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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione III civile; sentenza 7 febbraio 1987,...

Date post: 27-Jan-2017
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sezione III civile; sentenza 7 febbraio 1987, n. 1307; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P.M. Nicita (concl. conf.); Gelmi e altre (Avv. G. Grasselli) c. De Zordi (Avv. Poletti Pane, Salvagnin). Cassa Pret. Piove di Sacco 26 gennaio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 215/216-217/218 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181042 . Accessed: 24/06/2014 21:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.162 on Tue, 24 Jun 2014 21:27:42 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 7 febbraio 1987, n. 1307; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P.M. Nicita(concl. conf.); Gelmi e altre (Avv. G. Grasselli) c. De Zordi (Avv. Poletti Pane, Salvagnin). CassaPret. Piove di Sacco 26 gennaio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 215/216-217/218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181042 .

Accessed: 24/06/2014 21:27

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PARTE PRIMA

sitivo in udienza; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 31, lett. c), 1. 968/77, in relazione all'art. 14 della stessa legge, per avere il pretore equiparato alla caccia in periodo non consentito

quella esercitata in giorno vietato, pur non essendo questa espres samente richiamata dall'art. 31 cit. e rientrando, perciò, tra le

ipotesi previste — innominatamente — dalla lett. ri) di tale norma.

Per manifeste ragioni di economia processuale e considerato

(anche) preminente l'interesse del ricorrente alla risoluzione della

questione proposta col secondo motivo, conviene esaminarlo prio

ritariamente, in ragione della sua attitudine a prevenire, nel caso

di accoglimento, statuizioni del giudice di rinvio sul merito della

pretesa nuovamente impugnabili e, quindi, capaci di stimolare

un secondo giudizio di legittimità. Il motivo è fondato. I «periodi» di caccia, in relazione alle

varie specie cacciabili, sono stabiliti dall'art. 11 1. 968/77, che, a questo fine, ha periodizzato l'anno in mesi (non in settimane

o giorni), i quali si porgono, quindi, nel tessuto letterale e logico della norma, come frazioni dell'anno (periodi appunto) nelle quali la caccia è consentita.

Il successivo art. 14 demanda alle regioni il compito (esercitato nel caso concreto, a quanto risulta dalla sentenza pretorile, me

diante delega alla provincia, ai sensi dell'art. 5 1. cit.) di emanare

il calendario venatorio, fissando, tra l'altro, nell'ambito dei pe riodi predeterminati dall'art. 11, il numero delle giornate settima

nali di caccia (in numero non superiore a tre, esclusi il martedì'

e venerdì). L'art. 31, a sua volta, sanziona in un certo modo, alla lettera

c), la violazione del divieto di caccia nei «periodi non consentiti»

e in modo meno grave, alla lettera ri), le violazioni delle disposi zioni da esso non espressamente richiamate, tra le quali si inseri scono quelle riguardanti i giorni di caccia disciplinati dall'art. 14 (norma non specificamente richiamata).

Ne deriva che, per l'esercizio della caccia in periodi consentiti

ma in giorno di silenzio venatorio (come accaduto nella specie), la sanzione applicabile non è quella prevista dalla lettera e), bensì'

quella di cui alla successiva lettera ri).

Questa conclusione aderisce pienamente a precedenti arresti di

questa corte (sent. 772 del 1983, Foro it., Rep. 1983, voce Cac

cia, n. 9, e 3616 del 1982, id., 1982, I, 2469), sebbene relativi

a casi di caccia, esercitata (non in giornate, ma) in ore vietate, ed è confortata dalla diversa ratio dei due divieti, individuabile,

rispettivamente, nell'esigenza prioritaria (tutelata dalla periodiz zazione dell'anno in mesi) di favorire la riproduzione della sel

vaggina e nell'interesse ulteriore (perseguito con le limitazioni dei

giorni e delle ore di caccia) di impedirne l'abbattimento indiscri

minato.

