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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione II civile; sentenza 28 maggio 1988,...

Date post: 27-Jan-2017
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sezione II civile; sentenza 28 maggio 1988, n. 3657; Pres. Carotenuto, Est. Sammartino, P. M. Simeone (concl. conf.); Regione Lazio (Avv. Lorizio) c. Università agraria di Riano (Avv. De La Grange) e Zuliani. Cassa Commiss. usi civici del Lazio 30 dicembre 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 451/452-457/458 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183794 . Accessed: 28/06/2014 14:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.146 on Sat, 28 Jun 2014 14:14:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 28 maggio 1988, n. 3657; Pres. Carotenuto, Est. Sammartino, P. M.Simeone (concl. conf.); Regione Lazio (Avv. Lorizio) c. Università agraria di Riano (Avv. De LaGrange) e Zuliani. Cassa Commiss. usi civici del Lazio 30 dicembre 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 451/452-457/458Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183794 .

Accessed: 28/06/2014 14:14

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451 PARTE PRIMA 452

Nel caso di specie, pertanto, risulta infondata la censura della

ricorrente all'impugnata sentenza, che, rettamente applicando l'art.

38 1. 392/78, ha affermato la piena validità della comunicazione

del proprietario-locatore delle condizioni di vendita, anche se pri vo dell'indicazione del nome dei terzi, ai quali il proprietario,

poi, ha venduto l'immobile per il mancato esercizio del diritto

di prelazione da parte della conduttrice, con conseguente perdita

per quest'ultima del diritto di riscatto dell'immobile dai suddetti

terzi acquirenti.

II

Motivi della decisione. — Le ricorrenti denunciano: 1) la viola

zione degli art. 38 1. 392/78 e 12 disp. sulla legge in generale: violazione e/o falsa applicazione degli art. 1326, 1328 e 1329 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. per avere la corte erronea

mente ritenuto che nella formazione del rapporto contrattuale di

compravendita che si instaura tra proprietario-locatore e condut

tore, nell'ambito della normativa dell'art. 38 1. 392/78 non siano

apllicabili le regole generali sull'accordo delle parti e sulla revo

cabilità della proposta finché il contratto non sia concluso, salvo

il caso di espressa convenzione delle parti o disposizione espressa di legge, non ricorrenti peraltro nella fattispecie; 2) la violazione

dell'art. 38 1. 392/78, violazione e/o falsa applicazione dell'art.

2332 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. per avere la corte

erroneamente ritenuto che per l'accoglimento della domanda di

esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto fosse

sufficiente la tempestiva dichiarazione dell'onerato di volere adem

piere alla prestazione dovuta laddove la disposizione dell'art. 38

1. 392/78 richiederebbe esplicitamente il necessario versamento del

prezzo entro il termine da essa previsto, contestualmente alla sti

pula del contratto di compravendita e del contratto preliminare. La prima censura è fondata. Questa Suprema corte ha già ripe

tutamente affermato che la comunicazione al conduttore — pre vista dall'art. 38 — non configura una proposta irrevocabile nel

termine dei sessanta giorni, né alcun atto vincolisitco preliminare

unilaterale; ma una sorta di obbligo di interpello che — sia per i meccanismi che la denuntiatio aziona, sia per la indeterminatez

za che la situazione presenta — non concreta una proposta con

trattuale (Cass. 9 maggio 1985, n. 2897, Foro it., 1985, I, 3105) e quindi tanto meno una proposta irrevocabile. Si è, altresì, rile

vato che in tema di locazione di immobile urbano ad uso non

abitativo, la comunicazione del conduttore dell'intento di vende

re il bene non configura una espressione di volontà negoziale, ma soltanto l'ottemperanza ad un obbligo che è fissato dall'art.

38, al fine di mettere in condizione il conduttore medesimo di

esercitare l'eventuale diritto di prelazione, ove le parti si determi

nino al negozio, perfezionando cosi contrattualmente in suo fa

vore una vicenda acquisitiva di tipo legale (Cass. 10 aprile 1986, n. 2521 e 17 aprile 1986, n. 2726, id., 1986, I, 2161).

L'art. 38 prevede per il locatore l'onere della comunicazione

per il solo fatto che egli intenda trasferire a titolo oneroso l'im

mobile locato e si concreta in un obbligo legale di informativa

circa l'esistenza di una vicenda traslativa alla quale la norma col

lega il meccanismo legale di acquisto preferenziale. Se, quindi,

prima che intervenga l'adesione del conduttore, viene meno la

manifestazione di volontà traslativa del locatore, il negozio non

può avere vita, non sussistendo, come invece afferma la sentenza

impugnata, alcun contratto preliminare unilaterale, né, di conse

guenza, alcun obbligo di contrarre. Non può condividersi l'opi nione della sentenza impugnata, secondo la quale la configurazione della comunicazione come proposta irrevocabile troverebbe fon

damento e ragione nell'interesse che il conduttore continui l'atti

vità economica da lui iniziata nell'immobile locato e pervenga alla riunione nella sua stessa persona della qualità di proprieta rio. Infatti, la disposizone in esame tutela sufficientemente il con

duttore già attraverso il diritto di prelazione, nel caso di effettiva

e definitiva manifestazione della volontà di alienare da parte del

locatore; e, nel caso di violazione del diritto potestativo, attraver

so la possibilità di esercizio del diritto di riscatto.

