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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 28 ottobre 1989,...

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sezione III civile; sentenza 28 ottobre 1989, n. 4520; Pres. Quaglione, Est. L. Niro, P.M. Di Renzo (concl. conf.); Vincenzi (Avv. Falbo) c. Ronzani. Cassa Trib. Roma 28 marzo 1984 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1990), pp. 2249/2250-2255/2256 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184802 . Accessed: 24/06/2014 23:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.143 on Tue, 24 Jun 2014 23:57:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 28 ottobre 1989, n. 4520; Pres. Quaglione, Est. L. Niro, P.M. Di Renzo(concl. conf.); Vincenzi (Avv. Falbo) c. Ronzani. Cassa Trib. Roma 28 marzo 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2249/2250-2255/2256Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184802 .

Accessed: 24/06/2014 23:57

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

lavoratori dipendenti, avvertendo che, in presenza di altra pen

sione, ferma la legittimità della scelta legislativa in ordine al trat

tamento pensionistico da integrare al minimo e fermo altresì il

limite del reddito di cui al 1° e 2° comma dell'art. 6 1. n. 638 del 1983, rimane pienamente legittimo il riassorbimento di detta

integrazione fino alla concorrenza del pro rata.

Al lume di tali principi che, sotto il profilo della costituzionali tà, sorreggono l'interpretazione della complessa articolazione del

l'art. 6 1. n. 638 del 1983, va delineata la portata del regime in

trodotto nell'ordinamento pensionistico al fine di disciplinare il

trattamento dell'integrazione al minimo in presenza del cumulo

di più pensioni, precisandosi innanzitutto che fino alla data del

30 settembre 1983 il titolare di più pensioni ha diritto all'integra zione al minimo sempre che non siano superati i limiti di reddito indicati nel 1° comma del citato art. 6.

Per effetto del sopravvenuto regime, entrato in vigore il 1°

ottobre 1983 (e cioè il primo giorno del mese successivo all'entra

ta in vigore del d.l. 12 settembre 1983 n. 463), il pensionato, ove non ostino i limiti di reddito innanzi indicati, ha diritto ad un solo trattamento di integrazione al minimo, da praticarsi sulla

pensione indicata nel 3° comma dell'art. 6, il quale contempla,

appunto, le varie ipotesi di concorso di due o più pensioni, ero

gate dalla medesima o da diverse gestioni, nonché la titolarità

di pensione diretta ed ai superstiti e stabilisce a carico di quale

gestione il trattamento minimo deve essere liquidato. La cessazione del diritto al trattamento minimo — che coincide

con la scadenza del trattamento praticato prima dell'entrata in

vigore del d.l. n. 463 del 12 settembre 1983 e quindi alla data

del 30 settembre 1983 — non comporta, peraltro, anche la perdi ta del trattamento economico perché la disposizione contenuta

nel 7° comma dell'art. 6 in esame stabilisce che «l'importo eroga to alla data di cessazione del diritto all'integrazione viene conser

vato fino al superamento, per effetto dell'applicazione delle di

sposizioni di cui al 5° comma (perequazione automatica delle pen sioni integrate al trattamento minimo secondo i rispettivi

ordinamenti), dell'importo determinato ai sensi del 6° comma (ri valutazione dei trattamenti minimi di pensione dei rispettivi ordi

namenti nel frattempo intervenute). Della disposizione da ultimo citata (art. 6, 7° comma) ha fatto

applicazione la sentenza impugnata avendo affermato che la mi

sura dell'integrazione al minimo corrisposta alla data del 30 set

tembre doveva essere conservata fino al suo riassorbimento con

seguente all'automatica perequazione della pensione base. A tale

conclusione i giudici del merito (anche il pretore si era espresso nello stesso senso) sono pervenuti all'esito del coordinamento delle

varie disposizioni contenute nel già citato art. 6 1. 638/83, letti

secondo il significato proprio delle parole, nonché in funzione

della finalità — livellamento del trattamento di pensione tenendo

conto anche e soprattutto dell'ammontare di altri redditi di cui

dispone il titolare della pensione — che la norma intende per seguire.

Ora, premesso che la disposizione di cui al 7° comma dell'art.

6 se non fosse diretta a conseguire lo scopo di sopra indicato, risulterebbe inutilater data, mentre la sua presenza nell'ordina mento pensionistico palesemente dimostra l'intento del legislatore diretto a sostituire il trattamento di integrazione al minimo con il graduale aumento della pensione-base connesso con l'andamen to della perequazione automatica, va osservato che la disposizio ne in esame, vista, appunto, nella sua funzione diretta a «conser vare» l'integrazione al minimo, è destinata a soddisfare le essen ziali e primarie esigenze di vita del pensionato, se costui sia privo di altri redditi ovvero provvisto di redditi inferiori al limite (1° e 2° comma dell'art. 6), che il legislatore presume sufficiente per le suddette esigenze, esigenze che, viceversa, l'eventuale immedia

ta ed integrale privazione del trattamento minimo potrebbero gra vemente pregiudicare.

