sezione II civile; sentenza 21 dicembre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli(concl. conf.); Massini (Avv. Volpe) c. Sterpetti (Avv. Bergodi). Conferma App. Roma 13 luglio1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2235/2236-2239/2240Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184104 .
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2235 PARTE PRIMA 2236
Svolgimento del processo. — Con sentenza 18 aprile - 5 otto
bre 1985 il Tribunale di Milano rigettò l'appello proposto da Ric
cardo Massimiliano Menotti, nei confronti della s.p.a Agip, contro
la decisione 30 ottobre - 4 dicembre 1984 del pretore della detta
città, il quale aveva rigettato la domanda dello stesso ricorrente
Menotti, diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del li
cenziamento a lui intimato dalla società Agip con lettera del 1°
giugno 1984 e della sospensione cautelativa dal lavoro (preceden temente disposta dalla medesima società, datrice di lavoro, con
lettera 23 maggio 1984), nonché le conseguenziali pronunzie con
cernenti le richieste di reintegrazione nel posto di lavoro e di con
danna al risarcimento dei danni.
Di tale sentenza del giudice di appello, depositata il 5 ottobre
1985, il soccombente Menotti ha chiesto la cassazione per due
motivi con ricorso notificato a mezzo del servizio postale in data
11 novembre 1986 (con raccomandata spedita il precedente gior no 7 dello stesso mese).
La s.p.a. Agip ha resistito con controricorso, nel quale ha pre liminarmente dedotto l'inammissibilità dell'impugnazione perché tardivamente proposta. Il ricorrente ha ritualmente presentato,
indi, memoria difensiva.
Motivi della decisione. — La suaccennata eccezione pregiudi
ziale, sollevata nel controricorso, è fondata, atteso che l'impu
gnazione di cui si tratta risulta proposta giusta le indicazioni
anticipate nella narrativa che precede, con atto notificato I'll
novembre 1986, e cioè allorché era già trascorso oltre un anno
dalla data, 5 ottobre 1985, di pubblicazione della sentenza del
giudice a quo. Vi è stata, quindi, violazione della norma dell'art.
327 c.p.c., la quale stabilisce tale termine annuale di decadenza
dall ' impugnazione.
È appena il caso di riaffermare a tale riguardo il principio rei
teratamente e da tempo enunciato da questa Suprema corte, a
tenore del quale la sospensione dei termini processuali durante
il periodo feriale, prevista dall'art. 1 1. 7 ottobre 1969 n. 742, è esclusa, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge, per le controversie
di lavoro, anche per quanto concerne il termine di proposizione del ricorso per cassazione (cfr., fra le tante, le sent. 8 gennaio
1977, n. 60, Foro it., Rep. 1977, voce Termini processuali civili, n. 61; 29 aprile 1977, n. 1660, ibid., n. 60; 21 maggio 1981, n. 3342, id., Rep. 1981, vocecit., n. 17; 25 novembre 1981, n. 6274,
ibid., n. 40; 25 maggio 1982, n. 3195, id., Rep. 1982, voce cit., n. 36; 25 maggio 1983, n. 3636, id., Rep. 1983, voce cit., n.
43; 12 luglio 1983, n. 4717, ibid., n. 42; 16 luglio 1983, n. 4925, ibid., n. 41; 8 febbraio 1984, n. 966, id., Rep. 1984, voce cit., n. 28; 15 novembre 1985, n. 5613, id., Rep. 1985, voce cit., n.
25; 17 dicembre 1986, n. 7639, id., Rep. 1986, voce cit., n. 24; 19 maggio 1987, n. 4588, id., Rep. 1987, voce cit., n. 22; 16
luglio 1987, n. 6268, ibid., n. 21). Né, contrariamente a quel che assume il ricorrente nella sua
memoria, la suddetta esclusione viola il disposto degli art. 3 e
24 Cost., essendo finalizzata al rilevante interesse di consentire
una più sollecita realizzazione dei diritti dei lavoratori (v., in tale
senso, Cass. 27 marzo 1984, n. 2012, id., Rep. 1984, voce cit., n. 27; 5 aprile 1984, n. 2238, ibid., n. 26; 30 maggio 1986, n.
