+ All Categories
Home > Documents > PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988,...

PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988,...

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: vannguyet
View: 216 times
Download: 2 times
Share this document with a friend
4
sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli (concl. conf.); Massini (Avv. Volpe) c. Sterpetti (Avv. Bergodi). Conferma App. Roma 13 luglio 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 2235/2236-2239/2240 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184104 . Accessed: 28/06/2014 17:46 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 17:46:57 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli (concl. conf.); Massini (Avv.

sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli(concl. conf.); Massini (Avv. Volpe) c. Sterpetti (Avv. Bergodi). Conferma App. Roma 13 luglio1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2235/2236-2239/2240Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184104 .

Accessed: 28/06/2014 17:46

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 17:46:57 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli (concl. conf.); Massini (Avv.

2235 PARTE PRIMA 2236

Svolgimento del processo. — Con sentenza 18 aprile - 5 otto

bre 1985 il Tribunale di Milano rigettò l'appello proposto da Ric

cardo Massimiliano Menotti, nei confronti della s.p.a Agip, contro

la decisione 30 ottobre - 4 dicembre 1984 del pretore della detta

città, il quale aveva rigettato la domanda dello stesso ricorrente

Menotti, diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del li

cenziamento a lui intimato dalla società Agip con lettera del 1°

giugno 1984 e della sospensione cautelativa dal lavoro (preceden temente disposta dalla medesima società, datrice di lavoro, con

lettera 23 maggio 1984), nonché le conseguenziali pronunzie con

cernenti le richieste di reintegrazione nel posto di lavoro e di con

danna al risarcimento dei danni.

Di tale sentenza del giudice di appello, depositata il 5 ottobre

1985, il soccombente Menotti ha chiesto la cassazione per due

motivi con ricorso notificato a mezzo del servizio postale in data

11 novembre 1986 (con raccomandata spedita il precedente gior no 7 dello stesso mese).

La s.p.a. Agip ha resistito con controricorso, nel quale ha pre liminarmente dedotto l'inammissibilità dell'impugnazione perché tardivamente proposta. Il ricorrente ha ritualmente presentato,

indi, memoria difensiva.

Motivi della decisione. — La suaccennata eccezione pregiudi

ziale, sollevata nel controricorso, è fondata, atteso che l'impu

gnazione di cui si tratta risulta proposta giusta le indicazioni

anticipate nella narrativa che precede, con atto notificato I'll

novembre 1986, e cioè allorché era già trascorso oltre un anno

dalla data, 5 ottobre 1985, di pubblicazione della sentenza del

giudice a quo. Vi è stata, quindi, violazione della norma dell'art.

327 c.p.c., la quale stabilisce tale termine annuale di decadenza

dall ' impugnazione.

È appena il caso di riaffermare a tale riguardo il principio rei

teratamente e da tempo enunciato da questa Suprema corte, a

tenore del quale la sospensione dei termini processuali durante

il periodo feriale, prevista dall'art. 1 1. 7 ottobre 1969 n. 742, è esclusa, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge, per le controversie

di lavoro, anche per quanto concerne il termine di proposizione del ricorso per cassazione (cfr., fra le tante, le sent. 8 gennaio

1977, n. 60, Foro it., Rep. 1977, voce Termini processuali civili, n. 61; 29 aprile 1977, n. 1660, ibid., n. 60; 21 maggio 1981, n. 3342, id., Rep. 1981, vocecit., n. 17; 25 novembre 1981, n. 6274,

ibid., n. 40; 25 maggio 1982, n. 3195, id., Rep. 1982, voce cit., n. 36; 25 maggio 1983, n. 3636, id., Rep. 1983, voce cit., n.

43; 12 luglio 1983, n. 4717, ibid., n. 42; 16 luglio 1983, n. 4925, ibid., n. 41; 8 febbraio 1984, n. 966, id., Rep. 1984, voce cit., n. 28; 15 novembre 1985, n. 5613, id., Rep. 1985, voce cit., n.

