sezione III civile; sentenza 23 novembre 1987, n. 8605; Pres. Mattiello, Est. G. E. Longo, P. M.Martinelli (concl. conf.); Cappuzzello e altro (Avv. Scognamiglio, Di Stefano) c. Vella (Avv.Salerni, Borrometi). Conferma App. Catania 1° marzo 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 419/420-421/422Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181078 .
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PARTE PRIMA
evidente che se il diritto al distacco dei beni in natura dal dona
timi da parte di Giovanni Baeli Adamo non è mai sorto secondo
l'ordinamento, essi quali acquirenti del diritto controverso non
possono far valere un diritto più ampio di quello spettante al
loro dante causa.
Il secondo motivo, che attiene, come si è detto innanzi, al pre teso acquisto di beni ereditari dall'erede apparente in forza del l'art. 534 c.c. da parte degli attuali ricorrenti, è privo di
fondamento.
È da rilevare in primo luogo che la tutela del terzo per gli acquisti effettuati nei confronti dell'erede apparente assume giu ridico rilievo in presenza di una situazione di fatto oggettivamen te idonea a fare apparire come esistente una situazione giuridica che in realtà non esiste.
Nella specie invece non può porsi un problema di eredità appa rente in relazione ad un bene di cui il de cuius aveva disposto per atto tra vivi e che quindi non era entrato a far parte dell'ere dità. In realtà, come ha osservato la sentenza impugnata, il dirit to acquistato dagli attuali ricorrenti derivava da un'attribuzione
patrimoniale operata dalle due sentenze della Corte d'appello di
Catania del 1972 e 1978 le quali avevano erroneamente disposto il distacco a favore di Giovanni Baeli Adamo di quella determi nata quota di terreno che aveva poi costituito oggetto di aliena zione tra quest'ultimo e gli stessi ricorrenti, onde essi non potevano fondare il loro acquisto se non sulle statuizioni di quelle senten
ze, nei limiti di quella efficacia che esse rivestivano trattandosi di sentenze non ancora passate in giudicato e perciò su un titolo
che poteva essere eliminato, come in effetti è stato eliminato. Il problema quindi non si pone in termini di apparenza di una
situazione di titolarità diversa da quella reale, perché nella specie nessun riferimento alla qualità di erede può giustificare la tutela
del terzo in relazione all'acquisto di un diritto quale quello di
una quota di immobile da distaccare dal patrimonio di Saverio
Adamo meramente ipotetico, la cui esistenza o inesistenza poteva risultare solo dalla decisione finale di merito.
Si tratta quindi di un diritto controverso che tale avrebbe con
tinuato ad essere fino a quando la sentenza, ancorché esecutiva
come tutte le pronunce d'appello, non avesse acquistato l'autori
tà di cosa giudicata. E evidente allora che non sussiste un problema di apparenza
perché si tratta dell'acquisto di un diritto controverso, giuridica mente dipendente dalla posizione di pregiudizialità che ha il rap porto del dante causa rispetto a quello dell'acquirente, il quale in tale contesto non è un vero terzo, ma direttamente soggetto al giudicato. Con la conseguenza che in questo caso la sentenza che ha definito il giudizio — come effetto conclusivo della sen tenza di annullamento di questa corte — riconoscendo all'Ada mo il diritto di conferire alla massa ereditaria l'equivalente pecuniario del valore dell'immobile, esplica la sua efficacia a norma dell'art. Ili c.p.c. anche nei confronti degli acquirenti della cosa
litigiosa i quali per effetto del mancato riconoscimento del diritto del loro dante causa alla quota di eredità in natura che ha impe dito il perfezionamento del loro acquisto, non possono per il vin colo del giudicato far valere alcuna autonoma pretesa nei confronti dell'Adamo.
Né rileva in tal caso la trascrizione degli acquisti da parte degli acquirenti a titolo particolare perché la trascrizione risolve il con flitto fra gli acquirenti di diritti di uguale natura assicurando la
priorità dell'uno sull'altro, se ed in quanto effettivamente tras
messo, ma non crea il diritto stesso ove inesistente, come nel caso di specie in cui non si è perfezionata la fattispecie traslativa a favore degli attuali ricorrenti per effetto del mancato acquisto del bene da parte del loro dante causa.
