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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 27 settembre...

Date post: 31-Jan-2017
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sezione III civile; sentenza 27 settembre 1988, n. 5259; Pres. Quaglione, Est. De Rosa, P.M. Amirante (concl. diff.); Soc. Saeva (Avv. Sebastiani) c. De Sario; De Sario (Avv. Gentiloni Silverj, Cocchi) c. Soc. Saeva e altra. Cassa Trib. Firenze 12 novembre 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 119/120-123/124 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183732 . Accessed: 28/06/2014 13:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.116 on Sat, 28 Jun 2014 13:44:22 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 27 settembre 1988, n. 5259; Pres. Quaglione, Est. De Rosa, P.M. Amirante (concl. diff.); Soc. Saeva

sezione III civile; sentenza 27 settembre 1988, n. 5259; Pres. Quaglione, Est. De Rosa, P.M.Amirante (concl. diff.); Soc. Saeva (Avv. Sebastiani) c. De Sario; De Sario (Avv. Gentiloni Silverj,Cocchi) c. Soc. Saeva e altra. Cassa Trib. Firenze 12 novembre 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 119/120-123/124Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183732 .

Accessed: 28/06/2014 13:44

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PARTE PRIMA

possibilità di imputazione del pagamento secondo le previsioni

degli art. 1193 e 1194 c.c., ma costituisce una causa di estinzione

parziale del credito, la cui rivalutazione deve essere necessaria

mente calcolata, per il tempo successivo e fino alla data della

decisione, sulla differenza ancora dovuta al lavoratore.

Inoltre queste sezioni unite, componendo il contrasto determi

natosi nella giurisprudenza della sezione lavoro sulla possibilità

di una separata azionabilità della pretesa del lavoratore di ottene

re la rivalutazione del proprio credito di lavoro, già soddisfatto

tardivamente nel suo importo originario, hanno risolto positiva

mente la questione, rilevando che l'art. 429, 3° comma, c.p.c.

integra una disposizione di carattere sostanziale, rivolta ad af

fiancare una componente d'indicizzazione al debito nominalistico

del datore di lavoro, per realizzare una retribuzione con connota

ti di realità, sia pure nei limiti del meccanismo dell'indennità di

contingenza: da ciò deriva che il credito del lavoratore può rite

nersi soddisfatto solo ove siano state oggetto di adempimento

entrambe le indicate componenti del suo trattamento, con l'ulte

riore conseguenza che, quando il credito stesso sia stato tardiva

mente soddisfatto solo nel suo importo originario, a prescindere

dalla colpevolezza o meno del ritardo, non può non riconoscersi

al lavoratore medesimo, al pari di qualsiasi creditore che abbia

ricevuto un pagamento parziale, il diritto di agire separatamente

per ottenere il residuo importo (Cass. 16 febbraio 1984, n. 1Ì48,

id., 1984, I, 383, e da ultimo Cass. 28 gennaio 1987, n. 841,

id., Rep., 1987, voce cit., n. 251; 28 agosto 1986, n. 5294, id.,

Rep. 1986, voce cit., n. 332; 25 luglio 1986, n. 4789, ibid., n. 351).

Infine ancora più recentemente la sezione lavoro di questa cor

te, affrontando il problema del trattamento fiscale della rivaluta

zione monetaria, ha escluso che essa rappresenti una forma di

risarcimento del danno (come tale intassabile) e ha ritenuto inve

ce che essa rappresenti una componente essenziale del credito di

lavoro e pertanto rientra, al pari della retribuzione nominale, nel

la nozione di reddito da lavoro dipendente prevista dall'art. 46,

1° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 ai fini dell'imposta

sul reddito delle persone fisiche (vedi Cass. 15 maggio 1987, n.

4496, id., Rep. 1987, voce Tributi in genere, n. 550; 3 aprile 1987 n. 3253, ibid., voce Reddito delle persone fisiche (imposta

sul), n. 273; 21 giugno 1986, n. 4129, id., Rep. 1986, voce cit.,

n. 224; 2 febbraio 1985, n. 717, id., 1985, I, 1026). Se dunque il credito di lavoro deve definirsi un credito indiciz

zato, in relazione al quale il pagamento della somma necessaria

ad integrare il potere di acquisto originario della retribuzione è

da intendersi come adempimento di un'obbligazione in sé unita

ria e non come obbligo sostitutivo di risarcimento del danno,

la soluzione del problema del riparto della giurisdizione diventa

molto più semplice e lineare.

