Sezione II civile; sentenza 16 settembre 1981, n. 5130; Pres. A. M. Iannuzzi, Est. Parisi, P. M.Cantagalli (concl. conf.); Iacono (Avv. Dovetto) c. Mattera (Avv. D'Ambra). Conferma App.Napoli 24 marzo 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1982), pp. 107/108-111/112Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176202 .
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PARTE PRIMA
di restituzione della controprestazione ricevuta in funzione del
ripristino della situazione patrimoniale antecedente alla stipula;
/) che si imponeva, sia pure in via analogica, l'applicazione della
regola dettata dagli art. 1360 o 1458 e. c. in tema di risoluzione o inefficacia dei contratti di durata, che fa salve le prestazioni già eseguite.
Il ricorso è fondato per quanto di ragione. Ritiene, anzitutto,
questa corte che non siano giustificate le critiche rivolte alla pro nuncia in punto di carente e contraddittoria motivazione circa
l'esistenza, nella rappresentazione delle parti all'atto della conclu sione del contratto, dell'evento presupposto costituito, nella spe cie, dal possesso acquisendo da parte della locataria della licenza
per l'esercizio della specifica attività commerciale concordata inter
partes nell'art. 1 della scrittura consacrante le clausole del rap
porto locatizio.
Conviene precisare che, secondo i principi enunciati dalla giu
risprudenza e da autorevole dottrina, si ha presupposizione quan do un determinato stato di fatto, comune ad entrambi i contraenti, il cui verificarsi sia indipendente dalla loro volontà e che abbia i caratteri dell'obiettività e certezza, sia sottinteso e deducibile
dal contesto del negozio di cui costituisce il presupposto condi
zionante (c. d. condizione non sviluppata o inespressa). Il venir meno di questo elemento, nel senso che la situazione
rappresentata sia difforme dalle previsioni degli stipulanti, assu
me, quindi, rilievo per l'efficacia del negozio comportandone la
risoluzione ex tunc e distinguendosi, tuttavia, dalla condizione
propria per il fatto che l'evento passato, presente o futuro non
si pone con carattere di incertezza, e sostanzia ragione comune di affidamento sulla realizzazione dell'evento stesso secondo i pa rametri della buona fede (cfr., fra le altre, sent. 1978, n. 5469, Foro
it., Rep. 1978, voce Contratto in genere, n. 130; 1980, n. 588, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 102; 1980, n. 4775, ibid., voce Vendita, n. 125).
È stato, altresì, affermato, sulla scia di una parte della dottri na sul tema, che il negozio fondato sulla presupposizione può essere dichiarato nullo per difetto di causa ove, al momento del la sua conclusione, l'evento presupposto già difettava nella realtà
fenomenica; ovvero risoluto ex tunc quando, invece, venga meno nel corso dell'esecuzione del contratto, nel qual caso, infatti, ri ferendosi l'evento non avveratosi a vicende successive al valido
sorgere del vincolo contrattuale, si tratta di scioglimento e riso luzione del medesimo per causa non imputabile ai contraenti
(cfr. Cass. 1976, n. 1738, id., 1976, I, 2399). In entrambe le ipotesi, per un fondamentale principio equita
tivo del nostro ordinamento, deve provvedersi al riequilibrio del la posizione patrimoniale delle parti ripristinandosi la situazione
precedente al contratto, possibilmente con la restituzione in for ma specifica e, in difetto, con la riparazione mediante un tan tumdem (cfr. Cass. 1976, n. 1738, cit. e 1980, n. 588, cit.).
È appena, infine, il caso di sottolineare che l'indagine volta a
individuare la presupposizione si esaurisce sul piano propria mente esegetico del contratto, e sostanzia, pertanto, accertamen
to riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legitti mità ove sia immune da vizi logici ed errori di diritto e risulti
adeguatamente motivato (v. Cass. 1971, n. 2104, id., Rep. 1971, voce Contratto in genere, n. 443; 1972, n. 2878, id., Rep. 1972, voce cit., n. 200; 1976, n. 1738, cit.).