Neppure sussistono i presupposti della fattispecie acquisitiva prevista dall'art. 2652, n. 7, c.c., cui i ricorrenti si richiamano con il terzo motivo.
È noto infatti che perché si possa derogare ai sensi dell'art.
Ili, 4° comma, c.p.c., al principio dell'efficacia della sentenza anche rispetto al successore a titolo particolare del diritto contro verso — dato il coordinamento tra l'art. Ili e le norme sulla trascrizione — occorre anzitutto che alla successione abbia dato
luogo il convenuto e non l'attore, in quanto le norme sulla tra scrizione delle domande giudiziali disciplinano esclusivamente gli effetti dell'alienazione del diritto controverso da parte del conve nuto. E in proposito la sentenza impugnata ha chiaramente spie gato che Adamo Saverio quale donatario dell'immobile di cui
aveva sempre conservato la proprietà acquistata per atto tra vivi
Il Foro Italiano — 1988.
— regolarmente trascritto — non aveva alcun onere di trascrivere
perché egli non contestava la quota ereditaria del Baeli Adamo, ma si limitava a far valere, di fronte alle pretese dell'attore, il
diritto di proprietà sull'immobile già acquistato per donazione.
Deve escludersi poi la salvezza delle norme sulla trascrizione
quando la domanda, come nella specie, risulti infondata nel me
rito, per l'ovvia considerazione che la trascrizione se sposta l'effi
cacia della domanda nei confronti dei terzi aventi causa del diritto
controverso, non crea il diritto stesso ove inesistente.
I ricorsi dunque vanno entrambi rigettati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23 no
vembre 1987, n. 8605; Pres. Mattiello, Est. G. E. Longo, P. M. Martinelli (conci, conf.); Cappuzzello e altro (Avv. Sco
gnamiglio, Di Stefano) c. Velia (Avv. Salerni, Borrometi).
Conferma App. Catania 1° marzo 1983.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Morosità del conduttore — Importanza del
l'inadempimento — Valutazione «ex lege» — Applicabilità (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili ur bani, art. 5).
Il disposto dell'art. 5 l. 392/78, che ha introdotto una predeter minazione legale della gravità dell'inadempimento del condut tore nel pagamento del canone di locazione e degli oneri
accessori, sottraendo la valutazione di essa all'apprezzamento discrezionale del giudice ex art. 1455 c.c., si applica anche alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione. (1)
(1) La riportata sentenza contrasta dichiaratamente con le precedenti pronunzie della stessa Corte di cassazione sulla questione, che rispecchia no l'orientamento pressoché univoco sia dei giudici di merito che della dottrina, secondo il quale l'art. 5 1. 392/78 è applicabile esclusivamente nell'ambito delle locazioni abitative: v. sent. 16 luglio 1986, n. 4600, Fo ro it., 1987, I, 111, e 5 luglio 1985, n. 4057, id., 1986, I, 133, con nota di richiami (annotata da D. Piombo, in Corriere giur., 1985, 1217, e da G. Grasselli, in Giust. civ., 1986, I, 837). Adde, nel medesimo senso della inapplicabilità del citato art. 5 alle locazioni non abitative (sebbene i criteri legali di valutazione dell'importanza dell'inadempimento dallo stesso fissati vengano, peraltro, tenuti presenti dal giudice in sede di ap prezzamento discrezionale secondo la regola generale dell'art. 1455 c.c.), Pret. Napoli 14 luglio 1986, Foro it., Rep. 1986, voce Locazione, n. 353
(riportata anche in Giur. merito, 1987, 877, con nota di Razza, il quale osserva che l'omissione del richiamo dell'art. 5 1. 392/78 nel successivo art. 41 «non è casuale, ma sistematica»).