La pretesa di ottenere (anche in via autonoma) la rivalutazione

del credito di lavoro costituisce in questa prospettiva una doman

da di esatto adempimento dell'obbligazione retributiva ed è quin di proponibile davanti al giudice che ha la giurisdizione sul rapporto di lavoro (il giudice amministrativo nel caso di rapporto di pubblico impiego).

Ed è irrilevante che detta richiesta venga proposta sotto il pro filo di un risarcimento del danno per un asserito comportamento

illegittimo del datore di lavoro, perché, per stabilire la giurisdi

zione, è al petitum sostanziale che bisogna far riferimento e non

già alla prospettazione data dalla parte alle questioni da risolvere

(vedi i casi in cui gli stipendi arretrati vengano richiesti a titolo

di risarcimento del danno: Cass. 8 aprile 1983, n. 2491, id., Rep.

1983, voce Impiegato dello Stato, n. 658; 16 febbraio 1976, n.

490, id., Rep. 1976, voce cit., n. 159; 7 gennaio 1975, n. 15,

id., Rep. 1975, voce cit., n. 92). Lo stesso dicasi per gli interessi, che, in quanto dovuti dalla

maturazione del credito sulla somma rivalutata, prescindendo dalla

costituzione in mora e dalla colpa del debitore, sono da definirsi

corrispettivi (art. 1282 c.c.) e accessori del credito principale, e

quindi appartenenti alla giurisdizione del giudice amministrativo

(nel caso di pubblico impiego). La giurisdizione in materia del giudice ordinario si restringe

dunque alla sola ipotesi in cui il pubblico impiegato deduca di

aver subito dall'inadempimento del suo datore di lavoro un dan

no che supera la somma rivalutata percepita; in tal caso però il fondamento della domanda starà non nella natura dell'obbliga zione retributiva ma nel comportamento illecito del debitore e

l'accoglimento di essa dipenderà oltre che dalla costituzione in

Il Foro Italiano — 1989.

mora anche dall'allegazione e dalla dimostrazione del danno in

concreto subito dall'attore.

Nella specie, il pubblico impiegato, dopo una vertenza con la

regione Puglia durata parecchi anni, si era visto riconoscere dalla

datrice di lavoro il diritto ad un più favorevole inquadramento

e anzianità e aveva precepito i relativi arretrati nell'importo origi

nario ancor prima dell'inizio del presente giudizio. In questa causa l'attore aveva dedotto, sia in sede di richiesta

di decreto ingiuntivo che nell'ulteriore giudizio di merito, il dirit

to ad ottenere sugli arretrati già percepiti la rivalutazione auto

matica secondo gli indici Istat e gli interessi nella misura legale

dalla maturazione dei singoli crediti al saldo. Tale domanda che,

al momento della richiesta di decreto ingiuntivo, era immotivata,

veniva successivamente giustificata con un asserito comportamento

dilatorio della regione. Mai nel corso del giudizio è stato chiesto

un risarcimento del danno, che eccedesse l'importo di detta riva

lutazione.

Indipendentemente dalla tempestività di tale giustificazione (del

resto del tutto irrilevante per quel che si è detto) che deve essere

valutata dal giudice cui appartiene la giurisdizione, non vi è dub

bio che la presente azione è diretta ad ottenere la differenza retri

butiva rappresentata dalla rivalutazione, che avrebbe dovuto essere

corrisposta all'impiegato unitamente al credito originario al mo

mento del pagamento degli arretrati. E la cognizione su tale pre

tesa, comunque motivata, appartiene sicuramente alla giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo, cosi come deciso nella sen

tenza impugnata. Il ricorso va dunque respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 27 set

tembre 1988, n. 5259; Pres. Quaglione, Est. De Rosa, P.M.

Amirante (conci, diff.); Soc. Saeva (Avv. Sebastiani) c. De

Sario; De Sario (Avv. Gentiloni Silveri, Cocchi) c. Soc. Sae

va e altra. Cassa Trib. Firenze 12 novembre 1985.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad attività alber

ghiera — Recesso del locatore — Limiti (L. 27 luglio 1978 n.

