sezione III civile; sentenza 11 febbraio 1989, n. 863; Pres. Quaglione, Est. Varrone, P.M. LaValva (concl. diff.); Di Leo (Avv. Fornario, Aranguren) c. Pantani (Avv. Calabresi, Fabbrini).Conferma Trib. Firenze 21 marzo 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2817/2818-2821/2822Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184214 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
clusione che la possibilità di impugnare quell'atto di straordina
ria amministrazione da parte di uno dei componenti della fami
glia era data «solo nel caso in cui una contraria volontà fosse
stata comunicata al concedente». Rileva inoltre la corte del meri
to che, nel caso di specie, non solo non venne manifestata tale
volontà, né della Orlandini né della Tanzi, ma, al contrario, le
stesse tennero un comportamento incompatibile con un eventuale
dissenso nei confronti della decisione.
Orbene, mentre i predetti presupposti di fatto non appaiono contestati dalle ricorrenti, si rileva in diritto che non appare fon
data la tesi delle stesse secondo cui il principio, già affermato
da questa corte, circa la necessità di conoscenza da parte del ter
zo di un eventuale dissenso interno nell'ambito della famiglia mez
zadrile (vedi sentenza n. 5124 del 13 ottobre 1984, Foro it., Rep.
1984, voce Contratti agrari, n. 430) non dovrebbe valere in caso
di famiglia titolare di un contratto di affitto. In proposito, infatti, la corte del merito rileva come le stesse
appellanti considerino che la famiglia coltivatrice dell'affittuario
vada considerata «alla stessa stregua di quella mezzadrile», con
la conseguenza che l'affermato principio della necessità di una
palese manifestazione di dissenso si rende necessaria in caso di
conflitto nella formazione delle determinazioni aventi rilevanza
nei rapporti coi terzi.
Come giustamente rileva la corte del merito, soccorre a tale
proposito il disposto dell'art. 2257 c.c. che prevede, per la società
semplice, alla cui categoria indubbiamente appartiene la famiglia
coltivatrice dello Schianchi Romano, l'applicabilità del principio dell'amministrazione disgiuntiva, e la conseguente validità, nei con
fronti dei terzi, della formale manifestazione di volontà di uno
dei membri amministratori della società stessa.
Col secondo motivo di ricorso si sostiene che la Orlandini, a
seguito del decesso del marito Schianchi Giuseppe, contitolare del
primitivo contratto, non poteva essere considerata come «mem
bro della famiglia coltivatrice», ma a sua volta contitolare mortis
causa del contratto stesso.
Tale motivo di ricorso appare sostanzialmente assorbito dalla
motivazione del rigetto del motivo precedente. A parte la invalidità, comunque, del motivo per quanto con
cerne la Tanzi, si rileva che, per la Orlandini, la qualifica di coaf
fittuario mortis causa da parte della stessa non può assumere va
lore assorbente di fronte alle valutazioni dei giudici del merito
che, sulla base delle accertate risultanze processuali, hanno espli
citamente riconosciuto la sussistenza della rappresentanza della
famiglia coltivatrice da parte dello Schianchi Romano, ed il con
seguente effetto vincolante della di lui manifestazione di volontà
per l'insieme dei componenti della famiglia stessa.
Quanto infine al terzo motivo con il quale si contesta la corret
tezza della osservazione della corte del merito in ordine alla sussi
stenza di una ratifica da parte delle ricorrenti circa l'accettazione
dello Schianchi della soluzione transattiva, osserva questa corte
che, se, da un lato, appare erronea l'affermazione dei giudici del
merito circa il fatto che la forma scritta per la transazione non
sia richiesta ad substantiam, d'altro lato, le considerazioni della
corte stessa possono valere come conferma delle valutazioni di
merito circa l'insussistenza di una opposizione manifestata dalle
altre componenti della famiglia coltivatrice in ordine alla manife
stata accettazione da parte dello Schianchi Romano della transa
zione stessa.
D'altronde, di fronte alla riconosciuta validità delle constata
zioni della corte del merito circa la legittimità dell'impegno as
sunto dalla Schianchi Romano, in nome e per conto dell'intera
famiglia coltivatrice, il comportamento delle ricorrenti in ordine
ad una eventuale ratifica non può assumere alcun valore determi
nante, in quanto la validità dell'impegno nei confronti del conce
dente del fondo trova il suo fondamento nella capacità del rap
presentante della famiglia coltivatrice, come sopra rilevata e con
fermata.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Il Foro Italiano — 1989.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 11 feb braio 1989, n. 863; Pres. Quaglione, Est. Varrone, P.M. La
Valva (conci, diff.); Di Leo (Aw. Fornario, Aranguren) c.
