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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 4 marzo 1988, n....

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sezione III civile; sentenza 4 marzo 1988, n. 2275; Pres. Lo Surdo, Est. Iannotta, P.M. Marinelli (concl. conf.); Clemente (Avv. Del Pozzo) c. De Blasi (Avv. De Blasi). Cassa App. Napoli 30 maggio 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 1201/1202-1205/1206 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183930 . Accessed: 28/06/2014 19:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 19:00:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 4 marzo 1988, n. 2275; Pres. Lo Surdo, Est. Iannotta, P.M. Marinelli(concl. conf.); Clemente (Avv. Del Pozzo) c. De Blasi (Avv. De Blasi). Cassa App. Napoli 30 maggio1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1201/1202-1205/1206Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183930 .

Accessed: 28/06/2014 19:00

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

subordinato che l'art. 409, n. 3, c.p.c. accomuna, nella disciplina

processuale, a quelle di lavoro subordinato (Cass. 28 maggio 1981,

n. 3498, id., Rep. 1982, voce Sanitario, n. 39; 24 febbraio 1982,

n. 1152, id., 1984, I, 566; 3 giugno 1983, n. 3785, id., Rep. 1983,

voce cit., n. 40). Tutto ciò premesso, va osservato che dalla natura continuativa

e coordinata delle prestazioni professionali espresse dal rapporto

in questione, non deriva, però, automaticamente anche l'assog

gettamento del relativo compenso alla stessa prescrizione quin

quennale, cui, a norma dell'art. 2948, n. 4, c.c., è sottoposto

il diritto alla retribuzione nel rapporto di lavoro subordinato: l'u

nificazione della disciplina processuale delle controversie relative

a quei rapporti non implica affatto l'uniformità anche di quella

sostanziale, sicché, stante la diversa natura dei rapporti elencati

dall'art. 409 c.p.c., ben può accadere che la norma sulla prescri

zione breve sia applicabile ad alcuni di essi e non anche ad altri.

Ed allora, considerato che l'applicazione dell'art. 2048, n. 4,

presuppone che il pagamento «debba» essere eseguito «periodica

mente ad anno o in termini più brevi», è necessario verificare

se, nel caso di specie, l'obbligazione dell'ente aveva natura perio

dica, come sostenuto dall'amministrazione ricorrente.

Nei contratti ad esecuzione periodica, ordinariamente la perio

dicità è carattere che contraddistingue tanto la prestazione quan

to la controprestazione. Ma, come si è detto, quella del sanitario,

nel caso di specie, aveva non il carattere della periodicità, bensì'

quello della continuità, giacché, sulla base di un unico titolo, egli

assumeva nei confronti dell'ente mutualistico l'obbligo di esegui

re non un numero indeterminato di prestazioni professionali pe

riodiche (ossia aventi cadenza fissa), ma una prestazione unica,

consistente nel mettere a disposizione dell'ente la propria attività

professionale a favore dei malati che fossero stati ricoverati in

regime assicurativo nella struttura ospedaliera.

Quindi, il carattere periodico o non periodico dell'obbligazione

di pagamento del compenso deve necessariamente desumersi da

elementi diversi da quelli relativi alla natura della contropre

stazione.

A definire il carattere dell'obbligazione di pagamento del corri

spettivo, qualche elemento utile viene fornito ordinariamente dal

l'accordo delle parti, che, in genere, stabilisce anche le modalità

temporali di pagamento dei compensi: ma, nella specie, neppure

tale accordo soccorre, stante la mancanza, nei decreti ministeriali

ai quali la convenzione si riporta, di una specifica disposizione

circa i tempi del pagamento dei compensi e non potendo — con

trariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente amministrazione

— una previsione di termini di pagamento rinvenirsi né nell'art.