392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 29, 73;

d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, misure finanziarie in favore delle

aree ad alta tensione abitativa, art. 1; 1. 5 aprile 1985 n. 118, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 7 febbraio 1985

n. 12, art. 1; d.l. 9 dicembre 1986 n. 832, misure urgenti in

materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso di

verso da quello di abitazione, art. 1; 1. 6 febbraio 1987 n. 15, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 9 dicembre

1986 n. 832, art. 1).

Nelle locazioni di immobili adibiti ad esercizio di albergo, pensio ne o locanda, la facoltà di recesso del locatore è esclusa nelle

ipotesi di cui al 1° comma dell'art. 29 l. 392/78, e segnatamen te nell'ipotesi di necessità abitativa prevista dalla lett. a) di tale

norma; né può ritenersi che siffatta esclusione sia venuta meno

per effetto della formulazione dell'art. 1, comma 9 bis, d.l.

12/85 (come convertito nella l. 118/85), riguardante esclusiva

mente la misura dell'indennità di avviamento per il caso di rila

scio dell'immobile, tanto più ove si consideri l'eliminazione

dall'ordinamento della disposizione anzidetta dichiarata costi

tuzionalmente illegittima da Corte cost. 108/86, e la nuova for

mulazione dell'art. 69 l. 392/78, novellato dal d.l. 832/86

(convertito nella l. 15/87). (1)

(1) La Cassazione, ribadendo il principio — già più volte affermato — che la facoltà di recesso del locatore di immobile alberghiero è limitata ai soli casi previsti dal 2° comma dell'art. 29 1. 392/78, fuga i dubbi circa la portata del richiamo, operato dall'art. 1, comma 9 bis, d.l. 12/85

(introdotto dalla legge di conversione 118/85), della lett. a) dello stesso art. 29 a proposito delle locazioni alberghiere. A quest'ultimo riguardo, in senso difforme dalla Cassazione si erano espresse — nella temporanea vigenza della citata norma del 1985 — Pret. L'Aquila 13 dicembre 1985,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 10 luglio 1984

il Pretore di Firenze rigettò il ricorso proposto da De Sario Anna

Maria nei confronti di Sarri Emilia e della soc. Saeva s.n.c. di

G. Vannuzzi, tendente ad ottenere il rilascio dell'immobile di sua

proprietà sito in Firenze, via Guelfa n. 45, condotto in locazione

dai convenuti, dovendo destinarlo ad abitazione della propria fi

glia, e dichiarava altresì improponibile la domanda subordinata

di risoluzione del rapporto per finita locazione.

Riteneva il pretore, quanto alla domanda principale, che, trat

tandosi di locazione alberghiera, il recesso ai sensi dell'art. 73

1. n. 392 del 1978 era consentito soltanto nelle due sole ipotesi di cui' al 2° comma dell'art. 29 1. cit. e non anche in quelle di

cui al 1° comma, e, quanto alla domanda subordinata, che la

stessa doveva essere proposta nelle forme ordinarie e non già se

condo il rito speciale, riservato alle controversie indicate nella

1. n. 392 del 1978. Avverso tale sentenza propose appello la De Sario che, dopo

aver fatto espressa acquiescenza alla seconda statuizione, chiese

che, in riforma della sentenza impugnata, fosse accolta la sua

domanda principale con la condanna dei convenuti al rilascio del

l'immobile nonché alla sua rimessione in pristino, con liquidazio

ne dell'indennità di avviamento sulla base dell'ultimo canone

corrisposto. I convenuti si costituirono e proposero appello incidentale af

finché venisse dichiarata improponibile la domanda di recesso,

sul presupposto che la locazione, sorta originariamente il 6 no

vembre 1973 era stata novata il 10 gennaio 1979, dopo l'entrata

in vigore della 1. n. 392 del 1978, con nuovo canone e scadenza

al 9 gennaio 1988; in subordine, chiesero la conferma della sen

tenza impugnata ed in ipotesi di accoglimento della domanda av

versaria la concessione del termine massimo per il rilascio, previa

determinazione dell'indennità di avviamento.