Precisati questi principi, devesi rilevare che la corte d'appello, attraverso una indagine appropriata e approfondita, ha esatta mente ravvisato l'esistenza della presupposizione in rapporto al rilascio della licenza di commercio alla locataria, sottolineando che tale evento appariva, con carattere di certezza, nella rappre sentazione reale delle parti al momento della conclusione del contratto in argomento.
Ha affermato, a questo proposito, che dal contesto della rela tiva scrittura la situazione inespressa era desumibile dalla emer
gente comune previsione e consapevolezza che l'autorizzazione, all'atto della stipula, non c'era, ma che, nello sviluppo di una situazione in fieri, era dalle medesime considerata certa e attua
bile, tenuto conto, tra l'altro, che il vincolo di destinazione del l'immobile locato coinvolgeva la locatrice interessata (come ri sultava dal contratto) al positivo andamento del commercio e
agli utili dell'impresa. Il che, da un lato, escludeva la tesi espressa dall'Italica che
essa avesse la convinzione che la licenza fosse stata già ottenuta dalla conduttrice e che, quindi, esistesse una divergenza di vo lontà e di rappresentazione rispetto all'evento presupposto, dal
l'altro, asseverava che i contraenti ne davano per certa la veri ficazione sia pure in un arco di tempo non breve in rapporto all'iter amministrativo relativo al rilascio della licenza.
Previsione questa che trovava ulteriore conferma nel fatto che
le parti avevano pattuito un godimento qualificato dei locali
de quibus per un novennio con la convinzione di un sicuro ini
zio dell'attività, e che non si sarebbero esposte, per un cosi lun
go periodo, ai rischi connessi alla dinamica di un rapporto il
quale non avesse presentato sin dall'origine un andamento certa mente favorevole.
Da quanto sin qui detto consegue che la presupposizione, con testata dalla ricorrente nella prima parte del motivo, risulta ac certata mediante una congrua e corretta valutazione di fattori di sicuro valore esegetico, cosicché, la sentenza su questo punto decisivo della controversia si sottrae a censura e va, quindi, con divisa e confermata.
In base ai medesimi principi enunciati sul tema dell'istituto in
esame non può, viceversa, concludersi che la corte di merito ab bia tratto, sul piano giuridico, le esatte conseguenze derivanti dal venir meno dell'accertata presupposizione, e, pertanto, risul tano fondate le critiche mosse dalla ricorrente alla statuizione al
riguardo adottata relativamente agli effetti della risoluzione del contratto.
Per vero, con una deviazione logica e dissociandosi dall'accol ta premessa, la pronuncia impugnata ha ricondotto, tra l'altro
immotivatamente, la fattispecie nel paradigma dell'art. 1463 c. c., e cioè nell'ambito di una sopravvenuta impossibilità della presta zione di cui ha anche violato i criteri informatori in merito agli effetti che la norma postula in tale ipotesi, secondo i quali, co me essa dispone, la parte liberata non può richiedere la contro
prestazione e deve restituire quella che abbia ricevuto secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito.
La corte, infatti, ha risolto il contratto ex tunc, osservando, erroneamente, che siffatta previsione legislativa ricalcava quella dell'art. 1372 c. c. e non subiva le remore stabilite per i con tratti ad esecuzione continuata e periodica dall'art. 1458, e, pre via revoca del decreto ingiuntivo, ha condannato la locatrice a restituire alla locataria i canoni già riscossi, confermando sul
punto la sentenza del tribunale. Con ciò la corte di merito è incorsa nei seguenti errori di di
ritto: a) l'applicazione, tra l'altro in sé errata, come si è visto, della norma sull'impossibilità sopravvenuta della prestazione che non si attaglia alla fattispecie; b) l'omessa considerazione che, ai sensi dei principi accolti dal nostro ordinamento e affermati da questo Supremo collegio, in caso di scioglimento o risoluzio ne ex tunc di contratto per causa non imputabile ai contraenti devesi provvedere al riequilibrio della loro situazione patrimo niale, ripristinandosi quella antecedente alla conclusione del rap porto nel caso in esame caducatosi per il venir meno dell'evento
presupposto dagli stipulanti. E cosi operando il giudice a quo ha fatto gravare esclusiva
mente sulla locatrice gli oneri conseguenti alla dichiarata risolu zione del negozio.