In accoglimento del secondo motivo (assorbito il primo), la

sentenza impugnata deve essere, di conseguenza, cassata, con rin

vio della causa per nuovo esame al Pretore di Latina, il quale, si uniformerà al principio di diritto che per l'esercizio della caccia

in periodo consentito, ma in giorno vietato, è applicabile non la sanzione di cui alla lettera c), bensì' quella (meno grave) previ sta dalla successiva lettera ri) dell'art. 31 1. 968/77.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 7 feb

braio 1987, n. 1307; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P.M. Ni cita (conci, conf.); Gelmi e altre (Avv. G. Grasselli) c. De

Zordi (Avv. Poletti Pane, Salvagnin). Cassa Pret. Piove di

Sacco 26 gennaio 1982.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Recesso del locatore — Esercizio di attività

agricola per connessione — Ammissibilità (Cod. civ., art. 2135; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 27, 29,73).

Poiché ai fini della determinazione dell'ambito di applicazione degli art. 27 e 29 l. 392/78 le attività elencate dalla prima di

tali disposizioni vengono in rilievo per la loro effettiva natura, a prescindere dalla qualificazione dell'impresa che le esercita, anche il locatore titolare di impresa agricola, o che intenda eser

citare tale impresa, ha diritto di ottenere — ai sensi degli art.

29 o 73 della legge citata — la disponibilità dell'immobile loca to per adibirlo all'esercizio di un 'attività commerciale o indu

II Foro Italiano — 1988.

striale connessa a quella tipicamente agraria di cui all'art. 2135

c.c., o anche per utilizzarlo come deposito di merci. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso notificato il 7 mag

gio 1980, Maria e Silvana Gelmi e Regina Zecchin, nella loro

veste di eredi di Angelo Gelmi, convenivano in giudizio davanti

al giudice conciliatore di Piove di Sacco, Antonio De Zordi chie

dendo il rilascio di un immobile da questo condotto in locazione, e del quale esse erano proprietarie pro indiviso essendo essa Regi na Zecchin costretta per motivi economici a riprendere la coltiva

zione di tre campi, ed avendo pertanto necessità di destinare il

fabbricato, consistente in un sottoportico con annessa corte, a

magazzino, deposito attrezzi, foraggio e raccolto, nonché all'alle

vamento di animali da cortile.

Costituitosi in giudizio, il convenuto chiedeva il rigetto della

domanda, assumendo che il contratto era stato novato dopo il

decesso di Angelo Gelmi, avvenuto il 12 dicembre 1978, per cui

era necessario attenderne la scadenza; che il dedotto stato di ne

cessità non rientrava tra quelli tassativamente previsti dall'art.

29, lett. b), 1. 392/78 non trattandosi di attività «industriale, com

merciale o artigianale»; e che, infine, non poteva sussistere alcu

na necessità, avendo già la Zecchin disponibilità di spazio sufficiente per i suoi bisogni. Chiedeva, in via riconvenzionale,

che, qualora la domanda delle ricorrenti fosse stata accolta, le

istanti venissero condannate a versargli l'indennità di avviamento

quantificata in diciotto mensilità del canone di mercato.

Ispezionato l'immobile in questione, ed espletata una prova te

stimoniale nonché raccolto l'interrogatorio formale della Zecchin, con sentenza 20 marzo 1981, il giudice conciliatore rigettava la

domanda ritenendo insussistenti lo stato di necessità dedotto dal

(1) In senso sostanzialmente conforme, v. Cass. 21 luglio 1983, n. 5020 e Cass. 29 aprile 1983, n. 2972 (riguardante un caso di recesso ex art. 73 1. 392/78 motivato dell'esigenza del locatore-imprenditore agricolo di conservare i prodotti del proprio fondo destinati alla commercializzazio

ne), Foro it., 1984, I, 910, con nota di richiami (entrambe annotate da M.T. Bocchetti, in Giur. it., 1984, I, 1, 1183); nonché, tra le pronunzie di merito, Trib. Vallo della Lucania 22 giugno 1984, id., Rep. 1984, voce

Locazione, n. 670 (e Rass. equo canone, 1984, 144); Pret. Orsara di Pu

glia 23 dicembre 1983, ibid., n. 152 (in tema di durata del contratto ex art. 27 1. 392, riportata per esteso in Arch, locazioni, 1984, 125); e, da

ultimo, Pret. Molfetta 8 ottobre 1986, id., 1987, 176. A differenza di quanto ritenuto con riguardo alle attività agricole per

connessione di cui al 2° comma dell'art. 2135 c.c. (che «di per se stesse non hanno un contenuto propriamente agricolo . . .»), la pronunzia in

epigrafe osserva nella motivazione che «l'esclusione della operatività del la legge sull'equo canone in relazione alle attività agricole primarie trae la sua ratio non solo dalla espressione letterale della norma [art. 27 1.