25; 17 dicembre 1986, n. 7639, id., Rep. 1986, voce cit., n. 24; 19 maggio 1987, n. 4588, id., Rep. 1987, voce cit., n. 22; 16

luglio 1987, n. 6268, ibid., n. 21). Né, contrariamente a quel che assume il ricorrente nella sua

memoria, la suddetta esclusione viola il disposto degli art. 3 e

24 Cost., essendo finalizzata al rilevante interesse di consentire

una più sollecita realizzazione dei diritti dei lavoratori (v., in tale

senso, Cass. 27 marzo 1984, n. 2012, id., Rep. 1984, voce cit., n. 27; 5 aprile 1984, n. 2238, ibid., n. 26; 30 maggio 1986, n.

3661, id., 1987, I, 498).

cui all'art. 92 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, richiamato dall'art. 3 1. 742/69, si riferisce unicamente ai procedimenti instaurati ai sensi degli art. 657

ss. c.p.c., considerati urgenti ratione materiae, e non alla «fase in cui la causa avente oggetto la finita locazione sia stata trattata ed istruita con il rito ordinario dopo la caducazione di quello speciale (...), a seguito delle eccezioni di soggezione del contratto al regime di proroga legale formulate dall'intimato, essendo venuta meno la ragione di urgenza che

contraddistingue la fase sommaria», né all'azione di recesso per necessità di cui all'art. 59, n. 1,1. 392/78; tali pronunce confermano inoltre che il richiamo fatto dall'art. 3 1. 742/69 all'art. 429 c.p.c. (ora sostituito

dall'art. 409) fa riferimento alla natura della causa e non al rito dal quale è disciplinata.

Circa la legittimità costituzionale dell'art. 3 1. 742/69, avevano già di chiarato la manifesta infondatezza della questione: Cass. 30 maggio 1986, n. 3661, cit.; 5 aprile 1984, n. 2238, id., Rep. 1984, voce cit., n. 26, e 27 marzo 1984, n. 2012, ibid., n. 27, citate in motivazione, cui acide, tra le altre, Cass. 27 maggio 1987, n. 4750, id., Rep. 1987, voce cit., n. 15 e 30 maggio 1986, n. 3662, cit.; la stessa Corte costituzionale, ord. 8 marzo 1985, n. 61, id., 1985, I, 1278, ha affermato l'infondatezza della

questione con riferimento alle controversie previdenziali. In dottrina, v.

Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 459 ss.

Il Foro Italiano — 1989.

Nel riaffermare che è manifestamente infondata l'adombrata

questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 1. n. 742 del 1969,

la corte non può, del resto, non porre in risalto l'evidente specio

sità dell'assunto dello stesso ricorrente, secondo cui la ratio della

citata norma sarebbe ormai vanificata dalla «prassi... consolida

ta, specie nelle grandi città», concernente il mancato rispetto dei

termini previsti dall'art. 415 c.p.c. A prescindere, infatti, dal ri

lievo che siffatta «prassi» — siccome delineata nell'indicata me

moria — non riguarda né tutti i termini processuali, né, tanto

meno, la generalità degli uffici giudiziari, è appena il caso di ri cordare che il nostro ordinamento giuridico esclude qualsiasi rile

vanza alla consuetudo contra legem. Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 21 dicem

bre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli

(conci, conf.); Massini (Aw. Volpe) c. Sterpetti (Avv. Bergo

di). Conferma App. Roma 13 luglio 1984.

Impugnazioni civili in genere — Morte del convenuto prima della

costituzione — Prosecuzione del processo — Eredi — Legitti mazione — Termine di decadenza — Decorrenza (Cod. proc.

civ., art. 161, 298, 299, 304, 327).

