sezione III civile; sentenza 24 aprile 1987, n. 4034; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P. M. Fedeli(concl. diff.); De Filippo (Avv. Enselmi, Cipullo) c. Proc. gen. App. Napoli. Conferma App.Napoli 23 marzo 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1221/1222-1225/1226Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181205 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
In mancanza di una specifica doglianza che abbia criticato questa
parte della sentenza impugnata deve prendersi le mosse da tale
qualificazione giuridica, non suscettibile di correzione in questa
sede, per controllare la successiva motivazione con cui il giudice
d'appello ha ravvisato in concreto la ricorrenza dei requisiti che
integravano la responsabilità della Banca popolare di S. Agata
nella (mancata) identificazione dei portatori degli assegni bancari
«non trasferibili».
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, deve inol
tre affermarsi che rettamente la corte d'appello, in conformità
al giudizio espresso in proposito dal tribunale, ha ravvisato nei
titoli in questione tutti i requisiti previsti dall'art. 1 r.d. 21 di
cembre 1933 n. 1736 — con particolare riferimento alla distinzio
ne da essi risultante tra il traente (l'Ifi) ed il trattario (la Bnl) — per essere considerati come assegni bancari.
Altrettanto prive di pregio sono le doglianze che attengono alla
prescrizione della domanda ed al dedotto «esaurimento» del rap
porto contabile tra il traente ed il solvens trattandosi di questioni
nuove non proposte in sede di merito che involgendo l'esame dei
fatti della causa non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
Sgombrato il campo delle questioni preliminari sollevate dalla
banca, e passando all'esame della censura centrale riflettente la
dedotta assenza dei presupposti perché potesse profilarsi la re
sponsabilità della banca per il pagamento degli assegni a persone
diverse dei beneficiari degli assegni «non trasferibili», trattasi di
doglianza destituita di fondamento.
In tema di assegno bancario non trasferibile, la giurisprudenza
di questa corte si è ispirata ai seguenti criteri: a) l'art. 43 r.d.
21 dicembre 1933 n. 1736, allorché nega efficacia liberatoria al
pagamento a persona diversa dal prenditore, va inteso con riferi
mento alla persona che non risulti munita di legittimazione carto
lare e, pertanto, non osta a che, in applicazione del principio
generale di cui all'art. 1992, 2° comma, c.c., debba considerarsi
liberatorio il pagamento fatto dalla banca a soggetto diverso dal
titolare del diritto che sia ad essa apparso, nonostante l'uso della
dovuta diligenza professionale nella identificazione, quale legitti
mo prenditore; b) l'obbligo di diligenza che una banca deve os
servare nella identificazione del presentatore di un assegno, al
fine di non incorrere in responsabilità per il pagamento che venga
effettuato a persona diversa dal titolare del diritto, deve essere
valutato non alla stregua di criteri rigidi e predeterminati, ma
tenendo conto degli accorgimenti e delle cautele che le circostan
ze del caso concreto suggeriscono, in relazione al luogo del paga
mento, alla persona del presentatore, all'importo del titolo, al
documento di identificazione esibito (sent. 25 gennaio 1983, n.
686, id., 1984, I, 1360; 4 ottobre 1979, n. 5118, id., Rep. 1979,
voce Titoli di credito, n. 78). La corte d'appello, nell'esaminare la fattispecie sottoposta al
suo giudizio, si è attenuta agli accennati criteri con motivazione
immune da vizi logici e giuridici e perciò non sindacabile in que
sta sede.
Ha osservato la corte che — come risultava dal giudizio penale
ormai definito a carico di tale Giuseppe Ricciardello ed altri —
i beneficiari degli assegni bancari non trasferibili emessi dall'Ifi
e tratti sulla Bnl non esistevano ovvero erano estranei al rapporto
artificiosamente creato da un gruppo di persone con la complici
tà del Ricciardello per frodare l'Ifi, ente finanziatore; che gli as
segni, essendo di ammontare cospicuo, richiedevano l'uso di una
particolare diligenza da parte della banca popolare, la quale inve
ce non solo aveva omesso qualsiasi identificazione dei prenditori
apparenti dei titoli (il che, secondo l'impugnata sentenza, sarebbe
stato sufficiente per escludere la possibilità della frode), ma, in
violazione dell'art. 43 r.d. n. 1736 del 1933, aveva assunto la
veste di girataria «piena» dei titoli, disponendone in materia del
tutto arbitraria con l'accreditarne l'importo sul conto corrente
di un terzo (il Ricciardello) che non era prenditore degli stessi,
come la ricorrente ha confermato nel suo ricorso.