392/78], ma soprattutto dalla esistenza di uno specifico fattore (terra) che giustifica l'applicazione della disciplina speciale dettata in materia». In contrasto con tale assunto, v. Corte cost. 22 febbraio 1984, n. 40, Foro it., 1984, I, 910 (annotata da P. Magno, in Riv. dir. agr., 1984, II, 306; da M.T. Bocchetti, in Giur. it., 1985, I, 1, 673; da G. Morsil

lo, in Giur. agr. it., 1985, 605), secondo cui anche le attività «essenzial mente agricole», quale quella del coltivatore diretto, sono tutelate dalla 1. n. 392 del 1978, essendo riconducibili nel novero delle «attività di lavo ro autonomo» di cui al 2° comma dell'art. 27. Nello stesso senso sembra orientata, ma in termini più generali, Cass. n. 2972/83, cit.

Sui riflessi della menzionata sentenza n. 40/84 della Corte costituziona le in relazione al problema della delimitazione del concetto di «immobile

urbano», cui si riferisce la 1. 392/78, v. i rilievi critici di D. Piombo, Legge dell'equo canone, locazione di aree non edificate e incertezze sulla nozione di immobile urbano (nota a Cass. 16 dicembre 1985, n. 6384, e 29 novembre 1985, n. 5930), in Foro it., 1986, I, 690. Per successivi riferimenti di giurisprudenza in ordine alla distinzione tra immobile urba no e fondo agricolo, v. Cass. 5 marzo 1986, n. 1418, id., 1987, I, 1248, con nota di richiami di D. Piombo.

In dottrina, sulla problematica esaminata dalla riportata pronunzia, v., inoltre, F. Lazzaro - R. Preden, Le locazioni per uso non abitativo, Giuffrè, Milano, 1985, 23 ss. e 49; P. Cosentino - P. Vitucci, Le loca zioni dopo le riforme del 1978-1985, Utet, Torino, 1986, 273, nota 3

( i quali dubitano della inclusione nell'ambito operativo dell'art. 27 1. 392/78 anche delle attività agricole per connessione di cui all'art. 2135, 2° comma, c.c.).

Circa l'applicabilità degli art. 27 ss. 1. 392/78 alla locazione di immobi le adibito a «deposito» di merce (affermata ormai costantemente dalla

giurisprudenza, purché si tratti di immobile funzionalmente e/o spazial mente collegato ad una delle attività elencate dallo stesso art. 27), v. Cass. n. 1418/86, cit., e la relativa nota di richiami; cui adde Cass. 20 febbraio 1987, n. 1829, Foro it., Mass., 305.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

la Zecchin, avendo la stessa a disposizione altri locali sufficiente

mente ampi. Avverso tale sentenza le locatrici proponevano ap

pello, che veniva rigettato dal Pretore di Piove di Sacco con

sentenza del 26 gennaio 1982.

Riteneva il pretore, per quanto riguarda il presente ricorso: che

la necessità dedotta dalle locatrici era quella di destinare l'immo

bile locato a pertinenza del fondo agricolo. Ora, l'art. 29 1. n.