3661, id., 1987, I, 498).
cui all'art. 92 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, richiamato dall'art. 3 1. 742/69, si riferisce unicamente ai procedimenti instaurati ai sensi degli art. 657
ss. c.p.c., considerati urgenti ratione materiae, e non alla «fase in cui la causa avente oggetto la finita locazione sia stata trattata ed istruita con il rito ordinario dopo la caducazione di quello speciale (...), a seguito delle eccezioni di soggezione del contratto al regime di proroga legale formulate dall'intimato, essendo venuta meno la ragione di urgenza che
contraddistingue la fase sommaria», né all'azione di recesso per necessità di cui all'art. 59, n. 1,1. 392/78; tali pronunce confermano inoltre che il richiamo fatto dall'art. 3 1. 742/69 all'art. 429 c.p.c. (ora sostituito
dall'art. 409) fa riferimento alla natura della causa e non al rito dal quale è disciplinata.
Circa la legittimità costituzionale dell'art. 3 1. 742/69, avevano già di chiarato la manifesta infondatezza della questione: Cass. 30 maggio 1986, n. 3661, cit.; 5 aprile 1984, n. 2238, id., Rep. 1984, voce cit., n. 26, e 27 marzo 1984, n. 2012, ibid., n. 27, citate in motivazione, cui acide, tra le altre, Cass. 27 maggio 1987, n. 4750, id., Rep. 1987, voce cit., n. 15 e 30 maggio 1986, n. 3662, cit.; la stessa Corte costituzionale, ord. 8 marzo 1985, n. 61, id., 1985, I, 1278, ha affermato l'infondatezza della
questione con riferimento alle controversie previdenziali. In dottrina, v.
Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 459 ss.
Il Foro Italiano — 1989.
Nel riaffermare che è manifestamente infondata l'adombrata
questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 1. n. 742 del 1969,
la corte non può, del resto, non porre in risalto l'evidente specio
sità dell'assunto dello stesso ricorrente, secondo cui la ratio della
citata norma sarebbe ormai vanificata dalla «prassi... consolida
ta, specie nelle grandi città», concernente il mancato rispetto dei
termini previsti dall'art. 415 c.p.c. A prescindere, infatti, dal ri
lievo che siffatta «prassi» — siccome delineata nell'indicata me
moria — non riguarda né tutti i termini processuali, né, tanto
meno, la generalità degli uffici giudiziari, è appena il caso di ri cordare che il nostro ordinamento giuridico esclude qualsiasi rile
vanza alla consuetudo contra legem. Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 21 dicem
bre 1988, n. 6984; Pres. Parisi, Est. Vella, P.M. Iannelli
(conci, conf.); Massini (Aw. Volpe) c. Sterpetti (Avv. Bergo
di). Conferma App. Roma 13 luglio 1984.
Impugnazioni civili in genere — Morte del convenuto prima della
costituzione — Prosecuzione del processo — Eredi — Legitti mazione — Termine di decadenza — Decorrenza (Cod. proc.
civ., art. 161, 298, 299, 304, 327).
La prosecuzione di fatto del processo automaticamente interrot
to, per morte del convenuto prima della sua costituzione in
giudizio, non determina inesistenza della sentenza, ma solo nul
lità che deve essere fatta valere tramite l'appello dagli eredi
della parte defunta entro il termine di un anno dal momento
in cui questi hanno avuto comunque conoscenza della
sentenza. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti specifici in termini.
Il grosso interesse della sentenza in rassegna deriva dal fatto che in
essa la Corte di cassazione ha equiparato la situazione degli eredi della
parte defunta prima della costituzione in giudizio a quella del contumace
involontario il quale «dimostri di non avere avuto conoscenza del proces so per nullità della citazione o della notificazione di essa (il che, nella
specie, non era avvenuto poiché la citazione era stata ritualmente notifi
cata al convenuto poi deceduto prima della costituzione), e per nullità
della notificazione degli atti di cui all'art. 292» c.p.c. Su tale base la
corte ha applicato la norma «eccezionale» dell'art. 327, 2° comma, c.p.c. anche alla fattispecie — da essa direttamente non contemplata — di mor
te del convenuto avvenuta prima della sua costituzione e di irrituale pro secuzione del processo automaticamente interrotto.