II Tribunale di Firenze, accogliendo parzialmente l'appello pro

posto dalla soccombente, con la sentenza ora impugnata, ha rite

nuto che per effetto della modificha all'art. 69 1. n. 392 del 1978,

introdotta dalla 1. 5 aprile 1985 n. 118, fosse consentito, anche

nel caso di locazioni alberghiere, il recesso del locatore per neces

sità di destinare l'immobile ad usi abitativi, ed ha quindi dichia rato risolto il contratto di locazione di cui trattasi condannando

la conduttrice al rilascio dell'appartamento anzidetto; ha poi de

terminato il compenso per la perdita dell'avviamento, dichiaran

do, infine nulla la domanda di riduzione in pristino proposta

dall'attrice, con la compensazione totale delle spese dei due gradi

del giudizio. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la s.n.c. Sae

va di G. Vannuzzi, in persona del suo legale rappresentante, e

Sarri Emilia, formulando tre motivi di annullamento, illustrati

da memoria. Resiste con controricorso Anna Maria De Sario che

propone ricorso incidentale illustrato da memoria.

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo

dello stesso ricorso, denunziandosi violazione ed erronea applica

zione degli art. 29, 69, 73 1. n. 392 del 1978, ai sensi dell'art.

360, n. 3, c.p.c., i ricorrenti criticano l'interpretazione data dai

giudici del tribunale al novellato art. 69 stessa legge, che, a loro

avviso, non contiene alcuna deroga al regime stabilito dall'art.

29 per la cessazione delle locazioni alberghiere.

Con il secondo motivo, poi, i ricorrenti denunziano insuffi

ciente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in

ordine all'esistenza della dedotta necessità della locatrice.

Le censure debbono ritenersi fondate.

Il contratto di locazione dell'immobile sito in Firenze, via Guelfa,

45 fu stipulato dalle parti, per uso pensione, il 6 novembre 1973,

ed era in corso, per effetto delle proroghe legali, alla data di

entrata in vigore della 1. 27 luglio 1978 n. 392, com'è pacifico

in causa.

Foro it., Rep. 1986, voce Locazione, n. 465, e Pret. Firenze 21 giugno

1985, id., 1986, I, 828, con richiami di dottrina sul problema specifico. In argomento v., da ultimo, Corte cost., ord. 21 gennaio 1988, n. 63,

richiamata nella motivazione e riportata id., 1988, I, 1447, con aggiorna

ta nota redazionale di D. Piombo, che ha dichiarato manifestamente in

fondata, in riferimento agli art. 3, 35 e 41 Cost., la questione di legittimità

costituzionale degli art. 29, 2° comma, e 73 1. 392/78, nella parte in

cui limitano — per le locazioni alberghiere — le ipotesi di recesso del

locatore. Il testo del d.l. 832/86, coordinato con la legge di conversione

n. 15/87, può leggersi in Le leggi, 1987, 323.

Il Foro Italiano — 1989.

Ai fini dell'esercizio della facoltà di recesso del locatore si ap

plica, quindi, la norma transitoria dell'art. 73 1. cit. in relazione

all'art. 29, 2° comma (la cui legittimità costituzionale è stata af

fermata dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 63 del 1988,

Foro it., 1988, I, 1447). Tale norma stabilisce che per le locazioni

di immobili adibiti ad esercizio di albergo, pensione o locanda,

il locatore può negare la rinnovazione del contratto nelle ipotesi

previste dall'art. 7 1. 2 marzo 1963 n. 191 modificato dall'art.

4 bis d.l. 27 giugno 1967 n. 460, convertito, con modificazioni

nella 1. 28 luglio 1967 n. 628, e cioè, in caso di ristrutturazione

dell'immobile, ferma restando la destinazione alberghiera, o di

apporto allo stesso di notevoli migliorie tali da aumentarne la

capacità ricettiva o comunque da determinare il passaggio dell'a

zienda ad una categoria superiore, qualora l'immobile sia oggetto

di intervento sulla base di un programma comunale di attuazione

ai sensi delle leggi vigenti, o, infine in caso di esercizio diretto

dell'attività alberghiera.

