella serie processuale nella quale intervengono ma anche
nelle altre serie parallele. (È un tipo di giudicato che può definirsi
«trasversale» o «transeriale» per la sua idoneità a incidere, attra
versandole, anche nelle altre serie del medesimo rapporto pro
cessuale). 7. - La configurazione del giudicato come interno al processo
fa, nel caso di specie, diventare rituale la produzione della sen
tenza della corte d'appello nel corso del giudizio di cassazione.
Per accertare la sua concreta operatività nel giudizio medesimo, devono essere fatte ulteriori precisazioni.
La sentenza della corte d'appello non può essere ritenuta come
dichiarativa di incompetenza (funzionale) del giudice adito, tale
da potere dare luogo, in difetto d'impugnazione delle parti, a
eventuale conflitto di competenza, ai sensi dell'art. 45 c.p.c., con
riguardo al giudice della revocazione.
Il conflitto disciplinato dalla norma predetta postula l'identità
della situazione processuale (identità di domanda, per il giudizio di primo grado; identità del mezzo d'impugnazione, per il giudi zio di grado ulteriore) sulla quale sono chiamati a decidere i due
giudici. Di conseguenza il processo può passare direttamente dal
giudice che si dichiara incompetente all'altro giudice, tanto che
l'art. 45 trova applicazione a seguito della riassunzione del pro cesso davanti al secondo giudice.
Questa identità manca del tutto in relazione all'appello, da una
parte, e alla revocazione dall'altra (basti pensare alla radicale di
versità dei motivi che possono essere fatti valere con l'uno o con
altro mezzo d'impugnazione), sicché sono impossibili sia la tras
lazione del processo da un giudice all'altro sia, di conseguenza, l'elevazione del conflitto.
D'altro canto una pronuncia processuale, come quella di inam
missibilità dell'appello, non può essere valutata al di fuori delle
ragioni che l'hanno determinata. Anche il giudicato formale, in
altri termini, se deve essere operativo nell'ambito dello stesso pro
cesso, estende la sua efficacia a quelli che sono i presupposti ne
cessari della pronuncia. Nel caso di specie l'inammissibilità non è stata dichiarata per
ragioni attinenti alla forma, al contenuto o ai termini dell'atto
d'impugnazione (si pensi alla mancanza dei motivi d'appello; alla
nullità della citazione d'appello ai sensi dell'art. 164 c.p.c.; al
decorso del termine d'impugnazione), nel quale caso le ragioni della pronuncia esauriscono la loro efficacia nell'ambito della se
rie processuale considerata, a parte gli effetti di eventuale giudi cato (sostanziale) che si producono per la sentenza di primo grado, effetti che qui non interessano. L'inammissibilità è stata invece
dichiarata con riguardo alla indentificazione dell'oggetto della do
manda giudiziale che ha dato origine al rapporto processuale, tenuto conto che, secondo la norma dell'art. 32 1. 16 giugno 1927
n. 1766, sono reclamabili (ossia appellabili) solo le decisioni com
missariali «nelle questioni concernenti l'esistenza, la natura e l'e
stensione dei diritti di cui all'art. 1 e la rivendicazione delle terre».
La corte d'appello ha escluso che le domande proposte dalla uni
versità agraria davanti al commissario rientrassero nell'ambito delle
azioni di rivendicazione, non essendo neppure discutibile che esse
non riguardavano l'esistenza, la natura e l'estensione dei diritti
di uso civico. Il giudicato contenuto nella dichiarazione di inammissibilità del
l'appello riguarda quindi direttamente l'identificazione dell'oggetto della domanda che ha dato origine all'unico rapporto processuale di cui si discute. E questo giudicato opera necessariamente nel
l'ambito di tutte le serie processuali nelle quali il rapporto si è
articolato.