Non sembra che la corte abbia avuto consapevolezza della arditezza
della operazione ermeneutica che ha effettuato; ed infatti per un verso non ha avvertito neanche la necessità di porsi il problema se — alla pre senza dell'art. 14 preleggi — il giudice ordinario possa applicare analogi camente norme eccezionali in ossequio al rispetto di superiori valori
costituzionali (nella specie, il diritto di difesa ex art. 24, 2° comma, Cost.) ovvero se invece ad esso sia consentito solo sollevare questioni di legitti mità costituzionale della norma eccezionale; per altro verso ha ritenuto
sufficiente a giustificare l'interpretazione accolta il rilievo secondo cui
«non può considerarsi rituale la dichiarazione di contumacia della parte che, come è avvenuto in concreto, sia stata colpita da un evento previsto dalla legge come causa di interruzione automatica del processo».
È sconcertante dovere constatare, pertanto, la leggerezza con cui la
nostra Corte suprema interviene su principi generalissimi del processo (nella
specie sul giudicato formale) e della interpretazione della legge in genera le (nella specie il divieto di applicazione analogica delle norme ecceziona
li, ed il porsi di tale principio con la limitazione costituzionalmente
illegittima della norma eccezionale). E, stante la forza di precedente che
istituzionalmente è attribuita alle statuizioni della Cassazione, la censura
non è resa meno grave dalla circostanza che il principio riassunto in mas
sima è stato enunciato non per consentire una impugnazione proposta oltre l'anno di cui all'art. 327, 1° comma, c.p.c., ma per dichiarare che, nel caso di specie, la sentenza era divenuta immutabile a seguito del de corso dell'anno da cui gli eredi del convenuto morto prima della costitu zione avevano avuto conoscenza della sentenza emanata a termine del
processo irritualmente proseguito: anche se — giova ricordarlo — questo rilievo diminuisce notevolmente il valore di precedente della sentenza in esame.
È, infine, da notare che, ove l'orientamento accolto dalla sen tenza fosse destinato ad espandersi nell'ambito della giurisprudenza
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 12 apri le 1974 Giuseppe Sterpetti conveniva, davanti al Tribunale di Ro
ma, Giuseppe Massini chiedendo l'emanazione di una sentenza
sostitutiva del contratto con cui il convenuto avrebbe dovuto tras
ferirgli il diritto di enfiteusi di un fondo rustico sito in Canale Monterano, in esecuzione del contratto preliminare di vendita del
27 settembre 1963 (registrato il 12 marzo 1974). Non essendo stata iscritta la causa a ruolo, lo Sterpetti proce
deva alla sua riassunzione con atto notificato al Massini il 31
maggio 1974. Quest'ultimo decedeva il 25 giugno 1974 prima dell'udienza di
comparizione, senza essersi costituito in giudizio. Il difensore dello Sterpetti riferiva l'avvenuto decesso del Mas
sini al giudice istruttore il quale, però, non dava atto dell'interru
zione del processo che proseguiva di fatto e si concludeva con
sentenza del 6 ottobre 1976 (non notificata agli eredi della parte
defunta) di accoglimento della domanda.
Ciò premesso, con citazione del 29 luglio 1980 lo Sterpetti con
veniva, davanti allo stesso tribunale, Alda ed Enrico Massini, eredi
di Giuseppe Massini, chiedendone la condanna al rilascio del suin
dicato terreno, in esecuzione della pronuncia, passata in cosa giu
dicata, con cui era stato trasferito il diritto di enfiteusi al loro
dante causa.
Costituitisi in giudizio, i convenuti contestavano la pretesa, ec
cependo che la sentenza del 6 ottobre 1976, sulla quale si basava
la richiesta di rilascio del fondo rustico, era giuridicamente inesi
stente, perché pronunciata in assenza di contraddittorio nei con
fronti di Giuseppe Massini, essendo costui deceduto prima
dell'udienza fissata per la sua comparizione.
Con sentenza del 20 ottobre 1982 il giudice adito accoglieva
la domanda ritenendo che l'eccezione dei convenuti avrebbe do
vuto essere dai medesimi dedotta con l'appello contro la pronun
cia del 6 ottobre 1976, e che, non essendo stato questo proposto,
l'eccezione stessa era preclusa dal giudicato che su tale decisione
si era conseguentemente formato.
