sezione III civile; sentenza 27 giugno 1988, n. 4325; Pres. Laudato, Est. Vittoria, P.M. DeMartini (concl. conf.); Min. difesa c. Brusi ed altri (Avv. Musio-Sale). Dichiara inammissibilericorso avverso App. Bari 23 settembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 799/800-803/804Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183858 .
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PARTE PRIMA
all'attestazione dell'avvocatura dello Stato di non avere ricevuto
l'atto.
Vuol dirsi, cioè, che non potrebbe avere ulteriore rilievo la cir
costanza possibile, per quanto estremamente inverosimile, che ta
le notificazione sia stata effettuata, senza allegare per negligenza, o distrazione, la relata nel fascicolo d'ufficio, poiché questa corte
non può che giudicare insta alligata et probata. Ha ragione la parte resistente a declinare ogni propria respon
sabilità per un comportamento ascrivibile a negligenza dei fun
zionari della segreteria della commissione tributaria di secondo
grado; ma, ciò nonostante, resta indubbio che, avendo compor tato tale negligenza, indipendentemente dalle individuazioni del
soggetto colpevole, la violazione del principio del contradditto
rio, ne vanno tratti gli imprescindibili corollari.
Non varrebbe obiettare, ai sensi del successivo art. 27 del me
desimo d.p.r. n. 636 (che disciplina il procedimento davanti alla
Commissione centrale) che l'amministrazione finanziaria, avendo
ricevuto comunicazione della data di trattazione non comportan
do, come è noto, il processo davanti alla Commissione tributaria
centrale discussione (e quindi confronto delle tesi contrapposte) in correlazione alla quale è consentito alle parti di «prender visio
ne del fascicolo» (nonché di depositare memoria), avrebbe potu to rendersi conto della proposizione del ricorso incidentale del
contribuente per controbatterlo mediante memoria, perché la re
lativa facoltà non costituirebbe un onere dalla cui mancata osser
vanza si debba presumere la conoscenza legale di tutti gli atti
contenuti nel fascicolo.
Il precetto riguardante la notificazione del ricorso incidentale
al controinteressato ha carattere imperativo; ed è come tale insur
rogabile, non potendosi opporre in contrario (e comunque una
deduzione in tal senso non è stata fatta) che l'amministrazione
era venuta aliunde a conoscenza dell'avvenuta proposizione del
ricorso incidentale.
6. - In conclusione la constatazione del mancato rispetto della
regola del contraddittorio (la cui applicazione anche al processo tributario davanti alla Commissione tributaria centrale discende
ineluttabilmente dai principi generali, risultando comunque san
cita positivamente dal 5° comma dell'art. 25 d.p.r. 26 ottobre
1972 n. 636 (per quanto attiene al ricorso incidentale qui conside
rato) comporta che il secondo motivo, da esaminare per primo, atteso il suo carattere prioritario, deve essere accolto, rinviando
la causa per nuovo esame, da effettuarsi nella dialettica delle con
trapposte argomentazioni giuridiche contenute rispettivamente nel
ricorso principale ed in quello incidentale, da parte della medesi
ma Commissione tributaria centrale (in altra composizione). De
ve ritenersi infatti, che il mancato adempimento dell'onere di
notificazione del ricorso incidentale da parte della segreteria della
commissione di secondo grado che ha emesso le decisione impu
gnata ex adverso in via principale dia luogo ad un vizio cui deve
porsi riparo ad iniziativa dello stesso giudice tributario investito
dell'impugnazione principale medesima che lo abbia rilevato in
un procedimento strutturato come quello in esame, in cui l'onere
della parte che intende impugnare resta circoscritto alla presenta zione dell'atto di impugnazione e quello della notificazione è af
fidato alla segreteria del giudice a quo (cfr. art. 25, commi 3°,
4°, 5°, d.p.r. n. 636 del 1972). A seguito della presente pronuncia di cassazione la Commissio
ne tributaria centrale dovrà disporre che la propria segreteria prov veda a porre riparo alla omissione della segreteria del giudice di
secondo grado, che aveva emesso la decisione impugnata dispo nendo essa stessa la notificazione all'amministrazione finanziaria
del ricorso incidentale, e cosi restaurando il contraddittorio non
rispettato al momento in cui venne resa la precedente decisione.