Ne discende che, in dipendenza degli evidenziati errori che hanno determinato la statuizione su indicata, il ricorso va ac colto per quanto di ragione e, annullandosi la sentenza limitata mente agli effetti della risoluzione, la causa deve essere rimessa ad altro giudice che, si atterrà ai principi desumibili dalla sue stesa motivazione e procederà a nuovo esame tenendo conto in particolare: a) che, come risulta dalla denunciata pronuncia, la soc. Sabotino è entrata in possesso dei locali e ne ha avuto la detenzione per un lasso di tempo documentato negli atti proces suali; b) che, essendo la locazione contratto di durata, lo scio glimento di essa, ancorché operante ex tunc, secondo i principi generali desumibili dal sistema (art. 1360, 2° comma, c. c.), non può spiegare effetto riguardo alle prestazioni già eseguite.
Tale giudice si designa in diversa sezione della corte di Mi lano, a cui è opportuno, in base all'esito complessivo della lite, demandare la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di tutte le parti, e cioè anche della Banca popo lare di Milano, rispetto alla quale è stato risolto — con cor retto criterio — il contratto di fideiussione di cui alla lettera
d'impegno 7 ottobre 1969 (punto 2 dispositivo della sentenza), e che si è rimessa al giudizio di questa corte sul ricorso in esame, sia pure contestandone genericamente il fondamento.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 16 set tembre 1981, n. 5130; Pres. A.M. Iannuzzi, Est. Parisi, P.M. Cantagalli (conci, conf.); Iacono (Avv. Dovetto) c. Mattera
(Avv. D'Ambra). Conferma App. Napoli 24 marzo 1979.
Usucapione — Grotta costituente entità autonoma dal sovrastante suolo — Separato acquisto per usucapione — Ammissibilità —
Fattispecie.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È suscettibile di separato acquisto per usucapione la proprietà di
una grotta costituente entità autonoma e distinta dal sovrastante
suolo (nella specie si trattava di una grotta artificiale, costituita mediante scavo da persona diversa dal proprietario del fondo ed alienata dal costruttore agli attuali possessori). (1)
Svolgimento del processo. — Con citazione del 26 gennaio 1976
Bernardo Mattera, affermando d'essere comproprietario di una
antichissima grotta adibita a cellaio nel comune di Serrara Fon
tana dell'isola d'Ischia e che Giuseppe Iacono, proprietario del
suolo sovrastante, nell'impiantare in questo un complesso di pi scine e campi da tennis, aveva pregiudicato la stabilità della grot ta provocandone il crollo di parte della volta e dell'arco in mu
ratura posto all'ingresso principale, conveniva lo Iacono innanzi
al Tribunale di Napoli perché, emessi i provvedimenti urgenti volti a scongiurare il pericolo di ulteriori crolli, fosse condanna
to ad eseguire le opere necessarie per l'eliminazione definitiva
di ogni pericolo e per ripristinare la funzionalità del cellaio, nonché a risarcire i danni.
Il convenuto si opponeva alla domanda e riconvenzionalmente
chiedeva che, poiché la grotta rientrava nel sottosuolo del suo
fondo rustico di cui alla partita catastale 5184, fol. 19, n. 528 di
are 29.30, quest'ultimo fosse dichiarato di sua esclusiva proprie
tà, con la condanna dell'attore a rilasciarne la parte che occu
pava arbitrariamente e al risarcimento dei danni.