Non può, quindi, configurarsi un'ulteriore limitazione del di

ritto di proprietà, già efficacemente operata con le norme di cui

agli art. 38 e 39, in assenza di una specifica indicazione del legis

latore, che non è reperibile nel testo della legge, né nella sua

interpretazione.

Il Foro Italiano — 1989.

Il controricorrente ha richiamato la giurisprudenza di questa corte in materia di esercizio del diritto di prelazione in tema di

affitto di fondi rustici che ha ricondotto lo ius praelationis nello

schema normativo della proposta irrevocabile, entro il termine

in cui alla controparte compete il diritto di esercitarlo. Il richia

mo non sembra conferente per la diversa disciplina dei due istitu

ti, che, pur attenendo entrambi all'istituto della prelazione,

configurano situazioni giuridiche e di fatto che non possono esse

re assimilate.

L'art. 38 1. 392/78 fa, infatti, generico riferimento al'intenzio

ne del locatore di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato

ed impone l'obbligo della comunicazione del corrispettivo richie

sto e delle altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe

essere conclusa. Diversamente l'art. 8 1. 26 maggio 1965 n. 590

e la successiva versione dell'art. 8 1. 14 agosto 1971 n. 817 im

pongono, tra l'altro, l'obbligo — in tema di comunicazione al

l'affittuario per l'acquisto del fondo rustico — di trasmettere il

preliminare di compravendita dell'immobile stipulato con il ter

zo, preliminare in cui debbono essere indicati il nome dell'acqui

rente, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite, compresa la clausola per la eventualità della prelazione. È evidente la diver

sità delle situazioni giuridiche, in relazione alla differente limita

zione dell'autonomia negoziale e della stessa struttura della

comunicazione, che, nel caso di affitto di fondi rustici, non si

esaurisce in un obbligo di interpello, ma nella creazione di una

situazione giuridica passiva a carico del proprietario e di una atti

va a carico dell'affittuario, che viene a godere del diritto potesta tivo di subentrare al terzo, quale parte del contratto già posto in essere. Il primo motivo del ricorso deve, quindi, essere accol

to. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 28 maggio

1988, n. 3657; Pres. Carotenuto, Est. Sammartino, P. M.

Simeone (conci, conf.); Regione Lazio (Avv. Lorizio) c. Uni

versità agraria di Riano (Avv. De La Grange) e Zuliani. Cassa

Commiss, usi civici del Lazio 30 dicembre 1985.

Cosa giudicata civile — Giudicato interno — Inammissibilità di

gravame — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 324).

Trascorso il termine per l'impugnazione della sentenza che di

chiara l'inammissibilità dell'appello, si forma un giudicato in

terno al processo che rende incontestabile l'inappellabilità della

sentenza di primo grado e determina l'accoglimento del ricorso

in Cassazione contro la sentenza che aveva dichiarato l'inam

missibilità della domanda di revocazione sul presupposto che

la sentenza di primo grado fosse appellabile. (1)

(1) La sentenza decide una vicenda abbastanza complessa che conviene riassumere schematicamente. Contro la sentenza 27 luglio 1985 del com missario per gli usi civici venivano proposti domanda di revocazione e

appello; il commissario dichiarava l'inammissibilità della prima sul pre supposto dell'appellabilità della sentenza di primo grado (sent. 30 dicem bre 1985); la corte d'appello a sua volta dichiarava l'inammissibilità

dell'appello ai sensi dell'art. 32 1. 16 giugno 1927 n. 1766, non avendo la causa ad oggetto questioni relative all'esistenza, la natura e l'estensio ne dei diritti di uso civico o la rivendicazione delle terre (sent. 6 giugno 1986). Nessun gravame era proposto contro la pronuncia della corte d'ap pello, mentre con un unico atto veniva proposto ricorso in Cassazione contro entrambe le sentenze del commissario (27 luglio 1985 e 30 dicem bre 1985). Col ricorso si denunciava l'errore in cui egli era incorso rite nendo appellabile la sent. 27 luglio 1985 e si produceva copia della sentenza della corte d'appello a sostegno di quanto affermato; la parte resistente

negava la configurabilità del giudicato su una pronuncia meramente pro cessuale, «la quale si limita a dichiarare in un diverso processo l'inam missibiltà di un mezzo di impugnazione».