392 del 1978, che, in relazione all'art. 73 stessa legge, regola il

caso di recesso del locatore, rimanda alle situazioni previste dal

l'art. 27 predetta legge e, cioè, ai casi in cui il locatore intenda

adibire l'immobile ad attività «industriali, commerciali ed artigia nali». La tassatività dei casi previsti dal citato art. 27 non con

sente, quindi, una interpretazione analogica, mentre una

interpretazione estensiva non sarebbe sufficiente a ricomprendere l'attività di connessione all'agricoltura tra quelle tutelate. Le lo

catrici ricorrono, ora per cassazione sulla base di un mezzo di

annullamento. Il De Zordi resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di annullamento, le ricorrenti Gelmi-Zecchin, denunziata violazione e falsa appli cazione dell'art. 29 in relazione agli art. 27 e 73 1. n. 392 del

1978, nonché vizio di motivazione, lamentano che il giudice di

secondo grado ha escluso l'attività agricola come legittimante il

locatore dal recedere per necessità dal contratto di locazione rela

tivo ad immobile adibito ad uso non abitativo, ritenendo che la

predetta attività non è prevista dal citato art. 27 accanto a quelle

«industriali, commerciali ed artigianali» tassativamente indicate.

La censura è infondata, e va, pertanto, accolta. È certo, infat

ti, che l'art. 27 1. n. 392 del 1978 contempla tra le attività sogget te alla normativa speciale esclusivamente quelle «industriali, commerciali ed artigianali» di interesse turistico, ex di lavoro au

tonomo e sembra, pertanto, escludere espressamente le attività

agricole.

Ora, ai sensi dell'art. 2135 c.c. sono attività agricole non solo

quelle primarie, cioè, dirette alla coltivazione del fondo, alla sil

vicoltura, all'allevamento del bestiame (1° comma) ma anche quelle cosiddette «connesse» di cui le più rilevanti sono quelle rivolte

alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli (2°

comma).

Se, intanto, l'esclusione della operatività della legge sull'equo canone in relazione alle attività agricole primarie trae la sua ratio

non solo dall'espressione letterale della norma, ma soprattutto dalla esistenza di uno specifico fattore (terra) che giustifica l'ap

plicazione della disciplina speciale dettata in materia, non altret

tanto può affermarsi per quanto concerne le attività agricole

connesse, di cui al citato 2° comma dell'art. 2135 c.c., le quali, di per se stesse non hanno un contenuto propriamente agricolo

e, quindi, potrebbero considerarsi anche attività commerciali, ma

acquistano, per disposizione legislativa, carattere agricolo allor

ché siano esercitate in connessione con una delle attività agricole fondamentali previste dal codice. Né consegue che anche l'attivi

tà secondaria di trasformazione o alienazione dei prodotti agrico

li, in quanto intesa al completo sfruttamento e all'integrale valorizzazione di questi va riferita al titolare dell'impresa agraria deve applicarsi la normativa esistente per questa ultima.

Non va escluso, tuttavia, che — a fini diversi dalla disciplina

giuridica ed economica dell'impresa — le attività extragrarie ven

gano in rilievo per la loro effettiva natura, industriale e commer

ciale, laddove rileva la valutazione dell'attività concretamente

svolta. In tale prospettiva vanno interpretate le disposizioni dei

citati art. 27 e 29 1. n. 392 del 1978, che riguardano rispettiva mente la durata delle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso

da quello di abitazione ed il diritto di recesso del locatore per

gli stessi immobili. Infatti, quando l'art. 27 considera gli immo

bili che sono «adibiti» ad attività industriali, commerciali, arti

gianali, ecc., è palese il riferimento obiettivo alla utilizzazione

concreta cui gli immobili sono destinati e allo svolgimento di cer

te attività economiche professionali, a prescindere dalla natura

giuridica dell'impresa esercente. Allo stesso modo il successivo

art. 29 prescinde dalla qualificazione del soggetto locatore che

faccia valere uno dei motivi di recesso previsti in quella norma,

ed incentra il precetto sulla utilizzazione concreta che egli intenda

fare dell'immobile di cui chiede la disponibilità. In aderenza a tale interpretazione deve, cosi, ritenersi che an

che il locatore titolare dell'impresa agricola o che intenda eserci

tare tale impresa possa ottenere la disponibilità dell'immobile

locato, quando intenda adibirlo all'esercizio dell'attività commer

ciale o industriale connessa a quella tipicamente agraria di cui

Il Foro Italiano — 1988.