Resta conseguentemente assorbito il primo mezzo attinente alla
puntualizzazione dei poteri della Commissione centrale rispetto a questioni di mera estimazione, dovendosi preliminarmente al
riguardo stabilire la portata del terzo motivo del ricorso inciden
tale, verificando se con esso si muove una censura alla motivazio
ne della decisione di secondo grado in tema di estimazione del
reddito induttivamente determinato, da ridimensionare alla stre
gua della controprova offerta, ovvero si richieda (inammissibil
mente) alla Commissione tributaria centrale l'esercizio diretto di
poteri estimativi.
Il Foro Italiano — 1989.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 27 giu gno 1988, n. 4325; Pres. Laudato, Est. Vittoria, P.M. De
Martini (conci, conf.); Min. difesa c. Brusi ed altri (Avv.
Musio-Sale). Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Bari
23 settembre 1982.
Cassazione civile — Sentenza non definitiva — Riserva di impu
gnazione — Successiva proposizione del ricorso immediato av
verso la sentenza riservata — Inammissibilità (Cod. proc. ci v., art. 361).
Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Sentenza non
definitiva — Nozione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 277,
278, 279).
È inammissibile il ricorso per cassazione avverso sentenza non
definitiva proposto da chi ha dichiarato di voler far riserva
d'impugnazione. (1) Tutte le sentenze, che, non decidendo totalmente il merito, nep
pure concludono il procedimento, sono da considerare sentenze
non definitive se alla decisione di una parte del giudizio non
si accompagna un provvedimento di separazione (nella specie, il giudice, pronunciata condanna al risarcimento dei danni pa trimoniali da liquidarsi in altro giudizio, rimetteva la causa al
giudice istruttore perché trasmettesse gli atti al procuratore del
la repubblica per accertare la esistenza del danno non patri
moniale). (2)
Svolgimento del processo. — Giovanni Brusi, Maria Baleffi ed
Ivano Brusi convenivano in giudizio il ministero della difesa da
vanti al Tribunale di Bari e, con la citazione notificata il 2 dicem
bre 1976, proponevano una domanda di condanna al risarcimento
dei danni da fatto illecito. In particolare, gli attori deducevano
che andava imputata al ministero della difesa la responsabilità
per la morte del loro prossimo congiunto, Sergio Brusi, avvenuta
I'll marzo 1974 a Bari, dove prestava servizio militare: a cagio nare il decesso era stata la non adeguata assistenza prestata dai
medici militari in occasione d'una appendicite, da cui il Brusi
era stato colto.
Chiedevano che il tribunale, accertata la responsabilità del mi
nistero, ne pronunciasse la condanna al risarcimento dei danni, morali e materiali, questi ultimi da liquidarsi in separata sede, ed al pagamento di una provvisionale.
Il ministero della difesa, costituitosi, chiedeva che la domanda
fosse rigettata. Il Tribunale di Bari procedeva all'istruzione della causa, acqui
siva documenti, assumeva una prova per testimoni e disponeva
un'indagine tecnica; quindi, con sentenza 3 luglio 1981, condan
nava il ministero a risarcire i danni agli attori, e, avendo ritenuto
che vi fosse la prova che essi avessero quantomeno subito danni
morali, assegnava loro una provvisionale. La sentenza veniva impugnata dal ministero della difesa, men
tre gli attori chiedevano che l'importo dei danni, liquidato attra
veso la provvisionale, fosse rivalutato.
La Corte d'appello di Bari accoglieva in parte l'impugnazione e riteneva: che era provato che la morte di Sergio Brusi era deri
vata dalla colpa grave dei medici militari, sicché al ministero del
la difesa andava imputata la relativa responsabilità e ne andava
pronunciata la condanna a risarcire i danni patrimoniali, da li
(1) In termini, proprio con riferimento al ricorso per cassazione, Cass. 9 marzo 1982, n. 1498, Foro it., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n.
80; 4 luglio 1981, n. 4392, id., Rep. 1981, voce cit.,.n. 59; 8 giugno 1979, n. 3284, id., Rep. 1979, voce cit., n. 51; 3 novembre 1978, n.