Pantani (Aw. Calabresi, Fabbrini). Conferma Trib. Firenze
21 marzo 1983.
Agricoltura — Proprietà coltivatrice — Esercizio del riscatto me
diante citazione — Successiva estinzione del processo — Effi
cacia della dichiarazione di riscatto (Cod. civ., art. 2967; cod.
proc. civ., art. 310; 1. 26 maggio 1965 n. 590, disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice, art. 8; 1. 8 gennaio 1979
n. 2, interpretazione autentica dell'art. 8 1. 26 maggio 1965 n.
590, art. unico).
Poiché ai fini dell'esercizio stragiudiziale del diritto di riscatto basta la dichiarazione di volontà del retraente, non essendo a
tal fine necessaria la manifestazione di volontà adesiva del ter
zo acquirente, ove il mezzadro abbia dichiarato di voler eserci
tare il riscatto mediante la notificazione di domanda giudiziale, la successiva estinzione del processo non toglie efficacia alla
dichiarazione medesima, avente natura sostanziale, e non pro duce conseguentemente la decadenza dal diritto di riscatto. (1)
(1) La sentenza, uniformandosi a quanto statuito da Cass. 5 febbraio
1979, n. 770 (Foro it., Rep. 1979, voce Agricoltura, n. 202 e Giur. it.,
1979, I, 1, 914) si pronuncia in senso diametralmente opposto rispetto a Cass. 3 luglio 1980, n. 4214 (Foro it., 1981, I, 128, con ampia nota
di R. Oriani). Le oscillazioni giurisprudenziali in ordine agli effetti dell'estinzione del
processo sull'esercizio giudiziale del riscatto agrario dipendono esclusiva
mente dalla configurazione delle modalità di esercizio del riscatto in sede
stragiudiziale. Punto fermo della giurisprudenza in materia è infatti il
rilievo che, quando la decadenza può essere evitata anche in via negozia
le, la citazione, ancorché sia sopravvenuta l'estinzione del processo, vale
come atto impeditivo stragiudiziale (cfr., in dottrina, V. Andrioli, Dirit
to processuale civile, Jovene, Napoli, 1979,1, 304 e C. Ruperto, Prescri
zione e decadenza, in Giur. sist. civ. e comm. fondata da W. Bigiavi,
Utet, Torino, 1985, 701: in giurisprudenza, cfr. altresì Trib. Palermo 28
giugno 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Decadenza, n. 1 e Giur. sic.,
1958, 482). Ciò posto, una volta affermato che il riscatto agrario può essere eserci
tato a mezzo della semplice manifestazione della volontà del titolare del
diritto, ne discende che «la dichiarazione di riscatto non diviene certa
mente un atto del giudizio e la perdurante sua natura sostanziale implica che l'eventuale estinzione del processo produca i propri effetti soltanto
in riferimento al contenuto processuale dell'atto introduttivo del proces
so, nella prospettiva delineata dall'art. 310 c.p.c., non certamente con
riferimento al contenuto negoziale in esso eventualmente riscontrabile»
(cosi Cass. 770/79, cit.). A conclusioni opposte era invece pervenuta Cass.
4214/80, cit., la quale afferma che quando «il riscattante abbia proposto l'azione giudiziale, non può affermarsi che la decadenza sia stata impedi ta in via stragiudiziale, non essendosi verificata la fattispecie legale, alla
cui integrazione deve necessariamente concorrere la manifestazione di vo
lontà adesiva del terzo acquirente». Per dimostrare che ai fini dell'esercizio stragiudiziale del riscatto è suf
ficiente la dichiarazione di volontà del retraente entro il termine di deca
denza stabilito dalla legge e non è necessaria l'adesione del terzo, la sen
tenza in epigrafe richiama il consolidato orientamento della Cassazione,
secondo il quale: a) il riscatto costituisce un diritto potestativo che si
esercita con dichiarazione unilaterale recettizia rivolta al terzo acquirente, la cui ricezione segna il perfezionarsi della vicenda traslativa del fondo,
determinando il subingresso del retraente al retrattato nella posizione di
proprietario del bene con effetto ex tunc a partire dalla data di stipulazio ne della compravendita. Cosicché l'eventuale pronuncia giudiziale sul di
ritto di riscatto ha natura esclusivamente dichiarativa (cfr., tra le più
recenti, Cass. 17 aprile 1987, n. 3787, Foro it., Rep. 1987, voce Agricol
tura, n. 204; 28 luglio 1987, n. 6530, ibid., n. 205 ; 23 giugno 1986, n.