Proponevano impugnazione i soccombenti insistendo nel soste
nere che l'eccezione era ammissibile, perché la sentenza del 6 ot
tobre 1976, essendo giuridicamente inesistente, era inidonea a
passare in cosa giudicata. Resisteva al gravame lo Sterpetti deducendone l'infondatezza,
ordinaria, con esso si sarebbe aperta la strada ad una utilizzazione del
capoverso dell'art. 327 c.p.c. quale norma attraverso cui consentire la
rimessione in termini della parte che non abbia potuto impugnare ritual
mente in termini una sentenza a causa della mancata conoscenza del pro cesso o della mancata conoscenza della morte della controparte o del
suo difensore [ma su questi temi Cass., sez. un., 21 febbraio 1984, nn.
1228, 1229, 1230, Foro it., 1984, I, 664 (con nota di A. Proto Pisani,
in cui si denuncia l'insufficienza della soluzione accolta dalle sezioni uni
te) sembravano avere deciso di seguire una strada del tutto diversa; e
10 stesso è, nella sostanza, da dirsi riguardo a Corte cost. 3 marzo 1986,
n. 41, id., 1986, I, 1501, con nota di F. Donati, nonché a Corte cost.
20 dicembre 1988, n. 1110, id., 1989, I, 342]; ma, una volta imboccata
tale strada da un lato il problema si trasforma in quello più generale della improrogabilità dei termini perentori ex art. 153 c.p.c. e della op
portunità di un meccanismo generale di rimessione in termini (su cui v.
la chiosa di A. Proto Pisani, ibid.,), e dall'altro lato sorge la questione della opportunità di prevedere un termine finale di sbarramento a garan zia di quei valori di certezza coessenziali al processo civile e di cui è
espressione il giudicato. È appena il caso di aggiungere che dalla motiva
zione della sentenza in epigrafe non traspare in modo alcuno che la Cas
sazione abbia avuto coscienza di tanti problemi, né dei molti altri che
sarebbe agevole enumerare. Sull'ambito di applicazione dell'art. 327, 2° comma, c.p.c., v., da ulti
mo, Cass. 18 aprile 1985, n. 2581, id., 1985, I, 2934, con osservazioni
di Scarsella
Nel senso che la sentenza emanata nonostante la interruzione automati
ca per morte del convenuto prima della sua costituzione, sia nulla e non
già inesistente (per cui il vizio può essere fatto valere solo tramite i mezzi
di impugnazione), v., in senso conforme, Cass. 7 maggio 1947, n. 710,
id., Rep. 1947, voce Estinzione del processo n. 39 (cit. in motivazione), cui adde Cass. 28 gennaio 1983, n. 815, id., Rep. 1983, voce Procedimen
to civile, n. 237. Nello stesso senso si muove la giurisprudenza riguardo
all'analogo problema della prosecuzione del processo durante la fase d'in
terruzione; v. Cass. 16 giugno 1983, n. 4129, ibid., n. 240; 27 febbraio
1980, n. 1361, id., Rep. 1980, voce cit., n. 203; 25 ottobre 1973, n. 2705,
id., Rep. 1973, voce cit., n. 309; 19 giugno 1969, n. 2166, id., 1969,
I, 1424 (tutte citate in motivazione). [A. Proto Pisani]
11 Foro Italiano — 1989 — Parte I-41.
e la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 13 luglio 1984, confermava la decisione di primo grado.
Ricorrono per cassazione Alda ed Enrico Massini deducendo
due motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso lo
Sterpetti. Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denunzia la
violazione dell'art. 161 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, dello
stesso codice e si deduce che la corte d'appello ha ritenuto fonda
ta la domanda di rilascio del terreno proposta dallo Sterpetti —
basata sulla sentenza del Tribunale di Roma del 6 ottobre 1976 — con la quale era stata accolta la pretesa dal medesimo fatta
valere nei confronti di Giuseppe Massini, sull'erroneo rilievo che
tale sentenza era passata in cosa giudicata, non essendo stato pro
posto l'appello nel prescritto termine perentorio annuale al fine
di eccepire la nullità da cui essa era affetta per essere stata pro nunciata a conclusione del processo proseguito di fatto dopo la
sua automatica interruzione verificatasi a norma dell'art. 299 c.p.c.
per la morte del convenuto non ancora costituito in giudizio. In proposito, si sostiene che si sarebbe dovuta, invece, respin
gere la domanda di rilascio in quanto l'indicata sentenza del Tri
bunale di Roma era giuridicamente inesistente e non soltanto nulla,
essendo stata emanata a seguito di un giudizio di cui i successori
universali della parte defunta, quali legittimi contraddittori, non
avevano avuto notizia.
