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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 8 gennaio 1991,...

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sezione III civile; sentenza 8 gennaio 1991, n. 89; Pres. Morsillo, Est. Fiduccia, P.M. Fedeli (concl. conf.); Scuotto (Avv. Antinolfi) c. Scaturchio. Cassa Trib. Napoli 18 giugno 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1991), pp. 1461/1462-1465/1466 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185456 . Accessed: 28/06/2014 09:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.45 on Sat, 28 Jun 2014 09:52:04 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 8 gennaio 1991, n. 89; Pres. Morsillo, Est. Fiduccia, P.M. Fedeli (concl. conf.); Scuotto (Avv.

sezione III civile; sentenza 8 gennaio 1991, n. 89; Pres. Morsillo, Est. Fiduccia, P.M. Fedeli(concl. conf.); Scuotto (Avv. Antinolfi) c. Scaturchio. Cassa Trib. Napoli 18 giugno 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 1461/1462-1465/1466Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185456 .

Accessed: 28/06/2014 09:52

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

E, perciò, la «irreperibilità» che consente il ricorso all'ecce

zionale procedimento descritto nell'art. 140 c.p.c. deve conse

guire alla impossibilità di eseguire la consegna dell'atto al desti

natario non soltanto quando la notificazione non avvenga a mani

proprie o nei luoghi nei quali la legge presume che egli possa essere reperito (art. 139, 1° comma, già citato), ma anche quan do nei suddetti luoghi manchino (nel senso che non esistano) o non si rinvengano (nel senso che non siano presenti) le perso ne che la norma processuale designa come organo idoneo a ga rantire la trasmissione dell'atto, a causa della relazione o del

rapporto, di diritto o di fatto, esistente con il destinatario di esso.

Consegue, quindi, che la notificazione prefigurata, per il caso

che qui interessa, di irreperibilità del destinatario, nell'art. 140

c.p.c., può essere effettuata, come procedimento eccezionale, solamente nei casi in cui sia risultato impossibile eseguirla nei

luoghi e con le modalità previsti negli art. 138 e 139 già citati, le cui prescrizioni disegnano il normale procedimento di notifi

cazione.

Ora, dell'impossibilità di eseguire la notificazione secondo le

regole di carattere generale è necessario che l'organo notificante

faccia constare nell'apposita relata, al fine, appunto, di rendere

palesi le circostanze che giustificano il ricorso all'eccezionale

procedimento di notificazione previsto nell'art. 140 cit., non po tendo la suddetta impossibilità essere desunta, nemmeno per im

plicito, dalla forma di notificazione concretamente adottata dal

l'organo della notificazione: non è, invero, rimessa alla discre

zionalità di tale organo la scelta della forma della notificazione, essendo questa, nel sistema delle regole processuali, legalmente

predisposta in modo da rendere realizzabile la trasmissione del

l'atto al soggetto al quale è diretto e possa, in conseguenza,

raggiungere lo scopo cui è destinato.

E, perciò, ove risulti che la notificazione sia stata eseguita con modalità non giustificate da circostanze implicanti l'impos sibilità di essere effettuata nelle forme di cui agli art. 138 e

139 c.p.c., deve ritenersi — ed è il caso di specie — che l'atto

non ha raggiunto lo scopo, per effetto, appunto, dell'inosser

vanza dell'ordine delle forme di notificazione inderogabilmente stabilite dalla legge al fine precipuo di consentire al suo destina

tario di avere conoscenza dell'atto.

Ne deriva la nullità della notificazione (art. 156, 3° comma, e 160 c.p.c.) non rapportabile al solo fatto che nella relata di

notifica sia omessa l'indicazione analitica delle ragioni atte a

spiegare la forma di notificazione adottata (art. 148, 2° com

ma, c.p.c., il quale in relazione a tale omissione non commina

alcuna nullità: sent. 4298 del 1987, Foro it., Rep. 1989, voce

Notificazione civile, n. 41) ma rapportabile, invece, all'illegale adozione del procedimento notificatorio, risultato improduttivo dell'effetto suo proprio.