Né la ritenuta responsabilità della banca può essere rimessa
in discussione in questa' sede adducendo che gli assegni furono
pagati in seguito alla garanzia prestata dal Ricciardello, dipen
dente dell'Ifi.
Infatti, la dedotta (e non ritenuta) qualità di dipendente dell'Ifi
da parte del Ricciardello non avrebbe mai potuto indurre i giudi
ci d'appello ad escludere la responsabilità della banca popolare,
avendo la sentenza impugnata giustamente posto l'accento sul fatto
che l'identificazione dei portatori dei titoli non rientrava tra le
attribuzioni di tale soggetto (Ricciardello) e comunque tenendo
Il Foro Italiano — 1988.
presente che giammai la banca poteva ritenersi autorizzata a di
sporre dei titoli, accreditandoli sul conto corrente del presunto
garante e rendendo in tal modo possibile la frode, secondo gli
accertamenti di fatto compiuti in grado d'appello. In definitiva, sottraendosi la denunziata sentenza alle proposte
censure, il ricorso della Banca popolare di S. Agata deve essere
respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 24 aprile
1987, n. 4034; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P. M. Fedeli
(conci, diff.); De Filippo (Avv. Enselmi, Cipullo) c. Proc. gen.
App. Napoli. Conferma App. Napoli 23 marzo 1985.
Notaio — Procedimento disciplinare — Destituzione di diritto — Natura — Competenza del giudice penale — Concessione
di attenuanti — Irrilevanza — Prescrizione dell'azione discipli
nare — Irrilevanza (L. 13 febbraio 1913 n. 89, ordinamento
del notariato, art. 142, 144, 146, 158).
La destituzione di diritto del notaio, quale effetto accessorio del
la sentenza penale di condanna, consegue automaticamente ed
obbligatoriamente all'accertamento di uno dei reati previsti dal
l'art. 5, n. 3, legge notarile, e va dichiarata dal giudice penale,
senza che vi ostino né la concessione di circostanze attenuanti,
né la estinzione per prescrizione dell'azione disciplinare. (1)
(1) La motivazione è cosi articolata: a) la destituzione di diritto del
notaio, ai sensi dell'art. 142, ultimo comma, legge notarile, a differenza
della destituzione prevista dal 1° comma di detto articolo, non costituisce
sanzione disciplinare, bensì' effetto accessorio della condanna penale; b) essa va applicata automaticamente da parte dello stesso giudice penale, come conseguenza appunto della condanna; c) irrilevante è la concessione
in favore del notaio di circostanze attenuanti, atteso che la norma del
l'art. 144, secondo cui nel concorso di attenuanti può essere applicata la sanzione minore, e in particolare la sospensione in luogo della sostitu
zione, riguarda i soli illeciti disciplinari, riservati alla cognizione del tri
bunale civile, mentre non sono ipotizzabili, nel caso di condanna penale
per reato attenuato, né una applicazione della sanzione disciplinare della
sospensione da parte del giudice penale, né una delega del relativo potere al giudice civile; d) la operatività della destituzione di diritto, quale effet
to della condanna penale, non è di conseguenza preclusa dalla prescrizio ne dell'azione disciplinare di cui all'art. 146 legge notarile, che riguarda solo procedimenti e le sanzioni disciplinari. In senso conforme, Cass. 11
giugno 1984, Fortuna, Foro it., Rep. 1985, voce Notaio, n. 35; e, più in generale, sulla qualificazione della destituzione di diritto quale effetto
accessorio della condanna penale, distinta dalle sanzioni disciplinari nota
rili, aventi natura amministrativa, Cass. 28 ottobre 1983, n. 6378, id.,
1984, I, 767, con ampia nota di richiami sulla natura delle infrazioni
alla legge notarile, sulla autonomia dell'azione disciplinare rispetto all'a
zione penale, e sul procedimento disciplinare; vedi anche, sempre sulla
natura delle violazioni della legge notarile, Trib. Siena 3 aprile 1984, id.,
1986, I, 810, con nota di richiami.