9 del d.m. 24 gennaio 1963 (il quale si limitava a disporre che

le rimesse degli enti relative ai compensi per i sanitari dovevano

effettuarsi mediante mandati di pagamento distinti da quelli con

i quali gli enti stessi trasmettevano agli ospedali le rette di degen

za), né nell'art. 6 d.m. 6 gennaio 1965 (che prevedeva un termine

trimestrale, ma a carico non del debitore, bensì delle amministra

zioni ospedaliere per comunicare ad un terzo, l'Enpam, l'impor

to dei pagamenti effettuati nel trimestre a favore di ciascun

sanitario). Il concetto di obbligatorietà di cui alla locuzione adoperata nel

citato n. 4 dell'art. 2948 deve essere, desunto, peraltro, partico

larmente dall'essenza della prestazione che si esprime col paga

mento e, quindi, trattandosi di pagamento di un compenso, dal

modo in cui questo è determinato, dal ruolo che in tale determi

nazione svolge il decorso del tempo, dal momento in cui, stante

la natura continuativa della prestazione d'opera, sorge a favore

di chi l'esegue il diritto al compenso e a carico di colui che la

riceve il relativo obbligo di pagamento.

Nella specie, il compenso per le prestazioni professionali non

veniva determinato forfetariamente né in misura fissa riferita a

cadenze temporali prestabilite. Esso, come emerge dalle dettaglia

te elencazioni dei decreti ministeriali, era quantitativamente rife

rito a! singolo ricovero, sicché dipendeva dall'effettivo ricovero

di un paziente nell'ospedale e variava a seconda del tipo di pre

stazione che ne conseguiva; con l'ulteriore conseguenza che non

soltanto l'erogazione poteva essere, di volta in volta, diversa, ma,

se la prestazione ospedaliera mancava, veniva meno lo stesso ob

bligo di pagamento.

Sistema, questo, dal quale si evince anche che il pagamento

dei compensi (se si vuole escludere, per motivi pratici, che venisse

attuato in concomitanza di ogni ricovero) doveva di fatto far se

II Foro Italiano — 1989.

guito alla presentazione di rendiconti circa la quantità ed il tipo

di prestazioni assicurate in un certo arco di tempo.

Non è, pertanto, corretto, in questo caso, parlare di pagamen

to che «deve eseguirsi periodicamente», considerato che un obbli

go di pagare periodicamente il compenso non deriva né da una

correlativa periodicità della prestazione d'opera, né dalla conven

zione, né dalla necessità che, nell'esecuzione del pagamento (per

un qualsivoglia altro motivo collegato alla natura del rapporto),

si osservassero delle cadenze costanti.

Si trattava, quindi, di pagamenti ai quali non era connaturale

la periodicità e la cui esecuzione eventualmente periodica era con

tingentemente collegata alla presentazione periodica di rendicon

ti. In tali casi, però, come è stato già affermato da questa corte

(sent. 24 febbraio 1977, n. 826, id., Rep. 1977, voce Prescrizione

e decadenza, n. 144), deve escludersi l'applicabilità dei termini

di prescrizione breve ed il diritto deve ritenersi soggetto alla pre

scrizione ordinaria.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 4 marzo

1988, n. 2275; Pres. Lo Surdo, Est. Iannotta, P.M. Mari

nelli (conci, conf.); Clemente (Avv. Del Pozzo) c. De Blasi

(Avv. De Blasi). Cassa App. Napoli 30 maggio 1983.

Locazione — Obbligazioni del conduttore — Diligenza nell'uso

della cosa locata — Obbligo di riconsegna della cosa nello sta

to pristino — Rapporti (Cod. civ., art. 1587, 1590).

Locazione — Obbligazioni del conduttore — Diligenza nell'uso

della cosa locata — Inadempimento — Risoluzione del contrat

to — Condizioni (Cod. civ., art. 1587).

La norma dettata dall'art. 1590 c.c., che fa obbligo al conduttore

di restituire la cosa al locatore al termine del rapporto nello

stesso stato in cui l'ha ricevuta, non altera la portata dell'ob

bligo, fissato dal precedente art. 1587, n. 1, c.c., di usare la

cosa locata secondo la sua destinazione e con la diligenza del

buon padre di famiglia, per cui la violazione di quest'ultimo

obbligo, consumata nel corso del rapporto locativo, costituisce

inadempimento immediatamente valutabile ai fini della risolu

zione del contratto. (1)

Qualora il conduttore alteri lo stato della cosa locata, violando

l'obbligazione posta a suo carico dall'art. 1587, n. 1, c.c., spet

ta al giudice di merito accertare l'importanza dell'inadempi

mento ai fini di eventuali pronunzie di risoluzione del contratto,

tenendo presente, più che l'entità obiettiva dell'inadempimen

to, la sua rilevanza in rapporto all'interesse della controparte

(nella specie, la Cassazione ha confermato la decisione del giu

dice del merito, che aveva dichiarato la risoluzione del contrat

to per inadempimento del conduttore, il quale, al fine di ampliare

il vano cucina, aveva abbattuto parte del muro perimetrale del

l'immobile locato ed installato sull'attiguo balcone una veran

da a vetri con turbativa dell'estetica e della sicurezza

dell'edificio). (2)

(1) Per il profilo considerato, la decisione si presenta quale espressione in un'ormai ben consolidata giurisprudenza. Nello stesso senso, v. Cass.