Il tribunale adito con sentenza non definitiva del 19 novembre
1977 rigettava la riconvenzionale e si riservava di decidere sulla
domanda principale. Tale decisione veniva successivamente confermata dalla Corte
d'appello di Napoli che con sentenza 3 novembre 1978-24 marzo
(1) Non risulta dal testo della sentenza, né da quello della sentenza
confermata (App. Napoli 24 marzo 1979, riassunta in Foro it., Rep.
1980, voci Proprietà, n. 9, e Usucapione, n. 3, e riprodotta in Foro
nap., 1979, I, 261), se la grotta in questione, sita a circa 11 metri
dalla superficie di calpestio del fondo, fosse una grotta « chiusa », con accesso da un cunicolo praticato in altro fondo, o, come la con
formazione del terreno dell'isola di Ischia induce a supporre, fosse
una grotta « aperta », scavata in una parete verticale delimitante un
fondò a dislivello con altro e con accesso diretto dall'esterno. Sta di
fatto che la sentenza ammette la configurabilità di una proprietà ver
ticale separata, distaccantesi dalla proprietà del suolo per effetto di
usucapione, senza avere sufficientemente chiarito i termini di fatto
della controversia, e senza argomentare in alcun modo dalla figura
giuridica del diritto di superficie. Sulla possibilità di tener distinta la proprietà del suolo da quella
del sottosuolo, v. Cass. 8 gennaio 1972, n. 56, id., 1972, I, 1592, con
nota di richiami, che considera ammissibile la scissione della pro
prietà del suolo da quella del sottosuolo in quanto tale, « per effetto
della libera autonomia delle parti, cioè in virtù di contratto »; Cass.
24 novembre 1970, n. 2476, ibid., sostiene l'« impossibilità di vendere
il soprassuolo separatamente dal sottosuolo » (nella motivazione la
corte afferma che un vero e proprio diritto di proprietà sul sottosuolo
non crea la condizione di fatto per esperire l'azione di rivendica, essen
do a tal uopo necessario un oggetto determinato, « ben definito nella
sua entità materiale e nei suoi contorni fisici e non come nella specie un generico diritto a costruire sul suolo altrui »). In senso conforme, Cass. 9 ottobre 1956, n. 3414, id., 1957, I, 1655, con nota di richiami, affrontando il problema in materia di cave, ritiene che « il sottosuolo
come tale non si presta ... ad essere oggetto autonomo di diritto di
proprietà », mentre in presenza di cave e torbiere, rinvenimenti ar
cheologici, acque sotterranee e così via « può attuarsi la separazione in senso giuridico di una parte concreta del sottosuolo, con attribu
zione di questa ad un diverso titolare ». Sul problema dell'individuazione dei beni immobili, con particolare
riguardo alla differenza tra momento dell'individuazione (creazione di una nuova unità immobiliare) e momento dell'acquisto del diritto
sul bene individuato, v. Auricchio, L'individuazione dei beni immo
bili, Napoli, 1960, 88 ss. e, da ultimo, Ricca, Individuazione, voce
dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1971, XXI, 173. La dottrina è tendenzialmente contraria alla soluzione data dalla
corte nella decisione riportata: cfr. De Martino, Proprietà3, in Com
mentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1962, sub art.
840, 163 ss., il quale sostiene ci si debba riferire, nel momento in
cui il terzo esplica un'attività nel sottosuolo altrui, all'interesse attuale
del proprietario ad impedirla; ma ciò non determina l'acquisto del
diritto a favore del terzo data la potenziale illimitatezza della pro
prietà del suolo che in caso contrario verrebbe definitivamente com
promessa. Negli stessi termini v. Barbero, Sistema del diritto privato italiano6, Torino, 1962, I, 734 ss.; Pugliese, Superficie, in Commen
tario, a cura di Scialoja e Branca, cit., 547 ss., per il quale è inam
missibile l'alienazione del sottosuolo separatamente dal suolo: « sol tanto le costruzioni possono appartenere a persone diverse dal pro prietario del suolo, non invece parti del sottosuolo».