Peraltro, la tesi della destituzione di diritto, prevista dall'art. 142, ulti
mo comma, legge notarile, quale effetto accessorio della condanna penale
(vedi, oltre le pronunce citate, Cass. 26 novembre 1952, Mastelloni, id.,
1953, II, 41; G. F. Bonetto, La destituzione del notaio condannato per
falso: natura giuridica, competenza e prescrizione, in Riv. it. dir. e proc.
pen., 1961, 579), è tutt'alro che pacifica. Ad essa si contrappongono sia
l'opinione, meno recente, che vi ravvisava una pena accessoria (Cass. 27 marzo 1956, Lapi, Foro it., Rep. 1956, voce cit., n. 46); sia la tesi
che la configura come sanzione disciplinare (Cass. 29 dicembre 1962, n.
3435, id., Rep. 1963, voce cit., n. 45; P. Frisoli, Qualche rilievo sulla
«destituzione» del notaio, in Riv. not., 1958, 5); sia infine la teoria della
natura mista, secondo la quale la destituzione di diritto costituirebbe ef
fetto penale della condanna nel solo caso in cui non siano state concesse
al notaio circostanze attenuanti, mentre, nell'ipotesi in cui siano state
riconosciute attenuanti, sarebbe operante il disposto dell'art. 144 legge
notarile, ed essa rivestirebbe natura di sanzione disciplinare, da applicarsi da parte del giudice civile in alternativa alla sanzione minore della so
spensione (Cass. 17 giugno 1968, Martone, Foro it., 1969, II, 99, con
nota di richiami; 4 aprile 1963, Parisio, id., Rep. 1963, voce cit., n. 46;
18 marzo 1961, Rescigno, id., Rep. 1961, voce cit., n. 94. Secondo que st'ultima opinione, la norma dell'art. 144 legge notarile, che prevede,
per il caso di concorso di attenuanti, la possibilità di applicare la sospen sione in luogo della destituzione, avrebbe carattere integrativo del dispo sto dell'art. 142 e si applicherebbe a tutte le ipotesi di destituzione ivi
disciplinate: la destituzione di diritto andrebbe quindi dichiarata dal giu dice penale solo in assenza di attenuanti; per contro, la concessione di
queste (rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, e non deri
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1223 PARTE PRIMA 1224
Svolgimento del processo. — Il procuratore della repubblica
presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere iniziava il 13 aprile 1984 procedimento disciplinare nei confronti del notaio De Filip
po Giuseppe, chiedendo che venisse disposta la sua destituzione
per le numerose sentenze di condanna per falso materiale ed ideo
logico, risultanti dalle sentenze — 22 dicembre 1972; 24 febbraio
1975; 24 ottobre 1980 e da altre ancora non definitive — e dal
certificato penale. L'adito tribunale, con sentenza 13 luglio 1984, dichiarava non
luogo a provvedere sulla istanza del p.m. per essere il provvedi mento di destituzione riservato al giudice penale che aveva pro nunciato le condanne indicate nell'art. 5, n. 3, della legge notarile.