4987, id., Rep. 1978, voce cit., n. 34; 4 agosto 1977, n. 3514, id., Rep. 1977, voce cit., n. 52; 8 luglio 1976, n. 2568, id., Rep. 1976, voce cit., n. 84; 19 maggio 1976, n. 1788, ibid., n. 25; 24 marzo 1976, n. 1060, ibid., n. 85; 16 maggio 1975, n. 1877, id., Rep. 1975, voce cit., n. 43. Lo stesso indirizzo è seguito con riguardo all'art. 340 c.p.c.; v. Cass. 4 giugno 1985, n. 3325, id., 1987, I, 144, con nota di richiami.
(2) In senso conforme, nel senso che la decisione parziale della causa, senza esplicito provvedimento di separazione, dia luogo a sentenza non definitiva, v. Cass. 28 giugno 1986, n. 4331 e 4 giugno 1985, n. 3325, Foro it., 1987, I, 144, con nota di richiami ed osservazioni di Cea, Plura lità di domande e sentenze non definitive, nonché Cass. 6 febbraio 1985, n. 883, id., Rep. 1985, voce Cassazione civile, n. 19; contra, Cass. 21 dicembre 1984, n. 6659, id., 1985, I, 1742, con nota di Cocchi, e in Giust. civ., 1985, I, 3132, con nota di Montesano.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quidarsi in altro giudizio, in conformità dell'originaria domanda; che non poteva esser pronunziata per tali danni una condanna
al pagamento di provvisionale, poiché, nonostante la richiesta fat
tane dagli attori in primo grado, il tribunale non li aveva ritenuti
già in parte provati e sul punto non v'era stato appello incidenta
le; che la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali
presupponeva fosse accertato, dal giudice penale, che la morte
del Brusi era riconducibile ad un reato, sicché la condanna al
pagamento della provvisionale andava riformata e la causa anda
va rimessa in istruttoria perché fosse trasmesso al procuratore della repubblica il rapporto preveduto dall'art. 3 c.p.p.
La corte d'appello, pronunciando la sentenza 23 settembre 1982,
qualificava la propria decisione come «sentenza non definitiva
limitatamente all 'an dei danni patrimoniali». Il ministero della difesa, dopo aver dichiarato di volersi avvale
re della facoltà di differire il ricorso per cassazione, lo proponeva con atto notificato il 7 novembre 1983, deducendo due motivi.
I Brusi-Baleffi resistevano con controricorso.
Motivi della decisione. — Il ricorso proposto dal ministero del
la difesa si articola su due motivi; l'esposizione di questi è prece duta da considerazioni intese a dimostrare che l'impugnazione è ammissibile, sebbene sia stata fatta riserva di impugnare la sen
tenza con ricorso differito.
Osserva, dunque, il ministero che la sentenza resa dalla corte
d'appello contiene statuizioni autonome ed autonomamente im
pugnabili, suscettibili di passare in cosa giudicata formale ove
la impugnazione non venga immediatamente proposta: la statui
zione autonoma, cui il ministero fa riferimento, è, evidentemen
te, l'accertamento con cui la corte d'appello ha considerato dovuta
a colpa grave dei medici militari la morte del soldato Sergio Bru
si, accertamento su cui è stata basata la condanna generica del
l'amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali.