Alla stregua delle fatte considerazioni il ricorso dell'Inps deve,

quindi, essere rigettato affermandosi, con riferimento al caso in

esame, che l'art. 6 d.l. n. 463 del 1983 convertito con modifica

zioni nella 1. n. 638 dello stesso anno ha dettato un generale regi me di integrazione al minimo per l'ipotesi del cumulo di più pen sioni, sicché risulta legittima la soprressione del diritto all'inte

grazione al minimo per il periodo successivo alla entrata in vigore della norma innanzi indicata, salvo, in ogni caso, la correspon sione dell'integrazione, nella misura pagata alla data del 30 set

tembre 1983, fino al suo riassorbimento conseguente alla rivalu

tazione automatica della pensione-base in conformità di quanto

dispone il 7° comma dell'art. 6 1. n. 638 del 1983.

Il Foro Italiano — 1990 — Parte 1-42.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 28 otto

bre 1989, n. 4520; Pres. Quaglione, Est. L. Nmo, P.M. Di

Renzo (conci, conf.); Vincenzi (Aw. Falbo) c. Ronzani. Cassa Trib. Roma 28 marzo 1984.

Locazione — Legge 392/78 — Morosità del conduttore — Auto

riduzione del canone — Mancato accertamento preventivo del la misura legale del canone — Illegittimità — Risoluzione del contratto — Gravità dell'inadempimento — Valutazione «ex

lege» — Inapplicabilità (Cod. civ., art. 1453, 1455; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 5, 44, 45, 79).

Nel processo instaurato, dopo l'entrata in vigore della l. 392/78, dal locatore di immobile urbano per la risoluzione del contrat to per morosità costituita dal mancato pagamento del canone

nell'esatta misura pattuita dalle parti, il conduttore, fino a quan do non ne sia stata determinata la misura con sentenza passata in giudicato in apposito giudizio ex art. 44-45 l. cit., non può validamente opporre di avere versato il canone legalmente do

vuto, né l'effettiva misura di questo può essere accertata d'uf

ficio, in via incidentale, dal giudice della causa di risoluzione; resta fermo, peraltro, il compito del giudice del merito di ac

certare, ai sensi dell'art. 1455 c.c., se l'inadempimento posto in essere attraverso 1'autoriduzione del canone sia talmente grave da giustificare la risoluzione del rapporto, non ostando il di

sposto dell'art. 5 l. 392/78, che riguarda la diversa ipotesi di

mancato versamento del canone. (1)

(1) In tema di c.d. autoriduzione del canone da parte del conduttore, la pronunzia in epigrafe ribadisce l'orientamento della Cassazione dive nuto ormai costante, dopo la pronunzia a sezioni unite 23 ottobre 1984, n. 5384, Foro it., 1985, I, 2059, con nota di richiami (nonché, tra l'altro, in Corriere giur., 1984, 713, con nota critica di D. Piombo, e Nuova

giur. civ., 1985, I, 50, con nota di U.B.), richiamata nella motivazione, emessa peraltro alla stregua della normativa anteriore alla 1. 392/78; v. Cass. 18 aprile 1985, n. 2580, Foro it., Rep. 1985, voce Locazione, n. 507; 22 agosto 1985, n. 4478, ibid., nn. 494, 496 (che prende in conside razione anche la possibilità — prevista dall'art. 2 sexies 1. 351/74 — di decurtazione dalla pigione dei pagamenti contra legem effettuati dal con

duttore); 3 marzo 1987, n. 2221, id., Rep. 1987, voce cit., n. 419; e, in relazione alla disciplina della vigente legge c.d. dell'equo canone (e segnatamente all'art. 45, ultimo comma), Cass. 13 maggio 1987, n. 4382, ibid., n. 417 (per esteso in Arch, locazioni, 1987, 479), secondo cui l'ac certamento del quantum del debito rileva solo quando il conduttore si sia limitato a non corrispondere la parte di canone da lui ritenuta espres sione di un'indebita maggiorazione, ma non quando la sospensione dei

pagamenti riguardi, invece, anche la parte di canone non contestata. Tra i giudici di merito si rinviene, nello stesso senso, App. Torino 31

marzo 1989 (pres. Scapaticci, est. Witzel, Soc. Profeta c. Molla), inedita. Pret. Firenze 9 ottobre 1986, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 420 (e Arch, locazioni, 1987, 174), ha invece ritenuto che anche la sospensione totale dei pagamenti del canone, operata dal conduttore a fini compensa tivi di un suo credito per canoni pagati in eccesso, non sia di per sé sufficiente a determinare la risoluzione del contratto, dovendo escludersi la rilevanza dell'inadempimento qualora, per effetto del credito maturato per differenze canoni, il conduttore non risulti moroso rispetto al dovuto.

V. altresì Cass. 20 giugno 1988, n. 4212, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 356 e 14 febbraio 1986, n. 891, id., Rep. 1986, voce cit., n. 326, sulla configurabilità di un inadempimento giustificativo della risoluzione contrattuale anche in caso di mancato pagamento da parte del conduttore

degli aggiornamenti del canone pattuiti (c.d. clausola Istat), ove non sia stata previamente accertata l'illegittimità di detta clausola (né penda, quanto meno, giudizio in proposito).