In relazione al caso di specie, oltre la sentenza confermata, v. App. Caltanissetta 7 aprile 1956, Foro it., Rep. 1956, voce Usucapione, n. 8, che configura l'usucapione del diritto di mantenere una grotta nel sottosuolo del fondo altrui.
1979 osservava tra l'altro che la grotta — di cui trattasi — era
distinta dal sovrastante suolo sia sotto il profilo materiale, di
stinguendosi strutturalmente dal suolo e trovandosi il relativo
piano di calpestio a una quota inferiore da m. 10,39 a m. 11,64
rispetto al suolo, sia sotto il profilo funzionale, avendo una desti nazione specifica diversa da quella del suolo, sia infine sotto il
profilo economico, per la sua diversa natura e fruibilità e per la sua differente estimabilità rispetto al suolo. Riteneva quindi, in
considerazione della sua rilevata autonomia e della sua conse
guente idoneità ad essere utilizzata indipendentemente dal suolo, che la grotta su indicata — tenuto anche coijto che la stessa, co me era stato accertato dal c. t. u., era stata costruita con scavo
eseguito a mano e risultava rafforzata con opere murarie — era di proprietà del Mattera per intervenuta usucapione, in conse
guenza del possesso che era stato riguardo ad essa esercitato da
sempre dai fratelli Mattera e dai loro danti causa, pubblicamente e in modo pacifico e ininterrotto.
Avverso la su indicata sentenza della Corte d'appello di Na
poli ricorre per cassazione Giuseppe Iacono con un unico mezzo. Bernardo Mattera resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo si deduce che, nella specie, non ricorrevano le condizioni richieste per potere configurare la usucapione di un diritto di superficie sul sotto suolo in cui era stata ricavata la grotta; né tanto meno la usu
capione di un diritto di proprietà del sottosuolo, distinto dalla
proprietà del suolo, anche perché le opere di escavazione nel sottosuolo e la successiva utilizzazione della grotta in esso co
struita, svolgendosi a notevole profondità nel sottosuolo, non
potevano essere vietate dal proprietario del suolo, non avendo
questi interesse ad escluderle, a norma dell'art. 840 c. c., e non
potevano quindi neppure valere a concretare un valido atto di
interversione del possesso, idoneo a condurre all'usucapione della
proprietà della grotta.
Il ricorso è infondato. Al riguardo va ricordato che — come
questa corte ha già avuto occasione di rilevare (sent. 8 gennaio 1972, n. 56, Foro it., 1972, I, 1592) — già sotto il vigore del co dice del 1865 era configurabile, in base al combinato disposto
degli art. 440 e 448, una divisione del diritto di proprietà rela
tiva ad un immobile in autonome e distinte forme incidenti se
paratamente sul suolo, sul sottosuolo e sul soprassuolo, corri
spondenti a distinte titolarità soggettive; e che le disposizioni contenute nell'art. 840 vig. c. c., pur ispirandosi alla concezione tra
dizionale che il diritto di proprietà si estende di regola — salvo
quanto previsto dagli art. 952 e 955 in tema di diritto di superfi cie — al sottosuolo e allo spazio sovrastante, sanciscono inoltre che il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi
che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza
nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad esclu derle.
Ora, se è vero che la proprietà del suolo si estende, di norma, al sottosuolo con tutto ciò che vi si contiene e che, pertanto,
spetta alla parte che assuma in giudizio di avere la proprietà se
parata sul sottosuolo la dimostrazione della sussistenza del ti
tolo da cui deriva il relativo diritto, come si desume in via di
corollario dai principi informatori delle norme dettate in mate
ria sia dal codice del 1865 sia dal codice civile vigente, non può ritenersi che la sentenza impugnata meriti alcuna censura sotto
nessuno degli aspetti prospettati dal ricorrente.