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso contro la sentenza pronun ciata dal commissario sulla domanda di revocazione, affermando:

a) La configurabilità del giudicato formale su sentenze meramente pro cessuali; v. in proposito Cass. 11 aprile 1983, n. 2550, Foro it., Rep. 1983, voce Cosa giudicata civile n. 3; 7 gennaio 1983, n. 112, ibid., n. 4; 4 novembre 1978, n. 5006, id., Rep. 1978, voce Competenza civile,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso al commissario per la liquidazione degli usi civici per il Lazio, l'Umbria e la Tosca na, proposto contro la regione Lazio e contro Gabriele Zuliani

in data 15 giugno 1985, l'universtià agraria di Riano lamentava

un'arbitraria interferenza della regione nella amministrazione dei

beni del demanio civico locale perché la stessa affermava di avere

il diritto-potere di assentire o negare la destinazione di una parte di tali beni a cave di tufo, ai sensi dell'art. 12 1. 16 giugno 1927 n. 1766. Sosteneva che tale pretesa «costituiva quanto meno una

molestia di diritto ed una compressione dei diritti reali, del potere di disposizione e di godimento che compete alla popolazione di

n. 257, citate in motivazione, cui adde Cass. 7 maggio 1987, n. 4230, id., Rep. 1987, voce Cosa giudicata civile, n. 30; 15 gennaio 1981, n.

339, id., 1981, I, 1037; 2 luglio 1980, n. 4180, id., Rep. 1980, voce Giuri

sdizione civile, n. 106; 15 febbraio 1979, n. 979, id., 1979, I, 2399; 17 novembre 1978, n. 5330, id., Rep. 1979, voce cit., n. 146 (e in Giur.

it., 1979, I, 1, 1710); sez. un. 7 luglio 1977, n. 3016, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 157 (e in Giust. civ., 1977, I, 1463); 2 gennaio 1977, n. 323, Foro it., Rep. 1977, voce Competenza civile, n. 217. In dottrina, v. Pugliese, Giudicato civile, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1967,

XVIII, 839; Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 991; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1984, II, 273 e

423; contra, Laudiso, La sentenza processuale, Milano, 1982, 181.

b) L'efficacia di dette sentenze nell'ambito dello stesso processo nel

quale sono state emanate (c.d. giudicato interno); a questo proposito si

possono richiamare le sentenze precedentemente citate, nelle quali si af

ferma anche che «le decisioni su questioni processuali sono suscettibili

di formazione del giudicato soltanto nell'ambito dello stesso processo (co siddetto giudicato interno) e non impediscono la riproposizione delle me

desime questioni in un successivo giudizio». A tal proposito è però necessario un chiarimento; se infatti è pacifica

l'efficacia endoprocessuale delle sentenze di rito dei giudici di merito, è anche consolidato l'indirizzo che riconosce efficacia extraprocessuale alle sentenze della Corte di cassazione che risolvono questioni di giurisdi zione e di competenza.

In tema di competenza l'art. 310, 2° comma, c.p.c. espressamente af

ferma la sopravvivenza delle sentenze in oggetto all'estinzione del proces so, senza distinguere fra quelle pronunciate in sede di regolamento di

competenza e quelle pronunciate in sede di ricorso ordinario (anche in

tal caso, infatti, la corte è chiamata a «statuire sulla competenza» ex

art. 382, 2° comma, c.p.c.); v., in questo senso, Andrioli, Diritto pro cessuale civile, cit., 1014; Redenti, Diritto processuale, civile, Milano,

1957, II, 384; Satta, Commentario, Milano, 1959-1960, II, I, 449; Lieb

man, Manuale, cit., II, 210. In tema di giurisdizione, stante il silenzio dell'art. 310 c.p.c., si è fatto

riferimento agli art. 65 dell'ordinamento giudiziario e 382, 1° comma,

c.p.c., che attribuiscono alle sezioni unite della Suprema corte la funzio

ne istituzionale di assicurare il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizio

ni, risolvendo i conflitti positivi e negativi e statuendo sulla giurisdizione, con pronunce che, pertanto, operano anche al di fuori del processo nel

corso del quale sono state emanate e vincolano qualsiasi giudice, sempre che si tratti della medesima controversia fra le stesse parti (v., tra le altre,

Cass., sez. un., 23 ottobre 1986, n. 6221, Foro it., 1986, I, 3009, con

nota di A. Proto Pisani, In tema di giudicato interno, giudicato esterno

e preclusione; 5 novembre 1984, n. 5579, id., Rep. 1985, voce Cosa giudi cata civile, n. 9 e in Giust. civ., 1985, I, 1146, con nota di S. Menchini, Orientamenti giurisprudenziali in tema di giudicato sulla giurisdizione; 2 maggio 1983, n. 3006, Foro it., 1983, I, 1985, con nota di A. Lener; sez. un. 11 aprile 1981, n. 2121, id., Rep. 1981, voce Cassazione civile, n. 85, e in Giust. civ., 1981, I, 686).