21 gennaio 1986, n. 390, Foro it., Rep. 1986, voce Locazione, n. 148;

15 febbraio 1985, n. 1229, id., Rep. 1985, voce cit., n. 223 (per esteso

in Arch, locazioni, 1985, 696), nella motivazione; 8 maggio 1984, n. 2794,

Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 178; 8 marzo 1983, n. 1707, id., Rep.

1983, voce cit., n. 238, tutte richiamate nella motivazione; 22 agosto 1985,

n. 4488, id., Rep. 1985, voce cit., n. 201; 10 giugno 1983, n. 3994, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 233; 5 gennaio 1980, n. 57, id., Rep. 1980, voce

cit., n. 168; 15 maggio 1971, n. 1428, id., 1971, I, 2832, con nota di

richiami.

(2) In senso conforme, v., tutte richiamate nella motivazione, Cass.

8 maggio 1984, n. 2794 e Cass. 8 marzo 1983, n. 1707, cit. nonché:

— Cass. 21 gennaio 1986, n. 390, cit., che ha ritenuto inadempimento

valutabile ai fini della risoluzione la realizzazione nella cantina di un de

posito di combustibile, senza il rispetto di misure antincendio e con mo

difiche strumentali prive di idonei sistemi di sicurezza; — Cass. 15 febbraio 1985, n. 1229, cit., che ha ritenuto inadempimen

to valutabile ai fini della risoluzione, la messa in comunicazione del

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1203 PARTE PRIMA 1204

Svolgimento del processo. — Con citazione del 28 giugno 1980

De Blasi Francesco, quale amministratore giudiziario di un ap

partamento dei germani Lopez (Rita, Antimo, Cristiana e Maria

Lopez) sito in Pozzuoli, alla via Tripergola 36, conveniva dinanzi

al Tribunale di Napoli il conduttore Clemente Andrea esponendo che questi, malgrado l'opposizione dei locatori, aveva eseguito la pavimentazione ed il rivestimento delle pareti del bagno e della

cucina ed installato inoltre una veranda sul balcone della stessa

cucina previo abbattimento di una parete. Chiedeva, pertanto, la risoluzione del contratto di locazione e la condanna del con

duttore al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento dei

danni.

Il convenuto resisteva alla domanda che l'adito tribunale, con

sentenza 7 aprile 1982, respingeva dichiarando che le opere ese

guite erano dirette a migliorare lo stato di abitabilità dell'appar tamento senza alterarne la consistenza giuridica ed economica.

La sentenza era però riformata dalla Corte d'appello di Napoli la quale accoglieva le domande tutte dell'attore, osservando: 1) che il Clemente aveva effettivamente eseguito i lavori suindicati

(pavimentazione e rivestimento pareti bagno e cucina nonché ve

randa sul balcone della stessa cucina con abbattimento di una

parete) nonostante la mancata autorizzazione dei proprietari lo

catori; 2) che all'invito a rimettere le cose in pristino stato, il

Clemente aveva risposto negativamente, pur riconoscendo l'arbi

trarietà della sua iniziativa in ordine alla trasformazione della

cucina, dichiarando nel contempo che avrebbe ripristinato la si

tuazione antecedente solo al momento del rilascio dell'apparta

mento; 3) che l'abbattimento di una porzione del muro perimetrale

dell'edificio, al fine di ampliare la cucina mediante l'installazione

di una veranda sull'attiguo balcone, costituiva modificazione am

bientale della cosa locata non consentita al conduttore anche per ché essa veniva a turbare l'estetica del fabbricato e ad arrecare

pregiudizio alla sicurezza degli altri inquilini, potendo facilitare

l'ingresso di ladri nell'edificio; 4) che, quindi, legittimamente i

locatori avevano negato il loro consenso, mentre il comporta mento del Clememte integrava un inadempimento di importanza tale da giustificare la risoluzione del contratto con conseguente condanna del predetto conduttore al rilascio dell'appartamento, al ripristino dello stesso ed al risarcimento dei danni, da liquidar si in separato giudizio.