vante automaticamente dal mero stato di incensuratezza del notaio: Cass. 16 giugno 1977, n. 2507, id., Rep. 1977, voce cit., n. 50), imporrebbe di considerare la destituzione come sanzione disciplinare, convertibile nel la sanzione minore della sospensione, ed irrogabile dal giudice civile, l'u nico abilitato ad esprimere il giudizio discrezionale sotto il profilo disciplinare e ad applicare eventualmente la sanzione minore (vedi, oltre le pronunce citate, Cass. 25 maggio 1955, Polito, id., Rep. 1956, voce
cit., n. 52, e 16 giugno 1956, Peruzzi, ibid., n. 54; G. De Luca, Sanzioni
disciplinari nei confronti del notaio che abbia subito condanna penale e decorrenza del termine di prescrizione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 1321; contra, per la competenza anche in tale ipotesi del giudice penale, V. Sbordone, Destituzione, sospensione ed inabilitazione di dirit to del notaio a seguito di condanna, in Giust. civ., 1969, IV, 167, e, per la natura di effetto penale anche della destituzione facoltativa appli cata dal tribunale civile malgrado la concessione di attenuanti, G. Ama
to, Questioni in tema di sanzioni disciplinari e di misure cautelari nei
riguardi dei notai, in Foro pen., 1969, 473). Alla teoria della natura mista si ispirano anche quelle pronunce che, occupandosi del controverso pro blema della natura giuridica della inabilitazione e dei rapporti tra questa e la destituzione di diritto, affermano il collegamento indissolubile tra inabilitazione di diritto (intesa quale misura cautelare) e destituzione di
diritto, con la conseguenza che, ove per effetto della concessione di atte nuanti non possa seguire la destituzione di diritto, viene meno anche la
possibilità di dichiarare la inabilitazione di diritto ai sensi degli art. 139 e 158 legge notarile, spettando poi al tribunale civile la competenza a
pronunciare eventualmente la inabilitazione facoltativa (App. Napoli 23 dicembre 1969, Foro it., Rep. 1972, voce cit., n. 43; 17 giugno 1968, Martone, id., 1969, II, 99, con nota di richiami; vedi anche Cass. 25
luglio 1983, n. 5108, id., Rep. 1984, voce cit., n. 39; 10 dicembre 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 31); per richiami sulla tesi opposta, che esclu de che la inabilitazione sia pena accessoria o misura cautelare, si rinvia alia nota a Cass. 20 marzo 1979, n. 1615, id., 1980, I, 404).
L'affermazione della irrilevanza del decorso della prescrizione dell'a zione disciplinare ai sensi dell'art. 146 legge notarile è a sua volta conse
guenziale alla qualificazione della destituzione di diritto quale effetto penale, che consegue automaticamente e necessariamente alla condanna per uno dei reati previsti dall'art. 5, n. 3, legge notarile (Cass. 11 giugno 1984, Fortuna, cit.; e, in tema di inabilitazione, Cass. 20 marzo 1979, n. 1615, cit.). Sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 146, 1° comma, legge notarile, ove non prevede che il termine di prescrizione dell'azione disciplinare resti sospeso o venga interrotto in caso di atti di procedura, vedi Trib. Roma 6 novembre 1982, id., 1984, I, 1437, con nota di richia mi in materia di prescrizione dell'azione disciplinare. È da rilevare che la qualificazione della destituzione di diritto quale misura disciplinare nel l'ipotesi di concessione di attenuanti, secondo la teoria della natura mista già ricordata, accentua gli inconvenienti derivanti dalla inidoneità degli atti di procedura a sospendere o interrompere il decorso della prescrizio ne secondo il disposto dell'art. 146 legge notarile: invero, dovendo il giu dice civile provvedere dopo che sia intervenuta condanna penale definitiva, il termine quadriennale di prescrizione, non sospeso né interrotto, sarà nella maggior parte dei casi già decorso, con evidente privilegio di tratta mento per il notaio che abbia subito la condanna penale rispetto al no taio sottoposto a procedimento per solo illecito disciplinare (E. Protetti e C. Di Zenzo, La legge notarile, 1987, 466). La incongruenza non si
verifica, invece, ove si escluda, secondo l'opinione accolta dalla pronun cia in epigrafe, la natura disciplinare della destituzione di diritto.