Per un maggiore approfondimento ed ulteriori richiami in dottrina e

giurisprudenza, v. Menchini, Il giudicato civile, in Giurisprudenza siste

matica di diritto processuale civile, Torino, 1988, 249 ss.

c) La capacità del processo di articolarsi in senso orizzontale in varie

«serie» processuali, mantenendo intatta la propria unicità, e la conse

guente efficacia del giudicato formatosi in una di tali «serie», anche nelle

«serie» parallele; in ordine a tale capacità, v. Cass. 29 settembre 1978, n. 4350, Foro it., Rep. 1978, voce Cosa giudicata civile, n. 28, citata

in motivazione, nella quale si afferma che il procedimento va «dalla pro

posizione della domanda alla decisione della causa» con possibilità di

articolarsi diversamente da un caso all'altro.

d) La rilevanza dei motivi al fine di stabilire l'efficacia delle sentenze

di mero rito; in proposito, v. Menchini, op. ult. cit., 249 ss., ove si

precisa che «le sentenze processuali possono avere ad oggetto vuoi que stioni suscettibili di ripresentarsi in modo identico a come furono dibat

tute nel precedente giudizio, ove venga riproposta la stessa domanda (...),

vuoi questioni che riguardano il processo in se stesso, la validità o la

nullità dei suoi singoli atti (...) che non si ripresentano mai in modo

identico in un secondo processo, pur relativo allo stesso diritto».

Questa distinzione, posta allo scopo di delimitare l'efficacia extrapro cessuale delle sentenze di rito, è adottata anche dalla sentenza in rassegna

Il Foro Italiano — 1989.

Riano. Chiedeva pertanto che fosse dichiarato che il demanio in

questione, in difetto della previa assegnazione a categoria (art. 14 1. 1766/27), era «liberamente utilizzabile dalla popolazione di

Riano, e, per essa, dell'università» e che, in particolare, «non

era necessario chiedere ed ottenere l'autorizzazione regionale per utilizzare i terreni per l'attività estrattiva».

La regione resisteva alla domanda eccependo in via pregiudi ziale il difetto di giurisdizione del commissario. Lo Zuliani non si costituiva.

In corso di causa l'università precisava che il ricorso era diretto

ad ottenere anche la tutela possessoria contro la molestia confi

gurabile nella pretesa della regione e chiedeva che fosse dichiara

ta l'invalidità e l'inefficacia della clausola dei contratti di

concessione a terzi dello sfruttamento delle cave con cui l'opera tività dei contratti stessi era subordinata alla preventiva autoriz

zazione della regione. Con sentenza 25 luglio 1985 il commissario rigettava l'eccezio

ne di difetto di giurisdizione (e su ciò si è formato il giudicato per mancanza d'impugnazione) e accoglieva le domande formula

te dall'università agraria. Contro questa sentenza, notificata ex officio in data 30 luglio

1985, venivano proposti: a) domanda di revocazione dallo stesso

commissario, da parte della regione, in data 4 ottobre 1985; b) reclamo alla Corte d'appello di Roma, sezione speciale usi civici, dallo Zuliani, in data 10 ottobre, e dalla regione in data 14 otto

bre 1985.

Con sentenza 30 dicembre 1985 il commissario dichiarava inam

missibile la domanda di revocazione ritenendo: a) che le doman

de proposte dall'università agraria dovevano essere inquadrate nello

schema dell'azione negatoria prevista dall'art. 949, 2° comma,

c.c.; b) che tale azione rientrava fra quelle di «rivendicazione»

previste dall'art. 32, 1° comma, 1. 1766/27, con la conseguenza che la sentenza del commissario 25 luglio 1985 era appellabile.

Contro questa sentenza, notificata ex officio il 12 gennaio 1986, nonché contro la prima sentenza 25 luglio 1985 la regione Lazio

ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 22 febbraio 1986) sulla base di tre motivi illustrati con memoria. L'università di

Riano resiste con controricorso illustrato da memoria. Lo Zuliani

non ha svolto attività difensiva. Insieme con le memorie alla ri

corrente ha prodotto copia della sentenza 6 giugno 1986 della

Corte d'appello di Roma, sezione usi civici, passata in giudicato, con il quale il reclamo contro la sentenza del commissario 25

luglio 1985 è stato dichiarato inammissibile in quanto le doman

date proposte dell'università di Riano non rientrano nello schema

dell'azione di rivendicazione come previsto dall'art. 32, 1° com

ma, 1. 16 giugno 1927 n. 1766.

Motivi della decisione. — 1. - La regione Lazio ha proposto unico ricorso per cassazione, notificato il 22 febbraio 1986, sia

contro la sentenza 30 dicembre 1985, pronunciata dal commissa

rio in sede di revocazione e notificata il 12 gennaio 1986 (terzo motivo del ricorso), sia contro la sentenza 25 luglio 1985, pro nunciata dal commissario in primo grado e notificata il 30 luglio 1985 (primo e secondo motivo del ricorso).

