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sezione II civile; sentenza 7 giugno 1990, n. 5454; Pres. Parisi, Est. Garofalo, P.M. Simeone(concl. conf.); Monacelli (Avv. Punzi, Dotti, Favero) c. Etablissement Eselir e altri (Avv. Fresa,Pea, Giorgianni, Casella, Rossotto). Cassa App. Milano 16 dicembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 171/172-175/176Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185229 .
Accessed: 25/06/2014 05:17
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PARTE PRIMA
Il pretore accoglieva il ricorso ed ingiungeva alla società il
pagamento della somma richiesta, maggiorata del danno per sva
lutazione monetaria e per interessi legali. Si opponeva all'ingiunzione la società ingiunta, la quale, in
pendenza di tale giudizio, ha proposto ricorso per regolamento
preventivo di giurisdizione con il quale si chiede che queste se
zioni unite dichiarino il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. sulla base della più recente giurisprudenza in argomento.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede la parte intimata.
Motivi della decisione. — Il ricorso ripropone all'attenzione
di queste sezioni unite la questione relativa all'individuazione
del giudice investito della competenza giurisdizionale a conosce
re della controversia insorta fra il sostituto ed il sostituito d'im
posta, nella quale il secondo pretenda dal primo il pagamento anche di quella parte del suo credito che l'altro ha invece tratte
nuto per versarla, nella qualità di sostituto, a titolo di ritenuta
di imposta. Come è noto, sulla questione, si sono susseguiti, nel tempo,
due diversi indirizzi giurisprudenziali. Con il primo si è affermata la giurisdizione del giudice ordi
nario a conoscere di tale controversia, dalla quale andrebbe te
nuta distinta e separata l'altra controversia che, in relazione
a quella fra sostituto e sostituito possa eventualmente insorgere fra il sostituto o il sostituito e l'amministrazione finanziaria nei
confronti della quale venga, da uno dei due obbligati d'impo
sta, contestata la debenza della ritenuta: controversia quest'ulti ma che, per la sua natura certamente tributaria, non potrebbe non appartenere alla giurisdizione del giudice tributario (Cass.
1465/87, Foro it., Rep. 1987, voce Tributi in genere, n. 739;
1466/87, ibid., n. 704; 3252/87, ibid., n. 551; 5344/87, id., Rep. 1988, voce cit., n. 740; 8757/87, ibid., n. 735).
Con il secondo si è invece ritenuto che, se in un processo tra sostituito e sostituto d'imposta sorga questione sulla legitti mità della ritenuta dal secondo operata su somme da lui dovute
al primo in ragione di un rapporto di credito-debito tra loro
corrente, tale questione deve essere risolta dal giudice tributario
nel contraddittorio con l'amministrazione finanziaria, quand'an che questa, al momento, non sia parte in causa (Cass. 440/88,
ibid., n. 738; 1200/88, id., 1989, I, 1111; 2151/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 736; 308/89, id., 1989, I, 1110).