La prosecuzione di fatto del processo automaticamente interrot

to, per morte del convenuto prima della sua costituzione in

giudizio, non determina inesistenza della sentenza, ma solo nul

lità che deve essere fatta valere tramite l'appello dagli eredi

della parte defunta entro il termine di un anno dal momento

in cui questi hanno avuto comunque conoscenza della

sentenza. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti specifici in termini.

Il grosso interesse della sentenza in rassegna deriva dal fatto che in

essa la Corte di cassazione ha equiparato la situazione degli eredi della

parte defunta prima della costituzione in giudizio a quella del contumace

involontario il quale «dimostri di non avere avuto conoscenza del proces so per nullità della citazione o della notificazione di essa (il che, nella

specie, non era avvenuto poiché la citazione era stata ritualmente notifi

cata al convenuto poi deceduto prima della costituzione), e per nullità

della notificazione degli atti di cui all'art. 292» c.p.c. Su tale base la

corte ha applicato la norma «eccezionale» dell'art. 327, 2° comma, c.p.c. anche alla fattispecie — da essa direttamente non contemplata — di mor

te del convenuto avvenuta prima della sua costituzione e di irrituale pro secuzione del processo automaticamente interrotto.

Non sembra che la corte abbia avuto consapevolezza della arditezza

della operazione ermeneutica che ha effettuato; ed infatti per un verso non ha avvertito neanche la necessità di porsi il problema se — alla pre senza dell'art. 14 preleggi — il giudice ordinario possa applicare analogi camente norme eccezionali in ossequio al rispetto di superiori valori

costituzionali (nella specie, il diritto di difesa ex art. 24, 2° comma, Cost.) ovvero se invece ad esso sia consentito solo sollevare questioni di legitti mità costituzionale della norma eccezionale; per altro verso ha ritenuto

sufficiente a giustificare l'interpretazione accolta il rilievo secondo cui

«non può considerarsi rituale la dichiarazione di contumacia della parte che, come è avvenuto in concreto, sia stata colpita da un evento previsto dalla legge come causa di interruzione automatica del processo».

È sconcertante dovere constatare, pertanto, la leggerezza con cui la

nostra Corte suprema interviene su principi generalissimi del processo (nella

specie sul giudicato formale) e della interpretazione della legge in genera le (nella specie il divieto di applicazione analogica delle norme ecceziona

li, ed il porsi di tale principio con la limitazione costituzionalmente

illegittima della norma eccezionale). E, stante la forza di precedente che

istituzionalmente è attribuita alle statuizioni della Cassazione, la censura

non è resa meno grave dalla circostanza che il principio riassunto in mas

sima è stato enunciato non per consentire una impugnazione proposta oltre l'anno di cui all'art. 327, 1° comma, c.p.c., ma per dichiarare che, nel caso di specie, la sentenza era divenuta immutabile a seguito del de corso dell'anno da cui gli eredi del convenuto morto prima della costitu zione avevano avuto conoscenza della sentenza emanata a termine del

processo irritualmente proseguito: anche se — giova ricordarlo — questo rilievo diminuisce notevolmente il valore di precedente della sentenza in esame.

È, infine, da notare che, ove l'orientamento accolto dalla sen tenza fosse destinato ad espandersi nell'ambito della giurisprudenza

This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 17:46:57 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli (concl. conf.); Massini (Avv.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 12 apri le 1974 Giuseppe Sterpetti conveniva, davanti al Tribunale di Ro

ma, Giuseppe Massini chiedendo l'emanazione di una sentenza

sostitutiva del contratto con cui il convenuto avrebbe dovuto tras

ferirgli il diritto di enfiteusi di un fondo rustico sito in Canale Monterano, in esecuzione del contratto preliminare di vendita del

27 settembre 1963 (registrato il 12 marzo 1974). Non essendo stata iscritta la causa a ruolo, lo Sterpetti proce

deva alla sua riassunzione con atto notificato al Massini il 31

maggio 1974. Quest'ultimo decedeva il 25 giugno 1974 prima dell'udienza di

comparizione, senza essersi costituito in giudizio. Il difensore dello Sterpetti riferiva l'avvenuto decesso del Mas

sini al giudice istruttore il quale, però, non dava atto dell'interru

zione del processo che proseguiva di fatto e si concludeva con

sentenza del 6 ottobre 1976 (non notificata agli eredi della parte

defunta) di accoglimento della domanda.