L'ordinanza di cui all'art. 158 legge notarile, con la quale il giudice penale provvede a dichiarare la destituzione o inabilitazione di diritto, riparando alla omissione della sentenza di condanna, viene assimilata alla ordinanza di correzione di errori materiali, ed è quindi nulla se emessa senza la preventiva convocazione delle parti (Cass. 20 giugno 1984, M., Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 36; 6 aprile 1979, Soccal, id., Rep. 1982, voce cit., n. 23, e in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 1212, con nota di G.M. Anca); essa va pronunciata dallo stesso giudice che ha emesso la sentenza, anche se questa sia stata impugnata (Cass. 29 gen naio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 32); per altri richiami sul
punto, si rinvia alla nota in Foro it., 1980, I, 404. Sui temi della interdizione ed inabilitazione del notaio, vedi da ultimo
R. Triola, Interdizione ed inabilitazione del notaio sottoposto a procedi mento penale, in Vita not., 1985, 56.
Il Foro Italiano — 1988.
L'appello avverso tale pronuncia, proposto dal De Filippo, era
rigettato dalla Corte d'appello di Napoli con sentenza 23 marzo 1985 sulla base delle seguenti considerazioni: a) la legge notarile
prevede infrazioni disciplinari (c.d. contravvenzioni notarili), san
zionabili in varia misura, sino alla destituzione, per la quale è
competente il tribunale civile: b) a parte è, invece, regolata la
«destituzione di diritto», comminata nei confronti del notaio che
abbia riportato condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della legge notarile: c) tale forma di destituzione deve essere
dichiarata nello stesso provvedimento giurisdizionale che ne de
termina l'applicabilità, con la conseguenza che, ove ciò non av
venga, il p.m. deve chiedere allo stesso giudice di «riparare la
omissione»: d) la destituzione di diritto consegue alla condanna
quale che sia la pena concretamente irrogata ed anche se siano state riconosciute circostanze attenuanti, con la conseguenza che non deve essere condivisa la tesi del De Filippo, secondo il quale ai sensi dell'art. 144 della legge notarile, in caso di concorso di
dette circostanze troverebbe applicazione la sola sanzione disci
plinare, da irrogarsi dal giudice civile, il quale potrebbe sostituire alla destituzione la sospensione: e) per le stesse ragioni era da
rigettare l'eccezione di prescrizione di cui all'art. 146 della legge notarile, riferibile solo alle infrazioni disciplinari.
Avverso tale pronuncia il De Filippo ha proposto ricorso per cassazione. Il procuratore generale ha presentato conclusioni scritte.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente, denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 144 1. n. 89 del 16 febbraio 1913, deduce che la corte partenopea ha errato
nel reputare che la disposizione dell'art. 144 legge notarile fosse
applicabile soltanto alle ipotesi di destituzione contemplate dal 1° comma dell'art. 142 e non pure a quella del 2° comma dello stesso articolo.
Da questo errore è derivata — a suo dire — la soluzione an ch'essa errata in ordine alla competenza (del giudice penale) ed
alla prescrittibilità della sanzione.
Con il secondo motivo, poi, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 151 e dell'art. 158 1. n. 89 del 1913, dell'art. 262 r.d. 1326 del 1914, assumendo che la destituzione, a seguito di condanna penale, consegue di diritto soltanto ove non concorrano circostanze attenuanti. In presenza di esse, inve
ce, scatta la discrezionalità della valutazione circa l'applicabilità o meno della sanzione meno grave, demandata in ogni caso al
giudice civile, come ritenuto dalla prevalente giurisprudenza e dalla dottrina pressoché unanime.
Col terzo motivo, infine, il ricorrente, denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 146, assume che la denunciata nor
ma, recante la prescrizione dell'azione disciplinare, si riferisce a
tutte le ipotesi, siano o meno esse collegate ad una precedente condanna in sede penale.
Anche la destituzione in caso di condanna costituisce infatti una sanzione disciplinare, quando siano state riconosciute circo stanze attenuanti.