Questo secondo indirizzo il collegio ritiene di dovere mante
nere fermo, sulla base di una recente sentenza di queste sezioni
unite, la quale, rimeditata la questione, ha affermato il princi
pio, che integralmente si condivide, secondo cui «la controver
sia, promossa dal sostituito d'imposta nei confronti del sostitu
to, per pretendere il pagamento (anche) di quella parte del suo
credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di
ritenuta d'imposta, è devoluta alla competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie, non del giudice ordinario, posto che l'indagine sulla legittimità di dette ritenute non integra una
mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata inci
dentalmente, ma comporta una causa di natura tributaria aven
te carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita, con ef
fetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cogni zione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario
anche dell'amministrazione finanziaria», aggiungendo che «tale
principio non soffre deroga quando la controversia stessa sia
insorta soltanto fra sostituito e sostituto, perché l'originaria in
completezza del contraddittorio non può implicare uno sposta mento della giurisdizione mentre è compito del giudice di essa
munito di provvedere all'integrazione del contraddittorio stesso
(art. 99-102 c.p.c., applicabili anche al processo tributario per effetto del richiamo espresso dall'art. 39 d.p.r. 26 ottobre 1972
n. 636)» (Cass. n. 2011/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 749). La giurisdizione delle commissioni tributarie è però limitata
alla controversia relativa all'illegittimità delle somme trattenute
a titolo di acconto di imposta ed alla pretesa di restituzione
delle stesse, maggiorata degli interessi, atteso il carattere acces
sorio di quest'ultima richiesta, ma non anche alla controversia
sulla rivalutazione monetaria, atteso che questa integra un'au
tonoma domanda risarcitoria, fondata sulla colpa nel preteso ritardato adempimento di un debito di valuta che esorbita dalla
controversia tributaria ed è proponibile davanti al giudice ordi
nario (Cass. 6360/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 720). Conclusivamente, nella presente causa, accogliendosi per quan
to di ragione il ricorso per regolamento di giurisdizione, va di
chiarata la giurisdizione delle commissioni tributarie sulla do
li. Foro Italiano — 1991.
manda relativa alla restituzione delle somme trattenute a titolo
di acconto di imposta e su quella accessoria di riconoscimento
degli interessi sulle somme stesse, mentre va affermata la giuris dizione del giudice ordinario sulla domanda di rivalutazione mo
netaria.
Attesi i rapporti fra i due giudizi, spetterà al giudice ordina rio adottare i conseguenti provvedimenti in ordine alla sorte
del giudizio sulla rivalutazione in attesa della decisione definiti
va sulla controversia tributaria.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 7 giugno
1990, n. 5454; Pres. Parisi, Est. Garofalo, P.M. Simeone
(conci, conf.); Monacelli (Aw. Punzi, Dotti, Favero) c. Eta
blissement Eselir e altri (Avv. Fresa, Pea, Giorgianni, Ca
sella, Rossotto). Cassa App. Milano 16 dicembre 1986.
Contratto in genere — Recesso — Fattispecie (Cod. civ., art.
1350, 1373).
L'atto di recesso da un contratto integra un negozio recettizio
unilaterale il quale rimane soggetto alle stesse garanzie di for ma prescritte per il contratto costitutivo del rapporto al cui
scioglimento il recesso sìa finalizzato (nella specie, l'atto di
recesso da un contratto avente ad oggetto il trasferimento di
diritti reali immobiliari richiede la forma scritta a pena di
nullità). (1)
(1) La problematica affrontata dalla sentenza si innesta in una com
plessa vicenda giuridica che assomiglia ad uno di quegli infernali video
games in cui bisogna inserire i vari pezzi che cadono in posti predeter minati. Cosi occorre fare qui e il lettore abbia la pazienza di seguirci.
Intanto va detto che la massima si allinea ad una copiosa giurispru denza che ritiene necessaria la forma scritta per il recesso da un con tratto avente ad oggetto beni immobili: v. Cass. 14 agosto 1986, n.
5059, Foro it., Rep. 1986, voce Contratto in genere, n. 244, in tema di permuta di un'area con parti di edificio da costruire; App. Milano 16 gennaio 1981, id., Rep. 1981, voce cit-, n. 225; Cass. 22 maggio 1981, n. 3354, id., Rep. 1983, voce Agenzia, n. 40; 18 febbraio 1980, n. 1186, id., Rep. 1980, voce Contratto in genere, n. 115; App. Milano 13 maggio 1980, ibid., n. 118; Cass. 19 luglio 1980, n. 4752, ibid., n. 117; 4 maggio 1978, n. 2080, id., Rep. 1979, voce cit., n. 142; 5 settembre 1977, n. 3885, id., Rep. 1977, voce cit., n. 113.
Se la giurisprudenza appare di un'unanimità persino inusitata, la dot
trina, sia pure incline ad accogliere la massima, si divide sulla giustifi cazione dottrinale del principio.