* * *
La pronuzia in epigrafe, sul presupposto della rilevanza «non decisiva» della collocazione dell'art. 5 1. 392/78 tra le norme riguardanti le locazio ni abitative e del suo mancato richiamo nell'art. 41 (che rende applicabili alle locazioni non abitative talune disposizioni inserite nella parte della
legge riguardante le locazioni abitative), giunge alla conclusione riassunta in massima condividendo i rilievi del giudice dell'appello, secondo cui:
a) «non sarebbe razionalmente comprensibile» la scelta del legislatore di
colpire in modo «molto più rigoroso» di quanto in precedenza previsto dalla 1. 841/73 soltanto i conduttori di immobili ad uso di abitazione, e cioè proprio quelli che lo stesso legislatore mostra di voler tutelare mag giormente rispetto agli altri; b) l'esigenza di risolvere in base a criteri
predeterminati il problema della valutazione della gravità dell'inadempi mento è comune ad entrambe le tipologie locatizie considerate; c) l'art. 5 è espressamente richiamato nell'art. 55, e cioè in una disposizione che la Cassazione ha costantemente ritenuto applicabile anche alle locazioni non abitative. La sentenza che si riporta aggiunge a questi l'argomento (che qualifica «di ordine giuridico-sistematico») che l'efficacia sostanziale della sanatoria della morosità ai sensi dell'art. 55 1. 392/78 (che impedi sce la risoluzione del contratto, come espressamente stabilito dall'ultimo
comma) postula necessariamente che la gravità o importanza dell'inadem
pimento «siano da considerare scontate» in partenza; il che presuppone la loro definizione preliminare «secondo un modello legale di inequivoca percezione».
Orbene, a prescindere da ogni considerazione in merito all'esattezza dei rilievi cosi sintetizzati (in relazione, al rilievo sub a, v., per esempio,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo, denunziando
violazione di legge (art. 5 e 55 1. 27 luglio 1978 n. 392, in relazio
ne agli art. 1453 ss., e in particolare all'art. 1455 c.c.), nonché
vizi di motivazione, i ricorrenti sostengono che la corte territoria
le avrebbe a torto considerato applicabile alla fattispecie — con
cernente una locazione non abitativa — la norma dell'art. 5 citato,
valevole invece, a loro avviso, solo per le locazioni abitative.
Nel considerare la loro morosità, dedotta dalla locatrice al fine
di far dichiarare risolto il contratto, la corte predetta avrebbe
dovuto valutare l'«importanza» dell'inadempimento secondo i cri
teri dettati dalle ricordate norme del codice, e non ritenere che
«il fatto (di essi conduttori) costituisse una mora rilevante e/o
un inadempimento importante ex lege, ai fini della risoluzione
del contratto», in applicazione del ridetto art. 5 della legge.
La censura non appare fondata. Deve bensì rilevarsi, al riguar
do, che questa Suprema corte si è talvolta pronunziata, sia pur
sommariamente, sulla questione, affermando che l'art. 5 in esa
me si applica soltanto alle locazioni abitative (Cass. 16 luglio 1986,
n. 4600, Foro it., 1987, I, 111; 5 luglio 1985, n. 4057, id., 1986, I, 133).
Ma da siffatta affermazione, che pur sembrerebbe trovar con
forto nella collocazione della norma fra quelle del capo I del tito
lo I della legge, riguardante tal genere di locazioni, e nel mancato
richiamo alla norma stessa, che estende alle locazioni non abitati
ve alcune delle norme dettate per quelle abitative, questo collegio
ritiene di doversi discostare.
Manifestamente non decisivi a favore della tesi difesa dai ricor
renti si rivelano i due argomenti pocanzi accennati, ove si consi
deri che l'aver il legislatore dettato esplicitamente la norma per
una sola delle anzidette categorie di locazione, senza includerla
fra quelle richiamate a valere anche per l'altra categoria, non
può considerarsi circostanza che necessariamente escluda una esten
sione interpretativa della validità della norma stessa, allorché di
siffatta estensione si rinvengano i presupposti giuridico-sistematici,
ed essa possa ritenersi sorretta dalla ratio legis. A considerazioni intese a dimostrare la sussistenza di tale ulti
mo requisito ha fatto ricorso la corte d'appello, allorché ha os
servato che, operando una predeterminazione legale di «gravità»
o «importanza» dell'inadempimento (quello del conduttore la cui
morosità, quanto al canone, si protragga oltre venti giorni dopo
la scadenza o, quanto agli oneri accessori, superi l'importo di
due mensilità di canone) quale motivo di risoluzione del contrat
to, e sottraendo la valutazione di esse dell'apprezzamento discre
G. Bernardi, in Equo canone2, Cedam, Padova, 1980, 49, secondo il
quale ad una comparazione complessiva tra la nuova normativa degli art.