I predetti mezzi di annullamento, che vanno congiuntamente esaminati, per la connessione delle censure esposte, sono infon
dati, e vanno, pertanto, rigettati. È certo che la 1. 16 febbraio 1913 n. 89, che regola la responsa
bilità disciplinare del notaio, con l'art. 135 (collocato sotto il ca
po II del titolo IV, riguardante le «pene disciplinari») prevede, tra le «pene disciplinari» che possono essere inflitte ai notai per la violazione dei loro doveri, quella più grave della «destituzio
ne», i cui effetti possono venir meno soltanto con la riabilitazio
ne, ricorrendone le condizioni previste dal successivo art. 159. Accanto ai casi di illecito disciplinare puniti con la destituzione
(art. 142 legge notarile), che sarà irrogata dal tribunale civile in camera di consiglio (art. 262 regolamento legge notarile) sono, intanto, previste dall'ultimo comma del citato art. 142 due ipote si di destituzione di diritto per il notaio che abbia riportato una delle condanne indicate nell'art. 5, n. 3, legge notarile, o che sia stato interdetto dall'ufficio di giudice popolare con sentenza.
In questi ultimi casi la competenza a pronunciare la destituzio ne spetta al giudice penale ex art. 158 legge notarile.
Se, ora, è indubbio il carattere disciplinare e meramente ammi nistrativo che deve riconoscersi alla destituzione ex art. 142, 1°
comma, legge notarile, comminata in via del tutto autonoma con riferimento a precetti non sanzionati penalmente, altrettanto non è a dirsi per quanto riguarda la destituzione di diritto, la quale si presenta come un effetto accessorio di una pronuncia, ancor ché non definitiva, del giudice penale (Cass., sez. un., n. 6378 del 1983, Foro it., 1984, I, 767).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Certo allora che la destituzione di diritto consegue automatica
mente all'accertamento di uno dei reati previsti dall'art. 5, n.
3, legge notarile e deriva ipso iure dalla condanna, è indubbio
che la stessa non sia sensibile e alla pena concretamente irrogata e alla concessione o meno da parte del giudice penale di circo
stanze attenuanti.
A tale conclusione induce sia la lettera dell'art. 142, 2° com
ma, legge notarile la quale si limita a disporre che «è destituito
di diritto il notaio che ha riportato una delle condanne indicate
nell'art. 5, n. 3» senza alcun temperamento o esclusione in rap
porto a circostanze attenuanti, sia ancora più perentoriamente la norma dell'art. 158 stessa legge la quale dispone che «nelle
sentenze di condanna a pene che producono di diritto la destitu
zione del notaro sarà fatta la relativa dichiarazione», che, qualo ra tale dichiarazione sia stata omessa, «il pubblico ministero dovrà
richiedere all'autorità che emise la sentenza... di riparare l'omis
sione», nella quale appare marcata l'automaticità della dichiara
zione e l'obbligatorietà della stessa come effetto della condanna
penale. È evidente poi, che è la stessa (maggiore) gravità della violazio
ne di norme penali rispetto alla violazione di precetti non sanzio
nati penalmente a imporre allo stesso giudice penale di dichiarare
la destituzione di diritto, senza consentire la disapplicazione della
prescrizione nel caso in cui trattasi di condanna relativa a reato
attenuato.
Il che vale a respingere la tesi del ricorrente, il quale richiama
il disposto dell'art. 144 legge notarile per affermare che in caso
di concessione di attenuanti alla pena della destituzione sarebbe
sostituita la pena della sospensione con conseguente competenza del giudice ad emanarla.
Ora, quando l'art. 144 dispone «se nel fatto imputato al nota
ro concorrono circostanze attenuanti, la sospensione e la pena
pecuniaria possono essere diminuite di un sesto e può essere so
stituita alla destituzione la sospensione e alla censura l'ammen
da» è chiaro che la norma riguarda i soli illeciti disciplinari, e
per il richiamo a tutte le sanzioni disciplinari, e perché essa si
dirige al giudice (consiglio notarile o tribunale civile) che è chia
mato a valutare il fatto imputato al notaio e decidere sul concor
so o meno di circostanze attenuanti, prevedendo in caso di
concorso un'attenuazione della sanzione da irrogare, e non già
al giudice penale, chiamato, invece, ad emettere la dichiarazione
di destituzione di diritto e certamente non autorizzato ad emette
re, con la sentenza di condanna, relativa a reato attenuato, la
sanzione disciplinare della sospensione.