Rileva, infatti, Sacco, Il contratto, in Trattato diretto da Rescigno, Torino, 1988, 236: «Sul terreno della forma dei negozi risolutori, si sono fronteggiate due tendenze: l'una vede nell'atto risolutorio il feno meno analogo e simmetrico rispetto all'atto della cui risoluzione si trat
ta; e perciò richiede per entrambi la medesima forma; l'altra tendenza vede invece nell'atto risolutorio una figura nettamente caratterizzata ri
spetto al negozio soggetto a risoluzione; e perciò richiede la forma solo se e quando essa sia richiesta in relazione all'effetto prodotto dall'atto».
La prima tendenza fa capo a Scognamiglio, Osservazioni sulla for ma dei negozi revocatori, in Temi nap., 1961, I, 433, ed è ripresa, più di recente, tra gli altri, da Bianca, Il contratto, in Diritto civile, voi. 3, Milano, 1984, 282-283; Cian-Trabucchi, Commentario breve al codice civile, Padova, 1984, 913; Gazzoni, Manuale di diritto priva to, Napoli, 1987, 929. Tale tendenza formalistica è condivisa anche dal la giurisprudenza secondo cui la risoluzione del contratto di locazione ultranovennale (pur non creando nessun diritto personale ultranovenna
le) abbisogna della forma scritta: v. Cass. 11 novembre 1986, n. 6586, Foro it., Rep. 1986, voce Contratto in genere, n. 390; Pret. S. Giovan ni Valdarno 20 gennaio 1984, id., 1984, I, 851; contra, Cass. 8 giugno 1961, n. 1320, id., 1961, I, 1692.
Per la seconda tendenza, che correla forma del negozio risolutorio ed effetti dello stesso, v. (oltre Sacco, cit., 239) le osservazioni di Ga brielli e Padovini, Recesso (diritto privato), voce dell' Enciclopedia del
dirito, Milano, 1988, XXXIX, 43-44: «Al recesso determinativo, che ha natura integrativa del contenuto contrattuale, deve cosi applicarsi la regola cui si ritengono sottoposti gli atti determinativi del contenuto
negoziale, che siano successivi rispetto alla perfezione dell'accordo. E in questo senso può forse giustificarsi la soluzione, sostanzialmente una
nime, che consente il recesso dalle società, a favore delle quali vi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — (Omissis). 4. - Con la terza censura
i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli art.
1325, 1350, 1362, 1367, 1371, 1418, 1419 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto deci
sivo della controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., deducendo che anche se fosse stato pattuito, quale forma per l'esercizio del recesso, il mancato versamento del prezzo, una
simile modalità sarebbe stata nulla ex art. 1350 c.c. perché, ver
sandosi in tema di vendita immobiliare, anche il recesso avreb
be dovuto rivestire la forma scritta; ma le parti non avevano
stabilito che il recesso conseguisse al mancato pagamento del
prezzo: anzi, secondo il letterale tenore della clausola, il recesso
avrebbe dovuto essere comunicato con lettera raccomandata e
l'ulteriore previsione contrattuale, secondo la quale il compra
siano stati conferimenti immobiliari, anche se oralmente o per fatti con cludenti [v. in giurisprudenza Trib. Torino 9 febbraio 1978, Foro it.,
Rep. 1979, voce Società, n. 278 e, seppure per fattispecie diversa, App.
Napoli 11 aprile 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 156]. Per il recesso
come mezzo di impugnazione o come esercizio di uno ius se poenitendi la necessità della forma scritta è richiesta in tutte le ipotesi in cui esso
comporti, retroattivamente o meno, un ritrasferimento dei diritti indi
cati nell'art. 1350 c.c. ... Il che non significa, peraltro, che vi sia un'e
quazione tra forma dell'accordo contrattuale e forma del recesso... Vi
sono dei dati testuali proprio nel senso contrario di una regola di sim
metria circa i requisiti formali. Le società di capitali devono essere co
stituite per atto pubblico, ma per il recesso ex art. 2437, 2° comma, c.c. è sufficiente una lettera raccomandata; nelle locazioni di immobili
urbani, adibiti ad uso abitativo e non abitativo, è imposta una forma
soltanto per il recesso».