Deve, quindi, ritenersi esclusa (come del resto lo era anche pri

ma dell'entrata in vigore della 1. n. 392 del 1978, v. Cass., sez.

un., 21 ottobre 1983, n. 6181, id., 1983, I, 3017), la facoltà di

recesso del locatore di immobile adibito ad esercizio alberghiero,

nelle ipotesi di cui al 1° comma dell'art. 29 cit. e segnatamente,

per quanto interessa la controversia in esame, nell'ipotesi di ne

cessità abitative contemplata dal n. 1 [recte: lett. a)] di tale norma.

Né poteva ritenersi, come ha fatto il Tribunale di Firenze, che

l'ultimo comma dell'art. 69 (nel testo modificato dall'art. 9 bis

[recte: art. 1, comma 9 bis] d.l. 7 febbraio 1985 n. 118 [recte:

n. 12, convertito nella 1. 118/85]), potesse contenere un'implicita

abrogazione delle norme anzidette, essendo ciò in contrasto con

i principi indicati nell'art. 15 disp. sulla legge in generale.

È vero che la non felice formulazione di quella norma, con

il riferimento, nel penultimo comma, alle ipotesi di rilascio di

cui alla lett. a) del 1° comma dell'art. 29, e la contestuale indica

zione della misura del compenso dovuto per la perdita dell'avvia

mento per le locazioni alberghiere, poteva far sorgere il dubbio

che anche per tali locazioni fosse consentito il rilascio per necessi

tà abitative.

Ma, non regolando quella norma, specificamente, la materia

disciplinata dall'art. 29, 2° comma, in quanto si riferiva esclusi

vamente alle conseguenze del rilascio ai fini della determinazione

del compenso anzidetto, era difficile pensare ad un'abrogazione

implicita delle disposizioni dettate dal cit. art. 29, 2° comma,

per il diniego di rinnovazione delle locazioni di immobili destinati

ad esercizio di albergo, pensione o locanda (v. art. 15 disp. sulla

legge in generale).

Comunque il problema non si pone dopo la sentenza n. 108

del 23 aprile 1986 della Corte costituzionale (id., 1986, I, 1145)

che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del cit. art. 9 bis,

precisando che, a seguito della caducazione di tale norma, deve

intendersi ripristinato, nella sua vecchia formulazione l'art. 69,

e, soprattutto, dopo la nuova 1. 6 febbraio 1987 n. 15 (che con

vertiva il d.l. 9 dicembre 1986 n. 832) che ha ridisegnato ex novo

tale norma, distinguendo, ai fini della determinazione del com

penso per la perdita dell'avviamento commerciale, le ipotesi di

rilascio di immobili destinati ad uso diverso dalle abitazioni, da

quelle di rilascio di immobili con destinazione alberghiera, e sta

bilendo per quest'ultime che l'indennità è dovuta nella misura

di venticinque mensilità del canone corrente di mercato aventi

le stesse caratteristiche, o di trentadue mensilità nei casi di cui

al 2° comma dell'art. 34.

Coordinando tali disposizioni, ed avuto riguardo al testo origi

nario dell'art. 69 in questione, se ne deve dedurre, che, ferme

restando le disposizioni di cui al 2° comma dell'art. 29, il legisla

tore ha voluto con tale norma soltanto adeguare la misura del

l'indennità da corrispondere al conduttore nel caso di diniego di

rinnovazione delle locazioni alberghiere nei casi già indicati, re

stando esclusa la possibilità del locatore di esercitare la facoltà

di far cessare tale locazióne per necessità abitative proprie o del

coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta, con

templata per gli altri immobili adibiti ad uso diverso dalla lett.

a) del 1° comma.

Risolto, cosi, definitivamente, il dubbio che la non felice for

mulazione del testo novellato dell'art. 69 aveva ingenerato nei

giudici del tribunale, non può che accogliersi la censura di cui

al secondo e terzo motivo del ricorso in esame. La sentenza im

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PARTE PRIMA

pugnata va, quindi, cassata, in relazione alle censure accolte, con

rinvio ad altra sezione del Tribunale di Firenze (anche in ordine

alle spese), che si adeguerà al principio suddetto (art. 384 c.p.c.).

L'accoglimento, in parte qua, del ricorso principale, determina

l'assorbimento del ricorso incidentale.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 agosto

1988, n. 4811; Pres. Scanzano, Est. Caizzone, P.M. Roma

gnoli (conci, diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiel

lo) c. Gerbino. Conferma Comm. trib. centrale 1° febbraio

1984, n. 1059.

