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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || Sezione III civile; sentenza 22 settembre...

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Sezione III civile; sentenza 22 settembre 1981, n. 5168; Pres. M. Pedroni, Est. Lo Surdo, P. M. Dettori (concl. conf.); Soc. assic. Italica (Avv. Galantini, Ingo) c. Soc. alimentari Sabotino (Avv. Fresa, Perego) e Banca popolare di Milano (Avv. Carbone, Mattioli, P. Stella Richter). Cassa App. Milano 29 maggio 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1982), pp. 103/104-107/108 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176201 . Accessed: 28/06/2014 08:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.44 on Sat, 28 Jun 2014 08:51:42 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III civile; sentenza 22 settembre 1981, n. 5168; Pres. M. Pedroni, Est. Lo Surdo, P. M.Dettori (concl. conf.); Soc. assic. Italica (Avv. Galantini, Ingo) c. Soc. alimentari Sabotino (Avv.Fresa, Perego) e Banca popolare di Milano (Avv. Carbone, Mattioli, P. Stella Richter). Cassa App.Milano 29 maggio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1982), pp. 103/104-107/108Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176201 .

Accessed: 28/06/2014 08:51

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PARTE PRIMA

senza possibilità di risalire all'indietro quand'anche concretamen te si dimostrasse che l'insufficienza del patrimonio era emersa, per taluno dei creditori, in epoca antecedente. Ma neppure in

questa formulazione riduttiva la tesi può essere accolta (cfr. an cora Cass. n. 4415 del 1979, cit.).

Non gioverebbe, invero, a sorreggerla l'orientamento giuris prudenziale che ha definito inscindibile l'azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore della società fal lita (Cass. 3768/78, id., Rep. 1978, voce Fallimento, n. 434; 790/74, id., 1975, I, 429), confortato dalla (peraltro non neces

saria) adesione alla tesi della natura surrogatoria dell'azione ex art. 2394 rispetto a quella ex art. 2393. E, infatti, anche ad ammettere che l'azione ex art. 146 1. fall, presenti carattere uni

tario, non ne consegue automaticamente che detta azione debbi considerarsi come sorta ex novo in capo al curatore medesimo, con decorrenza dalla data della dichiarazione di fallimento, qua le fonte di attribuzione del relativo potere processuale. In effetti, a prescindere dalla autonomia dell'azione ex art. 2394 rispetto a quella ex art. 2393 c. c., l'art. 146 1. fall, nel consentire al cu

ratore, in caso di fallimento della società, di agire contro gli amministratori « a norma degli art. 2393 e 2394 c. c. » conferma se non, come pure si è sostenuto, che le due azioni trapassano mantenendo ciascuna la propria individualità, che un « trapasso » vi è stato e che quindi al curatore si trasferiscono (unitaria mente o meno non occorre stabilire nella limitata prospettiva dell'indagine) quelle stesse azioni che già sarebbe stato possibile esercitare in precedenza.

L'assunto dell'acquisto a titolo originario dell'azione in capo al curatore, del resto, contrasta anche con l'art. 2394, 3° com

ma, c. c. il quale stabilisce che nel caso di fallimento l'azione

spetta al curatore del fallimento, intendendo chiaramente rife rirsi al trapasso obbligato dell'azione dal creditore, non più legittimato (cfr. Cass. 192/62, id., Rep. 1962, voce Società, n.

201), al curatore al quale parallelamente si trasmette l'azione so

ciale, come effetto dell'acquisizione al fallimento di beni del fallito (ex art. 42 e 43 1. fall.).

Del resto, a ben vedere, il connotato unitario dell'azione dei

curatore, comprensiva non soltanto delle ipotesi di cui all'ari

2394, ma anche di quelle di cui all'art. 2393 c. c. giova per ag ganciare la norma dell'art. 2394, 2° comma, anche nell'ipotesi di

responsabilità degli amministratori verso le società, mentre nel caso in esame, in cui pacificamente si fa valere la responsabilità degli amministratori medesimi verso i creditori sociali, il di scorso ritorna al problema di interpretazione del suddetto com

ma dell'art. 2394, che viene risolto, dalla prevalente giurispru denza e dottrina, nel senso che il termine prescrizionale decorre solo dal momento in cui risulti l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori, ponendosi tale insuffi cienza (più grave della mera insolvenza) come condizione per il fruttuoso esperimento dell'azione che deve essere puntualmen te provata (Cass. 441/66, id., Rep. 1966, voce cit., n. 235), e non potendo avvalersi i creditori sociali della disposizione sulla

sospensione della prescrizione ex art. 2941, n. 7, c. c.