Si aggiunge che la conclusione cui è pervenuta la pronuncia
d'appello non trova conferma nella norma dell'art. 161 c.p.c.,
perché questa è stata sempre interpretata nel senso che l'inesi
stenza, oltre a verificarsi nel caso espressamente previsto da tale
disposizione, che è quello della mancata sottoscrizione del giudi
ce, si riscontra anche quando la sentenza sia priva del minimo
di elementi o presupposti necessari per la produzione dell'effetto
della certezza giuridica che è lo scopo del giudicato.
Inoltre, si sostiene che dell'indicata norma, se restrittivamente
interpretata, cosi come ha fatto il giudice d'appello, dovrebbe
dichiararsi l'illegittimità costituzionale per contrasto della stessa
con gli art. 3 e 24 Cost. E, infatti, sarebbe irragionevole porre
in una situazione meno favorevole la parte nei cui confronti non
si sia svolto un regolare contraddittorio, rispetto all'altra che ab
bia ritualmente partecipato al processo concluso con una senten
za priva soltanto del requisito formale della sottoscrizione del
giudice. Infine, il diritto di difesa del cittadino non sarebbe adeguata
mente tutelato se si escludesse l'inesistenza giuridica della senten
za emessa in un procedimento non portato a conoscenza della
parte nelle forme previste dalla legge.
Con il secondo motivo, denunziandosi la violazione dell'art.
327 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice, si
censura la sentenza impugnata per avere la corte d'appello erro
neamente ritenuto che il termine annuale di decadenza previsto
per l'impugnazione della sentenza decorra dalla data in cui la
parte abbia avuto di fatto conoscenza della pronuncia giudiziale
e non dalla data di notificazione della stessa.
Al riguardo, si deduce che si sarebbe dovuto riconoscere che
il termine annuale per la proposizione dell'impugnazione può de
correre solo dalla notificazione della sentenza in quanto «la parte
interessata alla formazione del giudicato non ha altra via per rag
giungere il suo scopo se non quella di notificare la sentenza se
questa sia stata ottenuta nei confronti di una parte che, per non
essere stata posta validamente a conoscenza del processo, sia ri
masta contumace».
Si aggiunge che la norma dell'art. 327 c.p.c. dovrebbe essere
dichiarata costituzionalmente illegittima se negasse il diritto al
l'impugnazione dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza
a chi non fosse stato citato a comparire in giudizio. Infatti, chi
si trovasse in questa situazione sarebbe soggetto in violazione del
l'art. 3 Cost, a un trattamento meno favorevole di quello riserva
to dal 2° comma dell'art. 327 c.p.c. a colui che non abbia avuto
conoscenza del giudizio per nullità della citazione o della sua no
tificazione, ovvero per nullità della notificazione degli atti di cui
all'art. 292 c.p.c. Sarebbe altresì' gravemente limitata la possibilità garantita al
cittadino dall'art. 24 Cost, di ottenere la tutela giurisdizionale
dei propri diritti. Infine, si rileva che la questione di incostituzionalità non è irri
levante come ritenuto dal giudice d'appello, il quale è pervenuto
a tale conclusione sull'erroneo presupposto che il termine annua
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2239 PARTE PRIMA 2240
le per l'impugnazione decorra dalla data in cui la parte abbia
avuto di fatto conoscenza della sentenza, senza considerare che
detto termine è previsto in deroga a quello contemplato dalle di
sposizioni degli art. 325 e 326 c.p.c. e può, quindi, essere analo
gicamente applicato solo violando il disposto dell'art. 14 disp.
sulla legge in generale. Le censure contenute nei due surriportati motivi, da esaminare
congiuntamente perché strettamente connesse, sono infondate.
Il problema posto all'esame di questa Corte di cassazione con
siste nello stabilire se nell'ipotesi di proseguimento di fatto del
processo automaticamente interrotto a norma dell'art. 299 c.p.c.
per la morte della parte convenuta, verificatasi dopo la regolare notifica della citazione ma prima della sua costituzione in cancel
leria o davanti all'istruttore, sia ravvisabile l'inesistenza giuridica
o la nullità del procedimento stesso e della sentenza emanata dal
giudice adito. Innanzi tutto, va osservato che l'inesistenza giuridica non può
essere esclusa in base alla considerazione che l'unica ipotesi di
inesistenza della sentenza è quella della sua mancata sottoscrizio
ne da parte del giudice, espressamente sanzionata dall'art. 161
c.p.c., giacché la giurisprudenza e la stessa dottrina hanno confi
gurato l'inesistenza giuridica della sentenza anche in tutti gli altri
casi nei quali essa manchi del minimo dei requisiti per la produ zione del suo specifico scopo costituito dalla formazione del giu dicato in senso sostanziale.