La seconda tendenza dottrinale sopra descritta è a fondamento della
coraggiosa sentenza ora cassata. App. Milano 16 dicembre 1986, id.,
Rep. 1988, voce Appello civile, n. 20 (e Foro pad., 1988, I, 31) aveva
rilevato come nella fattispecie fosse stato convenzionalmente stabilito
che «l'esclusione di un intento recessivo avrebbe dovuto risultare da
un comportamento univoco, convenzionalmente tipizzato, consistente
nel versamento della somma di lire 250.000.000. Con tale patto le parti avevano sostanzialmente individuato la forma che la volontà della parte avrebbe dovuto assumere ove fosse stata rivolta ad escludere l'intento
recessivo. Se tale volontà non venne esternata nella forma pattuita è
difficile, anzi impossibile, escludere che costui avesse manifestato l'in
tento recessivo alla venditrice». Da tale ragionamento si deduce, a con
trario, che la prescrizione dell'onere formale nel recesso in contratti
di compravendita immobiliare è soddisfatta se risulta nel contratto, in
una clausola scritta, la modalità del recesso stesso. Talché la parte può recedere anche con un comportamento tipizzato, purché previsto con
venzionalmente dalle parti nella clausola scritta (v. sul tema della forma
del recesso, convenzionalmente imposta datile parti, Cass. 8 agosto 1987, n. 6837, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2199, e in
dottrina Gabrielli e Padovini, cit., 44). La soluzione non è peregrina, se è vero (v. Bianca, cit., 284) che l'onere formale è diretto a soddisfa
re le esigenze di responsabilizzazione del consenso e quello della certez
za dell'atto; esigenze che sono appagate dalla previsione della clausola
scritta. Se la questione sopra trattata è controversa, l'affermazione della sen
tenza in epigrafe per la quale l'atto di recesso da un preliminare, avente
ad oggetto il trasferimento di diritti reali immobiliari, richiede la forma
scritta a pena di nullità è frutto di un dibattito, addirittura, tormentato
(volendo usare un'espressione della Cassazione). Insomma, roba da psi canalisti. Ma proviamo ad analizzare i vari aspetti dell'intreccio.
La sentenza in epigrafe si riconnette direttamente a Cass. 24 novem
bre 1983, n. 7047 (Foro it., 1984, I, 70, con ampia nota redazionale) la quale richiede la forma scritta anche per i contratti risolutori di con
tratti preliminari aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali immo
biliari. Tale opinione è motivata dal fatto che «per legge esiste equipa razione assoluta tra atto di disposizione immediata, realizzato con con
tratto definitivo, e atto di disposizione mediata, attraverso l'assunzione
dell'obbligazione che è propria del preliminare». Ma la sentenza qui
riportata, nel fare un salto cosi' lungo, ha ignorato altre pronunce, nel
frattempo pubblicate, di diverso avviso. Infatti, sia Cass. 16 dicembre
1986, n. 7551, id., Rep. 1986, voce Contratto in genere, n. 240, che
Cass. 6 giugno 1988, n. 3816, id., 1988, I, 2919, con nota di Parente,
Il regime formale del negozio risolutorio di preliminare di compraven dita immobiliare (commentata anche da Lipari, La forma del negozio risolutorio di contratto preliminare formale, in Giust. civ., 1989,1, 1185)
affermano che «l'accordo risolutorio, invece, mette nel nulla il contrat
to preliminare, senza lasciarne in vita alcun residuo, e non produce,
quindi, trasferimento, modificazione e retrocessione di diritti reali, né
in via mediata né immediata, dato che dal contratto preliminare nasco
no soltanto diritti di obbligazione e con la risoluzione di esso non si
verifica alcun effetto di natura reale bensì soltanto l'estinzione di prece denti obbligazioni personali». E concludono cosi per la non necessità della
Il Foro Italiano — 1991.