Né, peraltro, il sistema normativo della citata legge notarile
prevede, in alcun modo, una delega da parte del giudice penale,
che abbia pronunziato una delle condanne indicate al citato art.
5, n. 3, con il concorso di circostanze attenuanti a favore del
giudice del procedimento disciplinare e, meno ancora, un obbligo
per il p.m. di promuovere a seguito di detta condanna un proce
dimento disciplinare che ponga a base del giudizio non già un
illecito disciplinare, ma una violazione penale, già valutata dal
giudice penale. L'art. 144 va considerato, perciò, come norma applicabile sol
tanto in caso di procedimento disciplinare in relazione ad illeciti
espressamente previsti dalla legge notarile, con la conseguenza
che non è, in alcun caso, ipotizzabile una competenza del giudice
(civile) del procedimento disciplinare in materia riservata alla esclu
siva competenza del giudice penale.
Va, infine, rilevato che la medesima legge notarile, facendo
derivare ipso iure dalla condanna penale per i reati più gravi,
previsti dall'art. 5, n. 3, della legge stessa, l'applicazione della
sanzione disciplinare più severa, la destituzione, senza richiedere,
per l'applicazione di tale sanzione, alcun procedimento o provve
dimento in sede disciplinare, a differenza di quanto è previsto
in altri ordinamenti professionali, ha attuato in altra forma il
collegamento tra il procedimento penale e la materia disciplinare,
adeguatamente tutelando l'interesse pubblico alla integrità delle
funzioni notarili e all'esclusione da tali funzioni di coloro che
hanno commesso quei gravi reati, al di fuori di ogni incidenza
dell'estinzione per prescrizione dell'azione disciplinare (Cass., sez.
un., n. 85 del 1968, id., 1968, I, 992; sez. V 11 giugno 1984,
Fortuna, id., Rep. 1984, voce Notaio, n. 35).
In applicazione di tali principi deve, quindi, concludersi per
la inapplicabilità della normativa prevista dall'art. 146 legge no
tarile in casi di destituzione di diritto da comminare a seguito
del procedimento ex art. 158, 3° comma, legge notarile.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 3 aprile
1987, n. 3231; Pres. Colesanti, Rei. Giuliano, Est. Schermi,
P. M. Nicita (conci, diff.); Vergani (Avv. Gondolini, Lamar
ca) c. Soc. Atahotel (Avv. Cersosimo, Marinetti). Cassa App.
Milano 2 marzo 1982.
Legge, decreto e regolamento — Irretroattività — Esclusione —
Fattispecie (Disp. sulla legge in generale, art. 11; cod. civ., art.
1784).
Il principio di irretroattività delle leggi non impedisce che la nor
ma innovatrice disciplini gli effetti di un fatto generatisi ante
riormente, quando tali effetti continuano a perdurare al
momento della sua entrata in vigore (nella specie, si è ritenuto
applicabile l'art. 1784 c.c., cosi come novellato dalla I. 15 feb
braio 1977 n. 35, per quantificare il danno da furto di autovei
colo subito dal cliente di un albergo prima che la nuova norma
entrasse in vigore). (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 29 dicembre 1976 Vergani Mario, premesso che il 15 maggio
(1) Contra, Cass. 8 luglio 1981, n. 4468, Foro it., 1981, I, 2950, che
in una fattispecie — assai simile alla presente — in cui l'invitata ad un
banchetto aveva patito il furto di una pelliccia, ritenne applicabile, ai
fini della quantificazione del risarcimento, la disciplina anteriore alla no
vella del 1977, statuendo che «il rapporto di diritto sostanziale è regolato dalle norme vigenti al momento della conclusione e della esecuzione del
contratto, non potendo attribuirsi, in mancanza di una esplicita previsio ne legislativa, efficacia retroattiva alla legge nuova sopravvenuta».