9. - Raccogliendo le file del discorso sin qui condotto, e fa cendone applicazione alla situazione di specie, deve ribadirsi che la prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità dei creditori sociali, o del curatore del fallimento della società, contro gli amministratori ed i sindaci non decorre dal momento della commissione dei fatti integrativi in tale responsabilità, ma dal successivo momento in cui si verifica l'evento dannoso della insufficienza del patrimonio della società (Cass. 2671/77, id.. Rep. 1977, voce cit., n. 238) non coincidente necessariamente, nel caso di esercizio dell'azione da parte del curatore ex art. 146 1. fall., con la dichiarazione del fallimento, per una sorta di novazione dell'azione in capo al curatore, cui invece si tra smettono le azioni previste dal codice civile restando operante il 2° comma dell'art. 2394, e non potendo identificarsi l'inade

guatezza patrimoniale con l'insolvenza che è a base del falli mento medesimo, il quale pertanto non segna sempre il dies a

quo del termine prescrizionale che può essere spostato, alla stre

gua delle risultanze, o in avanti oppure all'indietro (ma sem

pre in un momento successivo a quello della commissione del fatto illecito).

Ne consegue che l'insufficienza patrimoniale potrebbe farsi in astratto risalire ad un momento anteriore a quello della dichia razione di fallimento, purché si provi che tutti i creditori ab biano infruttuosamente escusso il patrimonio sociale, prima di tale data; ma è certo che tale momento non potrebbe mai es sere ricollegato alla commissione del fatto illecito che non de termina di per sé il danno, il quale dipende dalla attitudine del fatto medesimo, verificabile solo ex intervallo di provocare l'ina

deguatezza patrimoniale, emergente attraverso un raffronto che

non può avere come termine di paragone il capitale sociale, unico dato già precostituito, ma il patrimonio (che è ben distinto dal capitale); e la determinazione della consistenza di esso ri chiede spesso apposite e non agevoli verifiche che debbono sfo ciare nella constatazione della postulata e condizionante inade

guatezza. Nel caso di specie, ferma la erroneità della tesi giuridica che

pretende di riallacciare il dies a quo al compimento dell'atto il

lecito, la motivazione della sentenza impugnata resiste alle cri tiche che le vengono mosse, giacché non ha postulato in linea di massima, e con enunciazione di carattere assoluto, che tale termine iniziale debba coincidere solo e sempre con la data del fallimento (enunciazione sicuramente errata alla stregua delle considerazioni che si sono venute svolgendo), ma ha operato un accertamento di fatto concessivo, rilevando che la insuffi cienza del patrimonio non si sarebbe potuto evidenziare prima di quella data, dovendosi anzi, più esattamente, far riferimento ai successivi accertamenti del curatore, sottolineando che tale

impostazione bastava per escludere il decorso della prescrizione. A questo apprezzamento di fatto, incensurabile in quanto diret to a puntualizzare la concreta decorrenza del termine prescri zionale (Cass. 2292/74, id., Rep. 1974, voce Prescrizione civ., n. 62; 1622/72, id., Rep. 1972, voce cit., n. 10), il ricorrente non

contrappone altro termine se non quello del compimento degli atti illeciti, assolutamente non utilizzabile per il fine perseguito.

Conclusivamente il motivo deve essere disatteso. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 22 set tembre 1981, n. 5168; Pres. M. Pedroni, Est. Lo Surdo, P.M. Dettori (conci, conf.); Soc. assic. Italica (Avv. Galantini, Ingo) c. Soc. alimentari Sabotino (Avv. Fresa, Perego) e Ban ca popolare di Milano (Avv. Carbone, Mattioli, P. Stella Richter). Cassa App. Milano 29 maggio 1979.

Contratto in genere — Risoluzione — Presupposizione — Con tratto di locazione — Effetti (Cod. civ., art. 1360, 1458).

Nel caso di risoluzione di un contratto di locazione (nella spe cie, per il venir meno del presupposto rilascio della licenza dì commercio), il conduttore non ha diritto alla restituzione dei canoni versati per il periodo in cui ha detenuto l'immobile. (1)

(1) Non constano precedenti specifici; ma il rationale cui s'ispira la massima può considerarsi pacifico (confortato com'è da indici nor mativi quali gli art. 1360 e 1458 c. c.). Cosi, in caso di risoluzione per inadempimento di un contratto ad esecuzione continuata, il debi tore non può liberarsi dall'obbligo di adempiere le obbligazioni rela tive al periodo non toccato dalla retroattività della risoluzione offrendo di restituire la controprestazione (Cass. 20 ottobre 1979, n. 5462, Foro it., Rep. 1979, voce Contratto in genere, n. 308); e il fatto che la risoluzione di un contratto di locazione sia pronunciata per colpa del locatore non incide sul diritto di quest'ultimo a percepire il canone per il periodo in cui la controparte ha goduto del bene (Cass. 26 ottobre 1966, n. 2632, id., 1967, I, 1257, con nota di richiami). Cfr. anche Cass. 5 aprile 1976, n. 1197, id., Rep. 1976, voce Contratti della p. a., n. 74, che, nel caso di annullamento di uno degli atti del procedimento amministrativo diretto alla stipula di un contratto di evidenza pubblica, fa salve le prestazioni già eseguite alla data dell'annullamento dell'atto; nonché Cass. 9 novembre 1977, n. 4818, id., Rep. 1977, voce Appalto, n. 46, che, pur rimarcando come l'ap palto in genere non possa esser considerato contratto di durata, afferma che per particolari fattispecie, ad es. l'appalto di manuten zione o servizi, si debba far propria la regola della salvezza delle prestazioni già eseguite (Cass. 26 maggio 1971, n. 1566, id., 1971, I, 2808, specifica in motivazione che prestazioni già eseguite sono quelle con cui il debitore ha pienamente soddisfatto le ragioni del creditore).

Per quel che riguarda l'estensione della categoria dei contratti cui si applica la seconda parte dell'art. 1458, 1° comma, v. in dottrina Preite, La risoluzione per inadempimento nei contratti ad esecu zione continuata o periodica (nota ad App. Milano 17 giugno 1977, id., Rep. 1979, voce Contratto in genere, n. 309), in Foro pad., 1978, I, 395, secondo il quale la norma in parola si applica anche ai con tratti a consegne ripartite, con la sola esclusione di quelli in cui il creditore ha interesse alla prestazione solo se l'adempimento del de bitore è integrale.

L'effetto della sentenza di risoluzione è di togliere valore alla causa dell'attribuzione patrimoniale (beninteso, dal momento in cui la risoluzione spiega il suo effetto). Ma, mentre per alcune sentenze il carattere costitutivo della pronunzia non impedisce la retrodata zione degli effetti per quel che riguarda gli obblighi restitutori (Cass. 15 marzo 1972, n. 756, Foro it., Rep. 1972, voce cit., n. 343, e 6 ottobre 1970, n. 1803, id., 1970, I, 2746, che fanno decorrere gli in teressi sulle somme ricevute dal momento della consegna), per altre

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con citazione del 26 maggio 1970

la s.r.l. alimentari Sabotino, che conduceva in locazione un im

mobile sito in Milano al viale Sabotino 19 in forza di contratto

stipulato per nove anni con la società Generale immobiliare di

pubblica utilità ed agricola, alla quale era succeduta per acquisto inter vivos la s.p.a. Italica assicurazioni e riassicurazioni, conve

niva quest'ultima dinanzi al Tribunale di Milano perché, accertato

il carattere essenziale tra le parti della destinazione dell'immo

bile ad esercizio di attività commerciale di supermercato, e sta

bilito che tale destinazione era divenuta inattuabile a causa del

rifiuto definitivo della licenza comunale, il giudice adito dichia

rasse risoluto il contratto con effetto ex tunc, essendo venuto me

no l'evento presupposto (rilascio della licenza), e condannasse la

locatrice alla restituzione dei canoni già versati e non più dovuti

e dichiarasse, altresì', risoluta la fideiussione prestata dalla Banca

popolare di Milano a garanzia degli adempimenti di essa loca

taria. E a tale scopo chiamava in giudizio l'istituto di credito

per le opportune pronunce. Nelle more di detto giudizio, la s.p.a. Italica chiedeva ed otte

neva, in data 23 settembre 1970, decreto ingiuntivo di pagamento di lire 5.256.675 relativamente ai canoni ed accessori dal 29 di

cembre 1969 al 29 marzo 1970 e contro il provvedimento propo neva rituale opposizione la Alimentari Sabotino.

Costituitosi il contraddittorio e riuniti i procedimenti, il tri

bunale accoglieva tutte le domande e revocava il decreto in

giuntivo.

Proponeva appello la soc. Italica, ma la corte di Milano la di

chiarava inammissibile.

Questa corte, investita con ricorso proposto dalla locatrice,

ritenendo ammissibile il gravame cassava la decisione impugnata

con rinvio della causa ad altra sezione della corte milanese.

Con atto 18 settembre 1977 la soc. Italica riassumeva il

giudizio. Si costituivano la Sabotino e la Banca popolare di Milano;

la prima resisteva all'appello, la seconda si rimetteva alle decisioni

della corte dichiarandosi estranea alla controversia.

Con la sentenza 29 maggio 1979, ora impugnata, la corte di

chiarava risoluta la locazione ai sensi del combinato disposto

degli art. 1256, 1372 e 1463 c. c. e, di conseguenza, dichiarava

risolta anche la fideiussione. In accoglimento dell'opposizione a

ciò comporta che detti obblighi sorgano solo dalla data della pronunzia

(Cass. 11 febbraio 1980, n. 1192, id., Rep. 1980, voce cit., n. 292; 20 maggio 1976, n. 1815, id., Rep. 1977, voce cit., n. 283; 29 no

vembre 1973, n. 3291, id., Rep. 1973, voce cit., n. 223; 13 gennaio 1972, n. 106, id., Rep. 1972, voce cit., n. 346); Cass. 4 luglio 1969, n. 2456, id., 1970, I, 560, con nota di richiami, che, in un caso di

risoluzione di un contratto di appalto intervenuta quando già una

parte delle opere era stata eseguita, riconosce all'appaltatore il di

ritto al corrispettivo, calcolato non sui prezzi contrattuali ma secondo

il valore delle opere al momento della sentenza. Si veda inoltre App.

Napoli 13 maggio 1969, id., Rep. 1969, voce cit., n. 399, a cui dire la sentenza è retroattiva per le restituzioni, ma spiega i suoi effetti

solo dalla data della decisione per quel che inerisce ai frutti naturali e civili prodotti dalla cosa da restituire.

Secondo la giurisprudenza dominante, la declaratoria di risoluzione,

pur importando l'obbligo di restituzione, non autorizza il giudice ad

emettere i provvedimenti restitutori senza la richiesta della parte interessata: Cass. 17 maggio 1977, n. 2520, id., Rep. 1977, voce cit., n. 282; 3 novembre 1976, n. 3991, id., Rep. 1976, voce cit., n. 281; 18 febbraio 1972, n. 465, id., Rep. 1972, voce cit., n. 345; 9 ottobre

1971, n. 2790, id., Rep. 1971, voce cit., n. 422; 12 luglio 1968, n. 2484,

id., Rep. 1968, voce cit., n. 348. Sulla rilevanza e sui requisiti della presupposizione, v. Cass. 24 gen

naio 1980, n. 588, id., Rep. 1980, voce cit., n. 102; 8 luglio 1978, n. 3864, id., Rep. 1978, voce cit., n. 131; 10 dicembre 1976, n. 4601,

id., Rep. 1977, voce cit., n. 136; Trib. Bologna 4 dicembre 1975, ibid., n. 138; 19 aprile 1974, n. 1080, id., 1975, I, 968, che concordano nel

qualificare questa figura come un presupposto comune alle parti, la

cui verificazione è indipendente dalla loro volontà. Alcune pronunzie la riportano nell'ambito dell'eccessiva onerosità sopravvenuta: Cass. 17 maggio 1976, n. 1738, id., 1977, I, 2339, con nota di Sinesio;

App. Milano 9 giugno 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 186. Sfondando la proverbiale porta aperta, Cass. 22 novembre 1978, n. 5469, id., Rep. 1978, voce cit., n. 130, insegna che non si può risolvere il con tratto per il venir meno dell'evento presupposto, se le parti hanno

previsto e regolamentato questo caso. La dottrina ha mostrato vivacissimo interesse per il tema della

«condizione non svolta». Fra gli scritti più recenti, si segnalano Bessone, Rilevanza della presupposizione, le teorie di Windscheid e

Oertmann, gli « obiter dicta » della giurisprudenza, in Foro it., 1978,

V, 281 (nonché La finzione delle presupposizioni comuni ad entrambi i contraenti e gli « obiter » della giurisprudenza, in Riv. dir. comm., 1978, I, 355); Cassottana, Presupposizione e rischio contrattuale negli orientamenti di dottrina e giurisprudenza, id., 1977, II, 341; Pellicanò, Destinazione dello scambio e presupposizione, in Giur. it., 1977, I, 2,

361; De Paolo, Criteri di interpretazione del contratto e orientamenti in tema di presupposizione, in Giur. merito, 1973, I, 62.

decreto ingiuntivo lo revocava confermando la condanna della

locatrice alla restituzione ab origine delle rate di canoni perce

pite. Per quanto tuttora è in discussione, osservava la corte di con

venire con la tesi della locatrice secondo cui le parti contraenti ave

vano sottointeso che la licenza comunale costituisse il presuppo sto del contratto. Ma rileva che da tale premessa non potevano

derivare le conclusioni auspicate dalla locatrice stessa, la quale

aveva dedotto che durante le trattative e sino alla stipula la vo

lontà negoziale non era stata convergente su questo aspetto, at

teso che la conduttrice aveva solo maturato un'aspettativa ad

ottenere la licenza de qua, laddove essa locatrice era invece con

vinta che la Sabotino avesse già conseguito l'autorizzazione co

munale. Sottolineava, in proposito, che dal contesto del contratto

e dalla condotta delle parti si evinceva la « comune » consape

volezza che la licenza commerciale non era stata ancora rilascia

ta sia durante la fase delle trattative che successivamente, di

guisa che era lecito concludere che sull'evento-presupposto e con

dizionante l'efficacia della locazione la volontà negoziale fosse

convergente ed univoca. Ne conseguiva che era indubbio che il

contratto de quo risultasse implicitamente condizionato al rila

scio della licenza amministrativa e che, nella specie, la presuppo

sizione operasse quale elemento cui era subordinato lo sviluppo

futuro della locazione, non essendo accettabili le tesi sostenute

dalla locatrice la quale aveva tentato di separare la sua posi

zione da quella della locataria sul punto dell'esistenza nella co

mune rappresentazione di essi contraenti, all'atto della conclusio

ne di negozio, circa il possesso o meno della suddetta licenza.

Rigettate le prove hinc et inde dedotte e accertato in punto di

fatto e in contrasto con le affermazioni della Sabotino che la de

tenzione dell'immobile da parte dell'appellata si era protratta

sino al 14 gennaio 1971, come da verbale di consegna alla soc.

Italica allegato agli atti, il giudice di appello affermava testual

mente che correttamente i primi giudici avevano deciso « sta

tuendo lo scioglimento del contratto con una declaratoria di ri

soluzione che, riportata alla fattispecie di cui agli art. 1256 e

1453 c.c. — sopravvenuta impossibilità della prestazione, estin

zione dell'obbligazione, non richiedibilità della controprestazio

ne —, ricalca, in definitiva, la previsione della norma dell'art. 1372

c. c. ed opera ex tunc, non subendo le remore stabilite per i con

tratti ad esecuzione continuata e periodica dall'art. 1458 c. c.,

male invocato nel caso in cui non si controverte in materia di

risoluzione per inadempimento ». Concludeva quindi che l'adot

tata pronuncia travolgeva il decreto ingiuntivo e i conseguenti

effetti relativamente al pagamento dei canoni alla locatrice.

Avverso questa sentenza la soc. Italica ha proposto ricorso,

illustrato da memoria, affidato ad un motivo di cassazione. Re

sistono con autonomi controricorsi l'Alimentari Sabotino e la

Banca popolare di Milano, la quale si è rimessa alla giustizia

di questa corte.

Motivi della decisione. — Con unico motivo, nel denunciare

omesso esame, contraddittoria e illogica motivazione su punti

decisivi della controversia nonché violazione delle norme di cui

agli art. 1372, 1256 e 1463 c. c., la ricorrente deduce: a) che la

corte di merito, male interpretando la volontà negoziale, avrebbe

ritenuto sussistente la presupposizione ravvisando l'evento pre

supposto nel possesso acquisito o acquisendo della licenza ammi

nistrativa per l'esercizio al dettaglio nell'immobile condotto in

locazione dalla Alimentari Sabotino dell'attività di supermercato

per la vendita di generi alimentari; b) che, infatti, con motiva

zione illogica e carente avrebbe dato peso determinante alla desti

nazione in concreto preveduta nel contratto (art. 1) prescindendo

da qualsiasi indagine in merito alla reale rappresentazione delle

parti all'atto della conclusione del negozio circa il possesso o me

no della suddetta licenza; c) che, ancora erroneamente, avrebbe

considerato che non fosse presumibile che la conduttrice avesse

già conseguito l'autorizzazione all'atto della stipula, talché, se

condo il contrario avviso della ricorrente, l'eventualità del man

cato rilascio, nella specie, costituiva un evento assolutamente

estraneo ad ogni possibile previsione contrattuale di essa loca

trice; d) che l'istituto della presupposizione non era, pertanto,

invocabile, tanto vero che il giudice a quo aveva fatto un defini

tivo ricorso all'impossibilità sopravvenuta della prestazione a nor

ma del combinato disposto degli art. 1372, 1256 e 1463 c.c. ri

solvendo il contratto all'origine con liberazione ex tunc della lo

cataria da ogni obbligo relativo al pagamento dei canoni anche

per il periodo di effettiva detenzione dell'immobile protrattosi

sino al 14 gennaio 1971; e) che, cosi argomentando, la sentenza

impugnata non solo si sarebbe contraddetta con l'impostazione

di fondo data ai fini della risoluzione della lite, ma avrebbe an

che disapplicato il disposto dell'art. 1463 c. c. non considerando

che la norma prevede l'assenza di colpa del debitore e l'obbligo

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PARTE PRIMA

di restituzione della controprestazione ricevuta in funzione del

ripristino della situazione patrimoniale antecedente alla stipula;

/) che si imponeva, sia pure in via analogica, l'applicazione della

regola dettata dagli art. 1360 o 1458 e. c. in tema di risoluzione o inefficacia dei contratti di durata, che fa salve le prestazioni già eseguite.

Il ricorso è fondato per quanto di ragione. Ritiene, anzitutto,

questa corte che non siano giustificate le critiche rivolte alla pro nuncia in punto di carente e contraddittoria motivazione circa

l'esistenza, nella rappresentazione delle parti all'atto della conclu sione del contratto, dell'evento presupposto costituito, nella spe cie, dal possesso acquisendo da parte della locataria della licenza

per l'esercizio della specifica attività commerciale concordata inter

partes nell'art. 1 della scrittura consacrante le clausole del rap

porto locatizio.

Conviene precisare che, secondo i principi enunciati dalla giu

risprudenza e da autorevole dottrina, si ha presupposizione quan do un determinato stato di fatto, comune ad entrambi i contraenti, il cui verificarsi sia indipendente dalla loro volontà e che abbia i caratteri dell'obiettività e certezza, sia sottinteso e deducibile

dal contesto del negozio di cui costituisce il presupposto condi

zionante (c. d. condizione non sviluppata o inespressa). Il venir meno di questo elemento, nel senso che la situazione

rappresentata sia difforme dalle previsioni degli stipulanti, assu

me, quindi, rilievo per l'efficacia del negozio comportandone la

risoluzione ex tunc e distinguendosi, tuttavia, dalla condizione

propria per il fatto che l'evento passato, presente o futuro non

si pone con carattere di incertezza, e sostanzia ragione comune di affidamento sulla realizzazione dell'evento stesso secondo i pa rametri della buona fede (cfr., fra le altre, sent. 1978, n. 5469, Foro

it., Rep. 1978, voce Contratto in genere, n. 130; 1980, n. 588, id.,

Rep. 1980, voce cit., n. 102; 1980, n. 4775, ibid., voce Vendita, n. 125).

È stato, altresì, affermato, sulla scia di una parte della dottri na sul tema, che il negozio fondato sulla presupposizione può essere dichiarato nullo per difetto di causa ove, al momento del la sua conclusione, l'evento presupposto già difettava nella realtà

fenomenica; ovvero risoluto ex tunc quando, invece, venga meno nel corso dell'esecuzione del contratto, nel qual caso, infatti, ri ferendosi l'evento non avveratosi a vicende successive al valido

sorgere del vincolo contrattuale, si tratta di scioglimento e riso luzione del medesimo per causa non imputabile ai contraenti

(cfr. Cass. 1976, n. 1738, id., 1976, I, 2399). In entrambe le ipotesi, per un fondamentale principio equita

tivo del nostro ordinamento, deve provvedersi al riequilibrio del la posizione patrimoniale delle parti ripristinandosi la situazione

precedente al contratto, possibilmente con la restituzione in for ma specifica e, in difetto, con la riparazione mediante un tan tumdem (cfr. Cass. 1976, n. 1738, cit. e 1980, n. 588, cit.).

È appena, infine, il caso di sottolineare che l'indagine volta a

individuare la presupposizione si esaurisce sul piano propria mente esegetico del contratto, e sostanzia, pertanto, accertamen

to riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legitti mità ove sia immune da vizi logici ed errori di diritto e risulti

adeguatamente motivato (v. Cass. 1971, n. 2104, id., Rep. 1971, voce Contratto in genere, n. 443; 1972, n. 2878, id., Rep. 1972, voce cit., n. 200; 1976, n. 1738, cit.).

Precisati questi principi, devesi rilevare che la corte d'appello, attraverso una indagine appropriata e approfondita, ha esatta mente ravvisato l'esistenza della presupposizione in rapporto al rilascio della licenza di commercio alla locataria, sottolineando che tale evento appariva, con carattere di certezza, nella rappre sentazione reale delle parti al momento della conclusione del contratto in argomento.

Ha affermato, a questo proposito, che dal contesto della rela tiva scrittura la situazione inespressa era desumibile dalla emer

gente comune previsione e consapevolezza che l'autorizzazione, all'atto della stipula, non c'era, ma che, nello sviluppo di una situazione in fieri, era dalle medesime considerata certa e attua

bile, tenuto conto, tra l'altro, che il vincolo di destinazione del l'immobile locato coinvolgeva la locatrice interessata (come ri sultava dal contratto) al positivo andamento del commercio e

agli utili dell'impresa. Il che, da un lato, escludeva la tesi espressa dall'Italica che

essa avesse la convinzione che la licenza fosse stata già ottenuta dalla conduttrice e che, quindi, esistesse una divergenza di vo lontà e di rappresentazione rispetto all'evento presupposto, dal

l'altro, asseverava che i contraenti ne davano per certa la veri ficazione sia pure in un arco di tempo non breve in rapporto all'iter amministrativo relativo al rilascio della licenza.

Previsione questa che trovava ulteriore conferma nel fatto che

le parti avevano pattuito un godimento qualificato dei locali

de quibus per un novennio con la convinzione di un sicuro ini

zio dell'attività, e che non si sarebbero esposte, per un cosi lun

go periodo, ai rischi connessi alla dinamica di un rapporto il

quale non avesse presentato sin dall'origine un andamento certa mente favorevole.

Da quanto sin qui detto consegue che la presupposizione, con testata dalla ricorrente nella prima parte del motivo, risulta ac certata mediante una congrua e corretta valutazione di fattori di sicuro valore esegetico, cosicché, la sentenza su questo punto decisivo della controversia si sottrae a censura e va, quindi, con divisa e confermata.