Alla stregua delle fatte considerazioni ed in accoglimento del

ricorso della Biani deve quindi dichiararsi, a mente dell'art. 160

c.p.c., la nullità del ricorso con il quale i Solli avevano intro

dotto la lite davanti al Pretore del lavoro di Ceccano e degli atti conseguenziali del processo, in essi comprese le sentenze

di primo e di secondo grado; consegue che la causa, ai sensi

dell'art. 383, 3° comma, c.p.c., va rimessa al Pretore del lavoro

di Ceccano.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 8 gen

naio 1991, n. 89; Pres. Morsdxo, Est. Fiduccia, P.M. Fede

li (conci, conf.); Scuotto (Aw. Antinolfi) c. Scaturchio. Cassa

Trib. Napoli 18 giugno 1985.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Deposito — Applicabilità — Condizioni (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 27).

In caso di locazione di immobile ad uso deposito, è applicabile

la disciplina degli ari. 27 ss. I. 392/78 quando, pur in difetto di un rapporto pertinenziale o di servizio rispetto ad altro

immobile, detto deposito sia in concreto funzionalmente e/o

Il Foro Italiano — 1991.

spazialmente collegato — ancorché per iniziativa del condut

tore — all'esercizio di una delle attività contemplate dal cita

to art. 27, sempre che tale collegamento risulti legittimo alla

luce delle originarie pattuizioni contrattuali o al successivo

comportamento delle parti (come la protratta tolleranza del

locatore). (1)

Svolgimento del processo. — Con atto notificato in data 10

ottobre 1980 Marianna Scaturchio intimava ad Anna Scuotto, conduttrice di un suo locale terraneo, licenza per finita locazio

ne convenendola dinanzi al Pretore di Napoli per la relativa

convalida ed il rilascio di detto immobile.

La Scuotto si opponeva alla convalida sostenendo che il loca

le terraneo era stato locato per uso deposito a servizio dell'atti

vità commerciale, svolta in altro suo vicino immobile, e che

di conseguenza la relativa locazione era da includersi tra quelle

previste al n. 1 dell'art. 27 1. n. 392 del 1978, richiamato dal

successivo art. 67.

Il pretore con sentenza del 14 gennaio 1983 respingeva la do

manda di rilascio dell'immobile locato alla Scuotto, proposta dalla Scaturchio.

Quest'ultima proponeva appello, sostenendo che l'immobile

era stato locato per uso deposito e cosi non era compreso tra

gli immobili adibiti ad uso commerciale e quindi era escluso

dalla regolamentazione ex 1. n. 392 del 1978.

Il Tribunale di Napoli accolgieva l'appello e quindi la do

manda della Scaturchio, ordinando l'immediato rilascio dell'im

mobile alla Scuotto, con sentenza del 18 giugno 1985.

I giudici di appello, dopo aver rilevato che l'immobile in que stione era stato locato per «solo uso di deposito», considerava

no che tali immobili non erano da comprendersi tra quelli adi

biti ad uso commerciale od artigianale — agli effetti della 1.

n. 392 del 1978 — salvo che di per sé ovvero in relazione al

contratto fossero posti a servizio di altro immobile a tali usi

impiegato, cioè fossero pertinenze di tale altro immobile oppure

posti in tale rapporto in modo implicito nel caso di locali dello

stesso proprietario e locati coevemente, o diversamente ne risul

tassero esplicitamente con il contratto, senza che il conduttore

potesse unilateralmente a ciò destinarli.

Quindi i detti giudici osservavano che tale seconda situazione

si era verificata avendo la Scuotto preso in locazione il deposito

(1) La pronunzia si segnala perché, oltre a confermare l'orientamento consolidato secondo cui la locazione di un immobile ad uso «deposito» è disciplinata dagli art. 27 ss. 1. 392/78 solo in presenza di uno stretto

collegamento «spaziale e/o funzionale» con una delle attività di cui

allo stesso art. 27 o all'art. 42 stessa legge, sottolinea l'irrilevanza a tal fine di un rapporto pertinenziale ex art. 817 c.c. Negli stessi termini, v. — anche nella motivazione — la richiamata Cass. 28 novembre 1987, n. 8871, Foro it., Rep. 1988, voce Locazione, n. 158 (per esteso in

Arch, locazioni, 1988, 51). Più in generale sul problema dell'applicabi lità della 1. 392/78 in relazione ad immobili complementari ad una delle

attività dalla stessa legge tutelate, v. Cass. 5 marzo 1986, n. 1418, Foro

it., 1987, I, 1248, con nota di richiami di D. Piombo, ed ivi ampi riferi menti casistici. Adde, con riguardo a locali per uso deposito e nello stesso senso della sentenza qui riprodotta: Cass. 20 febbraio 1987, n.

1829, id., Rep. 1987, voce cit., n. 108; 16 luglio 1986, n. 4599, id.,

Rep. 1986, voce cit., n. 192; Pret. Palermo 11 gennaio 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 170; Pret. Molfetta 5 giugno 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 141 (su un caso di immobile adibito a deposito di strumenti

per la pesca); nonché, da ultimo, Cass. 22 gennaio 1990, n. 326, id.,

Mass., 46 e Trib. Milano 23 febbraio 1989, Arch, locazioni, 1990, 556.

V. anche Pret. Lecce 16 febbraio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 109 (e Arch, locazioni, 1987, 567), che ha in termini generali escluso

l'applicabilità degli art. 27 ss. 1. 392/78 alle locazioni di immobili per uso «deposito».

La destinazione ad uso deposito commerciale dell'immobile non com

porta, comunque, il riconoscimento al conduttore del diritto all'inden

nità di avviamento, che infatti viene concordemente negato, difettando

le condizioni di cui agli art. 34-35 1. 392/78. Per riferimenti in proposi

to, v., da ultimo, la nota di D. Piombo a Corte cost. 481/89, Cass.

4664/89 ed altre, in Foro it., 1990, I, 783. Su una fattispecie particolare di deposito merci concesso in uso a

terzi nell'ambito di un complesso immobiliare gestito in regime di ma

gazzini generali, v., invece, Trib. Genova 13 ottobre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 147 (per esteso in Arch, locazioni, 1989, 340), che

ha escluso trattarsi di un contratto privatistico di locazione.

Sulla disciplina dell'ipotesi del mutamento d'uso attuato unilateral

mente dal conduttore, ex art. 80 1. 392/78, v., da ultimo, Cass. 14

luglio 1989, n. 3310 e 7 aprile 1989, n. 1684, Foro it., 1990, I, 2264.

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1463 PARTE PRIMA 1464

quando era già conduttrice di locale ad uso artigianale

commerciale, rilevando che in conseguenza la destinazione a

servizio di tale locale avrebbe dovuto essere convenuta e risulta

re dal contratto o quanto meno avere la successiva adesione

della Scaturchio, mentre era rimasto provato solo lo stato d;

fatto creato unilateralmente dalla conduttrice e cosi, tutt'al più, una mera tolleranza della locatrice, non comportante modifies

dei patti contrattuali.

Contro questa sentenza la Scuotto ha proposto ricorso pei la sua cassazione con cinque motivi di censura. Non si è costi

tuita l'intimata Scaturchio.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorse

la Scuotto denuncia «violazione ed erronea applicazione del

l'art. 27, n. 1, richiamato dall'art. 67 1. 27 luglio 1978 n. 392», deducendo che per tale normativa la locazione ad uso deposito è assoggettata al regime dell'attività esercitata nell'altro locale

quando risulti il collegamento spaziale e/o funzionale con tale

attività e quindi sostenendo che nella specie tale collegamento con l'attività artigianale-commerciale svolta nel vicino locale di

essa ricorrente era rimasto provato sia dalla dichiarazione del

1968 all'ufficio imposte di consumo che dalla testimoniale, con

la conseguenza dell'applicabilità della 1. n. 392 del 1978 negli art. 27, n. 1, e 67, nonché della sopravvenuta normativa della

1. n. 118 del 1985.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta «violazione del

l'art. 1342 c.c. sull'interpretazione del contratto — violazione

dell'art. 2697 c.c. sull'onere della prova — per effetti e conse

guenze sull'esatta applicazione dell'art. 27 o dell'art. 67 1. n.

392 del 1978», assumendo che per il contratto «uso deposito», consentendo lo stesso il deposito di materiale di qualsiasi genere salva una specifica pattuizione limitativa, occorreva riferirsi al

la natura e funzione delle cose depositate e cosi aveva rilevanza

l'eventuale collegamento spaziale e/o funzionale con altro loca

le ove si fosse svolta una delle attività di cui all'art. 27, derivan

done la soggezione allo stesso regime; e quindi deduce che nella

specie si era in presenza di tale evenienza non essendovi alcuna

clausola limitativa del deposito, ma il dato pacifico del detto

collegamento con l'altro locale in cui essa conduttrice espleta attività artigianale e commerciale ed addirittura risultando in

re ipsa tale destinazione del deposito per la qualità di operatrice commerciale della conduttrice, con la conseguenza che incom

beva alla locatrice la prova del divieto, con pattuizione espres sa, del deposito di cose di uso artigianale o commerciale.

Ancora, con il terzo motivo la ricorrente si duole per «viola

zione dell'art. 1362, 1° e 2° comma, c.c.» in ordine alla inter

pretazione del contratto di locazione con riguardo al dato paci fico di operatrice commerciale di essa conduttrice e cosi alla

negletta sua chiara volontà contrattuale di stipulare un deposito ad uso commerciale, aggiungendo che l'accertato uso siffatto non costituiva una mera tolleranza bensì quel comportamento successivo delle parti, conferma della loro reale intenzione.

Gli esposti motivi — che vanno esaminati congiuntamente per la loro sostanziale connessione — meritano di essere accolti nei

limiti che saranno delineati.

Invero, al riguardo del problema che con le anzidette censure la ricorrente ripropone circa l'applicabilità della disciplina della 1. n. 392 del 1978 agli immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, che è stata denegata nell'ipotesi che ne oc

cupa dall'impugnata sentenza, va ricordato che da questa corte si è costantemente ritenuto che l'art. 27 della citata legge ha individuato una serie di attività che, conferendo all'immobile in cui esse si svolgono una funzione lato sensu economico

produttiva (nei casi dell'art. 27) oppure sociale (in quelli speci ficati dall'art. 42), giustifica la particolare durata della locazio ne c.d. «non abitativa» con la conseguenza che la suddetta di

sciplina non è estensibile in via diretta ed ordinaria ad un im

mobile ad uso deposito, salvo che lo stesso non sia in concreto

funzionalmente e/o spazialmente collegato con una delle attivi tà considerate dalla detta normativa, divenendo in tal caso inci dente la relativa ratio e pienamente giustificata la correlativa

applicazione (v. Cass. 28 novembre 1987, 8871, Foro it., Rep. 1988, voce Locazione, n. 158; 16 luglio 1986, n. 4599, id., Rep. 1986, voce cit., n. 192; 28 aprile 1986, n. 2943, ibid., n. 193; 3 novembre 1982, n. 5775, id., 1983, I, 1004).

In tal indirizzo si è anche perspicuamente precisato (v. sen

tenza n. 8871/87, cit.), e va ribadito anche con riguardo alla

fattispecie che ne occupa, che per il cennato collegamento è

Il Foro Italiano — 1991.

sufficiente l'obiettiva e funzionale connessione tra deposito ed

esercizio di una delle attività contemplate dall'art. 27, sempre che lo stesso non sia il frutto di un'arbitraria e contestata ini

ziativa del conduttore, chiarendosi ancora al riguardo la neces

sità che siffatto uso specifico dell'immobile locato, ancorché

realizzato dal conduttore, non risulti illegittimo avuto riguardo alle originarie pattuizioni contrattuali, al comportamento suc

cessivo delle parti (desumibile da tutte le circostanze del caso

concreto) ed alla normativa applicabile al rapporto.

Orbene, alla luce delle esposte considerazioni deve riconoscersi

la sostanziale fondatezza delle censure della ricorrente, non po tendosi non constatare che la sentenza impugnata, nel negare

per l'immobile locato — a solo uso deposito — alla Scuotto

la specificata assoggettabilità alla 1. n. 392 del 1978, non solo

si appalesa in sostanziale dissonanza con il precisato indirizzo

di questa corte, allorquando postula per l'operatività della 1.

n. 392 del 1978 per gli immobili per «uso deposito» la sussisten

za, quanto meno, di un rapporto di servizio con altro immobi

le, in cui le attività considerate dal citato art. 27 siano espletate dal conduttore, enucleando in via principale la natura di quel

rapporto con riferimento al regime delle pertinenze, ma altresì

si pone in ulteriore spiccante e censurabile discrasia rispetto a

quell'orientamento giurisprudenziale laddove, nell'escludere che

quel rapporto di servizio (rectius lo specificato collegamento fun

zionale e/o spaziale del deposito allogato nell'immobile locato)

possa essere legittimamente creato ad iniziativa del conduttore, ne richiede l'esclusiva non equivoca risultanza dal contratto, non

riscontrandola nella fattispecie, e vieppiù ove, pur consideran

do equivalente alla richiesta originaria pattuizione la successiva

adesione della locatrice, conclusivamente nega una tale valenza

con riguardo alla desunta situazione di tolleranza di quest'ulti ma rispetto alla comprovata destinazione strumentale del depo sito alle attività commerciali (esercitate in altro immobile) at

tuata dalla conduttrice.

Invero, va ribadito in proposito che ai fini dell'applicabilità

agli immobili ad uso deposito della disciplina dell'art. 27 1. n.

392 del 1978 — oltre l'ovvia ipotesi della espressa pattuizione del deposito per una specifica destinazione strumentale alle atti

vità ivi considerate — quel che rileva non è la necessaria costi

tuzione di un rapporto pertinenziale o di servizio tra immobili, come si è inesattamente affermato dai giudici del merito, bensì

quel rapporto di effettuale complementarità dell'immobile adi

bito a deposito rispetto alle attività considerate dal citato art.

27, che ne giustifica l'incidenza della relativa disciplina per iden

tità della relativa ratio, talché è sufficiente — come già si è

indicato — il concreto riscontro di funzionale e/o spaziale con

nessione tra deposito ed esercizio (e le obiettive esigenze) di una

delle dette attività, ancorché attuata dalla parte conduttrice del

l'immobile, salvo restando il debito vaglio — ed in tale ambito assume rilevanza il dato contrattuale — della legittimità di tale

condotta alla luce delle iniziali pattuizioni contrattuali, come del pari con riguardo al comportamento successivo delle parti nelle circostanze del caso concreto.

Ordunque, di tale debita prospettiva della riferita normativa, invocata dalla ricorrente, è correlativamente mancata nella sen tenza impugnata la coerente osservanza non solo ove si postula la necessaria — ma per contro non richiesta — incidenza ai fini dell'applicabilità della 1. n. 392 del 1978 di un rapporto

pertinenziale o di servizio tra l'immobile adibito a deposito e

quello sede dell'attività considerata dall'art. 27 cit., ma anche

conseguentemente con riguardo alla corretta ed esaustiva appli cazione dei cennati parametri di valutazione della legittimità di

quella conferente condotta della conduttrice. Infatti, laddove, come nel caso che ne occupa, quel dato effettuale ha sostanzia to specificamente la pattuita adibizione a deposito dell'immobi le locato, senza smentire od alterare tale convenuta destinazione

del godimento del bene, non avendo comportato la radicale so

stituzione dell'uso contrattuale, né la sovrapposizione di una

ulteriore destinazione oggettivamente differente dal convenuto uso a deposito dell'immobile (v. per riferimenti: Cass. 13 no

vembre 1963, n. 2981, id., Rep. 1963, voce cit., n. 326), bensì'

proprio questo funzionalmente correlando per necessità ed atti vità del conduttore, non limitate o vietate da specifiche iniziali

clausole pattizie (o cogenti normative), non può non convenirsi in rispondenza con il sostanziale assunto della ricorrente che

tale uso specifico del bene locato se non può, né poteva consi derarsi — come invece sostanzialmente si è reputato dai giudici

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di appello — in tal modo esorbitare dalle facoltà attribuite al

conduttore al negativo riscontro nell'originaria convenzione di

tali specifici limiti — come rilevato dagli stessi giudici con l'e

sclusiva individuata pattuizione dell'uso di deposito del locale

—, peraltro non poteva essere conclusivamente svalutato nel suo

significato e cosi nel legittimo incidere sul regime del rapporto locativo obliterandosi — come si è operato dai giudici del meri

to — la valenza della pur rilevata condotta della locatrice, cioè

della sua corrispondente persistente tolleranza all'attuazione da

parte della conduttrice di quel funzionale indirizzo del deposito locato.

Al riguardo, se è vero che — come è ius receptum — siffatta

condotta del locatore non può valere a convalidare la situazione

di fatto attuata dal conduttore con il mutamento di destinazio

ne della cosa locata, ben diversamente va ritenuto nella specie sol si rifletta che — come sopra detto — l'anzidetto uso specifi co del bene locato realizzato dalla conduttrice non si configura va di per sé come una arbitraria iniziativa non importando un

sostanziale mutamento della destinazione dell'immobile, come

convenuta con l'iniziale pattuizione, né trovando in questa uno

specifico divieto, con la conseguenza che in consonanza con

le censure della ricorrente deve riconoscersi che per la desunta

tolleranza da parte della locatrice dell'accertata iniziativa della

conduttrice e, in tal senso, per la sua conoscenza della stessa

e cosi la persistente mancata contestazione al riguardo — anche

alla luce della esperibilità dell'azione di risoluzione a norma del

l'art. 80 1. n. 392 del 1978 e delle sue significative conseguenze sulla disciplina del rapporto in caso di inerzia (v. per riferimenti

Cass. 7 marzo 1984, n. 1598, id., 1984, I, 2546) — non solo

non poteva non appalesarsene la concorrente — e per contro

obliata nella sentenza impugnata — positiva valenza ermeneuti

ca, a norma del 2° comma dell'art. 1362 c.c., della pattuizione locativa ma benanco la detta condotta non poteva non rilevare

proprio per i conseguenziali riflessi precennati — apoditticamente non considerati dai giudici del merito — come incidente mani

festazione di una convergente volontà della locatrice e cosi, co

me ulteriore riprova, alla stregua della complessiva volontà del

le parti, dell'insussistenza dell'illegittimità dell'uso specifico del

l'immobile locato per la presenza di un rilevante consenso

afferente de iure all'attuata funzionale destinazione del detto

bene ed alla sua conseguente qualificazione in ragione di quel

l'interpretazione della normativa dettata dall'art. 27 1. n. 392

del 1978, che si è enunciata.

In conclusione delle esposte considerazioni è conseguente l'ac

coglimento dei primi tre motivi del ricorso della Scuotto (re stando assorbiti sia il quarto motivo, con cui si denuncia «vio

lazione dell'art. 9 bis 1. 5 aprile 1985 n. 118» assumendo che

per tale legge non era più consentita la generica finita locazione

bensì il diniego di rinnovo per i motivi dell'art. 29 1. n. 392

del 1978, che doveva trovare applicazione; che il quinto moti

vo, relativo alla «violazione dell'art. 91 c.p.c.» in ordine alle

spese del secondo grado che con il rigetto dell'appello andava

no poste a carico della soccombente) e per l'effetto la cassazio

ne della sentenza impugnata con il rinvio della causa ad altro

giudice — che si designa in altra sezione del Tribunale di Napo li — perché provveda in un nuovo giudizio alle debite indagini motivazionali attenendosi ai principi di diritto enunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 gennaio

1991, n. 44; Pres. Vela, Est. Morelli, P.M. Donnarumma

(conci, conf.); Soc. Sai (Avv. E. Biamonti, Poguani) c. Cor

ti; Corti (Avv. Guidi, Galantini) c. Soc. Sai. Cassa App. Milano 17 dicembre 1985.

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione contro i danni «a

primo rischio» — Clausola d'esclusione della copertura assi

curativa — Apponibilità — Limiti — Fattispecie (Cod. civ., art. 1907).

Al contratto di assicurazione contro i danni c.d. «a primo ri

schio» (che comporta l'obbligo, per l'assicuratore, di risarcire

Il Foro Italiano — 1991.

per intero, in deroga alla regola proporzionale ex art. 1907

c.c., il danno fino alla concorrenza della somma assicurata) è validamente opponibile una clausola di esclusione della co

pertura assicurativa, purché risulti, tra limite di copertura e

massimale di polizza, una differenza quantitativa tale da ren

der compatibile la clausola con la funzione economico-giuridica del contratto (nella specie, nell'ambito di una polizza «tutti

i rischi gioiellieri», con massimale, per «rischio portavalori», di 350 milioni di lire, è stata confermata la nullità della clau

sola di esclusione della copertura assicurativa che prevedeva, come limite di copertura per il trasporto di preziosi, un valo

re identico al massimale). (1)

(1) Non risultano specifici precedenti in termini. Sul funzionamento della regola stabilita dall'art. 1907 c.c., cfr. la

lontana Cass. 21 luglio 1962, n. 1989, Foro it., 1962, I, 1900, nonché, per qualche riferimento al caso di specie, la recente Cass. 21 ottobre

1989, n. 4259, id., Rep. 1989, voce Assicurazione (contratto), n. 102. In dottrina, oltre agli autori citati nella nota che segue, v. G. Fanel

li, Assicurazione contro i danni, voce dell' Enciclopedia giurìdica Trec

cani, Roma, 1988, III, 7 s.