La questione dell'impugnabilità e del mezzo d'impugnazione consentito contro la sentenza di primo grado è, in definitiva,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pregiudiziale e comune sia al giudizio di appello sia al giudizio di revocazione (come, del resto, allo stesso giudizio di cassazione
ai sensi dell'art. Ill Cost.), ed è contrario a ragione che essa, in omaggio alla meccanica e non approfondita applicazione del
principio secondo cui ogni giudice è giudice della propria compe
tenza, possa essere risolta in modo autonomo (ed eventualmente
difforme) da ciascuno dei giudici delle singole serie processuali. 8. - Per effetto del giudicato la sentenza del commissario 25
luglio 1985, non essendo appellabile, può formare oggetto di re
vocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c. Di conseguenza la sentenza del commissario 30 dicemrbe 1985,
la quale ha dichiarato inammissibile la domanda di revocazione
sul presupposto che la prima sentenza fosse appellabile, deve es
sere cassata, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, con rin
vio allo stesso giudice, che pronuncerà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
9. - Per effetto dell'accoglimento del ricorso contro la sentenza
pronunciata in sede di revocazione deve essere sospeso il giudizio
(primo e secondo motivo del ricorso) fino alla definizione del
giudizo di revocazione, ai sensi dell'art. 396, ultimo comma, c.p.c.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 24 maggio
1988, n. 3592; Pres. Menichino, Est. Trezza, P. M. Amiran
te (conci, conf.); Perotta (Avv. C.M. Barone, Leon) c. Soc.
Resem e Soc. Tecnimont; Soc. Tecnimont (Avv. D'Elia, Ca
stana) c. Perotta. Conferma Trib. Milano 3 aprile 1985.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento collettivo — Accordo azien
dale di revoca dei licenziamenti e rinunzia dei lavoratori al ri
sarcimento del danno — Accettazione del singolo lavoratore — Diritto al risarcimento — Insussistenza (Cod. civ., art. 1399,
1967; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà
e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività
sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18).
Ove un accordo aziendale avente natura transattiva abbia stabili
to la revoca di precedente licenziamento collettivo per riduzio
ne di personale, la reintegrazione dei licenziati nel posto di lavoro
e la loro rinunzia al risarcimento del danno ex art. 18 l. 300/70,
il singolo dipendente, che, chiedendo il rispetto dell'accordo
di revoca, lo abbia accettato quanto alla reintegrazione nel po
sto, non ha diritto al risarcimento del danno ex art. 18 cit. (1)
Motivi della decisione. — Con l'unico complesso motivo di
impugnazione il ricorrente principale denuncia violazione e falsa
applicazione degli art. 24 Cost., 1343, 1362-1371, 1453, 1965, 1967,
2113, 2697 c.c., 112, 116, 276, 324, 345, 411, 437 c.p.c., 2, 21
e 25 1. 12 agosto 1977 n. 675, 18 1. 20 maggio 1970 n. 300, in
relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia
e deduce quanto segue.
(1) La sentenza si colloca nel filone giurisprudenziale per il quale il
contratto collettivo non può disporre dei diritti dei singoli lavoratori, se
non sia stato conferito mandato specifico all'organizzazione stipulante, ovvero — ed è il principio che interessa in questa sede — se non sia
stato accettato successivamente, anche in forma implicita (ma nella specie vi era stata dichiarazione espressa): cfr., da ultimo, Cass. 13 dicembre
1986, n. 7483, Foro it., 1988, 1, 527, con nota di richiami e nota di
P. Lambertucci, Brevi considerazioni sul c.d. potere dispositivo dell'au
tonomia collettiva dinanzi alla pluralità dei «modelli» della contrattazio
ne collettiva, commentata anche da G. Mannacio, Trattamenti individuali
più favorevoli e accordi collettivi modificativi, in Dir. e pratica lav., 1987, 444. Ai richiami di cui alla nota in Foro it., cit., adde Cass. 3419 e
2445/85, citate in sentenza e Cass. 10 dicembre 1984, n. 6493, id., Rep.
1985, voce Lavoro (rapporto), n. 773. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Pret. Bologna 22 settembre 1986 e Pret. Cesena 14 marzo 1986, id.,
Rep. 1987, voce cit., nn. 2895, 2898.
In dottrina, cfr. i contributi vari in Legge, contrattazione collettiva
e diritti individuali, Atti dell'incontro di studi organizzato dal Csm, Mila
no 6-7 marzo 1987, in Quaderni del Cons. sup. magistratura, 1987, fase.
8-9, passim, e, in particolare, lo studio di E. d'Avossa, 135.
Il Foro Italiano — 1989.
Con ampia motivazione il pretore aveva dichiarato illegittimi i licenziamenti irrogati nel periodo 10-20 novembre 1981 e ritenu
to spettante ad esso ricorrente il risarcimento del danno nella mi
sura prevista dall'art. 18 1. 300/70, malgrado la revoca del
licenziamento disposta con l'accordo collettivo del 25 novembre
1981. Il tribunale aveva riformato tale ultima statuizione ma erro
neamente; e ciò per varie ragioni. Esso Perotta non aveva mai chiesto la declaratoria di illegitti
mità del licenziamento alla stregua dell'accordo 25 novembre 1981, bensì' per altri vizi tra cui le inosservanze dell'accordo 19 febbraio
1981; era evidente, quindi, il vizio di extrapetizione inficiante la
sentenza del tribunale, il quale si era riferito ad una fattispecie
completamente diversa da quella dedotta dall'attore.