Avverso tale sentenza, depositata il 30 maggio 1983, Clemente

Andrea ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso il De Blasi (nella qualità suindicata). Le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando

la violazione degli art. 1587, 1590 c.c. e 115 c.p.c., il ricorrente

deduce che, secondo la giurisprudenza di questa corte, la linea

di demarcazione tra interventi consentiti al conduttore e quelli vietati è data dalla mancanza di un danno per il locatore e dalla

assenza di sostanziali alterazioni strutturali, tali cioè da rendere

la cosa locata irriversibilmente diversa da quella originaria, con

l'immobile locato con altro immobile appartenente ad altro locatore at traverso l'apertura non autorizzata di un varco;

— Cass. 27 agosto 1984, n. 4706, Foro it., Rep. 1984, voce Locazione, n. 177, che ha ritenuto inadempimento valutabile ai fini della risoluzione

opere murarie di eliminazione di una cucina e di sfondamento del solaio. Secondo la riportata pronunzia, il principio sintetizzato nella massima

è la conseguenza del fatto che abuso nel godimento della cosa locata, ai sensi dell'art. 1587 c.c., è qualsiasi modificazione dello stato della cosa lesiva degli interessi del locatore, ancorché non implicante il concreto ve rificarsi di danni materiali e, addirittura, pur se, in astratto, idonea a

migliorarla. Per converso, non sono considerati abuso nel godimento della cosa

locata quelle modifiche o addizioni che rendono più intenso il godimento della cosa locata, ma: a) non ne immutano la natura o la destinazione

b) non arrecano danno al locatore, e c) sono suscettibili di riduzione in pristino.

In tal senso, v., da ultimo: — Trib. Roma 28 marzo 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 227 (per

esteso in Arch, locazioni, 1985, 530, con nota di G. Accordino), che

nega valore di inadempimento valutabile ai fini della risoluzione alla mo dificazione di due porte di accesso sulla strada dell'immobile locato e la creazione di un soppalco con travi di ferro;

— Pret. Roma 18 aprile 1984, Foro it., 1984, I, 1421, con ampia nota di richiami, che esclude che possa parlarsi di abuso nel godimento della cosa locata in ipotesi di chiusura di un balcone dell'appartamento locato con una struttura di metallo e pannelli di vetro.

Il Foro Italiano — 1989.

conseguente insuscettibilità di ripristino alla cassazione del rap

porto. La corte d'appello — prosegue il ricorrente — non solo

ha erroneamente interpretato le dette disposizioni, ritenendo con

sentite solo quelle innovazioni che non mutino la natura e la de

stinazione della cosa, ma ha anche omesso di compiere indagini e valutazioni sugli elementi caratterizzanti le innovazioni consen

tite rispetto a quelle non consentite; in particolare non ha consi

derato che, essendo la veranda a strutture metalliche e quindi

smontabili, era facile, al termine del rapporto, la sua rimozione

ed il ripristino dello stato dei luoghi con la ricostruzione del pic colo tratto di muro di tompagno. Il ricorrente addebita inoltre

alla corte del merito di avere fondato il suo giudizio su mere

illazioni, in mancanza di un'ispezione dei luoghi o di una consu

lenza tecnica atte ad acquisire più precisi elementi in ordine al

l'effettiva situazione ed ai pretesi pregiudizi per il locatore.

Con il secondo motivo, che al primo direttamente si ricollega, il ricorrente Clemente, lamentando la violazione degli art. 1453, 1455 c.c. e 115 c.p.c., deduce che, anche riguardo alla gravità

dell'inadempimento, la sentenza impugnata s'è basata su mere

illazioni e supposizioni per la mancanza di un concreto apprezza mento dell'effettivo pregiudizio per i locatori (tanto più che uno

solo di questi ultimi aveva espresso parere negativo alle nuove

opere) e per la mancanza inoltre dì un'adeguata valutazione della

disponibilità di esso conduttore di rinunciare a qualsiasi migliora mento e di attuare, al termine della locazione, il ripristino dei

luoghi. In particolare la corte d'appello avrebbe apoditticamente attribuito alla nuova veranda l'effetto di tutelare l'estetica del

fabbricato senza considerare la circostanza della sua collocazione

su un balcone del lato campagna, ed avrebbe inoltre ingiustifica tamente supposto che la veranda stessa potesse facilitare il pas

saggio di evenutali ladri.