# * #

I rìschi del(l'assicurazione a) primo rischio.

1. - La decisione sollecita qualche chiosa, sia sul piano esplicativo che su quello ricostruttivo, soprattutto perché la corte delinea per la

prima volta, a quanto consta, schema tipico ed effetti giuridici del con tratto di assicurazione c.d. «a primo rischio» (o «a primo fuoco»),

1.1. - Il fatto: un commerciante di preziosi stipula una polizza «tutti i rischi gioiellieri»; le parti si preoccupano di definire, preliminarmente ed in modo esplicito, il contratto «a primo rischio assoluto e cioè senza

l'applicazione della regola proporzionale di cui all'art. 1907 c.c.»; fra le altre, risultano convenute le clausole, secondo cui a) il capitale assi curato per «rischio portavalori» ammonta a 350 milioni di lire e b) «la . . . polizza non copre . . i danni derivanti ... da perdite di cose assicurate quando l'ammontare dei beni trasportati da due o più perso ne che siano comunque insieme ecceda complessivamente lire 350 milio

ni»; nel corso di un trasporto di gioielli viene perpetrata una rapina che provoca all'assicurato un danno, consensualmente accertato, di 363

milioni; l'assicuratrice rifiuta di pagare l'indennizzo (qualsiasi indenniz

zo), eccependo che il valore dei beni trasportati eccedeva, contraria mente a quanto pattuito, il valore massimo convenuto come limite di

copertura (350 milioni).

2. - Per comprendere appieno alcuni passaggi — forse un po' ellittici — delle argomentazioni svolte dalla corte, occorre precisare che, in tan to è giuridicamente concepibile un contratto di assicurazione «a primo rischio», in quanto si verta in ipotesi di assicurazione parziale (o sot

toassicurazione): infatti, nei casi di assicurazione piena (in cui v'è coin cidenza fra somma assicurata e valore dell'interesse), manca il presup posto per l'applicazione della «regola proporzionale» (che si risolve nel la sopportazione, a carico dell'assicurato, di parte proporzionale del danno se il valore assicurato è inferiore a quello reale) e, quindi, del

correttivo rappresentato dalla clausola «a primo rischio», che dà all'as sicurato il diritto all'indennità piena (non decurtata proporzionalmente) fino alla concorrenza della somma assicurata, minore — si ribadisce — del valore assicurabile (sottoassicurazione, appunto).

E che, nella specie, si trattasse di assicurazione parziale, emerge dalla

incontestata circostanza, secondo cui, al momento del sinistro, il danno accertato (363 milioni) risultava superiore al massimale di polizza.

2.1. - La dottrina (cfr. Mainardi, L'assicurazione a primo rischio nel ramo incendi, in Assicurazioni, 1934, 527; Vivante, Il contratto di assicurazione, in II codice di commercio commentato, Torino, 1936,

141, spec. 149; Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni, Milano,

1954, II, 257 ss.; Salandra, Dell'assicurazione, in Commentario Scialoja

Branca, Bologna-Roma, 1966, 314 s.; Polotti Di Zumaglia, Assicura

zione contro gli incendi, voce del Digesto comm., Torino, 1987, I, 450)

distingue due forme principali di assicurazione «a primo rischio»: quel la a primo rischio assoluto (in cui non viene dichiarato il valore degli interessi assicurati), o relativo (in cui è presente la predetta dichiarazio

ne); e quella mista — fra copertura di primo rischio e regola proporzio nale — in cui «l'assicuratore risarcisce, sempre fino alla concorrenza

della somma assicurata, l'intero danno solo se la somma assicurata è

inferiore, in una misura non superiore ad una determinata quota (di solito il 10% ma anche superiore e fino al 50% se l'insufficienza è

causata da rialzo del corso dei prezzi nei tre mesi antecedenti al sini

stro), al valore dell'interesse (cioè se la sottoassicurazione non superi il tot per cento)» (cosi Donati, op. loc. cit.).

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