In base ai medesimi principi enunciati sul tema dell'istituto in

esame non può, viceversa, concludersi che la corte di merito ab bia tratto, sul piano giuridico, le esatte conseguenze derivanti dal venir meno dell'accertata presupposizione, e, pertanto, risul tano fondate le critiche mosse dalla ricorrente alla statuizione al

riguardo adottata relativamente agli effetti della risoluzione del contratto.

Per vero, con una deviazione logica e dissociandosi dall'accol ta premessa, la pronuncia impugnata ha ricondotto, tra l'altro

immotivatamente, la fattispecie nel paradigma dell'art. 1463 c. c., e cioè nell'ambito di una sopravvenuta impossibilità della presta zione di cui ha anche violato i criteri informatori in merito agli effetti che la norma postula in tale ipotesi, secondo i quali, co me essa dispone, la parte liberata non può richiedere la contro

prestazione e deve restituire quella che abbia ricevuto secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito.

La corte, infatti, ha risolto il contratto ex tunc, osservando, erroneamente, che siffatta previsione legislativa ricalcava quella dell'art. 1372 c. c. e non subiva le remore stabilite per i con tratti ad esecuzione continuata e periodica dall'art. 1458, e, pre via revoca del decreto ingiuntivo, ha condannato la locatrice a restituire alla locataria i canoni già riscossi, confermando sul

punto la sentenza del tribunale. Con ciò la corte di merito è incorsa nei seguenti errori di di

ritto: a) l'applicazione, tra l'altro in sé errata, come si è visto, della norma sull'impossibilità sopravvenuta della prestazione che non si attaglia alla fattispecie; b) l'omessa considerazione che, ai sensi dei principi accolti dal nostro ordinamento e affermati da questo Supremo collegio, in caso di scioglimento o risoluzio ne ex tunc di contratto per causa non imputabile ai contraenti devesi provvedere al riequilibrio della loro situazione patrimo niale, ripristinandosi quella antecedente alla conclusione del rap porto nel caso in esame caducatosi per il venir meno dell'evento

presupposto dagli stipulanti. E cosi operando il giudice a quo ha fatto gravare esclusiva

mente sulla locatrice gli oneri conseguenti alla dichiarata risolu zione del negozio.

Ne discende che, in dipendenza degli evidenziati errori che hanno determinato la statuizione su indicata, il ricorso va ac colto per quanto di ragione e, annullandosi la sentenza limitata mente agli effetti della risoluzione, la causa deve essere rimessa ad altro giudice che, si atterrà ai principi desumibili dalla sue stesa motivazione e procederà a nuovo esame tenendo conto in particolare: a) che, come risulta dalla denunciata pronuncia, la soc. Sabotino è entrata in possesso dei locali e ne ha avuto la detenzione per un lasso di tempo documentato negli atti proces suali; b) che, essendo la locazione contratto di durata, lo scio glimento di essa, ancorché operante ex tunc, secondo i principi generali desumibili dal sistema (art. 1360, 2° comma, c. c.), non può spiegare effetto riguardo alle prestazioni già eseguite.

Tale giudice si designa in diversa sezione della corte di Mi lano, a cui è opportuno, in base all'esito complessivo della lite, demandare la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di tutte le parti, e cioè anche della Banca popo lare di Milano, rispetto alla quale è stato risolto — con cor retto criterio — il contratto di fideiussione di cui alla lettera

d'impegno 7 ottobre 1969 (punto 2 dispositivo della sentenza), e che si è rimessa al giudizio di questa corte sul ricorso in esame, sia pure contestandone genericamente il fondamento.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 16 set tembre 1981, n. 5130; Pres. A.M. Iannuzzi, Est. Parisi, P.M. Cantagalli (conci, conf.); Iacono (Avv. Dovetto) c. Mattera

(Avv. D'Ambra). Conferma App. Napoli 24 marzo 1979.

Usucapione — Grotta costituente entità autonoma dal sovrastante suolo — Separato acquisto per usucapione — Ammissibilità —

Fattispecie.

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