I giudici d'appello hanno infatti accertato, con motivazione
circostanziata e logicamente corretta, che la grotta — di cui trat
tasi — costituisce un'entità autonoma e nettamente distinta dal
sovrastante suolo, sotto il profilo sia materiale, sia funzionale che
economico; e sono quindi pervenuti alla conclusione, giuridica mente corretta, che la grotta medesima, essendo stata costruita
con scavo eseguito a mano e rafforzata con opere murarie, do
veva ritenersi di proprietà del Mattera per intervenuta usuca
pione, in conseguenza del possesso pubblico, pacifico e ininter
rotto che su di essa era stato esercitato sia dai Mattera che dai
loro danti causa per un periodo di tempo utile all'usucapione.
Le obiezioni che al riguardo vengono avanzate dal ricorrente
in ordine alla impossibilità di configurare una titolarità della pro
prietà frazionata in senso orizzontale sul sottosuolo, distinta dalla
proprietà del suolo, e di concepire e ravvisare conseguentemente un atto di interversione del possesso nel comportamento dei co
struttori e possessori della grotta idoneo a concretare l'inizio di
un possesso utile all'usucapione del sottosuolo, si rivelano quindi destituite di consistenza in relazione alla già rilevata configura bilità di diritti separati, spettanti a titolari diversi, riguardo alla
proprietà del suolo e del sottosuolo.
Per quanto concerne poi la dedotta impossibilità per il pro
prietario del suolo di opporsi alle opere di escavazione che fu
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PARTE PRIMA
rono eseguite per realizzare la grotta (derivante dalla notevole
profondità in cui le medesime erano state eseguite rispetto alla
superfìcie del suolo e dalla conseguente mancanza di un suo in
teresse ad escluderle) va rilevato che la relativa circostanza non
potrebbe mai valere ad inficiare la decisione che è stata adotta
ta, in quanto anche se in ipotesi rispondesse a verità l'assunto
del ricorrente — secondo cui la grotta avrebbe dovuto conside
rarsi al di fuori dei limiti di estensione della proprietà del sovra
stante suolo — ciò avrebbe potuto rendere soltanto ultroneo (in relazione al principio possideo quia possideo) e giammai invali
dare l'accertamento del titolo di acquisto originario della pro
prietà della grotta conseguente alla sua usucapione da parte del
Mattera, che è stato compiuto dai giudici del merito.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 23 lu
glio 1981, n. 4736; Pres. T. Novelli, Est. Panzarani, P. M.
Berri (conci, conf.); Cassa di risparmio di Calabria e Luca
nia (Avv. M. Nigro) c. Durante e altri (Avv. Lombardi Co
mite, Salerni, Iannotta, Cesareo). Conferma Trib. Cosenza
22 febbraio 1978.
Impiegato dello Stato e pubblico — Enti pubblici economici —
Concorsi di assunzione — Controversie — Giurisdizione ordi
naria (Cod. civ., art. 2093; cod. proc. civ., art. 409, n. 4). Lavoro (rapporto) — Assunzione — Scelta mediante concorso
— Libertà — Limiti — Clausola che subordina l'assunzione
dei vincitori del concorso all'inesistenza di vincoli di paren tela, affinità e coniugio con dipendenti dell'ente — Nullità —
Conseguenze — Fattispecie di concorso bandito da cassa
di risparmio (Cost., art. 2, 3, 4, 29; cod. civ., art. 1337,
1418; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della li
bertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e del
l'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul colloca
mento, art. 8).
Rientra nella giurisdizione ordinaria la controversia relativa ad un concorso per assunzione di personale bandito da ente pub blico economico (nella specie, cassa di risparmio). (1)
È nulla la clausola di un bando di concorso che subordini l'as sunzione dei vincitori alla inesistenza di vincoli di coniugio, parentela e affinità con amministratori, sindaci o dipendenti dell'ente (nella specie, è stato riconosciuto illegittimo il ri
fiuto di concludere il contratto di lavoro opposto da una cas sa di risparmio sulla base della suddetta clausola limitativa del bando di concorso, recepita dal contratto collettivo del set
tore, ed è stato affermato l'obbligo dell'istituto bancario di
procedere all'assunzione dei vincitori, con esclusione tuttavia della responsabilità per danni in relazione all'accertata man canza di colpa dell'ente). (2)
(1) In senso conforme v., da ultimo, Cass. 5 gennaio 1981, n. 1, Foro it., 1981, I, 15, alla cui nota redazionale si rinvia per una com pleta informazione sull'orientamento affermatosi nella giurisprudenza della Cassazione degli ultimi tre anni in tema di giurisdizione sulle controversie relative ai concorsi di assunzione banditi da enti pub blici economici.