Considera, ancora, il ministero, che «fuori dell'ipotesi prevista
dagli art. 279, n. 4, e 278 c.p.c. al giudice del merito non è con
sentito frazionare il procedimento decisorio in più pronunzie, aventi
per oggetto la stessa causa; pertanto, nel caso di violazione di
tale principio, tutte le sentenze assumono carattere definitivo, an
che se la prima pronuncia erroneamente sia stata indicata «non
definitiva», cosicché priva di ogni effetto è la riserva di impugna zione ex art. 340 e 361 c.p.c. compiuta dalla parte totalmente
e parzialmente soccombente «che ha perciò l'onere di proporre
l'impugnazione immediata»: al riguardo richiama la sentenza 4
giugno 1981, n. 3605 (Foro it., Rep. 1981, voce Sentenza civile, n. 58) di questa corte. Come anche si desume dal primo motivo
di ricorso, il ministero intende sostenere che la violazione del prin
cipio della prevalenza del giudicato penale, principio che impone la sospensione del giudizio quando la cognizione del reato influi
sce sulla decisione della controversia civile, vale a rendere defini
tiva la sentenza pronunciata sulla responsabilità per danni
patrimoniali, allo stesso modo che è definitiva la sentenza che
pronuncia su una parte dell'oggetto del giudizio, fuori dei casi
consentiti dagli art. 279, n. 4, e 278 c.p.c. Con il primo motivo, il ministero della difesa denuncia poi
la violazione e falsa applicazione degli art. 2043 c.c. e 3 c.p.p. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.: sostiene che, avendo gli at
tori richiesto anche il risarcimento dei danni non patrimoniali, la corte d'appello avrebbe dovuto fare rapporto al procuratore della repubblica e soprassedere all'esame della richiesta di con
danna al risarcimento dei danni patrimoniali, giacché uno era
il fatto illecito e sul suo accertamento influiva la cognizione del
reato. Inutilmente ed erroneamente la corte d'appello avrebbe ri
tenuto di basarsi sull'esistenza di una colpa grave dei medici mili
tari per procedere alla separata condanna dell'amministrazione
al risarcimento dei danni patrimoniali, giacché «il ricorso alla
responsabilità ex art. 2236 (peraltro inapplicabile, com'è noto,
per l'ipotesi di militari di leva cui non è riconosciuto alcun potere di scelta del prestatore d'opera) non consentiva alla corte del me
rito di sfuggire all'esigenza di valutare il presupposto di respon sabilità in termini unitari non essenso consentito distinguere, tra
danni patrimoniali immediatamente risarcibili e danni non patri moniali, subordinati (questi ultimi) all'accertamento di fatti pe nalmente rilevanti.
Con il secondo motivo, il ministero della difesa censura invece
la decisione resa dalla corte d'appello sul merito della domanda
e deduce un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria moti
vazione su un punto decisivo della controversia, in relazione al
l'art. 360, n. 5, c.p.c.
II Foro Italiano — 1989.
Il ricorso è inammissibile perché proposto contro sentenza non
definitiva, avverso la quale la parte aveva in precedenza dichiara
to di volere differire l'esercizio del diritto di impugnazione (Cass. 4 luglio 1981, n. 439, id., Rep. 1981, voce cit., n. 59).
La corte d'appello ha espressamente qualificato come non de
finitiva la sentenza che veniva pronunciando. La rilevanza di questa
qualificazione, secondo l'amministrazione ricorrente, è da esclu
dere e nel rilievo si deve concordare, pur considerando che il punto non si trova risolto in modo univoco nella giurisprudenza della
corte, anche la più recente (nel senso della rilevanza, da ultimo, Cass. 27 marzo 1987, n. 2992, id., Rep. 1987, voce cit., n. 67; in quello contrario, Cass. 21 dicembre 1984, n. 6659, id., 1985,
I, 1742). Invero, il principio per cui forme e termini dell'impugnazione
della sentenza dipendono dalla qualificazione, che il giudice ha
dato alla domanda propostagli, si basa su una valutazione, ope rata in base alla legge processuale, del modo in cui è stato eserci
tato il potere giurisdizionale, non invece sulla qualificazione che
lo stesso giudice abbia dato del proprio provvedimento. Come si è veduto, l'amministrazione della difesa considera, poi,
che la sentenza impugnata sia da riguardare come definitiva, in
primo luogo per il fatto di contenere una statuizione autonoma, suscettibile di passare in cosa giudicata formale.
L'assunto non può essere condiviso. La valutazione espressa dalla ricorrente trova, indubbiamente, corrispondenza in pronun zie della corte, dove è presente l'enunciato per cui «deve conside
rarsi definitiva e, come tale, immediatamente impugnabile la
decisione che esaurisca l'oggetto della controversia attribuendo
o negando il bene in contestazione; che presenti carattere di auto
nomia rispetto alle decisioni riservate al prosieguo del giudizio e che non debba essere integrata da ulteriori pronunce sull'ogget to della domanda, cui si riferisce la decisione» (Cass. 10 ottobre
1977, n. 4321, id., Rep. 1977, voce Appello civile, 16). Di questo argomento, peraltro, non tanto è a dire che non è
incontroveso, quanto è ben noto come sia, in giurisprudenza e
dottrina, dei più controversi (Cass. 4 giugno 1985, n. 3325, id.,
1987, I, 144, considera non definitiva la sentenza che «in caso
di pluralità di domande o di questioni» decida solo «alcuni dei
temi proposti» e nello stesso ordine di idee si collocano, in prece denza e tra le altre, Cass. 23 ottobre 1980, n. 5718, id., Rep.