Redditi (imposte sui) — Irpef — Interessi passivi sostenuti da

società semplici — Deducibilità «prò quota» dal reddito dei

soci (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, istituzione e disciplina

dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, art. 5, 10).

I soci di una società semplice possono dedurre dal loro reddito

soggetto ad Irpef, proporzionalmente alla quota di partecipa zione agli utili, gli interessi passivi sui mutui ipotecari sostenuti

dalla società. (1)

Svolgimento del processo. — Ettore Gerbino dichiarava per l'an

no 1975, ai fini dell'Irpef, i redditi di partecipazione provenienti a lui ed alla moglie dalla società semplice «Cornaletto» e deduce

va dal reddito complessivo proprio e della moglie lire 799.210

per interessi passivi su mutui ipotecari intestati alla suddetta so

cietà, della quale lui e la moglie erano gli unici soci.

L'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Cuneo riteneva

non deducibili gli oneri anzidetti perché costituiti da interessi pas sivi a carico della società semplice; quindi iscriveva a ruolo l'Ir

pef di lire 381.478 ed accessori.

Con il ricorso contro il ruolo il Gerbino impugnava l'applica zione del suddetto tributo, sostenendo la legittimità della dedu

zione a favore dei soci degli interessi passivi pagati dalla società

semplice e non presi in considerazione nella determinazione del

reddito di fabbricati in capo a quest'ultima. All'esito del processo tributario instaurato dal contribuente, la

Commissione tributaria centrale, con decisione del 1° febbraio

1984 (n. 1059, Foro it., Rep. 1984, voce Reddito delle persone

fisiche (imposta), n. 173) in conformità al giudizio espresso dalla

commissione tributaria di secondo grado di Cuneo, respingeva il ricorso dell'ufficio, osservando che la legittimità della deduzio

ne risultava dagli art. 5 e 10, lett. e), d.p.r. 597/73 e che l'inter

pretazione dell'ufficio si risolverebbe in una disparità di

trattamento tra i soci di una società semplice ed i comproprietari di un immobile.

(1) La massima della sentenza confermata, Comm. trib. centrale 1° febbraio 1984, n. 1059, può leggersi in Foro it., Rep. 1984, voce Reddito delle persone fisiche (imposta sul), n. 173.

Nel senso dell'indeducibilità dal reddito dei soci degli interessi passivi sostenuti da società semplici, v. Comm. trib. I grado Torino 21 dicembre

1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 227; Comm. trib. centrale 1° febbraio

1984, n. 1102, id., Rep. 1984, voce cit., n. 170. Alla stessa conclusione giunge Comm. trib. centrale 17 novembre 1983,

n. 3715, ibid., n. 172, fondando la propria pronunzia sull'argomento del la già avvenuta deduzione dell'onere in sede di determinazione del reddi to societario.

La deducibilità degli interessi passivi da parte di società con soli redditi immobiliari viene recisamente esclusa da Comm. trib. I grado Urbino 23 gennaio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 123.

In una fattispecie riguardante un'associazione tra produttori agricoli, v. le discordanti Comm. trib. centrale 2 marzo 1985, n. 2137, id., Rep. 1985, voce cit., n. 226, e Comm. trib. II grado Catania 15 giugno 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 170. Ancora in tema di attività agricola, cfr. Comm. trib. centrale 27 giugno 1983, n. 1557, ibid., n. 169.

Per i profili di costituzionalità attinenti alle tematiche considerate, v. Corte cost., ord. 4 novembre 1987, n. 368, id., 1988, I, 2464, con nota di richiami, citata in motivazione.

Come rilevato dalla Cassazione, la questione oggetto della pronunzia che si riporta può considerarsi ormai superata nella vigenza della nuova normativa risultante dal t.u. delle imposte dirette (cfr. art. 10, n. 3, d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917).

Il Foro Italiano — 1989.

Contro tale decisione ricorre il ministero delle finanze; non ha

svolto in questa sede alcuna attività difensiva Ettore Gerbino.