Ciò premesso, con citazione del 29 luglio 1980 lo Sterpetti con

veniva, davanti allo stesso tribunale, Alda ed Enrico Massini, eredi

di Giuseppe Massini, chiedendone la condanna al rilascio del suin

dicato terreno, in esecuzione della pronuncia, passata in cosa giu

dicata, con cui era stato trasferito il diritto di enfiteusi al loro

dante causa.

Costituitisi in giudizio, i convenuti contestavano la pretesa, ec

cependo che la sentenza del 6 ottobre 1976, sulla quale si basava

la richiesta di rilascio del fondo rustico, era giuridicamente inesi

stente, perché pronunciata in assenza di contraddittorio nei con

fronti di Giuseppe Massini, essendo costui deceduto prima

dell'udienza fissata per la sua comparizione.

Con sentenza del 20 ottobre 1982 il giudice adito accoglieva

la domanda ritenendo che l'eccezione dei convenuti avrebbe do

vuto essere dai medesimi dedotta con l'appello contro la pronun

cia del 6 ottobre 1976, e che, non essendo stato questo proposto,

l'eccezione stessa era preclusa dal giudicato che su tale decisione

si era conseguentemente formato.

Proponevano impugnazione i soccombenti insistendo nel soste

nere che l'eccezione era ammissibile, perché la sentenza del 6 ot

tobre 1976, essendo giuridicamente inesistente, era inidonea a

passare in cosa giudicata. Resisteva al gravame lo Sterpetti deducendone l'infondatezza,

ordinaria, con esso si sarebbe aperta la strada ad una utilizzazione del

capoverso dell'art. 327 c.p.c. quale norma attraverso cui consentire la

rimessione in termini della parte che non abbia potuto impugnare ritual

mente in termini una sentenza a causa della mancata conoscenza del pro cesso o della mancata conoscenza della morte della controparte o del

suo difensore [ma su questi temi Cass., sez. un., 21 febbraio 1984, nn.

1228, 1229, 1230, Foro it., 1984, I, 664 (con nota di A. Proto Pisani,

in cui si denuncia l'insufficienza della soluzione accolta dalle sezioni uni

te) sembravano avere deciso di seguire una strada del tutto diversa; e

10 stesso è, nella sostanza, da dirsi riguardo a Corte cost. 3 marzo 1986,

n. 41, id., 1986, I, 1501, con nota di F. Donati, nonché a Corte cost.

20 dicembre 1988, n. 1110, id., 1989, I, 342]; ma, una volta imboccata

tale strada da un lato il problema si trasforma in quello più generale della improrogabilità dei termini perentori ex art. 153 c.p.c. e della op

portunità di un meccanismo generale di rimessione in termini (su cui v.

la chiosa di A. Proto Pisani, ibid.,), e dall'altro lato sorge la questione della opportunità di prevedere un termine finale di sbarramento a garan zia di quei valori di certezza coessenziali al processo civile e di cui è

espressione il giudicato. È appena il caso di aggiungere che dalla motiva

zione della sentenza in epigrafe non traspare in modo alcuno che la Cas

sazione abbia avuto coscienza di tanti problemi, né dei molti altri che

sarebbe agevole enumerare. Sull'ambito di applicazione dell'art. 327, 2° comma, c.p.c., v., da ulti