4166, ibid., n. 209 e Arch, civ., 1987, 868; 28 agosto 1987, n. 7087,
Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 219; 18 novembre 1986, n. 6775, id.,
Rep. 1986, voce cit., n. 176; 17 maggio 1985, n. 3016, ibid., n. 181 e
Giur. agr. it., 1986, 414, con nota di Martella); b) la dichiarazione
di volere riscattare il fondo contenuta nell'atto introduttivo del giudizio è direttamente riferibile alla parte per effetto della procura speciale ad
litem contenuta in tale atto e sottoscritta dalla parte stessa (cfr. tra le
più recenti Cass. 6 giugno 1987, n. 4963, Foro it., Rep. 1987, voce cit.,
n. 211; 6 novembre 1986, n. 6514, ibid., n. 212, e Arch, civ., 1987, 38
e Giur. agr. it., 1987, 416; 31 gennaio 1986, n. 633, Foro it., Rep. 1986,
voce cit., n. 180; 1° febbraio 1985, n. 662, id., Rep. 1985, voce cit.,
n. 213; nel senso che non è invece riferibile alla parte la citazione sotto
scritta dal solo legale in virtù di procura generale alle liti, cfr. Cass. 4963/87,
cit.; 8 agosto 1987, n. 6793, id., Rep. 1987, voce cit., n. 216 e 31 gennaio
1986, n. 633, cit.).
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2819 PARTE PRIMA 2820
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 9 agosto 1979
al Pretore di Firenze in qualità di giudice del lavoro, Dino Falcia rli esponeva che con rogito notar Pampaloni del 13 luglio 1973
trascritto il 20 luglio 1973, Anna Maria Guidotti in Pantani ave
va trasferito ad Antonio Di Leo, a titolo di permuta a fronte
di due fondi posti in Tavernelle Val di Pesa (valore dichiarato
di 8 milioni), 5000 azioni dell'Istituto romano beni stabili (valore dichiarato di lire 32.850.000) ed un conguaglio di lire 9.150.000, il complesso immobiliare sito in S. Casciano Val di Pesa, località Cofferi, comprendente tre unità poderali, tra cui il podere Cap
pella Prima (valore dichiarato di 50 milioni), condotto a mezza
dria da esso ricorrente da molti anni; che con ricorso dell'11 lu
glio 1974, notificato il 15 successivo, aveva manifestato la volon
tà di esercitare il diritto di riscatto, ma il processo, dopo che
questa corte regolatrice aveva dichiarato la competenza pretorile in sede di regolamento, era stato dichiarato estinto; che la per muta Guidotti-Di Leo in realtà dissimulava una compravendita; tutto ciò premesso, il Falciani chiedeva che, previa declaratoria
della denunciata simulazione, fosse accertato il suo diritto di ri
scatto, con ogni pronuncia conseguenziale. I convenuti si costituivano eccependo preliminarmente l'incom
petenza del pretore e la decadenza dalla domanda, di cui comun
que chiedevano il rigetto del merito.
Con sentenza non definitiva del 30 ottobre 1981, il pretore adi
to dichiarava la simulazione della permuta e, quindi, la validità
del riscatto; nel prosieguo, subentrato l'erede Luca Pantani alla
defunta Guidotti ed espletata consulenza tecnica d'ufficio per la
determinazione del prezzo, con sentenza definitiva dell'8 maggio 1982 lo stesso pretore dichiarava il trasferimento della proprietà del podere Cappella Prima al prezzo di lire 14.700.000, da versar
si entro tre mesi dal dispositivo, e condannava i convenuti al pa
gamento delle spese giudiziali. Ambedue le pronunce venivano separatamente impugnate dal
Pantani e dal Di Leo, in via principale e per motivi in larga parte
analoghi, nonché dal Falciani in via incidentale con riguardo al
termine per il pagamento del prezzo alla stregua della 1. n. 2
del 1979. Riuniti i gravami, con sentenza 21 marzo 1983 il Tribu
nale di Firenze rigettava quelli proposti dal Pantani e dal Di Leo — condannandoli in solido a pagare le ulteriori spese processuali — ed accoglieva quello del Falciani, fissando la decorrenza del
termine per il pagamento del prezzo dal passaggio in giudicato della sentenza.