tore avrebbe dovuto confermare la prosecuzione del contratto
col versamento di un acconto del prezzo, era svincolata ed au
tonoma rispetto a quella precedente. D'altra parte, il contratto
de quo non avrebbe avuto necessità di conferma, per cui il ter
mine usato avrebbe dovuto essere considerato equivalente a «ri
badire». La corte non aveva poi considerato il comportamento delle parti e preso in considerazione taluni fatti rilevanti, i quali avrebbero dimostrato da un lato l'intenzione dei Monacelli di
concludere il contratto e, dall'altro, la non collaborazione op
posta dalla Eselir; ed avrebbe ignorato documenti decisivi. L'o
messo pagamento del prezzo, dovuto a fatto imputabile alla
venditrice, non era quindi sic et simpliciter idoneo a far ritenere
che il Monacelli avesse voluto recedere dal contratto. Né, infi
ne, rispondeva a verità che la venditrice avesse restituito la ca
parra al compratore e che questi l'avesse ricevuta.
La censura è fondata. Sul punto la corte territoriale non ha
fatto corretta applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 ss. c.c.; né avrebbe potuto essere ritenuto che, una
volta stipulato in forma scritta il contratto, fossero fornite di
pieno ed automatico valore tutte le pattuizioni in esso contenu
te, comprese quelle che avevano ricollegato al verificarsi di de
terminati atti o comportamenti futuri l'efficacia o lo sciogli mento del contratto stesso, st che il recesso sarebbe già stato
previsto per iscritto e regolamentato con la precedente intesa
forma scritta per il negozio solutorio del contratto preliminare avente
ad oggetto il trasferimento di beni immobili. A ben vedere, quindi, le motivazioni di quest'ultima sentenza non
si discostano da quella in epigrafe, se non sul punto della natura degli effetti del contratto preliminare. Ambedue le linee giurisprudenziali, in
fatti, applicano (seppure astrattamente richiamano il generale principio della libertà delle forme) il principio di congruità teologica, cioè che
ad un determinato tipo di effetto va riconnesso un tipo di onere formale.
In tal senso appare contraddittorio il ragionamento di Parente, cit., il quale, da un lato, critica Cass. 3816/88 ritenendo che fondi il suo
assunto erroneamente sul dogma della libertà delle forme (principio che
l'autore smonta a fondo), dall'altro lato giunge però a ritenere non
indispensabile l'onere formale per i negozi solutori dei contratti preli minari di compravendite immobiliari, utilizzando il medesimo metodo
di congruità formale usato dalla sentenza della Suprema corte.
Più coerente, sotto questo profilo, l'iter argomentativo seguito da
Lipari, cit., 1190-92, che, partendo dalla premessa dell'inesistenza del
principio della libertà di forma, e ritenendo non corretta l'impostazione del problema della forma dell'accordo solutorio del preliminare basata
sul carattere degli effetti prodotti (considerato che l'art. 1351 c.c. non
opera differenziazione di sorta), afferma che la forma del negozio solu
torio del preliminare di un contratto di compravendita deve essere scrit
ta a pena di nullità in applicazione analogica dell'art. 1351 c.c.