mo, Cass. 18 aprile 1985, n. 2581, id., 1985, I, 2934, con osservazioni

di Scarsella

Nel senso che la sentenza emanata nonostante la interruzione automati

ca per morte del convenuto prima della sua costituzione, sia nulla e non

già inesistente (per cui il vizio può essere fatto valere solo tramite i mezzi

di impugnazione), v., in senso conforme, Cass. 7 maggio 1947, n. 710,

id., Rep. 1947, voce Estinzione del processo n. 39 (cit. in motivazione), cui adde Cass. 28 gennaio 1983, n. 815, id., Rep. 1983, voce Procedimen

to civile, n. 237. Nello stesso senso si muove la giurisprudenza riguardo

all'analogo problema della prosecuzione del processo durante la fase d'in

terruzione; v. Cass. 16 giugno 1983, n. 4129, ibid., n. 240; 27 febbraio

1980, n. 1361, id., Rep. 1980, voce cit., n. 203; 25 ottobre 1973, n. 2705,

id., Rep. 1973, voce cit., n. 309; 19 giugno 1969, n. 2166, id., 1969,

I, 1424 (tutte citate in motivazione). [A. Proto Pisani]

11 Foro Italiano — 1989 — Parte I-41.

e la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 13 luglio 1984, confermava la decisione di primo grado.

Ricorrono per cassazione Alda ed Enrico Massini deducendo

due motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso lo

Sterpetti. Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denunzia la

violazione dell'art. 161 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, dello

stesso codice e si deduce che la corte d'appello ha ritenuto fonda

ta la domanda di rilascio del terreno proposta dallo Sterpetti —

basata sulla sentenza del Tribunale di Roma del 6 ottobre 1976 — con la quale era stata accolta la pretesa dal medesimo fatta

valere nei confronti di Giuseppe Massini, sull'erroneo rilievo che

tale sentenza era passata in cosa giudicata, non essendo stato pro

posto l'appello nel prescritto termine perentorio annuale al fine

di eccepire la nullità da cui essa era affetta per essere stata pro nunciata a conclusione del processo proseguito di fatto dopo la

sua automatica interruzione verificatasi a norma dell'art. 299 c.p.c.

per la morte del convenuto non ancora costituito in giudizio. In proposito, si sostiene che si sarebbe dovuta, invece, respin

gere la domanda di rilascio in quanto l'indicata sentenza del Tri

bunale di Roma era giuridicamente inesistente e non soltanto nulla,

essendo stata emanata a seguito di un giudizio di cui i successori

universali della parte defunta, quali legittimi contraddittori, non

avevano avuto notizia.

Si aggiunge che la conclusione cui è pervenuta la pronuncia

d'appello non trova conferma nella norma dell'art. 161 c.p.c.,

perché questa è stata sempre interpretata nel senso che l'inesi

stenza, oltre a verificarsi nel caso espressamente previsto da tale

disposizione, che è quello della mancata sottoscrizione del giudi

ce, si riscontra anche quando la sentenza sia priva del minimo

di elementi o presupposti necessari per la produzione dell'effetto

della certezza giuridica che è lo scopo del giudicato.

Inoltre, si sostiene che dell'indicata norma, se restrittivamente

interpretata, cosi come ha fatto il giudice d'appello, dovrebbe

dichiararsi l'illegittimità costituzionale per contrasto della stessa

con gli art. 3 e 24 Cost. E, infatti, sarebbe irragionevole porre

in una situazione meno favorevole la parte nei cui confronti non

si sia svolto un regolare contraddittorio, rispetto all'altra che ab

bia ritualmente partecipato al processo concluso con una senten

za priva soltanto del requisito formale della sottoscrizione del

giudice. Infine, il diritto di difesa del cittadino non sarebbe adeguata

mente tutelato se si escludesse l'inesistenza giuridica della senten

za emessa in un procedimento non portato a conoscenza della

parte nelle forme previste dalla legge.

Con il secondo motivo, denunziandosi la violazione dell'art.