Riteneva il giudice dell'appello, per quanto ancora rileva nel
Sulla base di tali principi la sentenza in rassegna conclude che «l'ade sione del terzo retrattato ha rilevanza esclusivamente al fine della decor renza del termine per il pagamento del prezzo» (non in rapporto alla idoneità della dichiarazione stragiudiziale a produrre l'effetto suo pro prio), cosi interpretando la 1. n. 2 del 1979 (ritenuta legittima da Corte cost. 13 febbraio 1985, n. 36, id., 1986, I, 638, con nota di D. Bellan tuono, e Ross. dir. civ., 1986, 447, con nota di Guerrera) che ha fissato il termine per il pagamento del prezzo «dalla comunicazione scritta del l'adesione del terzo acquirente, o successivo avente causa, dalla dichiara zione di riscatto, oppure, ove sorga contestazione, dal passaggio in giudi cato della sentenza che riconosce il diritto» (cfr., in tal senso, Casarot to, La prelazione agraria. Lineamenti dell'istituto. Diritto e giurisprudenza, Cedam, Padova, 1980, 333. Vedi però Cass. 29 novembre 1985, n. 5927, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 192 e Giur. agr. it., 1986, 159, con nota di Triola, secondo la quale il rimborso tempestivo del prezzo di
acquisto è una condizione di esistenza del diritto potestativo, la cui man canza lo elimina ab origine, e non prestazione corrispettiva dell'effetto
reale). In dottrina, nel senso che l'estinzione del processo non travolge il ri
scatto esercitato con la notifica della citazione, in quanto l'inefficacia ex art. 310 c.p.c. non si estende agli effetti sostanziali prodotti da tale
atto, cfr. R. Triola, La prelazione agraria, Giuffrè, Milano, 1984, 149. Per quanto infine concerne il problema degli effetti dell'estinzione del
processo quando l'atto richiesto per impedire la decadenza consista sol tanto nella proposizione di un'azione giudiziale, si ricorda che, a fronte di un ormai consolidato orientamento che afferma il venir meno dell'ef fetto impeditivo della decadenza (cfr., oltre a Cass. 4214/80, cit., Cass. 19 aprile 1982, n. 2407, Giust. civ., 1982, I, 2359 e, nella motivazione, Foro it., 1982, I, 2241), una recente dottrina sostiene l'efficacia impediti va della citazione ancorché seguita dall'estinzione del processo (cfr. F.
Rosselli-P.Vitucci, La prescrizione e la decadenza, in Trattato diretto da Rescigno, Utet, Torino, 1985, 494). Per una panoramica sulle varie
posizioni espresse in materia da dottrina e giurisprudenza, cfr. C. Ruper
to, Prescrizione e decadenza, cit., 701 ss.
Il Foro Italiano — 1989.
presente giudizio: che la domanda di riscatto di cui al ricorso
11 luglio 1974 manteneva la sua efficacia sostanziale indipenden temente dall'estinzione del conseguente giudizio; che al contratto
di permuta del luglio 1973 doveva riconoscersi natura di vera e
propria compravendita; che l'ultimo comma dell'art. 7 1. n. 817
del 1971 consentiva lo scorporo del podere condotto a mezzadria
dal Falciani di cui il ctu aveva correttamente calcolato il valore; che sussistevano tutti gli altri requisiti per l'esercizio del riscatto.
Avverso la suddetta sentenza ricorrono per cassazione, con atti
separati, il Di Leo ed il Pantani, deducendo ciascuno tre motivi
di censura in parte comuni, ai quali resiste il Falciani con contro
ricorso. I ricorrenti depositano anche memorie illustrative.