In armonia con tale orientamento si è, perciò, ritenuto che,
poiché l'esistenza in vita della parte convenuta costituisce il ne
cessario presupposto per la vocatio in ius, la sua morte avvenuta
prima della notificazione della citazione impedisca l'instaurazio
ne del rapporto processuale e determini l'inesistenza giuridica del
l'intero giudizio, di fatto svoltosi, e della sentenza che lo abbia
esaurito.
L'indicata conclusione non è tuttavia estensibile all'ipotesi del
processo proseguito di fatto dopo la morte del convenuto, verifi
catasi prima della sua costituzione in giudizio, ma in un momen
to posteriore alla notifica della citazione, perché, per effetto della
rituale notifica di quest'ultima, il rapporto processuale risulta in
staurato, ed è proprio su questo presupposto che l'art. 299 c.p.c.
prevede l'automatica interruzione del processo per la morte del
convenuto sopravvenuta prima della sua costituzione in cancelle
ria o davanti al giudice istruttore.
Sotto altro profilo potrebbe sostenersi che la sentenza è inesi
stente perché, in conseguenza dell'interruzione del processo, que sto entrerebbe in una fase assimilabile alla sua «non esistenza», ma contro tale conclusione sarebbe agevole replicare che il pro cesso interrotto, diversamente da quello estinto, esiste quanto meno
ai fini della litispendenza e che nessuna sanzione è comminata
nei riguardi degli atti processuali eventualmente posti in essere
durante lo stato d'interruzione, limitandosi la norma dell'art. 298
c.p.c. (espressamente riferentesi alla sospensione del processo, ma
applicabile anche all'interruzione per effetto del richiamo conte
nuto nell'art. 304 c.p.c.) a stabilire che «durante la sospensione del processo non possono essere compiuti atti del procedimento».
La stessa giurisprudenza della Corte di cassazione ha sempre
escluso, sia pure con motivazioni non articolate, l'inesistenza del
la sentenza emanata durante la fase d'interruzione del processo, e ne ha ravvisato, invece, la nullità (sent. nn. 4129 del 1983, Foro
it., Rep. 1983, voce Procedimento civile, n. 240; 1361 del 1980,
id., Rep. 1980, voce cit., n. 203; 610 del 1977, id., 1977, I, 832; 2705 del 1973, id., Rep. 1973, voce cit., n. 309; 2166 del 1969, id., 1969, I, 1424; 1516 del 1965, id., 1966,1, 490; 2661 del 1962, id., Rep. 1962, voce cit., n. 385; 710 del 1947, id., Rep. 1947, voce Estinzione del processo, n. 39) sia nell'ipotesi di morte del
convenuto avvenuta prima della sua costituzione in giudizio, sia
in quella della morte della parte già costituita, avendo respinto la tesi secondo cui solo nel primo caso la sentenza emessa nella
fase della interruzione sarebbe inesistente, in base di rilievo che, nei riguardi del rapporto processuale già instaurato, l'evento morte
determina sempre il fenomeno interruttivo con l'unica variante
che, quando il decesso sopravvenga alla costituzione della parte, l'interruzione non opera automaticamente, bensì' dal momento in
cui tale evento sia dal procuratore della parte defunta comunica
to in udienza o notificato agli altri soggetti. Ma l'argomento decisivo in forza del quale deve escludersi l'i
nesistenza giuridica della sentenza pronunciata nella fase dell'in
II Foro Italiano — 1989.
terruzione del processo e ritenersi che la stessa sia soltanto affetta
da nullità, si trae dal 2° comma dell'art. 327 c.p.c. il quale stabi
lisce che la disposizione del 1° comma secondo cui l'appello, il
ricorso per cassazione e la revocazione (quest'ultima per i motivi
indicati nei nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c.) non possono proporsi
dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza,
non si applica alla parte contumace la quale dimostri di avere
ignorato il processo per nullità della citazione o della notificazio
ne di essa o per nullità degli atti di cui all'art. 292.