327 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice, si

censura la sentenza impugnata per avere la corte d'appello erro

neamente ritenuto che il termine annuale di decadenza previsto

per l'impugnazione della sentenza decorra dalla data in cui la

parte abbia avuto di fatto conoscenza della pronuncia giudiziale

e non dalla data di notificazione della stessa.

Al riguardo, si deduce che si sarebbe dovuto riconoscere che

il termine annuale per la proposizione dell'impugnazione può de

correre solo dalla notificazione della sentenza in quanto «la parte

interessata alla formazione del giudicato non ha altra via per rag

giungere il suo scopo se non quella di notificare la sentenza se

questa sia stata ottenuta nei confronti di una parte che, per non

essere stata posta validamente a conoscenza del processo, sia ri

masta contumace».

Si aggiunge che la norma dell'art. 327 c.p.c. dovrebbe essere

dichiarata costituzionalmente illegittima se negasse il diritto al

l'impugnazione dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza

a chi non fosse stato citato a comparire in giudizio. Infatti, chi

si trovasse in questa situazione sarebbe soggetto in violazione del

l'art. 3 Cost, a un trattamento meno favorevole di quello riserva

to dal 2° comma dell'art. 327 c.p.c. a colui che non abbia avuto

conoscenza del giudizio per nullità della citazione o della sua no

tificazione, ovvero per nullità della notificazione degli atti di cui

all'art. 292 c.p.c. Sarebbe altresì' gravemente limitata la possibilità garantita al

cittadino dall'art. 24 Cost, di ottenere la tutela giurisdizionale

dei propri diritti. Infine, si rileva che la questione di incostituzionalità non è irri

levante come ritenuto dal giudice d'appello, il quale è pervenuto

a tale conclusione sull'erroneo presupposto che il termine annua

This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 17:46:57 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli (concl. conf.); Massini (Avv.

2239 PARTE PRIMA 2240

le per l'impugnazione decorra dalla data in cui la parte abbia

avuto di fatto conoscenza della sentenza, senza considerare che

detto termine è previsto in deroga a quello contemplato dalle di

sposizioni degli art. 325 e 326 c.p.c. e può, quindi, essere analo

gicamente applicato solo violando il disposto dell'art. 14 disp.

sulla legge in generale. Le censure contenute nei due surriportati motivi, da esaminare

congiuntamente perché strettamente connesse, sono infondate.

Il problema posto all'esame di questa Corte di cassazione con

siste nello stabilire se nell'ipotesi di proseguimento di fatto del

processo automaticamente interrotto a norma dell'art. 299 c.p.c.

per la morte della parte convenuta, verificatasi dopo la regolare notifica della citazione ma prima della sua costituzione in cancel

leria o davanti all'istruttore, sia ravvisabile l'inesistenza giuridica

o la nullità del procedimento stesso e della sentenza emanata dal

giudice adito. Innanzi tutto, va osservato che l'inesistenza giuridica non può

essere esclusa in base alla considerazione che l'unica ipotesi di

inesistenza della sentenza è quella della sua mancata sottoscrizio

ne da parte del giudice, espressamente sanzionata dall'art. 161

c.p.c., giacché la giurisprudenza e la stessa dottrina hanno confi

gurato l'inesistenza giuridica della sentenza anche in tutti gli altri

casi nei quali essa manchi del minimo dei requisiti per la produ zione del suo specifico scopo costituito dalla formazione del giu dicato in senso sostanziale.

In armonia con tale orientamento si è, perciò, ritenuto che,

poiché l'esistenza in vita della parte convenuta costituisce il ne

cessario presupposto per la vocatio in ius, la sua morte avvenuta

prima della notificazione della citazione impedisca l'instaurazio

ne del rapporto processuale e determini l'inesistenza giuridica del

l'intero giudizio, di fatto svoltosi, e della sentenza che lo abbia

esaurito.