Di notevole interesse, per il nostro tema, è l'approfondimento del
l'applicazione del criterio morfologico al negozio solutorio del contrat
to preliminare, sulla base dei risultati della dottrina più recente circa
gli effetti del contratto preliminare. Infatti, la dicotomia emersa nella
giurisprudenza è il risultato della divisione esistente in dottrina sulla
natura degli effetti del preliminare (v. a tal proposito la sintesi del di
battito in Bianca, cit., 188). Una soluzione differente è quella prospettata da Gabrielli e Fran
ceschelli, Contratto preliminare (dir. civ.), voce dell 'Enciclopedia giu ridica Treccani, Roma, 1988, IX, per i quali occorre ribadire che il
contratto definitivo non può e non deve essere considerato isolatamen
te, a prescindere dal preliminare che lo ha preceduto: la valutazione
di convenienza, già operata con il preliminare e da questo irretrattabil
mente mutuata, viene però, con il definitivo, ulteriormente verificata
nei suoi presupposti, cosi come si manifestano e sono conosciuti nel
momento della stipulazione definitiva» (p. 5). Partendo da tale assun
to, si afferma che «con la conclusione del contratto preliminare sorgo no fra le parti, accanto all'obbligo di prestare in futuro un valido con
senso definitivo, anche obbligazioni ulteriori, che possono dirsi comple
mentari, in quanto logicamente incluse nell'assunzione di quello fondamentale: esse hanno, infatti, per oggetto i comportamenti neces
sari a preservare la possibilità dell'attuazione di quest'ultima», (p. 9).
Ora, applicando questa visione unitaria al nostro problema, emergono interessanti conseguenze. Se consideriamo che in un contratto prelimi nare di compravendita immobiliare nasce non solo un'obbligazione di
prestare il consenso al contratto definitivo, ma anche obblighi comple mentari di protezione del bene immobile di natura reale (in tale pro
spettiva si chiarisce il senso della categoria evanescente degli effetti me
diati del preliminare), è chiaro che il recesso estintivo di tali obblighi non può non obbedire alla regola formale che l'ordinamento impone a tutti i negozi che incidono sulla res. Si potrebbe allora concludere,
per la gioia dei notai, che la massima della sentenza in epigrafe è più
rispondente alle moderne concezioni del contratto preliminare [R. Rossi]
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PARTE PRIMA
contrattuale generatrice della compravendita, in guisa da non
richiedere necessariamente (e con l'osservanza della forma scrit
ta) ulteriori manifestazioni di volontà dei contraenti, in partico lare in ordine al recesso del compratore.
La corte territoriale avrebbe dovuto nella specie fare applica zione del principio per il quale l'atto di recesso di cui all'art.
1371 c.c. integra un negozio recettizio unilaterale il quale, pur non richiedendo, quanto alla manifestazione della volontà, for
mule sacramentali, rimane tuttavia soggetto alle stesse garanzie di forma prescrite per il contratto costitutivo del rapporto al
cui scioglimento il recesso sia finalizzato; e tener altresì presen te che l'atto dell'8 dicembre 1978, produttivo ex se del trasferi
mento della proprietà da un soggetto all'altro, era stato corret
tamente rivestito della forma scritta: esso prevedeva la facoltà
(non certo automatica ma rimessa al futuro apprezzamento di
screzionale da esercitarsi, entro un termine predeterminato, dal
compratore), ma non l'obbligo per il compratore medesimo di
recedere dal contratto di compravendita, donde tale facoltà di
screzionale non poteva ritenersi essere stata esercitata (come in
fondatamente sostiene la controricorrente società Eselir) coeva
mente all'atto negoziale; e non può quindi dirsi che essa fosse
stata esercitata dal Monacelli in forma scritta solo perché previ sta ed autorizzata con l'atto del dicembre del 1978: al contrario
con quest'ultimo era stata prevista una tipica forma di manife
stazione della volontà (la lettera raccomandata), ma poiché que
sta, com'è pacifico, non era stata inoltrata né erano stati com
piuti altri atti inequivoci ed in forma scritta, non poteva la cor
te d'appello connettere rilevanza a fatti ritenuti concludenti al
fine che ne occupa (quantunque nel loro significato e nella loro
portata contestati ex adverso) quali l'asserto mancato pagamen to del prezzo (indice eventualmente di inadempimento o di non
perfetto adempimento) o l'asserta (e vivacemente contestata) re
stituzione della caparra.