Sotto altro aspetto, affermando che la gravità della parziale sospensio ne del pagamento del canone deve essere valutata discrezionalmente dal

giudice ex art. 1455 c.c., non trovando applicazione i parametri legali di cui all'art. 5 1. 392/78 (su cui v., tra le altre, Cass. 23 novembre 1987, n. 8605, id., 1988, I, 420, con osservazioni di D. Piombo, che ne ha affermato l'applicabilità anche alle locazioni non abitative), Cass. 4520/89 si pone in contrasto con Cass. 21 agosto 1985, n. 4474, id., 1986, I, 1568, con nota di richiami, secondo la quale la predeterminazione ex

lege della gravità della mora ex art. 5 cit. (per cui è sufficiente un ritardo di venti giorni nel pagamento del canone) riguarda anche l'inadempimen to parziale del conduttore. Da ultimo, nel senso della pronunzia qui ri

prodotta, v., nella motivazione, Trib. Catanzaro 3 settembre 1989, Rass.

equo canone, 1989, 284. In dottrina, in tema di c.d. autoriduzione del canone di locazione, v.,

da ultimo, A. Bucci - E. Malpica - R. Redivo, Manuale delle locazioni, Cedam, Padova, 1989, 304 ss.; P. Lo Cascio (Fiore-Pignatelli-Piombo), La morosità del conduttore, Giuffrè, Milano, 1990, 50 ss.

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2251 PARTE PRIMA 2252

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18 aprile 1989, n. 1835; Pres. Quaglione, Est. L. Nmo, P.M. Fedeli

(conci, conf.); Masi (Aw. Manchisi) c. Jacomussi. Cassa sen

za rinvio Trìb. Latina 1° ottobre 1983.

Sfratto (procedimento per la convalida) — Legge 392/78 — Mo

rosità del conduttore — Mancato pagamento degli oneri acces

sori — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 658; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 5, 9, 55).

Locazione — Legge 392/78 — Morosità del conduttore — Azio

ne di risoluzione — Sanatoria giudiziale — Richiesta di termine

c.d. di grazia — Contestazione della morosità — Incompatibi lità (Cod. civ., art. 1453; cod. proc. civ., art. 658, 665; 1. 27

luglio 1978 n. 392, art. 55). Sfratto (procedimento per la convalida) — Legge 392/78 — Mo

rosità del conduttore — Sanatoria giudiziale — Termine c.d.

di grazia — Inosservanza — Conseguenze — Fattispecie (Cod.

proc. civ., art. 658, 663, 665; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 55).

Gli art. 5 e 551. 392/78 hanno introdotto, relativamente alla gra vità dell'inadempimento, alla possibilità della sanatoria ed alla

concessione del termine c.d. «di grazia», un'equiparazione fra canone di locazione ed oneri accessori, con la conseguenza che

anche la morosità per soli oneri accessori può essere dedotta

in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ex art.

658 c.p.c. (2) Il termine c.d. «di grazia» per sanare la morosità, di cui all'art.

55 l. 392/78, può essere chiesto dal conduttore — per compro vate difficoltà — alla prima udienza sia nel processo ordinario

di risoluzione per inadempimento sia nel procedimento per con

valida di sfratto, sempre che, in quest'ultimo caso, il condutto

re non si opponga alla convalida dello sfratto contestando la

morosità. (3)

(2) Circa l'ammissibilità del procedimento per convalida di sfratto ex art. 658 c.p.c. per morosità attinente ai soli oneri accessori di cui all'art. 9 1. 392/78, la Suprema corte conferma (argomentando essenzialmente

dall'equiparazione tra canone e oneri accessori attuata dalla 1. 392/78, su cui v. anche Cass. 12 agosto 1988, n. 4942, Foro it.. Rep. 1988, voce

Locazione, n. 360), l'orientamento intrapreso con la sentenza 4 febbraio

1987, n. 1066, riportata — insieme a Cass. 19 dicembre 1986, n. 7745, di segno opposto — id., 1987, I, 2443 ss., con osservazioni critiche di D. Piombo. Nello stesso senso, v. anche Corte cost. 31 marzo 1988, n.

377, id., 1988, I, 2453, con nota di richiami. Adde, in dottrina, dello stesso avviso, G.B. Petti, L'inadempimento nella locazione di immobili

urbani, Cedam, Padova, 1989, 162; contra, N. Izzo, Importanza della morosità nelle locazioni non abitative, in Giust. civ., 1988, I, 995.

(3) Contra, nel senso che la contestazione della morosità da parte del conduttore intimato ex art. 658 c.p.c. «non preclude, né rende incompa tibile il ricorso alla sanatoria di cui all'art. 55 1. 392/78, ... la cui utiliz zazione comporta implicitamente, ma necessariamente, la manifestazione della prevalente volontà solutoria del conduttore . . .», v. Cass. 21 ago sto 1985, n. 4474, cit., e 22 maggio 1982, n. 3132, Foro it., Rep. 1982, voce Locazione, n. 173. Della stessa opinione della sentenza qui riprodot ta, v., invece, successivamente, Pret. Chieti 22 aprile 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 367 (per esteso in Arch, locazioni, 1988, 457), secondo cui nel caso considerato deve provvedersi preliminarmente sull'istanza, an corché subordinata, di concessione del termine di sanatoria, riservando all'intimato che abbia pagato nel termine la possibilità di proseguire il

giudizio, qualora abbia interesse all'esame delle questioni sollevate. Per l'ammissibilità della sanatoria giudiziale della morosità, ai sensi

dell'art. 55 1. 392/78, sia nel giudizio ordinario di risoluzione del contrat to per inadempimento che in quello ex art. 658 c.p.c., v. Cass. 19 dicem bre 1986, n. 7745, cit., con nota di richiami. Adde, nello stesso senso, App. Torino 31 marzo 1989, cit. L'opinione contraria all'utilizzabilità della sanatoria nel giudizio ordinario di risoluzione — già espressa (apo ditticamente) da Cass. 5 luglio 1985, n. 4057, Foro it., 1986, I, 133, con nota di richiami — risulta, peraltro, ripresa da Cass. 23 ottobre 1989, n. 4292, id., Mass., 614, della quale non è stato finora possibile conosce re la motivazione (oltre che, tra i giudici di merito, da Trib. Catanzaro 12 marzo 1987, Arch, locazioni, 1989, 118 eRass. equo canone, 1989, 57).

Per altro verso, Cass. 25 novembre 1989, n. 4874, Foro it., Mass., 690, ha ultimamente ritenuto che la concessione del termine di grazia ex art. 55 costituisce «non un obbligo, ma una facoltà discrezionale di cui il giudice può avvalersi quando, non essendo stato effettuato il paga mento in udienza, sussistono comprovate condizioni di difficoltà del con

duttore», e che «la sollecitazione da parte dell'intimato di tale facoltà», non integra opposizione alla convalida dello sfratto; sicché «legittima

li. Foro Italiano — 1990.

Nel procedimento per convalida di sfratto per morosità, qualora il conduttore non provveda al pagamento di tutto quanto do

vuto entro il termine assegnato dal giudice ai sensi dell'art. 55

1. 392/78, all'udienza successiva alla scadenza di detto termine

va emessa l'ordinanza di convalida dello sfratto ex art. 663

c.p.c., senza possibilità di prosecuzione della causa per la trat

tazione nel merito, che, se svolta, è da ritenere nulla (nella

specie, la Suprema corte ha considerato come provvedimento di convalida ex art. 663 c.p.c. l'ordinanza provvisoria di rila

scio emessa dal pretore in base alla constatazione della persi stenza della morosità e, ritenuta conseguentemente la nullità

di tutta l'attività processuale successivamente svolta, ha cassato

senza rinvio le sentenze di primo e secondo grado e provveduto in ordine alle spese dei relativi giudizi)- (4)

I

Ritenuto in fatto. — 1. - Vincenzi Adriana, proprietaria di un

appartamento sito in Palestrina, via della Martuccia 88, locato

a Ronzani Sergio il 1° ottobre 1978, per il canone di lire 120.000,

poi concordemente fissato tra le parti in lire 94.000, oltre lire

4.000 per il posto macchina, con atto notificato il 29 gennaio

1979, esponendo che il conduttore aveva autoridotto il cànone

a lire 84.525, intimava sfratto per morosità al conduttore, citan

dolo avanti al Pretore di Palestrina per la convalida.

2. - Il convenuto eccepiva tra l'altro che la domanda era im

procedibile per mancata precisazione delle somme dovute e non

corrisposte e che in ogni caso l'inadempimento era di scarsa im

portanza ex art. 1455 c.c.; l'attrice in corso di causa precisava che la somma dovuta e non corrisposta era di lire 122.550.

3. - Il pretore, rigettata la richiesta di convalida, ammetteva

prova testimoniale e disponeva consulenza tecnica per accertare

in via incidentale il canone spettante per legge; con sentenza in

data 8 febbraio 1982 il pretore determinava il canone legale nella

misura di lire 76.025 e, dichiarata in motivazione la nullità del

l'accordo del 29 gennaio 1979, con la quale le parti avevano fis

sato il canone in lire 98.000, rigettava la domanda di risoluzione

per insussistenza della morosità.

4. - Proponeva appello la Vincenzi, deducendo in via principa le che l'inadempimento del conduttore per aver unilateralmente

ridotto il canone pattuito è grave e, in via subordinata, che la

determinazione del canone nella misura di lire 76.025 era errata, essendo la misura esatta di lire 85.750, oltre lire 4.000 per il po sto macchina.

5. - Con sentenza in data 28 marzo 1984 il Tribunale di Roma

rigettava l'appello della Vincenzi, affermando che era esatta la

determinazione del canone fatta dal pretore e che giustamente era stata rigettata la domanda di risoluzione perché, pur con l'au

toriduzione, il conduttore non era inadempiente. 6. - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione

la Vincenzi; il Ronzani non ha proposto controricorso. Considerato in diritto. — Con un unico motivo la ricorrente

deduce che: a) il conduttore non poteva ridurre il canone pattuito

mente il giudice, ove non ritenga di concedere il richiesto termine, conva lida lo sfratto» ai sensi dell'art. 663 c.p.c., ricorrendo le altre condizioni richieste dalla legge.

Con riferimento ad altre questioni postesi in sede di concreta applica zione dell'art. 55 1. 392/78, v., da ultimo, Pret. Ascoli Piceno, ord. 12

luglio 1989, id., 1990, I, 335. In dottrina, sull'ambito di applicabilità della sanatoria giudiziale della

morosità con riguardo (tra gli altri) ad entrambi gli aspetti considerati da Cass. 1835/89, v. inoltre: Bucci-Malpica-Redivo, op. cit., 308 ss.; D. Piombo, Procedimento di sfratto per morosità e legge 392/78, in Foro

it., 1989, I, 1826; Petti, op. cit., 165; Pignatelli (Fiore-Lo Cascio

Piombo), op. cit., 109 ss.

(4) Non constano precedenti negli esatti termini. Per quanto concerne le conseguenze della mancata o imperfetta sanato

ria della morosità nel termine assegnato ex art. 55 1. 392/78, v., da ulti

mo, Cass. 15 marzo 1989, n. 1303, Foro it., 1989, I, 1825, con nota di D. Piombo (nonché in Nuova giur. civ., 1989, I, 843, con nota di S. Giove e Giust. civ., 1989, I, 2112, con nota di G. Grasselli).

Ancora più di recente, il principio secondo cui l'omessa sanatoria della morosità nel termine (perentorio) assegnato ex art. 55 legittima il giudice ad emettere — nel concorso con le altre condizioni — il provvedimento ex art. 663 c.p.c., risulta ribadito da Cass. 4874/89, cit., e da Cass. 16

gennaio 1990, n. 160, Foro it., Mass., 27.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

perché, per far ciò, avrebbe dovuto prima proporre ricorso al

pretore ai sensi degli art. 44 e 45 1. 392/78 per la determinazione

del canone legale; b) il conduttore era inadempiente perché non

aveva versato il canone di agosto 1979 e per i canoni di settembre

e ottobre i versamenti non erano idonei ad escludere la morosità

perché fatti al marito della locatrice non abilitato a riceverli.

Sul punto b) la censura è inammissibile perché si fonda su una

circostanza di fatto dedotta, il che non è consentito per la prima volta in sede di legittimità, avendo la locatrice dinanzi ai giudici di merito proposto la domanda di risoluzione del contratto di

locazione esclusivamente perché il conduttore a decorrere dall'a

gosto 1979 aveva versato i canoni nella misura di lire 84.525,

anziché nella misura concordata di lire 98.000 mensili.

Sul punto a) la censura è fondata.

Nel processo instaurato, successivamente all'entrata in vigore

della 1. 392/78, dal locatore di immobile urbano per la risoluzio

ne del contratto per morosità, costituita dal mancato versamento

del canone nell'esatta misura pattuita tra le parti, non può il con

duttore opporre, per escludere la morosità, di aver versato il ca

none nella misura legale, né può il giudice della causa suddetta

accertare ex officio (v. Cass. 1777 del 1983, Foro it., Rep. 1983, voce Locazione, n. 1078), in via incidentale, l'effettiva misura

del canone legale, essendo il relativo accertamento riservato alla

cognizione del pretore a seguito di regolare azione del conduttore

con le forme e nei termini di cui agli art. 44 e 45 di detta legge.

E fino a quando in quest'ultimo giudizio non sia stata accertata

con sentenza passata in giudicato l'esatta misura del canone lega

le, che venga a sostituire quella convenzionale, illegittima è l'au

toriduzione del canone, poiché provoca il venir meno dell'equili

brio sinallagmatico convenzionale. Pur costituendo l'autoriduzio

ne del canone inadempimento ex art. 1453 c.c., tuttavia è compito

del giudice del merito accertare, ai sensi dell'art. 1455 c.c., se

l'inadempimento sia talmente grave da giustificare la risoluzione

del rapporto, avuto riguardo all'interesse del locatore a ricevere

il canone nella misura convenzionalmente dovuta (v. in tal senso

Cass. 5384 del 1984, id., 1985, I, 2059). Non sussiste la denunciata violazione dell'art. 5 1. 392/78, dato

che il presente giudizio ha per oggetto la domanda di risoluzione

del contratto per versamento del canone in misura inferiore a

quella convenzionale, mentre la citata norma regola la diversa

ipotesi di mancato versamento del canone.

Con l'accoglimento parziale del gravame, va cassata in relazio

ne l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per la pronuncia sulle

spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione del Tri

bunale di Roma.

II

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 23 febbraio

1980, Masi Aldo, esponendo che aveva dato in locazione un ap

partamento di sua proprietà a Jacomussi Giuliano e che questi

non aveva versato i canoni e gli accessori, per un importo com

plessivo di lire 122.595, relativi ai mesi di febbraio e marzo 1979, avendoli versati in un libretto postale, di cui il locatore non pote

va disporre, intimava al conduttore sfratto per morosità, citan

dolo contestualmente per la convalida avanti al Pretore di Latina.

Costituitesi le parti, il convenuto resisteva alla domanda del

Masi, deducendo che, avendo il locatore rifiutato i vaglia per

gli importi relativi ai canoni ed accessori, aveva accreditato le

somme su un libretto postale intestato al locatore, dandogliene

avviso con raccomandata in data 28 aprile 1979; comunque si

dichiarava pronto a sanare l'inadempienza.

Il pretore con ordinanza in data 31 marzo 1980, dando atto

che il libretto in questione era stato rimesso al Masi successiva

mente alla citazione e che il conduttore dal marzo 1979 aveva

omesso di versare la quota relativa alle spese condominiali per

il servizio di portierato, concedeva, avendone lo Jacomussi fatto

richiesta, il termine di quaranta giorni per sanare la morosità re

lativa a dette spese condominiali, oltre gli interessi e le spese pro

cessuali; rinviava la causa al 5 giugno 1980, udienza in cui il

procuratore dell'attore dichiarava che la morosità non era stata

sanata nel termine concesso al conduttore; il pretore ordinava

l'immediato rilascio dell'appartamento e rinviava la causa per la

trattazione del merito.

Con sentenza in data 27 gennaio 1982 il pretore, ritenuta insus

sistente la morosità in ordine ai canoni e affermata l'illegittimità

Il Foro Italiano — 1990.

della pretesa dell'attore in ordine alle spese condominiali per il

servizio di portierato, rigettava la domanda e revocava l'ordinan

za di rilascio dell'immobile, condannando l'attore alle spese. Successivamente il Tribunale di Latina con sentenza in data

1° ottobre 1983 rigettava l'appello principale del Masi e l'appello incidentale dello Jacomussi, dichiarando compensate le spese del

grado di appello. Affermava tra l'altro il tribunale: 1) con l'invio del libretto

postale intestato al Masi, anteriormente alla prima udienza, risul

ta sanata la morosità in ordine ai canoni; 2) all'udienza del 5

giugno 1980 il termine di quaranta giorni per sanare la morosità

in ordine alle spese condominiali per il servizio di portierato era

scaduto; 3) è vero che a norma dell'art. 5 1. 392/78 il mancato

pagamento degli oneri accessori per un importo superiore all'am

montare di due mensilità del canone costituisce inadempimento di non scarsa importanza, ma ciò non impedisce di valutare la

fondatezza della pretesa dell'attore in ordine a tali spese; 4) il

Masi non ha provato l'effettivo espletamento da parte del Razza,

nel periodo considerato, delle mansioni di vigilanza e custodia

del fabbricato; ciò non si evince dai libri matricola e paga pro

dotti, né dalle prove testimoniali, avendo i testi riferito che solo

nell'ultimo periodo, cioè dopo l'entrata in vigore della legge sul

l'equo canone, il Razza aveva svolto le mansioni di competenza,

con l'esclusione della permanenza in guardiola; 5) l'ordinanza di

rilascio emessa dal pretore il 5 giugno 1980 va equiparata a quel

la emessa in seguito ad opposizione alla convalida e, quindi, non

preclude il successivo esame del merito con sentenza.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Masi,

deducendo quattro motivi di annullamento; lo Jacomussi non ha

presentato controricorso.

Motivi della decisione. — Con il quarto motivo, che, avendo

carattere assorbente, va esaminato per primo, il ricorrente, de

nunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 665 c.p.c., in

relazione all'art. 4, 6° comma, 1. 26 novembre 1969 n. 883, non

ché degli art. 5 e 55 1. 392/78, censura l'impugnata sentenza,

deducendo che il Pretore di Latina con l'ordinanza in data 31

marzo 1980 concesse termine di grazia per sanare la morosità

in ordine alle quote condominiali, agli interessi e alle spese pro

cessuali al conduttore, che ne aveva fatto richiesta, ma non si

era riservato sulle eccezioni del convenuto; dal che consegue, se

condo il ricorrente, che all'udienza del 5 giugno 1980 il pretore

doveva limitarsi (essendo scaduto il termine per sanare la mora

e) persistendo la morosità del convenuto, ad ordinare il rilascio

dell'immobile, come ha fatto, senza disporre rinvio della causa

per la trattazione del merito, essendo la decisione del merito in

contrasto con le concessioni del termine per sanare la mora.

La censura è fondata.

Gli art. 5 e 55 1. n. 392 del 1978 hanno introdotto relativamen

te alla gravità dell'inadempimento, alla possibilità della sanatoria

ed alla concessione del termine di grazia, un'equiparazione fra

canone di locazione ed oneri accessori, con la conseguenza che

anche la morosità per soli oneri accessori, come nella specie, può

essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di conva

lida ex art. 658 c.p.c. (v. Cass. 4 febbraio 1987, n. 1066, Foro

it., 1987, I, 2443). Il termine di grazia per sanare la morosità può essere chiesto

dal conduttore, per comprovate difficoltà, alla prima udienza sia

nel procedimento ordinario, sia nel procedimento per convalida

di sfratto, sempre che, in quest'ultimo caso, emerga la volontà

del conduttore di non opporsi alla convalida per contestare in

tutto o in parte la morosità.

Infatti, ove il conduttore, convenuto nel procedimento per con

valida di sfratto per morosità, preferisca opporsi alla convalida

dello sfratto contestando la morosità, non può essere accolta l'e

ventuale contemporanea e subordinata domanda di concessione

del termine di grazia ex art. 55 1. n. 392 del 1978, in quanto

tale domanda, finalizzata all'estinzione del processo con la sana

toria della morosità, è incompatibile con la volontà prevalente

di opporsi alla convalida dello sfratto, dal momento che l'oppo

sizione dà luogo, a norma dell'art. 666 c.p.c., all'esaurimento

del procedimento speciale di convalida ed alla continuazione del

processo con il rito ordinario per l'accertamento della sussistenza

o meno della morosità.

Pertanto, il mancato pagamento da parte del conduttore, che

abbia chiesto termine per sanare la mora, dell'integrale importo

dovuto nel termine fissato dal giudice, comporta la proncuncia,

ex art. 663 c.p.c., all'udienza fissata entro dieci giorni dalla sca

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 28 ottobre 1989, n. 4520; Pres. Quaglione, Est. L. Niro, P.M. Di Renzo (concl. conf.); Vincenzi

2255 PARTE PRIMA 2256

denza del suddetto termine, della convalida di sfratto per morosi

tà, senza possibilità di rinvio della causa per la trattazione del

merito, trattazione, che, se svolta, va considerata illegittima. Nel caso di specie, scaduto il termine concesso al conduttore

per sanare la mora e persistendo la morosità, il pretore all'udien

za successiva alla scadenza del suddetto termine ritualmente ha

emesso ordinanza di rilascio, che è da considerare come una con

valida dello sfratto ed in tal senso resta confermata; l'illegittima

prosecuzione del processo è da ritenere, invece, nulla e tale nulli

tà travolge anche le sentenze di primo e secondo grado, che van

no, pertanto, cassate senza rinvio.

Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 17 otto

bre 1989, n. 4152; Pres. Cruciani, Est. Taddeucci, P.M. Ian

neiai (conci, conf.); Cateni (Aw. Marettelli, Narese) c. Bo

ccili (Aw. Pujatti, Verb ari) e Della Gherardesca. Conferma

App. Firenze 29 gennaio 1986.

Agricoltura — Vendita di fondo rustico con riserva di una stri

scia di terreno sui confine — Riscatto del coltivatore proprieta rio confinante (L. 26 maggio 1965 n. 590, disposizioni per lo

sviluppo della proprietà coltivatrice, art. 8; 1. 14 agosto 1971

n. 817, disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprietà coltivatrice, art. 7).

Nel caso di -vendita di fondo rustico, con riserva da parte del

venditore di una striscia di terreno sul confine non rispondente ad alcuna utilità, non può essere invocata la disciplina degli atti emulativi o la nullità della vendita; purtuttavia, per via

dell'inciso di cui all'art. 1418, 1° comma, c.c. «salvo che la

legge disponga diversamente», essendo stata violata la norma

imperativa che accorda al coltivatore proprietario confinante la prelazione, a quest'ultimo va riconosciuto lo strumento suc

cedaneo dell'esercizio del diritto di riscatto. (1)

(1) La sentenza, nello stabilire il principio di cui alla massima, ha escluso

l'applicabilità dell'art. 833 c.c., divieto per il proprietario di atti emulati

vi, aderendo alla concezione secondo cui tale norma riguarda i casi di

esercizio del diritto reale e non i casi del potere dispositivo di esso (De Martino, La proprietà, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976, 154).

Ha affermato la sentenza che invece vengono in rilievo le norme relati ve alla nullità del contratto nel senso che la violazione della norma impe rativa non dà necessariamente luogo alla nullità del contratto, poiché l'art.

1418, 1° comma, c.c. attraverso l'inciso «salvo che la legge disponga diversamente», impone all'interprete di accertare se il legislatore, anche in caso di inosservanza del precetto, abbia comunque consentito la validi tà del negozio e predisposto nel contempo un meccanismo idoneo a rea lizzare gli effetti voluti dalla norma violata: e cioè, se è stata violata la norma imperativa che prevede la prelazione del proprietario confinan

te, la vendita non è nulla ma al proprietario confinante va riconosciuto lo strumento succedaneo dell'esercizio del riscatto. Ha motivato la sen tenza: «In tal caso, il tentativo di eludere l'applicabilità della norma im

perativa sulla prelazione riceve una sanzione proporzionata e consona alla violazione, in quanto ai fini del retratto viene considerato improdut tivo di effetti quella artata condizione (distacco tra i due fondi) in virtù della quale si mira a vanificare il diritto potestativo del vicino».

Va sottolineato che l'anzidetta decisione è stata fondata sull'assunto che la striscia di terreno sul confine, non avente alcuna utilità, era stata riservata dal venditore per eludere la prelazione del proprietario confinante.

Tanto precisato, la sentenza in rassegna ha richiamato in motivazione Cass. 24 maggio 1982, n. 3158, Foro it., Rep. 1982, voce Agricoltura, n. 182 e Giust. civ., 1982, I, 2326, secondo cui non è nullo il contratto di vendita di fondo rustico nel quale, al fine di eludere il diritto di prelazione dei proprietari confinanti e far apparire la futura vendita come conclusa a seguito dell'esercizio del diritto di prelazione spettante al promesso ac

quirente ex art. 8 1. 590/65, sia inserita una clausola contenente l'impegno delle parti di stipulare un contratto di affitto. Ed è stata pure richiamata in motivazione Cass. 12 ottobre 1982, n. 5270, Foro it., Rep. 1982, voce

cit., n. 222, secondo cui la violazione di una norma imperativa non dà

luogo necessariamente alla nullità del contratto, giacché l'art. 1418, 1°

Il Foro Italiano — 1990.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 16 febbraio 1973 Vieri Bocelli esponeva che con rogito per no