L'indicata conclusione non è tuttavia estensibile all'ipotesi del

processo proseguito di fatto dopo la morte del convenuto, verifi

catasi prima della sua costituzione in giudizio, ma in un momen

to posteriore alla notifica della citazione, perché, per effetto della

rituale notifica di quest'ultima, il rapporto processuale risulta in

staurato, ed è proprio su questo presupposto che l'art. 299 c.p.c.

prevede l'automatica interruzione del processo per la morte del

convenuto sopravvenuta prima della sua costituzione in cancelle

ria o davanti al giudice istruttore.

Sotto altro profilo potrebbe sostenersi che la sentenza è inesi

stente perché, in conseguenza dell'interruzione del processo, que sto entrerebbe in una fase assimilabile alla sua «non esistenza», ma contro tale conclusione sarebbe agevole replicare che il pro cesso interrotto, diversamente da quello estinto, esiste quanto meno

ai fini della litispendenza e che nessuna sanzione è comminata

nei riguardi degli atti processuali eventualmente posti in essere

durante lo stato d'interruzione, limitandosi la norma dell'art. 298

c.p.c. (espressamente riferentesi alla sospensione del processo, ma

applicabile anche all'interruzione per effetto del richiamo conte

nuto nell'art. 304 c.p.c.) a stabilire che «durante la sospensione del processo non possono essere compiuti atti del procedimento».

La stessa giurisprudenza della Corte di cassazione ha sempre

escluso, sia pure con motivazioni non articolate, l'inesistenza del

la sentenza emanata durante la fase d'interruzione del processo, e ne ha ravvisato, invece, la nullità (sent. nn. 4129 del 1983, Foro

it., Rep. 1983, voce Procedimento civile, n. 240; 1361 del 1980,

id., Rep. 1980, voce cit., n. 203; 610 del 1977, id., 1977, I, 832; 2705 del 1973, id., Rep. 1973, voce cit., n. 309; 2166 del 1969, id., 1969, I, 1424; 1516 del 1965, id., 1966,1, 490; 2661 del 1962, id., Rep. 1962, voce cit., n. 385; 710 del 1947, id., Rep. 1947, voce Estinzione del processo, n. 39) sia nell'ipotesi di morte del

convenuto avvenuta prima della sua costituzione in giudizio, sia

in quella della morte della parte già costituita, avendo respinto la tesi secondo cui solo nel primo caso la sentenza emessa nella

fase della interruzione sarebbe inesistente, in base di rilievo che, nei riguardi del rapporto processuale già instaurato, l'evento morte

determina sempre il fenomeno interruttivo con l'unica variante

che, quando il decesso sopravvenga alla costituzione della parte, l'interruzione non opera automaticamente, bensì' dal momento in

cui tale evento sia dal procuratore della parte defunta comunica

to in udienza o notificato agli altri soggetti. Ma l'argomento decisivo in forza del quale deve escludersi l'i

nesistenza giuridica della sentenza pronunciata nella fase dell'in

II Foro Italiano — 1989.

terruzione del processo e ritenersi che la stessa sia soltanto affetta

da nullità, si trae dal 2° comma dell'art. 327 c.p.c. il quale stabi

lisce che la disposizione del 1° comma secondo cui l'appello, il

ricorso per cassazione e la revocazione (quest'ultima per i motivi

indicati nei nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c.) non possono proporsi

dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza,

non si applica alla parte contumace la quale dimostri di avere

ignorato il processo per nullità della citazione o della notificazio

ne di essa o per nullità degli atti di cui all'art. 292.

Infatti, la contemplata non decorrenza del termine d'impugna zione per la parte contumace, cui espressamente si riferisce la

riportata norma, presuppone la nullità della sentenza pronuncia ta nei confronti della medesima in presenza degli indicati vizi del

la citazione o della notifcazione, in quanto la previsione di non

decorrenza non sarebbe stata necessaria se si fosse trattato d'ine

sistenza giuridica, potendo questa essere sempre dedotta, even

tualmente anche mediante la proposizione di una specifica domanda di accertamento per l'assenza della formazione del giu dicato sulla sentenza che dalla inesistenza stessa sia offerta.