1980, voce cit., n. 62; e 12 ottobre 1978, n. 4574, id., Rep. 1978, voce cit., n. 54, che qualificano non definitiva la sentenza che
pronuncia su uno, ma non su tutti gli effetti di un unico compor tamento illecito dedotto come elemento della domanda; Cass. 28
giugno 1986, n. 4431, id., 1987, I, 144, considera non definitiva
la sentenza che pronuncia su alcune domande, esaurendole, senza
disporre la separazione dei procedimenti rispetto alle domande
non decise; Cass. 21 dicembre 1984, n. 6659, cit., considera per contro definitive le sentenze che decidono solo alcune delle do
mande proposte, ritenendo in tal caso implicita la separazione dei procedimenti relativi alle altre domande o cause originaria mente riunite).
Il contrasto interno alla giurisprudenza ed i ricorrenti tentativi
della dottrina di dare sistemazione alla materia, con esiti tuttavia
anche essi non collimanti, ad avviso della corte consigliano di
preferire la soluzione che, rispettando le linee fondamentali del
sistema, non incontra un insuperabile ostacolo nella lettura della
legge e sia tale da permettere un'applicazione della norma scevra
quanto possibile da difficoltà, in modo da evitare incertezze nella
condotta processuale delle parti. Gli art. 340 e 361 c.p.c. consentono di differire, rispettivamen
te, l'appello e il ricorso per cassazione ovvero le sentenze previste
dagli art. 278 e 279, 2° comma, n. 4. Lo stabilire rispetto a quali sentenze l'ordinamento rimetta alle parti la scelta tra impugna zione immediata ed impugnazione differita consiste dunque nel
l'individuare lo spartiacque tra le fattispecie delineate dai nn. 4
e 5 del 2° comma dell'art. 279 c.p.c.
Ora, la seconda fattispecie si caratterizza per il dato che la
sentenza, mentre decide una delle cause sin lì riunite in unico
procedimento, delle altre attua un'esplicita separazione, di tal che,
venendo a cessare la compresenza di più giudizi in unico procedi
mento, la sentenza viene per questa via a definire il giudizio.
Questo dato, che è espressivo del modo in cui il giudice ha
esercitato il proprio potere nel decidere delle domande ed ecce
zioni propostegli, si presta, in quanto sia presente o manchi, a
far riconoscere la natura definitiva o parziale della sentenza in
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PARTE PRIMA
base ad un elemento formale, quindi scevro da incertezze nella
pratica applicazione della norma. Inoltre, è cosi rispettato il prin
cipio che la qualificazione della sentenza, ai fini della scelta dei
modi e termini dell'impugnazione, va operata sulla base del mo
do in cui il giudice a quo ha esercitato il proprio potere di co
gnizione. Deriva da ciò, che vanno per contro ricondotte al n. 4 del 2°
comma dell'art. 279 c.p.c. tutte le sentenze che, non decidendo
totalmente il merito, neppure concludono il procedimento, in quan to alla decisione di una parte dell'oggetto del giudizio (questione,
capo di domanda, domanda autonoma) non si accompagna, do
ve pure sarebbe possibile, un provvedimento di separazione.
Questa interpretazione della disposizione contenuta nel n. 4 del
l'art. 279, 2° comma, non incontra insormontabili ostacoli dal
punto di vista letterale.
Al riguardo è sufficiente rilevare che, in dottrina, si è potuta condurre la dimostrazione che il termine «questioni», presente nel n. 4, ha valore di domanda, quando lo si collochi nell'ambito
della norma che risulta dal collegamento con il n. 3, giacché lo
stesso termine, nell'ambito della norma che risulta dal collega mento con il n. 2, sta ad individuare la questione di merito po tenzialmente idonea a definire il giudizio, ma decisa nel senso
di non comportare una tale definizione.