5 e 55 1. 392 e quella previgente dell'art. 3 1. 841/73, la prima appare
più vantaggiosa per il conduttore), risulta evidente che i primi due (a-b) sarebbero idonei a sorreggere la tesi interpretativa prescelta da Cass.
8605/87 solo se (come però non si ipotizza apertamente) l'omesso richia
mo all'art. 5 nell'art. 41 1. 392/78 potesse considerarsi una non voluta
e casuale lacuna.
Quanto al secondo gruppo di rilievi, il ragionamento della corte di
legittimità si riduce, nella sostanza, all'affermazione che l'applicabilità
dei criteri legali di valutazione dell'inadempimento dettati dall'art. 5 è
necessaria perché la portata sostanziale dell'art. 55 possa effettivamente
esplicarsi; è cioè essenzialmente fondato nella stretta colleganza giuridico
sistematica tra le disposizioni dei due articoli ora menzionati; ed in que
sto rivela in modo evidente la sua intima debolezza.
Infatti, proprio il collegamento esistente tra gli art. 5 e 55 1. 392/78
costituisce un elemento di notevole peso nel senso della esclusione del
l'applicabilità alle locazioni non abitative dello stesso art. 55 (oltre che
dell'art. 5), dal momento che la tesi opposta finora accolta dalla Cassa
zione e ribadita pedissequamente dalla pronunzia che si riporta, quanto meno per i contratti soggetti al regime ordinario della legge c.d. dell'equo
canone, non può certo trovare valido appiglio nell'art. 74 della stessa
legge, dettato per i soli rapporti soggetti alla disciplina transitoria (v.
in proposito, tra l'altro, le puntuali considerazioni di S. Paparo-A. Pro
to Pisani, Equo canone*, Cedam, Padova, 1980, 574, nonché la succinta
ma calzante osservazione di A. Cappabianca a Cass. 26 luglio 1986, n.
4799, Foro it., 1987, I, 504). A proposito della diversità di disciplina — nell'ambito della 1. 392/78
— tra le locazioni abitative e quelle riguardanti immobili ad uso diverso,
mette conto d'altra parte rilevare, in termini generali, che la Corte costi
tuzionale ne ha più volte ritenuto la legittimità in riferimento all'art. 3
Cost., data la eterogeneità esistente tra le due tipologie locatizie in que
stione (v. Corte cost. 9 aprile 1987, n. 116 e 27 marzo 1987, n. 84, ibid.,
1666; e, in precedenza, Corte cost. 25 giugno 1981, n. Ill, id., 1981,
I, 2503, e 28 luglio 1983, n. 252, id., 1983, I, 2628). [D. Piombo]
Il Foro Italiano — 1988.
zionale del giudice ex art. 1455 c.c. (in tal senso l'art. 5 viene
anche interpretato da questo Supremo collegio: Cass. 27 gennaio
1986, n. 524, id., 1986, I, 1567; 21 agosto 1985, n. 4474, ibid., 1568; 22 novembre 1985, n. 5776, id., Rep. 1985, voce Locazio
ne, n. 521; 10 agosto 1982, n. 4490, id., Rep. 1983, voce cit.,
n. 558), il legislatore ha perseguito un almeno duplice risultato
innovativo. Da una parte esso ha sostanzialmente dettato, per
la mora, una disciplina molto più rigorosa di quella sancita dalla
previgente 1. 22 dicembre 1973 n. 841, che poneva come requisito
il mancato pagamento di almeno due, o in casi particolari tre
mensilità di canone, e non sarebbe razionalmente molto compren
sibile che con tal maggior rigore siansi voluti colpire solo i con
duttori di immobili destinati ad abitazione (le parti cioè che, per
chiari segni, lo stesso legislatore ha dimostrato di non voler sacri
ficare maggiormente rispetto agli altri conduttori, e cui ha mani
festamente voluto riservare invece un trattamento più favorevole).