L'università agraria di Riano ha sollevato tre eccezioni di inam

missibilità del ricorso: due, col controricorso, relative alla impu

gnazione della prima sentenza 25 luglio 1985 (sotto i profili: a) della appellabilità e, quindi, la non ricorribilità in Cassazione ex

art. Ill Cost.; b) della avvenuta decorrenza del termine di impu

gnazione, anche computando il periodo di sospensione ex lege

conseguente al giudizio di revocazione); la terza, con la memoria,

relativa al ricorso in sé in quanto proposto, con unico atto, con

tro entrambe le sentenze del commissario.

con riferimento al giudicato interno, per delineare l'ambito di efficacia

del giudicato formatosi su una delle «serie» in cui il processo si è artico

lato, nelle «serie» parallele; si legge infatti nella motivazione che «una

pronuncia processuale come quella di inammissibilità dell'appello, non

può essere valutata al di fuori delle ragioni che l'hanno determinata»

e che nel caso di specie «l'inammissiblità non è stata dichiarata per ragio ni attinenti alla forma, al contenuto o ai termini dell'atto di impugnazio ne (...) nel qual caso le ragioni della pronuncia esauriscono la loro efficacia

nell'ambito della serie processuale considerata (...). L'inammissibilità è

stata invece dichiarata con riguardo all'identificazione dell'oggetto della

domanda giudiziale che ha dato origine al rapporto processuale (...)»;

per questo il giudicato «opera necessariamente nell'ambito di tutte le 'se

rie' processuali nelle quali il rapporto si è articolato». [M. Raunich]

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PARTE PRIMA

Quest'ultima eccezione, da esaminarsi in via preliminare, è pa lesemente infondata.

È sufficiente il rilievo che la giurisprudenza di questa corte am

mette la proponibilità con unico atto del ricorso per cassazione

contro la sentenza emessa in sede di revocazione e contro la sen

tenza che ha formato oggetto di quel giudizio, salvo il caso che

la revocazione non investa l'intero oggetto della controversia ed

esista assoluta autonomia tra le questioni e il ricorso contro la

sentenza pronunciata in sede di revocazione e le questioni e il

ricorso contro la prima sentenza. Ipotesi che non ricorre nel caso

di specie in cui l'errore di fatto denunciato in sede di revocazione

era, nella prospettazione logica fatta valere dalla regione, tale

da far venire meno il fondamento della prima sentenza nella sua

interezza.

2. - Considerando che l'esame del motivo di ricorso contro

la sentenza pronunciata in sede di revocazione (il terzo ) deve

precedere l'esame dei motivi contro la prima sentenza, le eccezio

ni di inammissibilità di questa seconda impugnazione (proposta ai sensi dell'art. Ill Cost.) dovranno essere esaminate da queta corte solo nell'ipotesi di rigetto dall'indicato terzo motivo.

3. - Col terzo motivo di ricorso la regione Lazio, denunciando

la violazione dell'art. 32 1. 16 giugno 1927 n. 1766, deduce che

il commissario ha errato nel ritenere che la sentenza 25 luglio 1985 fosse appellabile e che, di conseguenza, la domanda di revo

cazione fosse inammissibilie. L'oggetto della causa definita con

la sentenza precedente non riguardava infatti né l'esistenza, la

natura e l'estensione dei diritti di uso civico, né la rivendicazione

di terreni.

Allo scopo di convalidare il suo assunto la regione ha prodot

to, insieme con la memoria ex art. 378 c.p.c., copia della senten

za 6 giugno 1986 della Corte d'appello di Roma, sezione usi civici,

passata in giudicato, con la quale il reclamo proposto contro la

prima sentenza del commissario ai sensi dell'art. 32 della legge

sugli usi civici è stato dichiarato inammissibile, trattandosi di de

cisione non appellabile e non avendo essa ad oggetto questioni concernenti l'esistenza, la natura e la estensione dei diritti di uso

civico o la rivendicazione delle terre.

4. - La difesa dell'università agraria, nella discussione orale, ha sostenuto l'irrilevanza della produzione peraltro irrituale, del

la indicata sentenza della corte d'appello perché non è configura bile l'efficacia di giudicato di una pronuncia meramente

processuale, come quella in esame, che si limita, in un diverso

processo, a dichiarare l'inammissibilità di un mezzo d'impu

gnazione. La corte ritiene invece che per effetto della sentenza della corte

d'appello si sia determinata una preclusione in forza della quale è diventato incontestabile, nel processo, che la sentenza 25 luglio 1985 del commissario non era appellabile.

5. - Pur esssendo esatto che parte della dottrina esclude la con

figurabilità del giudicato per le pronunce meramente processuali è da considerare che la giurisprudenza di questa corte ha ripetu tamente affermato l'efficacia di giudicato, in senso formale, delle

sentenze che risolvono questioni processuali — come quelle sulla

competenza — purché emanate nell'ambito dello stesso processo nel quale il giudicato è fatto valere (cfr. Cass. 11 aprile 1983, n. 2550 e 7 gennaio 1983, n. 112, Foro it., Rep. 1983, voce Cosa

giudicata civile, nn. 3, 4; 4 novembre 1978, n. 5006, id., Rep. 1978, voce Competenza civile, n. 257).

Occorre quindi accertare se il giudicato (formale) in questione

possa qualificarsi interno.

6. - Per stabilire se una pronuncia intervenga nell'ambito di

uno stesso processo, in modo che possa configurarsi il giudicato

interno, ovvero nell'ambito di un processo diverso, in modo che

possa configurarsi il giudicato esterno, soccorre la giurisprudenza di questa corte la quale ha precisato che il rapporto processuale, che si svolge attraverso le varie fasi del giudizio, va «dalla propo sizione della domanda alla decisione definitiva della causa» (Cass. 29 settembre 1978, n. 4350, id., Rep. 1978, voce Cosa giudicata civile, n. 28).