Consegue che il recesso non poteva dalla corte territoriale
essere ritenuto provato per facta concludentia, ed anzi il man
cato uso della forma scritta richiesta ad substantiam doveva
indurre la stessa corte ad escludere e non a ritenere il recesso
stesso.
Ritiene da ultimo la corte che la soluzione non avrebbe potu to essere diversa neppure se nella specie fosse stata riscontrata
la ricorrenza di un contratto preliminare, perché la risoluzione
consensuale (come il recesso) di un contratto, riguardante il tras
ferimento, la costituzione o la estinzione di diritti reali immobi
liari, è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam
non soltanto quando il contratto da sciogliere sia definitivo (e
quindi lo scioglimento rientra nell'espressa previsione dell'art.
1350 c.c.) ma anche quando il contratto da caducare sia preli
minare, tenuto conto che la ragione giustificatrice dell'assogget tamento del preliminare all'indicata forma, ex art. 1351 c.c.,
da ravvisare negli effetti che il preliminare produce sui diritti
reali immobiliari, sia pure in via mediata e strumentale median
te l'assunzione di obbligazioni, si pone in termini identici per il contratto risolutorio del preliminare stesso (cosi, tra altre, sent. 24 novembre 1983, n. 7047, Foro it., 1984, I, 70, di que sta corte). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 28 mag
gio 1990, n. 4947; Pres. Zappulli, Est. Trezza, P.M. Gaz
zara (conci, parz. diff.); Inadel (Avv. Pacifici) c. Badin e
altri (Aw. Dinardo). Cassa Trib. Trieste 4 agosto 1986.
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio —
Interessi moratori — Maggior danno — Prescrizione — De
correnza (Cod. civ., art. 1224; r.d.l. 2 novembre 1933 n. 2418,
estensione ai salariati degli enti locali dell'obbligo di iscrizio ne all'Iniel e modifiche all'ordinamento dell'istituto stesso,
art. 19).
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio —
Indennità integrativa speciale — Interessi moratori — Mag
gior danno — Prescrizione — Decorrenza (L. 7 luglio 1980
Il Foro Italiano — 1991.
n. 299, conversione in legge, con modificazioni del d.l. 7 mag
gio 1980 n. 153, concernente norme per l'attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980, art. 3).
Impiegato degli enti locali — Indennità premio di servizio —
Interessi corrispettivi e moratori — Decorrenza (L. 11 agosto 1973 n. 533, disciplina delle controversie individuali di lavoro
e delle controversie in materia di previdenza e assistenza ob
bligatorie, art. 7).
Il diritto accessorio agli interessi moratori e al maggior danno
da svalutazione si prescrive nello stesso termine quinquenna
le, decorrente dal collocamento in quiescenza, previsto per l'indennità premio di servizio dall'art. 19 r.d.l. 2418/33. (1)
Il diritto al supplemento dell'indennità premio di servizio, in
trodotto dalla l. 299/80 con effetto retroattivo, ed il diritto
all'obbligazione accessoria risarcitoria soggiacciono alla pre
scrizione quinquennale con decorrenza dalla data di entrata
in vigore della nuova legge. (2) In caso di ritardato pagamento, da parte dell'Inadel, dell'inden
nità premio di servizio sono dovuti gli interessi corrispettivi
a partire dall'emissione del mandato di pagamento e gli inte
ressi moratori dalla scadenza del centoventesimo giorno suc
cessivo alla maturazione del diritto, coincidente con la data
del collocamento in quiescenza. (3)
(1-3) La pronuncia offre alcune indicazioni, sia pure da una partico lare prospettiva, sul dibattutissimo tema della rivalutazione dei crediti
previdenziali. L'Inadel, condannato nei primi due gradi di giudizio a
pagare gli interessi ed il maggior danno da svalutazione a causa del
ritardo nell'erogazione dell'indennità premio di servizio, ricorre in Cas