Motivi della decisione. — Va preliminarmente disposta la riu
nione dei ricorsi 1413/84 e 2033/84, proposti rispettivamente dal
Di Leo e dal Pantani, siccome riguardanti la stessa sentenza, ai
sensi dell'art. 335 c.p.c. I due gravami, d'altronde, oltre ad una
connessione formale, ne hanno anche una sostanziale, in quanto, come si vedrà, proprio del ricorso Di Leo, è solo il primo motivo
con il quale, denunciando la violazione e la falsa applicazione
degli art. 2964, 2967 c.c., 310 c.p.c. in relazione all'art. 8, 5°
comma, 1. n. 590 del 1965 nonché vizio di motivazione su un
punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), sostanzialmente si imputa all'impugnata sentenza di non avere
rilevato la decadenza del Falciani dal diritto di riscatto (e conse
guente improcedibilità della domanda) perché il precedente giudi zio era stato dichiarato estinto con sentenza passata in giudicato e la successiva richiesta di riscatto era stata proposta ben oltre
l'anno dalla trascrizione dell'atto di vendita.
La censura non può ritenersi fondata, ma, al riguardo, non
sembra sufficiente ribadire che in materia di riscatto agrario, ove
il coltivatore, entro il termine decadenziale previsto dalla legge, abbia dichiarato di voler esercitare il riscatto mediante notifica
di un atto di citazione contenente tale manifestazione di volontà, la successiva estinzione del processo non toglie efficacia alla di
chiarazione medesima, avente natura sostanziale, e non produce
conseguentemente alcuna decadenza dal diritto di retratto (Cass. n. 770/79, Foro it., Rep. 1979, voce Agricoltura, n. 202). Infatti,
questa stessa sezione, riaffrontando il problema alla luce della
sopravvenuta 1. 8 gennaio 1979 n. 2 — che costituisce interpreta zione autentica della 1. n. 590 del 1965 — e rilevando che l'eserci
zio del diritto di retratto può essere realizzato sia in sede giudi ziale che in sede stragiudiziale (mediante l'adesione del terzo ac
quirente o del suo avente causa alla dichiarazione del retraente), restando comunque soggetto al termine perentorio di un anno
dalla trascrizione dell'atto di acquisto, è pervenuta alla conclu
sione che, ove in mancanza dell'adesione del terzo acquirente, l'avente diritto abbia proposto domanda giudiziale, la decadenza — non impedita in via stragiudiziale per la mancata manifesta
zione adesiva del terzo indispensabile per la realizzazione della
correlativa fattispecie legale — è impedita dal giudizio fino alla positiva pronuncia di merito, ma si verifica inevitabilmente nel
caso di estinzione del processo, che rende inefficaci tutti gli atti
processuali compiuti (Cass. 4214/80, id., 1981, I, 128). Afferma
zione, quest'ultima, che trova il suo fondamento, oltre che in
una particolare interpretazione della portata della 1. n. 2 del 1979, nella correlata affermazione, rinvenibile nella stessa sentenza, che la proposizione della domanda giudiziale vada annoverata tra le cause impeditive della decadenza, non in quanto costituisca una manifestazione di volontà negoziale, ma in quanto instaura un
rapporto processuale, il cui esito naturale è rappresentato da una
pronuncia di merito; cosicché la sopravvenuta estinzione del pro
cesso, pur non essendo incompatibile con il nuovo esercizio del
l'azione, rende inefficaci tutti gli atti processuali compiuti, com
preso l'atto introduttivo della lite, al quale non può essere attri buito alcun effetto processuale o sostanziale e, quindi, neppure
quello di impedire la decadenza del diritto dedotto in giudizio, non rilevando, in contrario, l'art. 2967 c.c., in base al quale, «nei casi in cui la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni che regolano la prescrizione», giacché tale nor
ma si riferisce non all'ipotesi (dell'estinzione del processo) rego lata dal 2° comma dell'art. 310 c.p.c., ma a quella in cui la deca denza può essere impedita dal compimento di un atto stragiudi ziale (Cass. n. 4214/80, cit.).