Ora, se la sentenza emessa nei confronti del contumace che

abbia ignorato il procedimento per vizi della citazione o della

sua notificazione è affetta da nullità e non da inesistenza giuridi

ca, deve ritenersi che nulla e non inesistente sia anche la sentenza

pronunciata a seguito della prosecuzione di mero fatto del pro cesso automaticamente interrotto per la morte della parte, verifi

catasi dopo la citazione ma prima della sua costituzione in giudizio,

giacché in quest'altra ipotesi i successori universali del defunto,

nei cui confronti il processo avrebbe dovuto proseguire o essere

riassunto, versano in una situazione non diversa d'incolpevole igno ranza di esso e della sentenza.

Inquadrato il caso in esame in quello del vizio di nullità della

sentenza, questo deve essere fatto valere dai successori universali

della parte defunta come motivo di impugnazione ai sensi del

l'art. 161 c.p.c. nel termine annuale di cui all'art. 327 se non

sia stata loro notificata la sentenza stessa, e tale termine decorre

non dalla data di pubblicazione di quest'ultima, bensì dal mo

mento della conoscenza che di essa i successori ne abbiano in

qualsiasi modo avuto, essendo, per quanto innanzi esposto, la

condizione degli eredi della parte defunta prima della sua costitu

zione in giudizio conforme a quella del contumace che abbia igno rato il processo per la nullità della citazione o della sua

notificazione.

Nella specie, i ricorrenti, pur avendo avuto sufficiente cono

scenza del processo e della sentenza del tribunale emessa il 6 ot

tobre 1976, nei confronti del dante causa Giuseppe Massini, attraverso la citazione introduttiva del giudizio di rilascio contro

di loro instaurato non hanno proposto appello nel termine di un

anno dalla notifica della citazione e sono, conseguentemente, de

caduti dal diritto d'impugnare quella sentenza passata in cosa

giudicata, che è divenuta, quindi, ad essi opponibile, come cor

rettamente è stato ritenuto dalla corte del merito.

Non può, poi, dubitarsi dell'applicabilità del 2° comma del

l'art. 327 c.p.c. affermandosi che, essendo stata la parte defunta

regolarmente dichiarata contumace, mancherebbe il vizio della no

tificazione, il quale costituisce elemento essenziale per l'operativi tà di tale norma, giacché va, in contrario, osservato che non può considerarsi rituale la dichiarazione di contumacia della parte che, come è avvenuto in concreto, sia stata colpita da un evento previ sto dalla legge come causa d'interruzione automatica del processo.

Neanche può condividersi la tesi secondo cui per la decorrenza

del termine annuale di impugnazione si sarebbe dovuto procedere alla notificazione della sentenza agli eredi di Giuseppe Massini, in quanto per la decorrenza del termine di decadenza previsto

per l'impugnazione è sufficiente, come più volte è stato afferma

to da questa corte (sent. nn. 2637 del 1969, id., Rep. 1969, voce

Impugnazioni civili, n. 32; 2726 del 1968, id., Rep. 1968, voce cit., n. 36; 1917 del 1968, ibid., n. 41; 803 del 1963, id., Rep. 1963, voce cit., n. 21; 162 del 1966, id., 1966, I, 1082; 2 del 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 49), la conoscenza del processo in qualsiasi modo acquisita, purché idonea a consentire all'inte

ressato l'esperimento del mezzo di gravame, conoscenza che, nel

la specie, i Massini sono stati posti in grado di conseguire mediante

l'esame dell'atto introduttivo del giudizio loro notificato nel qua le erano contenuti gli estremi del procedimento promosso nei con

fronti del loro dante causa, e della sentenza emessa contro il

medesimo. (Omissis)

This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 17:46:57 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended