sezione III civile; sentenza 22 gennaio 1990, n. 324; Pres. Tropea, Est. Patroni Griffi, P.M. Leo(concl. conf.); Guarnieri (Avv. Craia) c. Bernetti (Avv. Focaracci). Cassa App. Ancona 28settembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2581/2582-2587/2588Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184858 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
considerato che indipendente dall'essere ancora in vigore il cit.
art. 2 r.d.l. n. 1757 del 1937, l'efficacia del contratto doveva
essere comunque subordinata al nulla osta della Banca d'Italia
per essere ciò previsto da apposita clausola contrattuale, indipen dentemente da ogni riserva formulata dalle parti che avevano sot
toscritto il contratto nella sua interezza.
Data la manifesta rilevanza della questione di costituzionalità
dell'art. 2 r.d.l. n. 1757 del 1937, questo Supremo collegio con
ordinanza n. 187 dell'udienza del 1° luglio 1985 depositata I'll
aprile 1986, sospendeva il giudizio e disponeva la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. La corte con sentenza n. 330
del 24 marzo 1988 (Foro it., 1988, I, 1785) dichiarava l'illegitti mità costituzionale dell'art. 2 r.d.l. 12 agosto 1937 n. 1757 con
vertito nella 1. 16 giugno 1938 n. 1207.
All'esito di tale pronuncia occorre, pertanto, decidere in ordi
ne ai ricorsi anzidetti che devono essere riuniti ai sensi dell'art.
335 c.p.c. E occorre logicamente esaminare innanzi tutto il ricorso inci
dentale che è infondato nei due primi motivi alla stregua della
pronuncia della Corte costituzionale, la quale ha ribadito la pre
gressa perdurante vigenza della norma impugnata, e, peraltro, ha affermato la sua connessione con l'orientamento corporativo e conseguentemente il suo contrasto con l'art. 39 Cost., consen
tendo all'autorità amministrativa di condizionare il libero espli carsi della volontà negoziale delle parti sindacali, senza essere fi
nalizzata alla tutela di altri interessi costituzionalmente rilevante, in contrasto «stridente», perciò, con la garanzia dell'autonomia
contrattuale collettiva e della più generale libertà sindacale.
In tal senso, evidentemente, è erronea la motivazione della sen
tenza impugnata che riteneva la norma in questione tacitamente
abrogata per incompatibilità, mentre in realtà l'annullamento è
avvenuto soltanto per effetto della sentenza della Corte costitu
zionale e cosi deve correggersi per questa parte, ai sensi dell'art.
384 c.p.c. Infondato a maggior ragione appare il terzo ed ultimo motivo
del ricorso incidentale atteso che la motivazione in ordine alla
insussistenza di un accordo tra le parti per ritenere l'efficacia del
contratto subordinata al nulla osta della Banca d'Italia, contiene
un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità; ciò per tacere della circostanza che, in ogni caso, una clausola
del genere sarebbe stata contraria ad una norma interpretativa
(art. 39 Cost.) e, pertanto, affetta da nullità assoluta.
Per quanto attiene ai motivi del ricorso principale, essi, per la loro connessione, possono esaminarsi congiuntamente.
Questo Supremo collegio ha più volte affermato che il premio di operosità è un elemento retributivo integrativo che trova la
sua ragion d'essere nel rendimento del lavoratore e, più in gene
rale, nella sua produttività, sicché esso è concesso intuitu perso
nae, in considerazione della persona del lavoratore e dei suoi par ticolari meriti di laboriosità nell'organizzazione aziendale.
Pertanto, ove si accerti che le qualità di rendimento persistono nel caso di avanzamento del lavoratore ad una qualifica superio
re, è illegittimo l'assorbimento del menzionato emolumento nella
retribuzione corrispondente alla nuova qualifica, giacché, cosi ope
rando, si viene a neutralizzare la finalità che presiede alla conces
sione del premio. Ma poi, più specificamente, è stato ritenuto che gli emolumenti
corrisposti per compensare la maggiore attività dei dipendenti o
le gratifiche elargite in conseguenza di determinati avvenimenti
aziendali hanno carattere retributivo quando siano ricollegate ri
spettivamente ad una maggiore attività dei dipendenti, al rendi
mento dei medesimi ed al buon andamento dell'azienda (sent. 12 aprile 1980, n. 2360, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 1315).
Ma nel caso in esame, con un accertametno di fatto che, se
congruamente motivato, non è suscettibile di riesame in sede di
legittimità, il tribunale ha ritenuto che nei ccnl del 1976 e del
1978, rispettivamente per gli impiegati e per i funzionari delle
casse di risparmio, viene stabilito che, con identiche norme, il
personale particolarmente meritevole per rendimento e condotta,
potrà essere premiato con una speciale gratificazione o premio di rendiménto e che i criteri obiettivi e la misura di siffatto pre mio troveranno disciplina nei contratti integrativi aziendali. Co
me risulta evidente dalla lettera e dallo spirito delle norme in
esame, il premio di rendimento costituisce una facoltà della cassa
collegata ad un complesso di elementi di opportunità e di dispo
nibilità, valutabili solo dal consiglio di amministrazione.
li Foro Italiano — 1990.
La natura del premio non viene affatto mutata dai contratti
integrativi aziendali, i quali si limitano a stabilire l'entità pecu niaria della gratifica, il termine entro cui può essere erogata e
le categorie dei dipendenti che ne possano beneficiare. A tale pro
posito l'art. 13 contratto integrativo aziendale 16 dicembre 1978
(per i dipendenti) e l'art. 8 contratti integrativi aziendali, 25 mag
gio 1979 (per i funzionari) sono espliciti, in quanto dopo aver
richiamato le rispettive disposizioni dei ccnl, enunciano l'entità
del premio e i criteri in base ai quali può essere concesso, senza
nulla innovare in ordine alla natura di siffatta gratifica e alla
facoltatività della medesima. Trattandosi di mera facoltà, e non
avendo il contratto integrativo derogato ai rispettivi ccnl, il ri
chiamo dell'art. 2077 c.c. risulta fuori luogo. Si deve in realtà affermare che allorché la norma contrattuale
afferma, come nei diversi ccnl delle casse di risparmio, che i di
pendenti «potranno essere premiati» qualora si «distinguano in
particolar modo per capacità, rendimento e condotta» o abbiano
arrecato «un notevole giovamento all'istituto» o abbiano «lode
volmente disimpegnato un incarico di particolare importanza» o
siano «degni di speciale distinzione», la stessa utilizzazione di
espressioni verbali recanti la caratteristica costante della speciali
tà, della eccezionalità e della straordinarietà, è tale, salvo il con
corso di elementi contrari non dedotti nella specie, da escludere
logicamente una volontà di configurare il premio come obbliga torio erga omnes, ma sottolinea per contro la cennata caratteri
stica intrinseca di gratificazione facoltativa riservata a quelli che
il consiglio di amministrazione abbia individuato come meritevoli.
Né evidentemente la contrattazione aziendale può affermarsi
avere mutato tale caratteristica per aver soltanto individuato —
come previsto dai ccnl — la misura ed i criteri obiettivi, atteso
che l'autonomia privata ben può contenere entro limiti convenuti
tale discrezionalità facoltativa. Ed in tal senso appare del tutto
inconferente il richiamo fatto dal ricorrente alla qualificazione
«retribuzione» contenuta a questo riguardo nei contratti azienda
li, posto che, come si evince dalla lettura delle norme, la retribu
zione è invocata appunto come entità diversa dal premio al quale il medesimo deve essere ragguagliato secondo dati parametri. Ciò
vale anche per il richiamo generico al personale, posto che questo è richiamato ma per categorie negative di soggetti che sono esclu
si (es. assenti per un certo tempo) o per categorie limitative (es. che abbia superato il periodo di prova o abbia ottenuto una qua lifica minima).
Consegue a quanto esposto il rigetto di entrambi i ricorsi cosi
riuniti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 gen naio 1990, n. 324; Pres. Tropea, Est. Patroni Griffi, P.M.
Leo (conci, conf.); Guarnieri (Aw. Craia) c. Bernetti (Avv.
Focaracci). Cassa App. Ancona 28 settembre 1983.
Contratti agrari — Affitto — Mancato mantenimento delle scor
te nel fondo — Conseguenze (Cod. civ., art. 1618, 1640, 1642,
1645; d.l. 5 aprile 1945 n. 157, proroga dei contratti agrari, art. 4).
Ai fini dell'accertamento della gravità dell'inadempimento del
l'affittuario, in relazione al mantenimento delle scorte vive (be stiame bovino) nel fondo, ed in particolare all'obbligo di im
piegare nel fondo il letame del bestiame, assume rilevanza l'ac
certamento della proprietà delle scorte, e se cioè queste siano
di proprietà dell'affittuario ovvero siano rimaste di proprietà del locatore: nel primo caso, ove l'affittuario alieni il bestiame,
occorre valutare se tale alienazione abbia fatto venir meno, ai
sensi dell'art. 1618 c.c., la destinazione, da parte dell'affittua rio stesso, dei mezzi necessari per la conduzione del fondo se
condo la buona tecnica agraria; nel secondo caso, ove si riten
ga che la somma pagata dall'affittuario per il bestiame all'ini
zio del rapporto sia stata data a titolo di garanzia, costituendo
le scorte la dotazione del fondo che deve essere mantenuta per tutta la durata del rapporto (art. 1640, 1° comma, e 1642 c.c.), occorre valutare se la loro asportazione produce una mo
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2583 PARTE PRIMA 2584
difica radicale che l'affittuario non può operare unilate
ralmente. (1)
Svolgimento del processo. — David e Agnese Guarnieri, pro
prietari di un fondo rustico esteso ettari 5,50 da essi concesso
in affitto il 6 maggio 1969 a Sesto Bernetti, con ricorso alla sezio
ne specializzata agraria del Tribunale di Fermo chiedevano di
chiararsi la risoluzione del contratto per gravi inadempienze del
l'affittuario agli obblighi derivanti dal contratto stesso e dalla
legge, consistite nella cessazione dell'allevamento di animali bovi
ni — che costituivano le scorte vive del fondo e comprendevano sette capi, al momento della consegna in seguito a stima — non
(1) Come precedente è richiamata in motivazione Cass. 8 giugno 1979, n. 3284, Foro it., Rep. 1980, voce Contratti agrari, n. 160.
La corte di merito, in presenza della corresponsione all'inizio del rap
porto da parte dell'affittuario di una somma di denaro pari al valore
del bestiame bovino esistente nel fondo, aveva ritenuto rotto il vincolo
pertinenziale tra scorte e fondo e quindi escluso la gravità dell'inadempi mento dell'affittuario per via della cessazione dell'allevamento del bestia
me bovino nel corso del rapporto con la sostituzione di bestiame non
bovino. La corte del merito, cioè, aveva ritenuto che l'affittuario aveva
acquistato il bestiame bovino, salvo semmai l'obbligo da parte dello stes
so affittuario di ricostituire il vincolo pertinenziale al momento della ri
consegna del fondo. Ed ancora la corte del merito aveva ritenuto che
la cessazione dell'allevamento del bestiame bovino non aveva fatto venire
meno la normale produttività del fondo, che era stato fertilizzato in mo
do sufficiente con diverso materiale organico. La sentenza in epigrafe, ritenuta l'insufficiente motivazione della deci
sione del giudice a quo, ha stabilito il principio di cui alla massima.
Con riferimento al caso in cui l'affittuario avesse acquistato all'inizio
del rapporto il bestiame bovino, ha osservato che la corte del merito
non aveva motivato correttamente la propria decisione con riguardo alla
concimazione con letame diverso da quello bovino: e cioè la corte del
merito, pur avendo ritenuto sufficiente la concimazione con letame diver so da quello bovino, non aveva valutato «l'idoneità degli animali immessi
nel fondo in sostituzione di quelli bovini a costituire la dotazione del
fondo e la corrispondenza del diverso sistema di concimazione adottato
alle norme di una buona tecnica agricola». E con riferimento alla seconda parte della massima, relativa all'acqui
sto o meno del bestiame bovino da parte dell'affittuario, la sentenza, a parte la ritenuta impossibilità di configurare la costituzione (o la rico
stituzione) del vincolo pertinenziale da parte dell'affittuario, ha in buona
sostanza negato che sia possibile l'acquisto del bestiame da parte dell'af
fittuario essendo quest'ultimo obbligato alla concimazione del fondo con
il letame del bestiame bovino inizialmente conferito dal concedente e con
il conseguente divieto di asportazione del bestiame bovino stesso. Si osserva che le norme di cui agli art. 1640-1645 c.c. sono state lette
dalla sentenza secondo l'ottica dell'art. 1618 c.c., per cui il locatore può chiedere la risoluzione del contratto se l'affittuario non destina al servizio della cosa i mezzi necessari per la gestione di essa, se non osserva le
regole della buona tecnica agraria, ovvero se muta stabilmente la destina
zione economica del fondo. In applicazione di quest'ultima norma, la sentenza ha in buona sostan
za ritenuto che il bestiame bovino non poteva essere asportato dal fondo, identificandosi la buona tecnica agraria con l'assetto colturale stabilito dal concedente all'inizio del rapporto.
Il referente giuridico degli art. 1640-1645 c.c., peraltro, non è l'art. 1618 c.c. bensì l'art. 5 1. 203/82 (in precedenza l'art. 4 d.l. 157/45), se
condo cui per farsi luogo alla risoluzione del contratto agrario è necessa ria la gravità dell'inadempimento; e referente giuridico è anche l'art. 10 1. 11/71, secondo cui l'affittuario può prendere tutte le iniziative di orga nizzazione e di gestione richieste dalla razionale coltivazione del fondo,
dagli allevamenti di animali e dall'esercizio delle attività connesse di cui
all'art. 2135 c.c., anche in relazione alle direttive di programmazione eco
nomica stabilite dalle autorità competenti. E non può essere trascurato che recenti decisioni della Cassazione (v.,
tra le altre, sent. 3 luglio 1989, n. 3171 e 13 giugno 1989, n. 2854, id., 1990, I, 940, con nota di Bellantuono), hanno ritenuto che non ogni modificazione colturale (miglioramenti, in quelle fattispecie), effettuata senza il consenso del concedente costituisce grave inadempimento con
trattuale, dovendo sempre valutarsi l'incidenza della modificazione coltu rale sull'interesse contrattuale del concedente.
E cioè è sempre necessaria, nell'esame delle inadempienze vantate dal
concedente, una valutazione economica degli interessi in gioco, e non
può non osservarsi che nella specie di cui alla sentenza in rassegna la
corte del merito non aveva evidenziato alcun pregiudizio economico del
concedente, affermando che la cessazione dell'allevamento del bestiame bovino non aveva fatto venir meno la normale produttività del fondo, fertilizzato in modo sufficiente con diverso materiale organico. [D. Bel
lantuono]
Il Foro Italiano — 1990.
ché nella fertilizzazione del terreno con altro concime organico, nella utilizzazione della stalla per l'allevamento di un ingente nu
mero di suini i cui liquami recavano danni al detto edificio, nella coltivazione di una parte soltanto del fondo e senza che venisse,
inoltre, praticato l'avvicendamento delle colture nel rispetto della
rotazione quinquennale. Instauratosi il contraddittorio, il conve
nuto, nel contestare la fondatezza della domanda eccepiva che
l'alienazione degli animali bovini — di cui affermava essere pro
prietario per averli pagati all'inizio del rapporto — era stata de
terminata dalla morte di tre capi in conseguenza delle cattive con
dizioni in cui versava la stalla e non aveva impedito la normale
concimazione del fondo con materiale organico proveniente dal
l'allevamento di ovini; negava, poi, di non avere effettuato la
rotazione delle colture e di non aver coltivato una parte del fon
do, sul rilievo che erano rimaste incolte soltanto le «tare» (aia rurale e strisce di terreno sulle scarpate), riconosceva di avere
impiantato nel 1981, per la durata di diciotto mesi, un allevamen
to di suini per sopperire alla mancanza del bestiame bovino, ma
senza che venisse recato alcun danno alla stalla e alle fondatzioni
della casa colonica.
Il giudice adito, sentite le parti, avendo ritenuto dimostrato,
in base alle risultanze della prova testimoniale assunta, le dedotte
inadempienze dell'affittuario, che considerava anche nel loro com
plesso e in relazione al comportamento dell'affittuario medesimo
nonostante le diffide allo stesso intimate dai locatori, accoglieva la domanda.
Proponeva appello il Bernetti il quale, riproponendo tutti i ri
lievi formulati in primo grado, contestava l'esistenza e,- quanto
meno, la gravità dell'inadempimento. Gli appellati, rilevando la
infondatezza della proposta impugnazione, ponevano in eviden
za, tra l'altro, l'obbligo di mantenere le scorte nel fondo, da par te dell'affittuario, il quale non aveva negato di doverle restituire
alla cessazione del rapporto, e la mancata coltivazione di una
estensione di terreno di circa un ettaro — secondo quanto depo sto dai testi e riconosciuto dal tribunale — nonché l'alterazione
della normale rotazione per essere state privilegiate colture c.d.
sfruttatrici a svantaggio di quelle miglioratrici e per il protrarsi del comportamento dell'affittuario nonostante le diffide ricevute.
Con la sentenza indicata in epigrafe la sezione specializzata agra ria della Corte d'appello di Ancona, in accoglimento della propo sta impugnazione, ha rigettato la domanda dei Guarnieri avendo
ritenuto: che l'acquisto del bestiame esistente nel fondo, effettua
to dall'affittuario, ne legittimava la vendita da parte di questo
ultimo, per essere venuto meno il vincolo pertinenziale che gene ralmente lega il bestiame al fondo, salvo semmai l'obbligo del
l'affittuario medesimo di ricostituire il predetto vincolo al mo
mento della riconsegna del fondo e di mantenere il fondo in stato
di normale produttività e, inoltre, che l'avvenuta fertilizzazione
del terreno con diverso materiale organico poteva considerarsi suf
ficiente ai fini di una normale concimazione; che la mancata col
tivazione di una parte del fondo riguardava esclusivamente le «ta
re» e un pioppeto, di cui i locatori si erano riservata la custodia
e le cui piante erano state dagli stessi abbattute, e, non potendosi desumere dal contratto di affitto l'obbligo dell'affittuario di estir
pare le ceppaie e di dissodare il terreno interessato, non sussiste
va tale motivo di inadempimento, quanto meno sotto il profilo della gravità; che analoghe considerazioni dovevano ritenersi va
lide in relazione all'utilizzazione della stalla e porcilaia per la man
cata dimostrazione dei lamentati danni alla stalla e alla casa colo
nica — contrastati nella consulenza di parte dell'affittuario —
e per il fatto che comunque il pavimento della stalla era destinato
a ricevere i liquami degli animali bovini. Ricorrono per cassazione i Guarnieri, con tre motivi. L'intima
to resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa appli cazione degli art. 1640, 1641, 1642 e 1645 c.c., in relazione agli art. 4, lett. a), r.d. lgt. 5 aprile 1945 n. 157 e 10 1. 11 febbraio
1971 n. 11, nonché la mancanza, insufficienza e contraddittorietà
della motivazione. I ricorrenti pongono in evidenza che nel con
tratto di affitto di cui alla scrittura del 6 maggio 1969 era stata
pattuita esplicitamente la consegna delle scorte in quantità e valo
re secondo stima da effettuarsi entro il 31 agosto dello stesso
anno, data in cui il bestiame era stato preso in consegna dal loca
tario, e che nell'appendice al detto contratto, in data 11 settem
bre 1969, si dava atto che in tale giorno il Bernetti aveva pagato il valore della stima come da nota corrispondente alla parte pa
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dronale, pari a lire 433.500 in contanti e lire 433.500 in cambiali scadenti il 30 marzo 1970, e, inoltre, che tale stima, prodotta nel giudizio di primo grado, conteneva la ricognizione e la speci fica indicazione del numero, della specie, del sesso, dell'età e del
peso degli animali. Quanto sopra premesso, i ricorrenti deducono che il giudice di appello, avendo ritenuto che il pagamento del valore aveva finito per rompere il vincolo pertinenziale, aveva
ignorato la norma contenuta nell'art. 1645 c.c., che vuole salvi
gli effetti delle disposizioni precedenti anche nel caso in cui l'af fittuario abbia depositato la somma che rappresenta il valore del
bestiame, di cui il locatore rimane proprietario, con potere di
disposizione, da parte dell'affittuario, limitato alla sostituzione di singoli capi e con l'obbligo imposto dall'art. 1644, ultimo com
ma, stesso codice, di impiegare il letame esclusivamente nella col
tivazione del fondo; con la conseguenza che l'asportazione del
bestiame dal fondo, come ritenuto da questa corte (sent. n. 3284 del 1979, Foro it., Rep. 1980, voce Contratti agrari, n. 160), co stituisce inadempimento contrattuale idoneo a dare luogo alla ri soluzione del contratto. Rilevano, inoltre, i ricorrenti che il detto
giudice non ha dato alcuna spiegazione circa la ritenuta vendita
del bestiame, pur essendone stata effettuata la consegna median
te la specificazione risultante dalla stima, mentre un tale effetto non poteva derivare dall'espressione contenuta nella su indicata
appendice, secondo la quale il valore di stima era stato «pagato», equivalendo tale termine alle espressioni «versato» o «depositato».
Il motivo è fondato. Secondo le disposizioni di cui agli art.
1640-1645 c.c., di carattere integrativo in quanto applicabili, sal
va diversa regolamentazione pattizia, nell'affitto di fondi rustici, la proprietà delle scorte esistenti nei fondi stessi — che rappre sentano gli instrumenta fundi del diritto romano — passa all'af fittuario qualora — trattandosi di scorte vive, e in particolare di bestiame di allevamento — la loro consegna sia stata effettua ta dal locatore con la stima contenente la sola indicazione del
loro valore (art. 1645, 3° comma, in relazione all'art. 1640, 3°
comma), in tal caso l'affittuario, avendone acquistato la proprie tà, può anche revocare la destinazione del bestiame al servizio del fondo, ma dovrà introdurvi altro bestiame in sostituzione di
quello ricevuto, stante l'obbligo, posto a suo carico dall'art. 1618
c.c., di destinare al servizio della cosa concessagli in affitto i mezzi
necessari per la gestione di essa secondo le regole della buona
tecnica agricola. In tale ipotesi, alla fine del rapporto, sorge poi a carico dell'affittuario l'obbligazione alternativa di provvedere al pagamento di una somma di denaro, pari al valore ricevuto,
oppure di restituire le scorte in natura per un valore corrispon dente alla stima oppure di restituire le scorte parte in natura e
parte in denaro e, pur non essendo necessario che il bestiame
corrisponda per qualità a quello ricevuto, occorre, tuttavia, che
esso sia idoneo a servire di dote al fondo, con riguardo alle sue
caratteristiche colturali, considerato il richiamo contenuto nel 3°
comma dell'art. 1640 c.c. alla facoltà di restituire «scorte» in
natura. Tale idoneità deve poi sussistere anche nel corso del rap
porto di affitto sia in correlazione alla indicata facoltà di restitu zione sia per il su accennato obbligo di cui all'art. 1618 cit.
Qualora, invece, la consegna delle scorte vive esistenti nel fon
do sia stata effettuata dal locatore mediante la loro descrizione, e cioè con indicazione della specie, del numero, del sesso, dell'età della qualità e del peso, le scorte rimangono di proprietà del lo
catore. Tale tipo di consegna, in cui l'eventuale versamento di
una somma di denaro corrispondente al valore del bestiame risul
tante dalla stima, da parte dell'affittuario, deve considerarsi ef fettuato a titolo di garanzia reale, con correlativo obbligo di re
stituzione a carico del locatore al momento della riconsegna delle
scorte, in pendenza del rapporto, tra l'altro, consente all'affit tuario di disporre soltanto dei singoli capi di bestiame, mante
nendo, però, nel fondo la dotazione necessaria (art. 1642), impo ne l'utilizzazione del letame esclusivamente nella coltivazione del
fondo (art. 1644, 2° comma), e al termine del contratto determi
na l'obbligo della riconsegna del bestiame, secondo quanto stabi
lito nell'art. 1645, 1° comma, corrispondente a quello specificato all'atto della consegna, anche qualora all'inizio dell'affitto l'af
fittuario abbia depositato presso il locatore la somma che ne rap
presenta il valore (art. 1645, 2° comma). Le dette scorte possono poi costituire pertinenze, sotto il profi
lo soggettivo, qualora la loro destinazione al servizio del fondo
sia stata effettuata dal proprietario o dal titolare di altro diritto
reale sul fondo stesso (art. 817, 2° comma, c.c.) e, come tali,
possono anche formare oggetto di separati atti o rapporti giuridi
Ijl Foro Italiano — 1990.
ci; perché tale situazione si verifichi è però necessario che il pro prietario della cosa principale abbia disposto separatamente della
pertinenza con atto anteriore a quello avente per oggetto la cosa
principale — per cui non sorge il detto vincolo di destinazione — oppure che da un unico atto, riguardante la cosa principale e la pertinenza, risulti in modo non equivoco la volontà di di
sporre di queste ultime in modo diverso, trovando applicazione, in caso contrario, il principio generale posto dall'art. 818, 1° com
ma, c.c., secondo cui gli atti e i rapporti giuridici che hanno
per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze se non è diversamente disposto.
Da quanto sopra risulta che, ai fini dell'esistenza dell'inadem
pimento dell'affittuario in relazione al mantenimento delle scorte nel fondo e, in particolare, all'obbligo di impiegare nel fondo il letame del bestiame, nonché per la valutazione della gravità
dell'inadempimento, assume rilevanza decisiva l'accertamento della
proprietà delle scorte in relazione alle disposizioni di legge citate, con particolare riferimento all'art. 1618 c.c. se le scorte siano di proprietà dell'affittuario e agli art. 1640-1645 stesso codice qua lora la proprietà di esse sia invece rimasta al locatore. Infatti, nella prima ipotesi occorre valutare se l'alienazione del bestiame
da parte dell'affittuario, abbia fatto venir meno la destinazione, da parte dell'affittuario medesimo, dei mezzi necessari per la con
duzione del fondo secondo i principi della buona tecnica agraria; nella seconda, costituendo le scorte la dotazione del fondo che
deve essere mantenuta per tutta la durata del rapporto (art. 1640, 1° comma, e 1642 c.c.), la loro asportazione produce una modifi
cazione radicale che l'affittuario, come ritenuto da questo Supre mo collegio (sent. n. 3284 del 1979, cit.), non può operare unila
teralmente senza incorrere in un inadempimento contrattuale.
E, per le considerazioni innanzi svolte, ai fini dell'accertamen to della proprietà delle scorte, è necessario che il giudice del me rito compia un'approfondita indagine diretta ad intepretare la vo
lontà delle parti, anche in riferimento alle clausole del contratto di affitto, avente per oggetto sia il fondo che il bestiame, e con
specifico riguardo alle modalità della consegna di questo, effet tuata in base alla indicazione del solo valore oppure con «de
scrizione».
Orbene, nella specie, ricorrono i denunziati vizi della motiva
zione, poiché la corte del merito, pur avendo cosiderato il bestia
me bovino come «esistente nella colonia al momento della con clusione del contratto» e, quindi, fornito dal locatore, ha ritenu to che di esso l'affittuario ebbe a corrispondere il «prezzo» per avere il Bernetti versato — parte in contanti e parte in effetti
cambiari — una somma corrispondente al valore delle dette scor
te, «come da specifica quietanza redatta in calce alla stessa sche
da contrattuale» e, in base a tale presupposto, ha rilevato che
«tale acquisto ha finito per rompere il vincolo pertinenziale che
generalmente lega il bestiame al fondo, dal momento che è sem
pre nella facoltà dell'affittuario-proprietario di comunque disporre
(anche vendendolo) del bestiame acquistato, salvo — se mai —
l'obbligo di ricostituire il predetto vincolo al momento della ri
consegna del fondo, mediante acquisto dei necessari (secondo il
valore di stima a suo tempo fatta) capi bovini; tutto ciò, nel ri
spetto, da parte dell'affittuario, dell'obbligo di mantenere il fon
do in stato di normale produttività». Ciò posto, dopo aver consi derato che il concime organico bovino è qualitativamente miglio re, sotto il profilo fertilizzante, di quello misto (proveniente dall'allevamento di suini, ovini e conigli) impiegato dal Bernetti, il giudice di appello ha ritenuto sufficiente quest'ultimo tipo di
letame, ai fini della pratica di una normale concimazione.
Sennonché — a parte l'impossibilità di configurare la costitu
zione (o la ricostituzione) di un vincolo pertinenziale ad opera del titolare di un diritto di godimento sulla cosa principale e la
non corrispondenza della ritenuta sufficienza della concimazione
con l'osservanza dei criteri di una buona tecnica agraria — va
osservato che la corte del merito, nel ritenere l'acquisto del be
stiame da parte dell'affittuario e nel trarre da tale acquisto le
conseguenze cui è pervenuta, ha omesso di valutare le modalità
della consegna delle scorte che, per le svolte considerazioni, assu
mono rilevanza decisiva ai fini del riconoscimento del diritto di
proprietà sul bestiame consegnato dal locatore — e sulle conse
guenze inerenti all'impiego del letame — indipendentemente dal
pagamento di una somma di danaro che rappresenti il valore del
le scorte, da parte dell'affittuario, da considerarsi quale corri
spettivo dell'acquisto oppure come versamento a titolo di garan zia e da restituirsi dal locatore al termine del rapporto (art. 1642
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2587 PARTE PRIMA 2588
e 1645, 1° e 2° comma, c.c.), appunto in relazione alle modalità
di determinazione del bestiame al momento della consegna. E
ciò senza neanche accennare ad una diversa regolamentazione pat tizia — essendo stato omesso l'esame delle relative clausole con
trattuali — o ad elementi di giudizio, da valutarsi anche secondo
criteri di ordine logico, idonei a dimostrare che contestualmente
alla ritenuta costituzione del rapporto pertinenziale da parte del
proprietario-locatore sarebbe stata effettuata la vendita della per tinenza per l'avvenuta corresponsione, da parte dell'affittuario, di una somma di denaro che, immotivatamente, è stata qualifica ta «prezzo» dell'acquisto.
La corte del merito, conseguentemente, non ha motivato cor
rettamente la propria decisione circa l'insussistenza del dedotto
inadempimento in relazione alla concimazione del fondo con le
tame diverso da quello degli animali bovini, in relazione all'art.
1644 c.c.; né la motivazione, sul punto, può ritenersi adeguata, anche nell'ipotesi dell'avvenuto acquisto delle scorte da parte del
l'affittuario, poiché il detto giudice, pur avendo riconosciuto che
il letame bovino è qualitativamente migliore, sotto il profilo ferti
lizzante, ha poi ritenuto «sufficiente» la concimazione con leta
me misto operata dall'affittuario senza valutare l'idoneità degli animali immessi nel fondo in sostituzione di quelli bovini a costi
tuire la dotazione del fondo e la corrispondenza del diverso siste
ma di concimazione adottato alle norme di una buona tecnica
agricola in relazione alle colture praticate nel fondo.
Del pari fondato deve ritenersi il secondo motivo con il quale — denunziata l'erronea e falsa applicazione degli art. 1617 e 1618
c.c. in relazione all'art. 19 1. 11 febbraio 1971 n. 11, nonché
la mancanza o insufficienza e la contraddittorietà della motiva
zione — si deduce che, essendo stato concesso in affitto al Ber
netti un'estensione di circa ettari 5,50 di cui erano risultati colti
vati soltanto ha 4,20 circa, non poteva escludersi l'inadempimen to dell'affittuario in relazione alla mancata coltivazione del
pioppeto — che occupava la parte non coltivata escluse le c.d.
«tare» — in base alla clausola contrattuale che riservava la pian
tagione del pioppeto e di altre piante perenni per i quali i pro
prietari avevano la libertà della custodia e dell'abbattimento; e
ciò sia perché tale clausola, a seguito dell'entrata in vigore della
1. n. 11 del 1971 aveva perduto validità ed efficacia, essendo nul
la di pieno diritto ai sensi dell'art. 19 1. cit., sia in quanto l'affit
tuario, avendo avuto, fin dalla conclusione del contratto, la di
sponibilità dell'intera estensione di ettari 5,50 avrebbe dovuto pra ticare sulla superficie resasi disponibile l'impianto delle coltivazioni
erbacee, coordinandole con la rotazione quinquennale. Ed invero, la corte del merito, pur avendo considerato che,
come risultava dal contratto, il fondo concesso in affitto al Ber
netti era esteso ettari 5,50 circa, ha ritenuto che la mancata colti
vazione della parte residua all'abbattimento del pioppeto — ri
sultata, dalla prova testimoniale, ricoperta da rovi — non costi
tuiva inadempimento, quanto meno sotto il profilo della gravità, in quanto in una clausola contrattuale, che consentiva all'affit
tuario la normale potatura e raccolta del frutto e, per le piante cadenti o da estirpare, richiedeva il consenso dei proprietari con
la ripartizione del cinquanta per cento, era stato stabilito che «da
quanto sopra concordato era esclusa la piantagione del pioppeto e di altre piante perenni per le quali i proprietari hanno la libertà
della custodia» e non era, quindi, dato comprendere, da tale clau
sola, secondo il giudice del merito, se una volta tagliate le piante — il che era avvenuto, ad opera dei proprietari nel 1981 — sussi
stesse l'obbligo dell'affittuario di procedere alla coltivazione del la porzione di fondo interessata, previa estirpazione delle ceppaie e successivo dissodamento del terreno.
Orbene, anche a non voler considerare che la corte non ha
collegato la clausola di cui sopra alle altre contenute nel contrat
to di affitto, ai fini di una corretta interpretazione del suo conte
nuto e dei suoi effetti, va osservato che il giudice di appello ha
omesso di valutare sia la incidenza, sulla limitazione risultante
dalla stessa clausola, della 1. 11 febbraio 1971 n. 11, sia i poteri dell'affittuario in relazione alla produttività del fondo ed ai mi
glioramenti.
Infatti, essendo venuta meno la validità della clausola contrat
tuale che prevedeva la concessione separata delle colture del suo
lo da quelle del soprassuolo, in applicazione dell'art. 19 cit. che
ne sancisce la nullità di pieno diritto con conseguente estensione
dell'affitto a tutte le colture del fondo, si rendeva necessario esa
minare se, in relazione ai poteri attribuiti dall'affittuario dall'art.
1615 c.c. e, poi, dagli art. 10, 11 e 14 1. n. 11 del 1971 con
Il Foro Italiano — 1990.
riguardo alle iniziative di organizzazione e di gestione richieste
dalla razionale coltivazione del fondo e alla esecuzione dei mi
glioramenti, dovesse ravvisarsi un inadempimento dell'affittuario
per il mancato esercizio di siffatti poteri, tenendosi anche conto
del comportamento delle parti nel corso del rapporto. Deve essere, infine, condivisa la tesi sostenuta nel terzo motivo
col quale — denunziando l'errata applicazione ed interpretazione
degli art. 1175 e 1176 c.c. in relazione all'art. 4, lett. a, d.l. lgt. 5 settembre 1945 n. 157 nonché i medesimi vizi di motivazione
richiamati negli altri motivi — i ricorrenti lamentano la mancata
valutazione complessiva delle singole inadempienze, per essere stati
esaminati separatamente i singoli addebiti posti a fondamento della
domanda di risoluzione del contratto.
Infatti, come ritenuto da questo Supremo collegio (tra le altre, sent. n. 2098 del 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 188 e n.
1870 del 1983, id., Rep. 1984, voce cit.,'n. 292), a norma del
l'art. 4 1. n. 157 cit. la gravità dell'inadempimento che giustifica la cessazione della proroga legale dei contratti agrari, deve essere
valutata alla stregua dell'intero svolgimento del rapporto anche
nelle annate successive alla domanda di risoluzione, con un ap
prezzamento unitario delle varie inadempienze ai singoli obblighi contrattuali al fine di accertare se esse complessivamente valutate
siano tali da determinare un notevole ostacolo alla prosecuzione del rapporto stesso. Erroneamente, quindi, nella specie, la corte
di merito ha ritenuto insussistente l'inadempimento «quanto me
no sotto il profilo della gravità» in relazione alla mancata colti
vazione dell'estensione di terreno di cui al secondo motivo e al
dedotto utilizzo della stalla come porcilaia, considerando separa tamente tali inadempienze e senza effettuare una valutazione com
plessiva. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e l'impugnata sentenza
deve essere cassata con rinvio della causa alla stessa sezione spe cializzata agraria della Corte d'appello di Ancona.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 gennaio
1990, n. 232; Pres. Bologna, Est. Luccioli, P.M. Di Renzo
(conci, conf.); Catellani (Aw. Franchi, Mazzone) c. Proc.
rep. Trib. min. Emilia Romagna. Cassa Trib. min. Bologna 12 ottobre 1988.
Adozione e affidamento — Adozione internazionale — Dichiara
zione di idoneità — Indeterminatezza numerica — Adozione
di più minori — Ammissibilità (L. 4 maggio 1983 n. 184, disci
plina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, art. 30, 32). Adozione e affidamento — Adozione internazionale — Provvedi
mento straniero — Dichiarazione di efficacia — Stato di ab
bandono — Rilevabilità — Fattispecie (L. 4 maggio 1983 n.
184, art. 32).
La dichiarazione di idoneità all'adozione di un minore straniero, che non contenga esplicite limitazioni numeriche, abilita i co
niugi richiedenti ad adottare un numero indeterminato di
minori. (1) Ai fini della dichiarazione di efficacia in Italia di un provvedi
mento straniero di adozione non è necessario che lo stato di
abbandono del minore risulti in modo esplicito dal provvedi
mento, potendo desumersi anche per implicito dal contenuto
dello stesso e dalla documentazione che ne costituisce il presup
posto (nella specie, la Cassazione ha annullato con rinvio la
decisione del tribunale per i minorenni che aveva respinto l'i
stanza in ragione dell'omessa menzione dello stato di abbando
no dei minori dei quali erano indicati i genitori naturali ed
i nonni). (2)
(1-2) Non constano precedenti sul principio di diritto riassunto nella
prima massima. L'opinione contraria è stata sostenuta da Trib. min. Bo
logna 9 ottobre 1988, Dir. famiglia, 1989, 164, annullata dalla sentenza in rassegna, che ha rilevato l'esistenza di un contrasto insanabile tra una dichiarazione di idoneità ad efficacia numerica indeterminata e la ratio
legis volta a creare uno strumento di garanzia e tutela dei minori stranie
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