Chiariti cosi i termini del contrasto, non sembra, ad un ulterio
re approfondimento, che il più recente orientamento possa essere
accolto, proprio perché non appaiono condivisibili le affermazio ni che lo presuppongono. Al riguardo, va ricordato, da un lato,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che in linea generale la decadenza può essere impedita solo me
diante il compimento di un atto determinato, non suscettibile di
equipollenti, la cui operatività deve persistere durante tutto l'iter
necessario al conseguimento dello scopo che gli è proprio: ne con
segue che la tempestiva proposizione della domanda giudiziale non deve ritenersi idonea a conseguire l'effetto impeditivo della
decadenza se il processo sia dichiarato estinto solo ove l'atto ri
chiesto per impedirla consista proprio ed esclusivamente nell'e
sercizio di un'azione (conf. Cass. 2339/82, id., Rep. 1982, voce
Prescrizione e decadenza, n. 192 e 2407/82, id., 1982, I, 2241, nonché 61/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 118, malgrado la mas
sima tratta da quest'ultima possa suscitare qualche perplessità). Ma anche nella citata sentenza 4214/80 si riconosce — né poteva essere altrimenti — che l'esercizio del diritto di retratto può avve
nire anche in via stragiudiziale; solo che in questo caso, ad inte
grare validamente la fattispecie legale, la medesima pronuncia ri
chiede l'adesione del retrattato. Neppure questa considerazione
sembra peraltro condivisibile. Infatti costituiscono ostacolo in
sormontabile l'ormai consolidata costruzione, da parte di questa corte regolatrice, del diritto di riscatto come diritto potestativo che si realizza con la mera dichiarazione di volontà del retraente, avente efficacia costitutiva, alla quale il retrattato rimane sogget
to, cosicché l'eventuale pronuncia giudiziale ha natura esclusiva
mente dichiarativa; nonché l'altro insegnamento, secondo cui l'atto
introduttivo del processo, sottoscritto dal solo procuratore, è di
rettamente riferibile alla parte anche laddove contiene una mani
festazione di volontà negoziale quale la dichiarazione di riscatto,
per effetto della procura speciale alla lite rilasciata a margine od
in calce all'atto medesimo, in quanto con la sottoscrizione della
procura la parte fa proprio il contenuto dell'atto. Se ne deve con
cludere che anche dopo la 1. n. 2 del 1979 il diritto di riscatto
agrario può esercitarsi con atto stragiudiziale e che in tale ipotesi l'adesione del terzo retrattato ha rilevanza esclusivamente al fine
della decorrenza del termine per il pagamento del prezzo; con
l'ulteriore conseguenza che, ove tale diritto venga esercitato con
domanda giudiziale, quest'ultima assume anche valore di manife
stazione di volontà negoziale che non viene travolta dalla succes
siva estinzione del processo e mantiene efficacia impeditiva della
decadenza dal suddetto diritto di retratto. Questa corte non si
nasconde le conseguenze pratiche di siffatta affermazione, com
portante un eccessivo appesantimento della posizione processuale del terzo (e dei successivi aventi causa) che rimane esposto, mal
grado l'inerzia processuale del titolare del diritto di retratto, al
termine prescrizionale decennale ex art. 2967 c.c., superabile solo
con l'onere, a suo carico, di proporre azione di accertamento
negativo. Ma, pur auspicando un ulteriore intervento legislativo in materia, non sembra possibile discostarsi dall'impostazione tra
dizionale dell'istituto de quo, che, ripetesi, la 1. n. 2 del 1979
non ha modificato (ed infatti detta legge parla tuttora di «senten
za che riconosce il diritto»). L'eccezione di improcedibiltà deve, pertanto, ritenersi infonda
ta ed il primo motivo del ricorso Di Leo va respinto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 febbraio
1989, n. 822; Pres. Chiavelli, Est. Aliberti, P.M. Martone
(conci, conf.); Soc. Montefluos e altro (Aw. Salvucci) c. Sin
quadri - Sindacato nazionale quadri industria (Avv. Mazzani).
Conferma Trìb. Venezia 7 aprile 1986.
Sindacati — Contributi sindacali — Sindacato non firmatario del l'accordo collettivo applicato in azienda e designato alla riscos
sione — Diritto alla riscossione mediante trattenuta — Viola zione — Comportamento antisindacale e inadempimento con
trattuale (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'at tività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento,
art. 26, 28).
Oltre che inadempimento del datore, da cui scaturisce il diritto
del lavoratore ad agire ex art. 26, 3° comma, l. n. 300 del
1970, l'inottemperanza all'obbligo di versamento dei contributi
sindacali in favore dell'associazione indicata dal lavoratore stes
II Foro Italiano — 1989.
so, quando non vi siano contratti collettivi o quando si sia
in presenza di sindacato non firmatario di essi, costituisce com
portamento antisindacale, denunciatile ex art. 28 I. 300/70 dal
l'associazione sindacale. (1)
Motivi della decisione. — Le ricorrenti società denunziano con
il primo mezzo violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n.
3, c.p.c., dell'art. 26, 2° comma, 1. 300/70, in relazione all'art.