tar Pazzaglia del 30 dicembre 1972 Gaddo, Guido Novello e Wil

fredo Todice Della Gherardesca avevano venduto a Renzo Cateni

ed a Franco Biagi appezzamenti di terreno — rispettivamente estesi

per oltre 12 ettari e mezzo e per circa sette ettari — siti in territo

rio di Castagneto Carducci e confinanti con altro appezamento

(lungo il lato ovest di quest'ultimo) a lui attore della dante causa

dei Della Gherardesca, venduto con rogito per notar Lollio del

27 gennaio 1970, e da lui con i familiari personalmente coltivato,

senza consentirgli l'esercizio del diritto di prelazione ex art. 8

1. n. 590 del 1965. In base a tali premesse il Bocelli conveniva in giudizio i sopra

nominati davanti al Tribunale di Livorno al fine di sentir accerta

re il proprio diritto all'acquisto preferenziale dei fondi per via

di recesso previo versamento del prezzo risultante dal rogito del

1972. Resistenti i due compratori, contumaci i Della Gherardesca,

il tribunale adito — previo espletamento di consulenza tecnica — rigettava la domanda sul rilievo che nemmeno lungo il lato

ovest il fondo dell'attore confinava con quelli venduti al Cateni

ed al Biagi, poiché lungo quel confine i venditori si erano riserva

ti la proprietà di una striscia di terreno larga dieci metri circa

da adibire a strada (probabilmente vicinale). Il Bocelli interponeva gravame sostenendo che il tribunale er

roneaemente aveva qualificato come strada quella fascia confina

ria (dato che di siffatta destinazione non vi era traccia nei docu

menti e negli atti della pubblica amministrazione), e che in ogni caso era stata attribuita rilevanza ad un mero artificio, posto in

essere dalle controparti, con l'esclusione di una striscia di terreno

dalla vendita, al solo scopo di eludere il diritto di prelazione e

di retratto spettante a lui appellante.

comma, c.c., con l'inciso «salvo che la legge disponga diversamente»,

impone all'interprete di accertare se il legislatore, anche in caso di inos servanza del precetto, abbia del pari consentito la validità del negozio, predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla

norma (è stata perciò ritenuta valida la vendita in violazione del diritto di prelazione, stante il rimedio del diritto di riscatto da parte dell'avente

diritto alla prelazione nei confronti dell'acquirente). In dottrina (Galgano, Diritto civile e commerciale, Cedam, Padova,

1990, II, 1, 262), tra le ipotesi di cui all'inciso «salvo che la legge dispon da diversamente» viene indicata quella di cui a Cass. 5270/82, cit. Anco

ra in dottrina, nel senso che la nullità deve essere esclusa se l'esigenza

perseguita dal legislatore mediante la previsione della specifica sanzione

(civilistica, penale o amministrativa), sia compiutamente realizzata con

la relativa irrogazione, v. De Nova, Il contratto contrario a norme impe rative, in Riv. critica dir. privato, 1985, 446 ss. Ma v. altresì' C.M. Bian

ca, Diritto civile. 3. Il contratto, Giuffrè, Milano, 1984, 582. Si osserva che la soluzione adottata dalla sentenza in epigrafe non toc

ca la spettanza della striscia di terreno lasciata tra i due fondi, che do

vrebbe comunque ritenersi di proprietà del venditore, salva la possibilità di acquisto da parte di chi ha esercitato il diritto di riscatto ai sensi del 2° comma dell'art. 939 c.c.

Di un caso analogo a quello di cui alla riportata sentenza si è occupata Cass. 19 dicembre 1980, n. 6562, Foro it., 1981, I, 1658, con nota di

Piccinini, che non ha affrontato il problema della simulazione che il

rilascio di una striscia di terreno sul confine comportava, simulazione

pur ritenuta dalla corte del merito, preferendo cassare l'impugnata sen tenza e demandare al giudice di rinvio l'indagine circa l'esistenza, sulla striscia esclusa, di una strada a pubblico transito, atta ad escludere la

contiguità dei fondi. E altro caso analogo è stato trattato da Trib. Bari

30 marzo 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 113 e Nuovo dir. agr., 1978, 548, con nota critica di Princigalli: questa sentenza ha ritenuto che non

ha alcuna rilevanza l'intento fraudolento del venditore che si riserva la

proprietà di una striscia di terreno sul confine, in quanto «quel che oc

corre riguardare, per l'individuazione dei confini, è il fondo 'venduto' e non quello precedente alla vendita».

Nel caso di cui alla sentenza in epigrafe, la corte del merito, per il riconoscimento del diritto di riscatto a favore del coltivatore, aveva rite

nuto la contiguità funzionale dei due fondi rustici. Ma la sentenza, ri

chiamando Cass., sez. un., 25 marzo 1988, n. 2582, Foro it., 1988, I,

1510, ha respinto tale argomentazione: la citata decisione delle sezioni unite ha ritenuto che la prelazione è possibile quando tra i due fondi confinanti vi sia contiguità materiale e non già quando vi sia contiguità funzionale (quest'ultima ricorre quando i due fondi pur separati si pre stano al comune accorpamento di un'unica azienda).

Con la sentenza in rassegna, a riprova che il criterio della contiguità materiale non sempre è soddisfacente, ci troviamo senza dubbio in un

caso di contiguità non materiale che ha purtuttavia portato al riconosci mento del diritto di riscatto. [D. Bellantuono]

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