I due motivi — che per l'evidente connessione delle censure

possono essere trattati congiuntamente — non meritano acco

glimento. II godimento che il conduttore esercita sulla cosa locata si dif

ferenzia da quello illimitato del proprietario, avuto riguardo agli

obblighi imposti dalla legge al primo, il quale è tenuto ad osser

vare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa

locata per l'uso determinato nel contratto e per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze (art. 1587, n. 1, c.c.); ed

è tenuto, poi, alla scadenza del rapporto a restituire la cosa al

locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, salvo il dete

rioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in confor

mità del contratto (art. 1590, 1° comma, c.c.). La prima norma (art. 1587, n. 1, c.c.) non va intesa in senso

assoluto, come divieto di qualsiasi modifica dello stato di fatto, ma comporta il dovere per il conduttore di non eseguire innova

zioni che immutino la natura e la destinazione della cosa locata.

Occorre quindi accertare in concreto l'entità delle modifiche

apportate alla cosa locata e valutare gli effetti onde stabilire se

ne sia derivata un'apprezzabile alterazione dell'equilibrio del con

tratto tenuto conto dell'interesse del locatore (Cass. 15 febbraio

1985, n. 1299, Foro it., Rep. 1985, voce Locazione, n. 223). In

particolare l'abuso nel godimento non implica necessariamente

il concreto verificarsi di danni materiali e può consistere in qual siasi comportamento lesivo degli interessi del locatore. D'altra

parte ad escludere l'arbitrarietà del comportamento del condutto

re non può valere il rilievo che, da un punto di vista astratto, modifiche ed innovazioni apportate alla cosa locata posano servi

re a migliorare la cosa stessa, in quanto dev'essere la volontà

del locatore a prevalere, altrimenti l'arbitraria intromissione al

trui verrebbe a violare l'accordo contrattuale intervenuto tra le

parti. La norma dettata dall'art. 1590 c.c., che fa obbligo al condut

tore di restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui

l'ha ricevuta, non altera la portata dell'obbligo fissato dal citato

art. 1587 c.c. di usare la cosa secondo la sua destinazione e con

la diligenza del buon padre di famiglia, per cui la violazione di quest'ultimo obbligo, consumata nel corso del rapporto locativo, costituisce inadempimento valutabile senza attendere la scadenza

del contratto presupposto dall'art. 1590 c.c. In altri termini, l'art.

1590 testé citato, imponendo di restituire la cosa nello stato me

desimo in cui è stata ricevuta, non può essere interpretato nel

senso che sia consentita al conduttore qualsiasi modifica di quel lo stato di fatto salvo l'obbligo di ripristinarlo al termine del rap porto (cfr., fra le altre, Cass. 8 marzo 1983, n. 1707, id., Rep.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1983, voce cit., n. 138; 8 maggio 1984, n. 2794, id., Rep. 1984, voce cit., n. 178).

Di conseguenza, se il conduttore alteri, sia pure in parte, lo

stato della cosa locata egli viola una delle principali obbligazioni

poste a suo carico dalla legge, sicché, in detta ipotesi, spetta al

giudice del merito apprezzare l'importanza dell'inadempimento

ai fini della eventuale pronuncia di risoluzione del contratto, te

nendo presente che a quest'ultimo fine è determinante, al di là

della entità oggettiva dell'inadempimento, il rilievo che esso assu

me in rapporto all'interesse della controparte (Cass. 27 agosto

1984, n. 4706, id., Rep. 1984, voce cit., n. 177; 21 gennaio 1986,

n. 390, id., Rep. 1986, voce cit., n. 148). Alla stregua dei rilievi svolti non può condividersi la tesi del

ricorrente che tende a ridurre l'area degli interventi non consenti

ti al conduttore considerando incompatibili con l'art. 1587, n.