68 ccnl 23 luglio 1979 per i lavoratori addetti all'industria chimi
ca, deducendo che ex art. 26, 2° comma, alle sole associazioni
sindacali che hanno stipulato il ccnl la legge attribuisce il diritto
soggettivo, ex art. 28, a sentire dichiarare giudizialmente la con
dotta antisindacale nel caso di datore di lavoro inadempiente, mentre rispetto al 3° comma dello stesso art. 26 tale diritto sog
gettivo spetta ai singoli lavoratori richiedenti, ex art. 414 c.p.c. Con il secondo motivo denunziano omessa e/o insufficiente mo
tivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360, n.
5, c.p.c. Afferma non essere condivisibile che quando la legge riconosce
un particolare diritto soggettivo al lavoratore, lo stesso diritto
spetta anche al sindacato e ciò in virtù della libertà di organizza zione sindacale ex art. 39 Cost.
La corte osserva che, in sostanza, la questione in esame è quel la se il giudice possa ordinare al datore di lavoro il versamento
dei contributi sindacali, da trattenere sulle retribuzioni dei lavo
ratori, in favore di un'associazione sindacale, che non sia firma
taria di alcun contratto collettivo: tale è la fattispecie in esame, in cui il resistente non aveva firmato alcun contratto collettivo,
fattispecie nella quale, inoltre, a favore del predetto, settantatre
lavoratori avevano rilasciato deleghe per la trattenuta mensile,
deleghe restituite al Sinquadri da parte datoriale, come risulta
dall'accertamento di fatto contenuto nell'impugnata sentenza.
L'art. 26 1. 20 maggio 1970 n. 300, intitolato «contributi sinda
cali», cosi recita:
«I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolge re opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali al
l'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svol
gimento dell'attività aziendale.
«Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di perce
pire, tramite ritenuta sul salario, i contributi sindacali che i lavo
ratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti
collettivi di lavoro, che garantiscano la segretezza del versamento
effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale.
«Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato dai contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versa
mento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata».
La corte ricorda, poi, una propria pronunzia (3778/86, Foro
it., 1986, I, 2456) con la quale ha ritenuto che il Sinquadri non
aveva il diritto soggettivo di chiedere il versamento dei contributi
sindacali perché tale associazione sindacale non era firmataria di
alcun contratto collettivo.
(1) Cfr., in senso conforme, Pret. Milano 28 gennaio 1988, Foro it..
Rep. 1988, voce Sindacati, n. 164. Sul diverso, ma connesso problema della sussistenza del diritto delle
organizzazioni sindacali non firmatarie dei contratti collettivi applicati in azienda alla trattenuta diretta dei contributi degli aderenti ex art. 26, 2° comma, 1. n. 300 del 1970, cfr. in senso negativo, Cass. 6 giugno
1986, n. 3778, id., 1986, I, 2455, con nota di riferimenti e nota, su diver
so profilo, di L. de Angelis, Riflessioni minime sull'art. 6 della legge
per i quadri; in senso positivo, cfr., invece, Pret. Milano 10 giugno 1988,
id., 1989, I, 1649, con nota di richiami. Per fattispecie varie in tema di riscossione dei contributi sindacali, cfr.
Pret. Milano 23 ottobre 1987, Pret. Albenga 5 maggio 1988, Pret. Firen
ze 2 maggio 1988, id., Rep. 1988, voce cit., nn. 78, 137, 163.
Corte cost. 24 marzo 1988, n. 334, id., 1988, I, 1774, con nota di
richiami e nota di R. Greco, Sindacato confederale e sindacato di me
stiere: verso una diversificazione dei modelli di rappresentanza, ha di
chiarato infondata la questione di costituzionalità dell'art. 2, 1° comma, 1. n. 852 del 1973, sollevata in riferimento agli art. 3 e 39, 1° comma,
Cost., nella parte in cui prevede che il diritto di riscuotere i contributi
associativi versati dai lavoratori agricoli spetti soltanto alle federazioni
di categoria aderenti alle confederazioni sindacali a carattere nazionale
rappresentate nel Cnel.
Sulla natura chirografaria del credito delle associazioni sindacali, nei
confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, relativo a contributi di
cui all'art. 26, 2° comma, 1. 300/70, cfr. Cass. 7 febbraio 1989, n. 761,
id., 1989, 1, 1837, con nota di richiami.
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