Esso ricorrente non avendo agito per l'esecuzione dell'accordo
25 novembre 1981 e non avendo chiesto la reintegrazione sulla
base di esso, non aveva potuto operare alcuna rinuncia alle prete se incompatibili con l'accordo stesso, il quale non conteneva al
cuna previsione esclusiva delle garanzie legali, né aveva contenuto
transattivo, mancando di fronte alla revoca dei licenziamenti da
parte del datore di lavoro una specifica corrispettiva «concessio
ne» dei lavoratori. In particolare, la generica previsione di un
impegno a promuovere la estinzione del contenzioso non aveva
nulla a che vedere né con la dichiarazione di rinuncia alle azioni
giudiziarie promosse, né tanto meno con la stipula di conciliazio
ni in sede sindacale.
In definitiva, esso Perotta non aveva mai rinunciato esplicita mente alle azioni proposte né aveva mai sottoscritto conciliazioni
in sede sindacale, per cui era censurabile la tesi del tribunale circa
le inconciliabilità della decisione dei lavoratori di profittare del
l'accordo con la loro pretesa al rispetto delle invocate garanzie
legali; del resto l'accordo 25 novembre 1981 non prevedeva affat
to l'esclusione dell'applicazione dell'art. 18 statuto dei lavoratori.
In ogni caso, indipendentemente dai rilievi sopra mossi, il giu dice di appello non poteva escludere il diritto di esso ricorrente
alle cinque mensilità di retribuzione a titolo di risarcimento del
danno, dopo che era stata confermata la dichiarazione pretorile di illegittimità del licenziamento, essendo il primo coessenziale
a quest'ultima. Con il suo ricorso incidentale la soc. Tecnimont denuncia vio
lazione e falsa applicazione degli art. 1256 ss., 1324 ss., 1362
ss., 1411 ss. c.c., 11 1. 604/66, 24 e 25 1. 12 agosto 1977 n. 675, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di
un punto decisivo della controversia, e deduce che il tribunale
non si è affatto pronunciato su tutte le argomentazioni svolte
nell'atto di appello circa la legittimità dei licenziamenti collettivi
del 10-20 novembre 1981; che in ogni caso la pronuncia del giudi ce di secondo grado, confermativa di quella del pretore sul pun
to, è contraddittoria, in quanto, essendo stato ritenuto che
l'accordo sindacale del 25 novembre 1981 aveva eliminato il li
cenziamento, collettivo, non era possibile che tale provvedimen
to, cancellato dalla realtà giuridica, potesse essere oggetto di una
pronuncia, anche se soltanto dichiarativa; che, comunque, l'ac
cordo del 25 novembre 1981 conteneva una revoca condizionata
deicenziamenti, nel senso che la rinuncia alla impugnazione della
messa in cig doveva costituire il presupposto inderogabile per la
revoca dei licenziamenti, come emergeva sia dal comportamento delle parti, sia dalla interpretazione complessiva delle clausole;
che, pertanto, l'accordo non poteva essere interpretato nel senso
che da una parte acquisisse subito il risultato a sé favorevole e
fosse poi libera di concedere o meno il corrispettivo, sia in appli cazione del criterio della buona fede, sia tenendo conto dell'equo
contemperamento degli interessi delle parti, il quale sarebbe ve
nuto meno se, dopo la revoca dei licenziamenti, fosse continuato
il contenzioso giudiziario sulla messa in cassa integrazione. Riuniti i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ha dichiarato inam
missibile, perché tardivo, quello incidentale.
Posto, invero, che la pretesa del Perotta poteva essere respinta
autonomamente, oltre che per le ragioni esposte dal tribunale,
anche per la legittimità del licenziamento del 17 novembre 1981
o per la natura condizionata della revoca del licenziamento stesso
disposta con l'accordo del 25 novembre 1981, ed avendo il giudi ce di appello tenuto su due piani ben distinti la declaratoria di
illeggittimità del suddetto licenziamento e la sua decisione sfavo
revole al Perotta, non collegando tra loro le due statuizioni, av
verso la reiezione, sia pure implicita, delle suddette eccezioni
difensive della società Resem da pare del tribunale, sia perché
autonomamente idonee a risolvere la controversia, sia perché ap
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