1, c.c. solo quelle innovazioni produttive di specifico danno per

il locatore e quelle alterazioni strutturali capaci di rendere la cosa

locata irriversibilmente diversa da quella originaria con conseguente

insuscettibilità di ripristino al termine del rapporto. Non si è discostata invece dai principi innanzi ricordati la Cor

te d'appello di Napoli che li ha, anzi, espressamente richiamati

nella sentenza impugnata come premessa del ragionamento svolto.

Nel merito poi detta corte ha proceduto all'accertamento della

trasformazione della cosa locata operata dal conduttore rilevan

do che quest'ultimo, per ampliare il vano cucina, aveva abbattu

to una porzione del muro perimetrale dell'edificio ed installato

sull'attiguo balcone una veranda a vetri, turbando, fra l'altro,

l'estetica del fabbricato e creando problemi in termini di sicurez

za per la facilità di ingresso di eventuali ladri. Nel valutare infine

l'incidenza di tale comportamento, ha ritenuto l'inadempimento

del Clemente di gravità tale da giustificare la risoluzione del con

tratto di locazione, avuto anche riguardo all'interesse dei locatori

ribadito dal diniego dell'autorizzazione sollecitata dal conduttore

e dall'esplicita affermazione di questi, in risposta alla richiesta

stragiudiziale di immediata rimessione in pristino, che la trasfor

mazione della cucina «aveva il crisma dell'arbitrarietà».

Orbene, essendo l'accertamento dell'entità e rilevanza delle in

novazioni in parola riservato al giudice del merito, l'apprezza

mento contenuto nella sentenza qui impugnata si sottrae al

sindacato di questa corte perché sorretto da adeguata motivazio

ne immune da vizi logici ed errori di diritto. Si sottrae in partico

lare ai rilievi critici del ricorrente il quale: a) lamenta

l'incompletezza dell'istruttoria in difetto di ipezione dei luoghi

e di consulenza tecnica di ufficio; b) denuncia la mancata consi

derazione della facilità della rimozione, al termine del rapporto,

della indicata veranda, essendo la stessa a strutture metalliche;

c) denuncia inoltre la mancata valutazione della circostanza che

uno solo dei locatori si era esplicitamente espresso in senso nega

tivo alle innovazioni; d) contesta inoltre che per effetto della ve

randa sia rimasta turbata l'estetica del fabbricato; e) considera

infine frutto di mera supposizione il pericolo del passaggio dei

ladri indicato dai giudici di appello. A confutazione di dette censure è sufficiente osservare, in ag

giunta alle considerazioni di ordine generale svolte all'inizio della

presente movitazione, che è rimesso al potere discrezionale del

giudice del merito disporre d'ufficio ulteriori mezzi istruttori; che

la possibilità di ripristino, alla scadenza della locazione, della si

tuazione preesistente non fa venire meno la violazione dell'art.

1587, n. 1, c.c. la cui operatività nel corso del rapporto è già

stata affermata innanzi; che il diniego espresso da uno solo dei

locatori alla trasformazione della cosa locata progettata dal con

duttore non sminuisce l'inadempimento di quest'ultimo, stante

l'operatività della norma indicata e non potendosi neppure presu

mere il tacito consenso degli altri comproprietari-locatori; che non

può considerarsi illogica l'affermazione della corte del merito in

ordine alla turbativa dell'estetica dell'edificio perché, al di là del

l'esatta ubicazione della cucina, è incontestabile che la veranda,

incorporando il balcone antistante, abbia eliminato gli scopi pra

tici ed estetici dello stesso; che, proprio la struttura della veranda

a vetri rende tutt'altro che arbitrario ed illogico il pericolo dei

ladri paventato dai giudici di appello. Non senza dire che nella

motivazione della sentenza di appello gli effetti da ultimo esami

nati costituiscono delle considerazioni aggiuntive rispetto all'o

biettiva rilevanza della innovazione in parola. I primi due motivi vanno quindi respinti.