D'altra parte, con la predeterminazione in discorso, il legisla
tore ha evidentemente inteso sopperire all'esigenza di sottrarre
alla materia in esame uno dei più frequenti motivi di contenzioso
(quello relativo alla comunemente dedotta del locatore — e nega
ta dal conduttore — «gravità» dell'inadempimento), esigenza cer
to avvertita cosi per le locazioni abitative come per le altre.
Al rilievo di tali segni rivelatori della possibilità di comunanza
di disciplina fra le due categorie di locazione anche su un punto,
qual è quello in esame per il quale la legge tale comunanza espli
citamente non prevede, la sentenza denunziata aggiunge l'osser
vazione, sia pure di ordine principalmente estrinseco e formale,
dell'espresso richiamo che all'art. 5 trovasi nell'art. 55, contem
plante la sanatoria, della morosità: una disposizione, quest'ulti
ma, che con una serie di pronunzie conformi (Cass. 24 aprile
1981, n. 2469, id., Rep. 1981, voce cit., n. 413; 25 giugno 1983,
n. 4371, id., 1984, I, 508; 20 aprile 1984, n. 2594, id., 1985, I, 1155; 26 luglio 1986, n. 4799, id., 1987, I, 504), è stata ritenuta
applicabile sia alle locazioni abitative che a quelle non abitative,
con interpretazione mantenuta ferma (e giustamente, se non altro
considerandosi in favore di essa il dato testuale, scarsamente equi
vocabile, dell'art. 74, richiamato dalla giurisprudenza innanzi ci
tata) nonostante alcune critiche formulate in dottrina.
Ma a parte gli argomenti di cui innanzi, questa corte è d'avviso
che a favore della ritenuta applicabilità dell'art. 5 alle locazioni
non abitative possa esercitare forza persuasiva una ragione ulte
riore, di ordine giuridico-sistematico: quella emergente dalla con
siderazione che il ridetto art. 55 della legge, ritenuto applicabile,
come accennato, ad ambedue le categorie di locazione, lungi dal
rivestire soltanto il carattere processuale annunziato dalla epigra
fe del capo che la contiene, innegabilmente comporta invece che
l'effetto di sanatoria, ch'esso conferisce (con limiti e modalità
ch'esso determina) al pagamento tardivo, operi non con la sola
conseguenza di paralizzare l'efficacia esecutiva del provvedimen
to giudiziale di rilascio dell'immobile, ma anche, e precipuamen
te, quale fatto, successivo all'inadempimento, che addirittura «. . .
esclude la risoluzione del contratto» (art. 55, ultimo comma, del
la legge); con il corollario, rilevante ai fini che qui interessano,
che tal pagamento, da effettuarsi «alla prima udienza», può giu
ridicamente operare quale «sanatoria» solo postulandosi — come
giustamente osservato in dottrina — che la «gravità» o ^(impor
tanza» dell'inadempimento siano da considerare scontate già nel
la predetta fase preliminare del processo; il che può veramente
accadere solo se esse, sottratte alla valutazione discrezionale del
giudice, siano già definite secondo un modello legale di inequivo
ca percezione, qual è quello previsto dall'art. 5 in discorso, nor
ma attratta dunque anche a tal titolo nell'orbita di applicazione
dell'art. 55, a valere per ambedue le categorie di locazione.
Chiaramente infondato poi — giacché, sotto l'apparente de
nunzia di vizi di motivazione e violazione di legge (art. 5 della
legge citata, art. 1218, 1453 ss., 2697 c.c.), esso tende in realtà
a sindacare, inammissibilmente in questa sede, un motivato ap
prezzamento della corte territoriale, che alla tesi di una buona
fede dei conduttori ha opposto la comprovata manifestazione di
volontà della lòcatrice, di esigere una puntuale osservanza degli
obblighi contrattuali, e non tollerare quindi mere dichiarazioni
di prontezza a pagare — è il secondo mezzo con cui i ricorrenti
sostengono non aver la corte tenuto presenti varie manifestazioni
di una loro volontà di pagare, che a loro avviso avrebbero esclu
so l'elemento della «colpa» dell'inadempimento.
Alla stregua delle considerazioni innanzi esposte il ricorso va
rigettato.
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