(2) La sentenza riprende e sviluppa i principi già affermati dalla Cassazione sui limiti dell'autonomia dispositiva, individuale e collet tiva, in materia di concorsi per l'assunzione del personale (v. sent. 11 dicembre 1979, n. 6452, Foro it., 1980, I, 322, e 25 febbraio 1978, n. 972, id., 1978, I, 1159, sulla nullità della clausola del bando di concorso, indetto dall'E.n.el., relativa all'esclusione dei candidati in possesso di titolo di studio superiore a quello richiesto), ribadendo, con chiarezza argomentativa e con consapevolezza di indirizzo dogma tico, il carattere assoluto e polivalente dei fondamentali diritti di libertà della persona umana (Grundrechte) e la loro piena operatività nell'ambito dei rapporti interprivati.
La giurisprudenza di merito è divisa sulla specifica questione decisa dalla sentenza in epigrafe. Nel senso della nullità della clausola che subordina l'assunzione dei vincitori del concorso alla inesistenza di vincoli familiari con i dipendenti della cassa di risparmio, v. Trib. Cosenza 18 aprile 1978, id.t 1978, I, 1546; Pret. Cosenza 4 marzo 1977, id., 1977, I, 1560, nonché, piti recentemente, Pret. Parma 16 aprile 1981, Giur. it., 1981, I, 2, 111, con nota di G. Santoro Pas sarelli, e 28 ottobre 1980, Pelagatti c. Cassa di risparmio di Par ma, inedita, con le quali è stato ritenuto che il rifiuto di assunzione, attuato in esecuzione della illegittima clausola del bando di concorso, giustifichi l'emanazione di una sentenza costitutiva del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 2932 c. c. Per la tesi favorevole alla legitti
II
PRETURA DI COSENZA; sentenza 18 dicembre 1980; Giud.
R. Greco; Bagalà e altri (Avv. Cesareo, Iannotta) c. Cassa
di risparmio di Calabria e Lucania (Avv. Le Pera).
Lavoro (rapporto) — Assunzione — Casse di risparmio — Con
corso riservato a figli di dipendenti — Nullità del bando
(Cost., art. 1, 3, 4, 35; cod. civ., art. 1418, 1419; 1. 20 mag
gio 1970 n. 300, art. 8).
È nullo il bando di concorso, indetto da una cassa di risparmio, al quale siano ammessi a partecipare esclusivamente i figli di
dipendenti o di ex dipendenti dell'istituto. (3)
I
Svolgimento del processo. — Con distinti ricorsi al Pretore di Cosenza, in funzione di giudice del lavoro, Oliva Domenico,
Suglia Giuseppe, Lo Perfido Giuseppe, Gianni Maria Rosaria, Aristodemo Gabriele, Bernardo Luigi Mario Capocasale Vincen
zo, Capocasale Francesco, Diari Anna Maria, Righetti Marisa, Sicoli Fiorenzo e Zupo Armando — premesso di avere parte cipato con esito positivo ad un concorso per cento posti d'im
piegato di concetto indetto dalla Cassa di risparmio di Calabria e Lucania con bando del 12 agosto 1975 e di non essere stati assunti in servizio a causa dei rapporti esistenti fra loro e per sone dipendenti di tale istituto bancario, e ciò in applicazione della clausola di cui al 6° comma dell'art. 10 dello stesso ban do di concorso che escludeva coloro che avevano vincoli di ma
trimonio, parentela o affinità con amministratori, sindaci o di
pendenti dell'istituto stesso — chiedevano che, in base all'art. 700 c. p. c., fosse ordinata la loro immediata immissione in ser vizio e che, nel merito, fosse dichiarata l'illegittimità del ri fiuto di assunzione, con le conseguenziali pronunce. In subor dine chiedevano che fosse riconosciuta l'inoperatività della sud detta preclusione e ciò per effetto dell'accordo aziendale del 3
gennaio 1975 (modificativo e aggiuntivo del c.c.n.l. 12 luglio 1973) in vigore alla data del bando di concorso con il quale i casi di incompatibilità erano stati ridotti ai vincoli di parentela entro il secondo grado ed a quelli di affinità di primo grado, situazioni queste che non riguardavano le loro posizioni.