Infatti, la contemplata non decorrenza del termine d'impugna zione per la parte contumace, cui espressamente si riferisce la
riportata norma, presuppone la nullità della sentenza pronuncia ta nei confronti della medesima in presenza degli indicati vizi del
la citazione o della notifcazione, in quanto la previsione di non
decorrenza non sarebbe stata necessaria se si fosse trattato d'ine
sistenza giuridica, potendo questa essere sempre dedotta, even
tualmente anche mediante la proposizione di una specifica domanda di accertamento per l'assenza della formazione del giu dicato sulla sentenza che dalla inesistenza stessa sia offerta.
Ora, se la sentenza emessa nei confronti del contumace che
abbia ignorato il procedimento per vizi della citazione o della
sua notificazione è affetta da nullità e non da inesistenza giuridi
ca, deve ritenersi che nulla e non inesistente sia anche la sentenza
pronunciata a seguito della prosecuzione di mero fatto del pro cesso automaticamente interrotto per la morte della parte, verifi
catasi dopo la citazione ma prima della sua costituzione in giudizio,
giacché in quest'altra ipotesi i successori universali del defunto,
nei cui confronti il processo avrebbe dovuto proseguire o essere
riassunto, versano in una situazione non diversa d'incolpevole igno ranza di esso e della sentenza.
Inquadrato il caso in esame in quello del vizio di nullità della
sentenza, questo deve essere fatto valere dai successori universali
della parte defunta come motivo di impugnazione ai sensi del
l'art. 161 c.p.c. nel termine annuale di cui all'art. 327 se non
sia stata loro notificata la sentenza stessa, e tale termine decorre
non dalla data di pubblicazione di quest'ultima, bensì dal mo
mento della conoscenza che di essa i successori ne abbiano in
qualsiasi modo avuto, essendo, per quanto innanzi esposto, la
condizione degli eredi della parte defunta prima della sua costitu
zione in giudizio conforme a quella del contumace che abbia igno rato il processo per la nullità della citazione o della sua
notificazione.
Nella specie, i ricorrenti, pur avendo avuto sufficiente cono
scenza del processo e della sentenza del tribunale emessa il 6 ot
tobre 1976, nei confronti del dante causa Giuseppe Massini, attraverso la citazione introduttiva del giudizio di rilascio contro
di loro instaurato non hanno proposto appello nel termine di un
anno dalla notifica della citazione e sono, conseguentemente, de
caduti dal diritto d'impugnare quella sentenza passata in cosa
giudicata, che è divenuta, quindi, ad essi opponibile, come cor
rettamente è stato ritenuto dalla corte del merito.
Non può, poi, dubitarsi dell'applicabilità del 2° comma del
l'art. 327 c.p.c. affermandosi che, essendo stata la parte defunta
regolarmente dichiarata contumace, mancherebbe il vizio della no
tificazione, il quale costituisce elemento essenziale per l'operativi tà di tale norma, giacché va, in contrario, osservato che non può considerarsi rituale la dichiarazione di contumacia della parte che, come è avvenuto in concreto, sia stata colpita da un evento previ sto dalla legge come causa d'interruzione automatica del processo.
Neanche può condividersi la tesi secondo cui per la decorrenza
del termine annuale di impugnazione si sarebbe dovuto procedere alla notificazione della sentenza agli eredi di Giuseppe Massini, in quanto per la decorrenza del termine di decadenza previsto
per l'impugnazione è sufficiente, come più volte è stato afferma
to da questa corte (sent. nn. 2637 del 1969, id., Rep. 1969, voce
Impugnazioni civili, n. 32; 2726 del 1968, id., Rep. 1968, voce cit., n. 36; 1917 del 1968, ibid., n. 41; 803 del 1963, id., Rep. 1963, voce cit., n. 21; 162 del 1966, id., 1966, I, 1082; 2 del 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 49), la conoscenza del processo in qualsiasi modo acquisita, purché idonea a consentire all'inte
ressato l'esperimento del mezzo di gravame, conoscenza che, nel
la specie, i Massini sono stati posti in grado di conseguire mediante
l'esame dell'atto introduttivo del giudizio loro notificato nel qua le erano contenuti gli estremi del procedimento promosso nei con
fronti del loro dante causa, e della sentenza emessa contro il
medesimo. (Omissis)
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