Ancora nello spirito del rilevare la compatibilità tra interpreta zione accolta e formulazione letterale delle disposizioni aventi at
tinenza con il problema che si esamina, deve essere rilevato come
la sentenza parzialmente definitiva su domanda, cui si è conside
rato aver riguardo l'art. 279, 2° comma, n. 4, c.p.c. (e già il
3° comma dell'originario testo dell'art. 279), è stata in dottrina
ritenuta potersi avere sia nel caso di decisione su una tra più cause riunite in unico procedimento sia nel caso di decisione su
uno tra più capi di domanda inerenti ad una sola causa, attingen do tale risultato dal collegamento con l'art. 277, cpv., c.p.c.: di
sposizione, quest'ultima, che, in dottrina, ha potuto essere intesa
sia nel senso di riferirsi solo al caso di più domande inerenti ad
un'unica causa, sia in quello di riferirsi anche a quello di più domande connesse.
Questa intepretazione, d'altro canto, appare rispettosa delle li
nee fondamentali del sistema. Invero, attribuendo alle parti la
possibilità di impugnare immediatamente la sentenza parzialmen te definitiva, l'ordinanza ha consentito ad esse di valutare se sus
sisteva un interesse a rimuovere quella decisione prima della
conclusione del procedimento. Esso resta non di meno orientato
a mantenere l'originario collegamento delle domande nell'unico
procedimento e ad assicurare l'unità del procedimento nelle fasi
di gravame, come si desume sia dal mantenimento del principio tendenziale enunciato al 1° comma dell'art. 277 c.p.c. sia dalla
facoltatività dell'impugnazione immediata.
Orbene, è congruo a questa impostazione, che la cessazione
del collegamento delle domande nell'unico procedimento derivi
da un esercizio da parte del giudice della facoltà di separazione, invece d'essere considerato come un effetto normativamente ri
collegato all'esercizio del diverso potere di decidere una delle di
verse domande propostagli prima delle altre.
L'amministrazione ricorrente ha però osservato, richiamandosi
alla sentenza 4 giugno 1981, n. 3605 (id., Rep. 1981, voce cit., n. 58) di questa corte, che ogni sentenza dovrebbe essere conside
rata definitiva quando assuma ad oggetto di decisione una parte della materia da decidere, senza che ciò sia consentito dagli art.
278 e 279, 2° comma, n. 4, c.p.c. Ciò varrebbe a rendere definiti
va e perciò immediatamente impugnabile la sentenza della corte
d'appello, che, non sospendendo di decidere sulla domanda di
risarcimento anche per quanto riguarda il danno patrimoniale, avrebbe illegittimamente frazionato il procedimento decisorio.
La soluzione indicata nella sentenza 4 giugno 1981, n. 3605
cit., non sembra coerente con il sistema. Una volta che l'ordina
mento processuale conosce la sentenza che decide una questione senza concludere il procedimento, la pronuncia di una tale sen
tenza fuori dei casi in cui possa dirsi consentito, non dovrebbe
valere a sottrarla al regime dell'impugnazione delle sentenze non
definitive, ma solo rilevare ai fini della denuncia dell'errore pro cessuale compiuto dal giudice.
Peraltro, nel caso in esame, la norma che non sarebbe stata
osservata neppure è quella dettata dall'art. 279, 2° comma, n.
4, c.p.c.
Invero, la possibilità di domandare al giudice civile la condan
na al risarcimento del solo danno patrimoniale (Cass. 31 gennaio
Il Foro Italiano — 1989.
1967, n. 286, id., Rep. 1968, voce Responsabilità civile, n. 115) vale a qualificare la pronuncia resa su tale punto, in un giudizio in cui sia stato chiesto anche il danno non patrimoniale, come
sentenza resa su capo di domanda e quindi come sentenza non
definitiva alla stregua dello stesso dettato dell'art. 279, 2° com
ma, n. 4, c.p.c. Non attiene invece alla qualificazione della sentenza, ma al con
tenuto della decisione ed al (precluso) esame dei motivi di ricor
so, lo stabilire se il giudice della causa, cui sia richiesto anche
il risarcimento del danno non patrimoniale, dopo aver fatto rap
porto al procuratore della repubblica, debba soprassedere alla de
cisione, quanto alla responsabilità per il dannno patrimoniale, in attesa che sia iniziata l'azione penale, per ciò che la cognizione del reato è in grado di influire anche sulla decisione relativa a
quel capo della domanda.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
perché proposto contro decisione non suscettibile di impugnazio ne immediata.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 giugno
1988, n. 4279; Pres. F. E. Rossi, Est. Lipari, P. M. Donna
rumma (conci, conf.); Faggin ed altri (Aw. Terzi) c. Comune
di Udine; Comune di Udine (Avv. Mazzitelli) c. Faggin e al
tri. Cassa Pret. Udine 6 agosto 1983.