In sostanza, il conflitto tra questa decisione e quella riportata in epi
grafe può cosi riassumersi: quando il fatto generatore di responsabilità si verifica nel regime della legge previgente e la decisione del giudice in
terviene nel regime dello ius superveniens, che ha modificato il limite
del quantum di danno risarcibile, la determinazione del risarcimento do
vrà essere effetuata secondo la disciplina vigente nel momento in cui si
verificò la condotta illecita (cosi Cass. 4468/81) ovvero in base alla legge
vigente al momento della pronuncia? La presente decisione, optando per la seconda soluzione, richiama la giurisprudenza della Suprema corte a
cui parere i rapporti giuridici che continuano a sussistere successivamente
alla entrata in vigore della nuòva legge sono regolati da quest'ultima, mentre la disciplina previgente trova esclusiva applicazione ai rapporti i cui effetti si sono già esauriti (cfr., a quest'ultimo proposito, Cass. 17
dicembre 1981, n. 6698, id., Rep. 1981, voce Legge, decreto e regolamen
to, n. 61, che ha applicato la legge anteriore — 1. 6 agosto 1954 n. 854 — per l'accertamento del diritto alla qualifica maturato, ma non ancora
riconosciuto, al momento della entrata in vigore della successiva 1. 11
febbraio 1978 n. 30; Cass. 26 ottobre 1976, n. 3896, id., Rep. 1976, voce
Contratti agrari, n. 219, a cui parere «l'art. 10 1. 11 febbraio 1971 n.
11, nella parte in cui consente all'affittuario di fondo rustico di assumere
tutte le iniziative necessarie alla razionale coltivazione, non può essere
invocato dall'affittuario medesimo al fine di evitare la decadenza dalla
proroga legale del rapporto, per un pregresso mutamento della destina
zione culturale del fondo... che comportava, secondo le norme vigenti
all'epoca, l'indicato effetto»). Tra le numerose pronunce che ritengono applicabile la nuova legge agli
effetti di un fatto o atto giuridico, che (pur sorti anteriormente) perman
gono alla data della sua entrata in vigore, v. Cass. 29 aprile 1982, n.
2705, id., Rep. 1982, voce Legge, decreto e regolamento, n. 39; 13 aprile
1981, n. 4905, id., Rep. 1981, voce cit., n. 62; 1° ottobre 1976, n. 3202,
id., Rep. 1976, voce cit., n. 29; 29 gennaio 1973, n. 271, id., Rep. 1973,
voce cit., n. 23; 24 marzo 1972, n. 907, id., Rep. 1972, voce cit., n.
28; 22 luglio 1971, n. 2433, id., 1972, I, 692; 27 maggio 1971, n. 1579,
ibid., 153; T.A.R. Sardegna 7 giugno 1985, n. 321, id., Rep. 1986, voce
cit., n. 34; App. Milano 20 giugno 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n.
21 (per esteso in Arch, civ., 1980, 813, che, pronunciandosi su fattispecie
analoga a quella oggetto della sentenza in epigrafe, ritenne, del pari, ap
plicabili i nuovi limiti di risarcimento in presenza di un atto illecito verifi
catosi prima dell'entrata in vigore della nuova legge). In dottrina, per
tutti, v. R. Quadri, Applicazione della legge in generale, in Commenta
rio Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1974, sub art. 11.
Il richiamo alla massima standard per cui gli effetti di un rapporto
giuridico perduranti al momento dell'entrata in vigore dello ius superve niens sono da quest'ultimo regolati non pare tuttavia pertinente nel caso
di specie. Tra il momento in cui si è verificato l'illecito e quello della
liquidazione del risarcimento non sembra infatti configurabile l'esistenza
di un rapporto giuridico avente ad oggetto la mera quantificazione del
danno: quest'ultima è, al contrario, una semplice operazione contabile
che, presupponendo l'accertamento (nella specie, giudiziale) della sussi
stenza dell'atto illecito e delle voci di danno risarcibile, è necessariamente
dilazionata nel tempo, ma si rapporta pur sempre al momento in cui
l'illecito è stato compiuto ed è sorto il diritto al risarcimento.
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