Dalla proposizione di una determinata domanda giudiziale ha

origine quindi un determinato e solo rapporto processuale il qua le non perde la sua unicità solo perché — come è avvenuto nel

caso di specie contro la sentenza di primo grado, siano stati pro

posti tre diversi mezzi di impugnazione (l'appello, la revocazione, il ricorso per cassazione) in relazione alle due ipotesi della appel labilità (che rende possibile solo l'appello) o della inappellabilità

Il Foro Italiano — 1989.

(che rende possibile sia la revocazione sia il ricorso per cassazione

ai sensi dell'art. Ill Cost.). In questo caso il rapporto si articola, in senso orizzontale, in

distinte «serie» processuali (rami diversi del medesimo tronco) entro le quali si distinguono poi «fasi» processuali diverse (in senso verticale). Di conseguenza, è errato pensare che, per effetto

delle coesistenti impugnazioni dell'unica sentenza di primo gado,

venga data origine a processi distinti e autonomi nell'ambito di

ciascuno dei quali possano formarsi dei giudicati intrasferibili nel

l'ambito degli altri. Si tratta di giudicati che si formano nell'am

bito dello stesso rapporto, sorto dalla originaria unica domanda

giudiziale, che hanno o possono avere, secondo le precisazioni che verranno fatte nel paragrafo seguente, diretta incidenza non

solo nella serie processuale nella quale intervengono ma anche

nelle altre serie parallele. (È un tipo di giudicato che può definirsi

«trasversale» o «transeriale» per la sua idoneità a incidere, attra

versandole, anche nelle altre serie del medesimo rapporto pro

cessuale). 7. - La configurazione del giudicato come interno al processo

fa, nel caso di specie, diventare rituale la produzione della sen

tenza della corte d'appello nel corso del giudizio di cassazione.

Per accertare la sua concreta operatività nel giudizio medesimo, devono essere fatte ulteriori precisazioni.

La sentenza della corte d'appello non può essere ritenuta come

dichiarativa di incompetenza (funzionale) del giudice adito, tale

da potere dare luogo, in difetto d'impugnazione delle parti, a

eventuale conflitto di competenza, ai sensi dell'art. 45 c.p.c., con

riguardo al giudice della revocazione.

Il conflitto disciplinato dalla norma predetta postula l'identità

della situazione processuale (identità di domanda, per il giudizio di primo grado; identità del mezzo d'impugnazione, per il giudi zio di grado ulteriore) sulla quale sono chiamati a decidere i due

giudici. Di conseguenza il processo può passare direttamente dal

giudice che si dichiara incompetente all'altro giudice, tanto che

l'art. 45 trova applicazione a seguito della riassunzione del pro cesso davanti al secondo giudice.

Questa identità manca del tutto in relazione all'appello, da una

parte, e alla revocazione dall'altra (basti pensare alla radicale di

versità dei motivi che possono essere fatti valere con l'uno o con

altro mezzo d'impugnazione), sicché sono impossibili sia la tras

lazione del processo da un giudice all'altro sia, di conseguenza, l'elevazione del conflitto.

D'altro canto una pronuncia processuale, come quella di inam

missibilità dell'appello, non può essere valutata al di fuori delle

ragioni che l'hanno determinata. Anche il giudicato formale, in

altri termini, se deve essere operativo nell'ambito dello stesso pro

cesso, estende la sua efficacia a quelli che sono i presupposti ne

cessari della pronuncia. Nel caso di specie l'inammissibilità non è stata dichiarata per

ragioni attinenti alla forma, al contenuto o ai termini dell'atto

d'impugnazione (si pensi alla mancanza dei motivi d'appello; alla

nullità della citazione d'appello ai sensi dell'art. 164 c.p.c.; al

decorso del termine d'impugnazione), nel quale caso le ragioni della pronuncia esauriscono la loro efficacia nell'ambito della se

rie processuale considerata, a parte gli effetti di eventuale giudi cato (sostanziale) che si producono per la sentenza di primo grado, effetti che qui non interessano. L'inammissibilità è stata invece

dichiarata con riguardo alla indentificazione dell'oggetto della do

manda giudiziale che ha dato origine al rapporto processuale, tenuto conto che, secondo la norma dell'art. 32 1. 16 giugno 1927

n. 1766, sono reclamabili (ossia appellabili) solo le decisioni com

missariali «nelle questioni concernenti l'esistenza, la natura e l'e

stensione dei diritti di cui all'art. 1 e la rivendicazione delle terre».