Motivi della decisione. — 1. - Con unico motivo, denunziando

violazione degli art. 5 e 10 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597 non

ché dell'art. 40 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 (art. 360, n. 3,

c.p.c.), l'amministrazione ricorrente assume che, contrariamente

a quanto ritenuto dalla decisione impugnata, l'onere degli inte

ressi passivi risulta non deducibile in capo alla società semplice, il cui reddito, essendo costituito dal solo possesso di immobili,

viene determinato con le regole di cui al titolo secondo del d.p.r. 597/73 ed in via transitoria secondo quanto previsto dall'art. 88

di tale decreto. Si assume altresì che il detto onere non può essere

dedotto neppure in capo ai soci perché ad essi perviene una quo ta di reddito già determinato al netto di tutte le passività concor

renti alla sua produzione e perché lo stesso non è compreso tra

gli oneri deducibili tassativamente elencati nell'art. 10 d.p.r. 597/73.

2. - Il ricorso non è fondato.

In base alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone

fisiche, introdotta dal d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, nella sua

originaria formulazione, l'imposta si applica sul reddito comples sivo netto formato da tutti i redditi del soggetto passivo, compre si quelli a lui imputati ai sensi degli art. 4 e 5 (art. 3 d.p.r.). D'altro canto, i redditi delle società semplici, in nome collettivo

e in accomandita semplice, che hanno nel territorio dello Stato

la sede legale o amministrativa o l'oggetto principale della attivi

tà — che concorrono a formare il reddito complessivo — sono

imputati a ciascun socio, indipendentemente dall'effettiva perce

zione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili (art. 5 d.p.r. cit.).

Ai sensi dell'art. 10 d.p.r. 597, infine, dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei sin

goli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti

dal contribuente: . . . c) gli interessi passivi per i quali sia indica

to il domicilio, la residenza o la stabile organizzazione del perci

piente . . .

Dal complesso delle suddette norme risulta che, secondo il si

stema previsto dalla disciplina originaria dell'Irpef, ai fini della

deducibilità degli oneri dal reddito complessivo del contribuente

si richiedevano due requisiti: a) che gli oneri non fossero deduci

bili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a for

marlo; b) che si trattasse di oneri sostenuti dal contribuente.

3. - Per controllare la esattezza della decisione impugnata, è

perciò necessario stabilire se in concreto sussistessero nella spe

cie, secondo la disciplina giuridica innanzi richiamata, entrambi

i suddetti requisiti. Quanto ad a), occorre verificare se l'onere degli interessi passi

vi gravanti sul reddito della società semplice fosse o meno dedu

cibile nella relativa determinazione, essendo evidente che, ove si

rispondesse affermativamente a tale quesito, si dovrebbe conclu

dere nel senso della indeducibilità, ex art. 10 cit., in difformità

dal giudizio espresso dalla Commissione tributaria centrale.

Ma la risposta deve essere negativa. La questione di legittimità

degli art. 5 e 10 d.p.r. 597/73, in riferimento agli art. 3 e 53

Cost., è stata recentemente esaminata dalla Corte costituzionale

in fattispecie identiche a quella sottoposta all'esame del collegio nel presente giudizio (ord. 4 novembre 1987, n. 368, id., 1988,

I, 2464). Si era dedotto in quella sede dai giudici a quibus che le norme

citate, impedendo, ai fini della determinazione del reddito delle

società semplici, la detrazione degli interessi passivi, violerebbero

i principi di eguaglianza e di capacità contributiva, costituendo

la deducibilità principio generale valevole in ogni caso nel diritto

tributario.

La Corte costituzionale, nel respingere la tesi dei contribuenti, ha dichiarato manifestamente non fondate le questioni di legitti mità degli art. 5 e 10, nonché degli art. 51 e 58 d.p.r. 597/73

in base al seguente rilievo: l'art. 51, ultimo comma, d.p.r. 597/73

sulla istituzione dell'Irpef, statuendo che le disposizioni del titolo

V, relative al reddito d'impresa (che prevedono appunto la dedu

cibilità degli interessi passivi), si applicano per la determinazione

del reddito delle società in nome collettivo e in accomandita sem

plice, anche se non esercitano attività commerciale, mentre ne

esclude il reddito delle società semplici, non determina alcuna

ingiustificata disparità di trattamento tra le medesime e le altre

società di persone, trattandosi di tipi diversamente regolati dal

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