Con il terzo motivo il Clemente lamenta che la corte di Napoli,

pur non prendendo in diretta considerazione la pavimentazione

Il Foro Italiano — 1989 — Parte 1-23.

ed il rivestimento del bagno e della cucina, abbia accolto integral mente la domanda attrice e lo abbia condannato al totale ripristi no dello stato dei luoghi senza tenere presente che le opere di

pavimentazione e rivestimento costituivano semplici interventi di

manutenzione pienamente legittimi. Tale censura è fondata. Dalla motivazione della sentenza im

pugnata (innanzi riassunta) si evince chiaramente che la corte d'ap

pello, pur avendo ricordato la circostanza della richiesta di

autorizzazione formulata senza esito dal conduttore per tutti i

lavori poi realizzati nell'appartamento locato, ha incentrato la

sua indagine soltanto sulla trasformazione del vano cucina, me

diante abbattimento di un tratto del muro perimetrale, e l'instal

lazione della veranda, ed ha ritenuto al riguardo che

l'inadempimento del Clemente fosse di non scarsa importanza e

tale da giustificare la pronuncia di risoluzione del contratto.

In concreto non si riscontra un esame diretto dei predetti lavori

di pavimentazione e rivestimento, della loro natura e della relati

va incidenza, sicché l'ordine finale di integrale ripristino dell'im

mobile locato nelle medesime condizioni in cui fu consegnato al

conduttore risulta, in parte qua, privo di motivazione.

Va accolto quindi il terzo motivo di ricorso e cassata, in rela

zione, la sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra se

zione della Corte d'appello di Napoli per l'esame del punto

indicato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 23 gen

naio 1988, n. 521; Pres. Carotenuto, Est. Beneforti, P.M.

Minetti (conci, conf.); Schiroli (Avv. Petretti, Murtula) c.

Soc. Seri. Conferma App. Torino 29 ottobre 1983.

Vendita — «Aliud pro alio» — Licenza di abitabilità — Difetto — Trasformazione dell'immobile — Azione di risoluzione —

Esclusione (Cod. civ., art. 1492).

Posto che ogni atto di trasformazione impedisce l'effetto restitu

torio della cosa acquistata, anche nella vendita di aliud pro

alio, come nella vendita in cui sia ravvisabile un vizio della

cosa venduta, l'azione di risoluzione è sempre esclusa in caso

di trasformazione della cosa da parte dell'acquirente (nella spe

cie, pur in difettto della licenza di abitabilità, l'acquirente ave

va provveduto a lavori di parziale ristrutturazione ed

abbellimento dell'alloggio). (1)

(1) La pronunzia si ricollega a Cass. 8 novembre 1965, n. 2327, Foro

it., Rep. 1965, voce Vendita, n. 109, nella quale si afferma che, anche

nella vendita di aliud pro alio, l'azione di risoluzione è preclusa se vi

è trasformazione o alienazione della cosa acquistata. Tenuto presente che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1492 c.c., l'alienazione è equiparata alla trasformazione, può essere utile ricordare App. Firenze 22 novembre

1965, id., Rep. 1966, voce cit., n. 185, a tenore della quale nella vendita

di aliud pro alio si deve respingere la domanda di risoluzione quando la restituzione sia divenuta impossibile a seguito della parziale vendita

dei beni. Si può quindi affermare che l'art. 1492, ultimo comma, esprime un principio di portata generale, di là dello specifico ambito di previsione normativa (v. infatti Cass. 12 maggio 1981, n. 3137, id., Rep. 1981, voce

cit., n. 83). In dottrina tale posizione è stata sostenuta da Bianca, La

compravendita, in Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1976, 856, se

condo cui la disposizione, «annunciata in tema di vizi della cosa, trova

applicazione anche in caso di mancanza di qualità dovute e di prestazioni di cosa radicalmente diversa. La norma risponde infatti ad. un principio valevole in generale per la risoluzione del contratto».

Altro problema è stabilire quando la trasformazione sia idonea a pre

cludere l'azione di risoluzione. A tale proposito, i precedenti pressoché

compatti mettono in chiaro che non ogni atto di trasformazione preclude

l'azione, bensì solo quello che dimostra in maniera univoca la volontà

dell'acquirente di accettare comunque il bene, nonostante la presenza di

vizi o la mancanza di qualità (v., per tutte, Cass. 11 maggio 1984, n.

2891, id., Rep. 1984, voce cit., n. 54; 16 ottobre 1979, n. 5407, id.,

Rep. 1979, voce cit., n. 41; 11 aprile 1978, n. 1712, id., Rep. 1978, voce

cit., n. 104). Al riguardo, Rubino, La compravendita2, in Trattato fonda

to da Cicu e Messineo, Milano, 1971, 803, 804, ritiene che l'azione di

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