La corte d'appello ha escluso che le domande proposte dalla uni

versità agraria davanti al commissario rientrassero nell'ambito delle

azioni di rivendicazione, non essendo neppure discutibile che esse

non riguardavano l'esistenza, la natura e l'estensione dei diritti

di uso civico. Il giudicato contenuto nella dichiarazione di inammissibilità del

l'appello riguarda quindi direttamente l'identificazione dell'oggetto della domanda che ha dato origine all'unico rapporto processuale di cui si discute. E questo giudicato opera necessariamente nel

l'ambito di tutte le serie processuali nelle quali il rapporto si è

articolato.

La questione dell'impugnabilità e del mezzo d'impugnazione consentito contro la sentenza di primo grado è, in definitiva,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

pregiudiziale e comune sia al giudizio di appello sia al giudizio di revocazione (come, del resto, allo stesso giudizio di cassazione

ai sensi dell'art. Ill Cost.), ed è contrario a ragione che essa, in omaggio alla meccanica e non approfondita applicazione del

principio secondo cui ogni giudice è giudice della propria compe

tenza, possa essere risolta in modo autonomo (ed eventualmente

difforme) da ciascuno dei giudici delle singole serie processuali. 8. - Per effetto del giudicato la sentenza del commissario 25

luglio 1985, non essendo appellabile, può formare oggetto di re

vocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c. Di conseguenza la sentenza del commissario 30 dicemrbe 1985,

la quale ha dichiarato inammissibile la domanda di revocazione

sul presupposto che la prima sentenza fosse appellabile, deve es

sere cassata, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, con rin

vio allo stesso giudice, che pronuncerà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

9. - Per effetto dell'accoglimento del ricorso contro la sentenza

pronunciata in sede di revocazione deve essere sospeso il giudizio

(primo e secondo motivo del ricorso) fino alla definizione del

giudizo di revocazione, ai sensi dell'art. 396, ultimo comma, c.p.c.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 24 maggio

1988, n. 3592; Pres. Menichino, Est. Trezza, P. M. Amiran

te (conci, conf.); Perotta (Avv. C.M. Barone, Leon) c. Soc.

Resem e Soc. Tecnimont; Soc. Tecnimont (Avv. D'Elia, Ca

stana) c. Perotta. Conferma Trib. Milano 3 aprile 1985.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento collettivo — Accordo azien

dale di revoca dei licenziamenti e rinunzia dei lavoratori al ri

sarcimento del danno — Accettazione del singolo lavoratore — Diritto al risarcimento — Insussistenza (Cod. civ., art. 1399,

1967; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà

e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività

sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18).

Ove un accordo aziendale avente natura transattiva abbia stabili

to la revoca di precedente licenziamento collettivo per riduzio

ne di personale, la reintegrazione dei licenziati nel posto di lavoro

e la loro rinunzia al risarcimento del danno ex art. 18 l. 300/70,

il singolo dipendente, che, chiedendo il rispetto dell'accordo

di revoca, lo abbia accettato quanto alla reintegrazione nel po

sto, non ha diritto al risarcimento del danno ex art. 18 cit. (1)

Motivi della decisione. — Con l'unico complesso motivo di

impugnazione il ricorrente principale denuncia violazione e falsa

applicazione degli art. 24 Cost., 1343, 1362-1371, 1453, 1965, 1967,

2113, 2697 c.c., 112, 116, 276, 324, 345, 411, 437 c.p.c., 2, 21

e 25 1. 12 agosto 1977 n. 675, 18 1. 20 maggio 1970 n. 300, in

relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché omessa, insufficiente

e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia

e deduce quanto segue.

(1) La sentenza si colloca nel filone giurisprudenziale per il quale il

contratto collettivo non può disporre dei diritti dei singoli lavoratori, se

non sia stato conferito mandato specifico all'organizzazione stipulante, ovvero — ed è il principio che interessa in questa sede — se non sia

stato accettato successivamente, anche in forma implicita (ma nella specie vi era stata dichiarazione espressa): cfr., da ultimo, Cass. 13 dicembre

1986, n. 7483, Foro it., 1988, 1, 527, con nota di richiami e nota di

P. Lambertucci, Brevi considerazioni sul c.d. potere dispositivo dell'au

tonomia collettiva dinanzi alla pluralità dei «modelli» della contrattazio

ne collettiva, commentata anche da G. Mannacio, Trattamenti individuali

più favorevoli e accordi collettivi modificativi, in Dir. e pratica lav., 1987, 444. Ai richiami di cui alla nota in Foro it., cit., adde Cass. 3419 e

2445/85, citate in sentenza e Cass. 10 dicembre 1984, n. 6493, id., Rep.

1985, voce Lavoro (rapporto), n. 773. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Pret. Bologna 22 settembre 1986 e Pret. Cesena 14 marzo 1986, id.,

Rep. 1987, voce cit., nn. 2895, 2898.

In dottrina, cfr. i contributi vari in Legge, contrattazione collettiva

e diritti individuali, Atti dell'incontro di studi organizzato dal Csm, Mila

no 6-7 marzo 1987, in Quaderni del Cons. sup. magistratura, 1987, fase.

8-9, passim, e, in particolare, lo studio di E. d'Avossa, 135.

Il Foro Italiano — 1989.