sazione affermando che il diritto a percepire tali somme è ormai pre scritto ex art. 2948, n. 4, c.c. Secondo la Suprema corte, il diritto agli interessi e al maggior danno è legato da un vincolo di accessorietà al
credito principale; ne discende l'applicabilità dello stesso termine quin
quennale previsto dall'art. 19 r.d.l. n. 2418 per l'indennità premio di
servizio. Il riferimento alla prescrizione breve è accolto dalla prevalente
giurisprudenza: v. Cass. 9 marzo 1990, n. 1900, Foro it., Mass., 259; 27 aprile 1987, n. 4065, id., Rep. 1987, voce Impiegato degli enti locali, n. 198; 12 novembre 1984, n. 5710, id., Rep. 1984, voce Impiegato dello Stato, n. 783; Trib. Firenze 27 maggio 1986, id., Rep. 1986, voce
Prescrizione e decadenza, n. 93 e Toscana lav. giur., 1986, 404, che
applica però l'art. 2948. Di diverso avviso, Pret. Parma 20 giugno 1981, Foro it., 1982, I, 307, secondo cui la 1. 152/68 ha tacitamente abrogato tutta la precedente normativa, dettando una nuova e organica discipli na per il trattamento previdenziale del personale degli enti locali (in
questi termini anche Cass. 27 aprile 1983, n. 2886, id., 1983, I, 2154, relativa alla determinazione dell'indennità premio di servizio) e dovreb
be quindi applicarsi il termine prescrizionale ordinario. Suscita perplessità la fissazione di un termine unico di prescrizione
per il credito principale e per le somme dovute a titolo di risarcimento.
Le sentenze richiamate dalla Suprema corte per avallare questo princi
pio (Cass. 13 febbraio 1982, n. 916, id., Rep. 1982, voce cit., n. 176; 9 novembre 1988, n. 6046, id., Rep. 1988, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 228; 2 dicembre 1988, n. 6527, ibid., voce Prescrizio ne e decadenza, n. 91) si riferiscono a crediti di lavoro, per i quali è previsto il particolare meccanismo rivalutativo dell'art. 429, 3° com
ma, c.p.c. Se le somme dovute a titolo di rivalutazione, e computate secondo i criteri dell'art. 429, sono considerate parte del complessivo credito di lavoro (v., ad es., Cass. 21 luglio 1989, n. 3481, id., Rep. 1989, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 197, relativa al tratta mento fiscale della rivalutazione monetaria, nonché Cass. 17 giugno 1988, n. 4162, id., Rep. 1988, voce cit., n. 197, che considera la rivalu
tazione come una delle componenti del trattamento retributivo), lo stes
so non può dirsi per i crediti previdenziali, ai quali si applica invece
l'art. 1224, 2° comma (come ha di recente ribadito Corte cost. 7 aprile 1988, n. 408, id., 1988, I, 2127, con note di Cea e Pardolesi, e 6
dicembre 1988, n. 1060, id., 1989, I, 618). È noto che quest'ultima norma non riproduce l'automatismo dell'art. 429, ma richiama i princi
pi generali in tema di responsabilità contrattuale, imponendo al credito re di provare il maggior danno eccedente la misura degli interessi legali
(v., per tutti, Di Majo, Obbligazioni pecuniarie, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1979, XXIX, 290).
La configurazione, da parte delle sezioni unite (sent. 1° dicembre
1989, n. 5299, Foro it., 1990, I, 427, con note di Pardolesi e Di Majo) del risarcimento del maggior danno come obbligazione aggiuntiva e au tonoma rispetto al credito principale, induce da un lato a ritenere for zato l'accostamento tra rivalutazione dei crediti previdenziali e dei cre
diti di lavoro per quanto riguarda la disciplina della prescrizione, dal
l'altro a ravvisare nella pronuncia in epigrafe un ulteriore tentativo di accorciare le distanze tra le due situazioni (la stessa sezione lavoro ha del resto nuovamente sollevato la questione di legittimità costituzionale
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