all'art. 2135 c.c. o, ancora, quando intenda utilizzare l'immobile

per deposito di merci, in quanto anche tale utilizzazione deve

considerarsi attinente alle attività privilegiate dal legislatore con

la conseguenza che può anch'essa giustificare il recesso da parte del locatore (v. per riferimenti Cass. 21 luglio 1983, n. 5920, Fo

ro it., 1984, I, 910). È appena il caso di accennare che il principio innanzi indicato

trova applicazione anche nella disciplina transitoria delle locazio

ni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione per il rinvio

contenuto nell'art. 73 1. n. 392 del 1978 ai motivi di recesso di

cui all'art. 29.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, e la causa rinvia

ta, per nuovo esame al Pretore di Padova.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 2 feb

braio 1987, n. 930; Pres. Brancaccio, Est. Cassata, P.M. Mi

netti (conci, conf.); Comunità europea dell'energia atomica

(Avv. De Caterini) c. Beditti (Avv. D'Amato). Regolamento

preventivo di giurisdizione.

Giurisdizione civile — Agente di organismo comunitario — Con

troversia di lavoro — Difetto di giurisdizione del giudice italia

no (Trattato istitutivo dell'Euratom, art. 152; regolamento 29

febbraio 1968 n. 259 del consiglio, che definisce lo statuto dei

funzionari delle Comunità europee nonché il regime applicabile

agli altri agenti di tali Comunità, ed istituisce speciali misure

applicabili temporaneamente ai funzionari della commissione).

Si sottrae alla giurisdizione del giudice italiano, e rientra nella

giurisdizione della Corte di giustizia delle Comunità europee, la controversia instaurata da dipendente, già «agente di stabili

mentoi» e in base a nuovo contratto «agente temporaneo di

ricerca» nella sede di Ispra, per condanna della Comunità eu

ropea dell'energia atomica alla rivalutazione monetaria ed agli

interessi, per pagamento in ritardo della indennità di anzianità,

maturata in base a precedente contratto. (1)

Svolgimento del processo. — Essendo stata, il 23 dicembre 1982,

convenuta dinanzi al Pretore di Gavirate dal dipendente Romolo

Beditti — già «agente di stabilimento» e dal 30 ottobre 1976,

in base a nuovo contratto, «agente temporaneo di ricerca» nella

sede di Ispra — per essere condannata ad integrare con un sup

plemento per rivalutazione e con gli interessi previsti dal contrat

to collettivo operante tra le parti il pagamento, effettuato con

quattro mesi di ritardo, dell'indennità di anzianità liquidata per la risoluzione del primo rapporto, la commissione delle Comuni

tà europee ha proposto con tempestivo ricorso a questa corte istan

za di regolamento preventivo di giurisdizione, cui ha poi fatto

seguito con una memoria.

Il Beditti ha proposto controricorso inammissibile perché tardivo.

Motivi della decisione. — Il ricorrente sostiene che la contro

versia appartiene alla competenza della Corte di giustizia delle

Comunità europee in base a tre argomenti. Il primo è che, per essere l'obbligazione di pagamento di inte

ressi di «natura del tutto autonoma e distinta rispetto a quella

(1) In senso conforme, v. Cass. 5 gennaio 1981, n. 13, Foro it., 1981,

I, 2253, che ha ritenuto l'applicabilità alla Ceea dell'art. 1 1. 23 ottobre

1960 n. 1369, sul divieto di intermediazione di mano d'opera, per quanto

riguarda i c.d. «agenti locali» (nella specie, ai dipendenti di ditte appalta tici di lavori di manutenzione di impianti elettrici del centro di ricerche

della Comunità di Ispra, è stata riconosciuta la dipendenza diretta dalla

Comunità, con il diritto all'applicazione del trattamento più favorevole);

e Corte giust. 11 marzo 1975 causa 65/74, id., 1975, IV, 201, con ampia nota di richiami, che ha statuito: 1) che «l'art. 152 del trattato Ceea

deve interpretarsi nel senso che esso si applica non soltanto ai soggetti aventi lo status di dipendenti di ruolo o agenti diversi da quelli locali,

ma anche ai soggetti che rivendicano tale status; 2) che «la Corte di giu stizia è competente a pronunciarsi su qualsiasi controversia tra la Comu

nità e gli agenti di questa, nei limiti e alle condizioni determinate dallo

statuto o risultanti dal regime applicabile a questi ultimi».

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