Costituitasi la cassa di risparmio — che preliminarmente ec
cepiva il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordi
naria, deducendo che la clausola limitativa delle assunzioni era
esplicazione di un potere discrezionale attinente alla autorego lamentazione propria di un ente pubblico, ed inoltre l'incompe tenza funzionale del giudice ordinario, non trattandosi di rap porti di lavoro già costituiti, e che nel merito sosteneva l'in trinseca legittimità e l'operatività della suddetta clausola — il
pretore adito, riuniti i procedimenti, con sentenza del 15 feb
mità della clausola de qua v. Trib. Perugia 3 novembre 1980, Rass. giur. umbra, 1981, 109, e Pret. Roma 17 gennaio 1978, Foro it., 1978, I, 1547. In argomento cfr. altresì' Pret. La Spezia 11 dicembre 1978, id., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 591 (annotata da Castiello, in Banca, borsa, ecc., 1979, II, 498), secondo cui la ratio della clau sola è quella di garantire la regolarità dello svolgimento del concorso, onde va considerato illegittimo il rifiuto di assunzione di una candi data, dichiarata idonea, che non aveva ancora rapporti di parentela con dipendenti dell'istituto durante l'espletamento delle operazioni concorsuali.
In dottrina cons. Montemarano, Il rapporto di lavoro nel settore delle casse di risparmio, 1981, 63. Va segnalato che la clausola in esame è stata riprodotta anche nell'ultimo contratto collettivo, nono stante il dissenso delle organizzazioni stipulanti in merito alla vali dità della stessa (con dichiarazione a verbale in calce all'art. 17, mentre i sindacati hanno affermato di ritenere illegittima la clausola, l'A.c.r.i., « rilevata la inesistenza di una giurisprudenza consolidata in materia, ribadisce la legittimità della previsione contrattuale »).
La sentenza riportata richiama anche il problema della configura zione del bando di concorso come proposta contrattuale ad incertam personam fatta nella forma dell'offerta al pubblico (art. 1336 c. c.) oppure come promessa al pubblico ex art. 1989 c. c., ritenendo, in tesi astratta, più corretto quest'ultimo inquadramento: sulla questione cfr. Cass. 5 gennaio 1981, n. 1, cit.; Pret. Segni 20 ottobre 1978, Foro it., 1979, I, 2969; Pret. Roma 27 settembre 1978, ibid., 2970, con nota di richiami, nonché Pret. Roma 18 febbraio 1981, in questo fascicolo, I, 316.
(3) Non risultano precedenti sulla specifica questione. Il caso deciso presenta spiccate affinità con la fattispecie esaminata da Pret. Napoli 9 febbraio 1977, Foro it., 1977, I, 1819, che ha dichiarato nullo un accordo aziendale concluso ai sensi dell'art. 9 ali. A al r. d. 8 gen naio 1931 n. 148, con cui una società concessionaria di servizi di trasporto si era impegnata ad assumere come agenti di ruolo i figli di dipendenti ed ex dipendenti, ritenendo che esso fosse in contrasto con le norme imperative di cui all'art. 33 1. 20 maggio 1970 n. 300.
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