Procedimento civile — Procura «ad litem» — Conferimento con
atto diverso da quelli indicati dalla norma — Validità — Con
dizioni — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 83, 125, 156).
La procura apposta in calce ad un atto diverso da quelli elencati
all'art. 83 c.p.c. deve ritenersi idonea a raggiungere lo scopo di instaurare un valido rapporto processuale se detto atto sia
depositato al momento della costituzione in giudizio e la con
troparte non abbia sollevato specifiche contestazioni sulla rego larità del mandato (nella specie, il procuratore incaricato da
una pluralità di soggetti di sollevare opposizione ad ordinanze
ingiunzioni, aveva depositato un unico ricorso collettivo per tutti gli opponenti richiamando in esso le procure che ogni sin
golo opponente aveva conferito in un proprio ricorso indivi
duale, tutti depositati in cancelleria col fascicolo di parte). (1)
(1) La giurisprudenza della Cassazione — confermata anche dalla sen tenza in epigrafe che ha dedicato al tema una sin troppo ampia riflessione — può oramai dirsi orientata prevalentemente ad attenuare il rigore del tenore letterale dell'art. 83, 2° comma, c.p.c., sebbene ciò ancora non costituisca un indirizzo costante. Conf. Cass. 3 dicembre 1985, n. 6048, Foro it., Rep. 1985, voce Procedimento civile, n. 58; 7 novembre 1983, n. 6571, id., Rep. 1984, voce cit., n. 50; 17 giugno 1983, n. 4179, id., Rep. 1983, voce cit., n. 55; 12 luglio 1979, n. 4060, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 106; 8 settembre 1977, n. 3930, id., Rep. 1977, voce cit., n. 70. Il principio è stato applicato in particolare all'ipotesi di conferimento della procura sulla copia notificata del ricorso e pedissequo decreto nel
procedimento monitorio: Cass. 15 febbraio 1985, n. 1309, id., Rep. 1985, voce Ingiunzione (procedimento), n. 36; 15 maggio 1982, n. 3034, id., Rep. 1982, voce cit., n. 22.
Molto numerosi sono i procedimenti conformi alla sentenza riportata, nell'ipotesi in cui la procura per il giudizio di appello sia stata conferita sulla copia notificata della sentenza di primo grado; v. Cass. 14 febbraio
1987, n. 1685, 15 gennio 1987, n. 240, id., Rep. 1987, voce Procedimento
civile, nn. 54, 55; 3 maggio 1986, n. 3009, 15 aprile 1986, n. 2651, 8 febbraio 1986, n. 789, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 35, 39, 40; 22 feb braio 1985, n. 1591, id., Rep. 1985, voce cit., n. 61; 17 novembre 1983, n. 6838, 24 giugno 1983, n. 4335, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 52, 53; 17 novembre 1982, n. 6155, 15 settembre 1982, n. 4887, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 51, 54, entrambe per altra parte in Foro it., 1983, I, 353 e 704; 12 dicembre 1979, n. 6482, 14 maggio 1979, n. 2786, id., Rep. 1979, voce cit., nn. Ili, 113; 6 agosto 1977, n. 3571, id., 1977, I, 2139, con nota di richiami; cui adde Cass. 4 marzo 1980, n. 1466, id., Rep. 1980, voce cit., n. 81. In senso contrario all'indirizzo prevalente si è espressa Cass. 26 settembre 1986, n. 5970, id., Rep. 1986, voce cit., n. 33, e, con specifico riferimento al caso di procura rilasciata sulla copia notifica ta della sentenza di primo grado, Cass. 2 febbraio 1983, n. 910, id., Rep. 1983, voce cit., n. 54; 2 agosto 1977, n. 3408, id., Rep. 1977, voce cit.,
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