Con ampia motivazione il pretore aveva dichiarato illegittimi i licenziamenti irrogati nel periodo 10-20 novembre 1981 e ritenu

to spettante ad esso ricorrente il risarcimento del danno nella mi

sura prevista dall'art. 18 1. 300/70, malgrado la revoca del

licenziamento disposta con l'accordo collettivo del 25 novembre

1981. Il tribunale aveva riformato tale ultima statuizione ma erro

neamente; e ciò per varie ragioni. Esso Perotta non aveva mai chiesto la declaratoria di illegitti

mità del licenziamento alla stregua dell'accordo 25 novembre 1981, bensì' per altri vizi tra cui le inosservanze dell'accordo 19 febbraio

1981; era evidente, quindi, il vizio di extrapetizione inficiante la

sentenza del tribunale, il quale si era riferito ad una fattispecie

completamente diversa da quella dedotta dall'attore.

Esso ricorrente non avendo agito per l'esecuzione dell'accordo

25 novembre 1981 e non avendo chiesto la reintegrazione sulla

base di esso, non aveva potuto operare alcuna rinuncia alle prete se incompatibili con l'accordo stesso, il quale non conteneva al

cuna previsione esclusiva delle garanzie legali, né aveva contenuto

transattivo, mancando di fronte alla revoca dei licenziamenti da

parte del datore di lavoro una specifica corrispettiva «concessio

ne» dei lavoratori. In particolare, la generica previsione di un

impegno a promuovere la estinzione del contenzioso non aveva

nulla a che vedere né con la dichiarazione di rinuncia alle azioni

giudiziarie promosse, né tanto meno con la stipula di conciliazio

ni in sede sindacale.

In definitiva, esso Perotta non aveva mai rinunciato esplicita mente alle azioni proposte né aveva mai sottoscritto conciliazioni

in sede sindacale, per cui era censurabile la tesi del tribunale circa

le inconciliabilità della decisione dei lavoratori di profittare del

l'accordo con la loro pretesa al rispetto delle invocate garanzie

legali; del resto l'accordo 25 novembre 1981 non prevedeva affat

to l'esclusione dell'applicazione dell'art. 18 statuto dei lavoratori.

In ogni caso, indipendentemente dai rilievi sopra mossi, il giu dice di appello non poteva escludere il diritto di esso ricorrente

alle cinque mensilità di retribuzione a titolo di risarcimento del

danno, dopo che era stata confermata la dichiarazione pretorile di illegittimità del licenziamento, essendo il primo coessenziale

a quest'ultima. Con il suo ricorso incidentale la soc. Tecnimont denuncia vio

lazione e falsa applicazione degli art. 1256 ss., 1324 ss., 1362

ss., 1411 ss. c.c., 11 1. 604/66, 24 e 25 1. 12 agosto 1977 n. 675, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di

un punto decisivo della controversia, e deduce che il tribunale

non si è affatto pronunciato su tutte le argomentazioni svolte

nell'atto di appello circa la legittimità dei licenziamenti collettivi

del 10-20 novembre 1981; che in ogni caso la pronuncia del giudi ce di secondo grado, confermativa di quella del pretore sul pun

to, è contraddittoria, in quanto, essendo stato ritenuto che

l'accordo sindacale del 25 novembre 1981 aveva eliminato il li

cenziamento, collettivo, non era possibile che tale provvedimen

to, cancellato dalla realtà giuridica, potesse essere oggetto di una

pronuncia, anche se soltanto dichiarativa; che, comunque, l'ac

cordo del 25 novembre 1981 conteneva una revoca condizionata

deicenziamenti, nel senso che la rinuncia alla impugnazione della

messa in cig doveva costituire il presupposto inderogabile per la

revoca dei licenziamenti, come emergeva sia dal comportamento delle parti, sia dalla interpretazione complessiva delle clausole;

che, pertanto, l'accordo non poteva essere interpretato nel senso

che da una parte acquisisse subito il risultato a sé favorevole e

fosse poi libera di concedere o meno il corrispettivo, sia in appli cazione del criterio della buona fede, sia tenendo conto dell'equo

contemperamento degli interessi delle parti, il quale sarebbe ve

nuto meno se, dopo la revoca dei licenziamenti, fosse continuato

il contenzioso giudiziario sulla messa in cassa integrazione. Riuniti i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ha dichiarato inam

missibile, perché tardivo, quello incidentale.

Posto, invero, che la pretesa del Perotta poteva essere respinta

autonomamente, oltre che per le ragioni esposte dal tribunale,

anche per la legittimità del licenziamento del 17 novembre 1981

o per la natura condizionata della revoca del licenziamento stesso

disposta con l'accordo del 25 novembre 1981, ed avendo il giudi ce di appello tenuto su due piani ben distinti la declaratoria di

illeggittimità del suddetto licenziamento e la sua decisione sfavo

revole al Perotta, non collegando tra loro le due statuizioni, av

verso la reiezione, sia pure implicita, delle suddette eccezioni

difensive della società Resem da pare del tribunale, sia perché

autonomamente idonee a risolvere la controversia, sia perché ap

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