sezione lavoro; sentenza 6 febbraio 1988, n. 1293; Pres. Pandolfelli, Est. Panzarani, P.M. Tridico(concl. conf.); Credito italiano (Avv. Visconti, Montuschi) c. Cavicchi e altro (Avv. Forti,Bondi). Conferma Trib. Ravenna 11 settembre 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 783/784-787/788Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181133 .
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PARTE PRIMA
con l'ambito del giudizio di merito, come avviene per le questioni di giurisdizione e di competenza che si pongono con uguale con
tenuto in tutti i gradi del giudizio. Sussistono, allora, nel proble ma qui esaminato, le identiche ragioni per le quali si ritiene
pacificamente che la Cassazione debba statuire sulla giurisdizione e sulla competenza sulla base degli atti, senza incontrare lo scher
mo dell'apprezzamento del giudice di merito.
Va affermata, in altri termini, l'analogia — per gli effetti qui considerati — tra la situazione in cui il giudice di merito abbia
ravvisato il proprio difetto di giurisdizione o di competenza e
la situazione in cui, per la ritenuta natura irrituale dell'arbitrato, il giudice adito abbia negato la potestas decidendi che gli derive
rebbe dall'accertamento della natura rituale dello stesso arbitrato.
2. - Deve, quindi, procedersi ad accertare, anche sulla base
di tutti gli elementi di fatto acquisiti al processo, se le parti han
no dato vita ad un arbitrato rituale o libero.
Nell'arbitrato rituale le parti affidano agli arbitri una funzione
sostitutiva di quella del giudice, in quanto vogliono una pronun cia che, col crisma dell'autorità giudiziaria, acquisti un valore
pari a quello di una sentenza; nell'arbitrato irrituale le parti con
feriscono agli arbitri un mandato a definire la controversia in
via negoziale con una pronuncia riconducibile alla volontà dei
mandanti e da valere come contratto tra questi concluso.
La sentenza impugnata, pur avendo posto con esattezza la li
nea distintiva tra i due istituti giuridici, ha errato nell'inquadrare la fattispecie da essa decisa nell'ambito dell'arbitrato libero anzi
ché in quello dell'arbitrato rituale.
A favore della seconda qualificazione sono subito percepibili alcune significative espressioni che si leggono nella scrittura pri vata stipulata tra le parti in data 12 aprile 1979. Con essa l'appal tatore Giagheddu ed il committente Peri deferiscono ad un arbitro
(scelto di comune accordo) ovvero, in mancanza di accordo, ad
un collegio di tre arbitri «ogni controversia» esistente tra le stesse
in relazione al contratto di appalto; le parti si riferiscono alla
«decisione arbitrale» ed alla «misura che sarà decisa dal lodo
arbitrale»; esse stesse definiscono le proprie posizioni come «ri
spettive pretese»; gli arbitri dovranno rendere il lodo entro un
termine; il lodo sarà «inappellabile e deciderà anche in ordine
alle spese arbitrali».
Tutte le espressioni trascritte, nel loro insieme ed alcune anche
prese singolarmente (decisione, pretesa), dimostrano che le parti non si sono riferite alla elaborazione di elementi negoziali, bensì', usando locuzioni proprie del processo civile, hanno inteso l'atti
vità degli arbitri come sostitutiva di quella del giudice. Né argomento contrario può trarsi — come si legge nella sen
tenza impugnata — dal fatto che le parti si siano riferite al potere arbitrale come quello di un «amichevole compositore» (non rile
va qui accertare il fatto, controverso tra le parti, se questa clau
sola si riferisca solo all'ipotesi dell'arbitro unico o anche a quella del collegio arbitrale). La qualificazione degli arbitri come ami
chevoli compositori non è determinante al fine della individua
zione del tipo di arbitrato (Cass. 14 luglio 1983, n. 4832), potendo essa essere intesa come attributiva del potere di decidere secondo
equità (art. 822 c.p.c.). Gli elementi finora esposti non contrastano con il fatto — su
cui fa leva essenzialmente la sentenza impugnata — che le parti, nella menzionata scrittura, hanno dichiarato di «transigere tutte
le questioni» tra esse insorte nel giudizio pendente presso la Pre
tura de La Maddalena. La transazione, infatti, va collegata alle
altre clausole della scrittura privata (oltre quelle sub a ed / relati
ve all'arbitrato), con le quali le parti hanno fatto reciproche con
cessioni rispetto alle posizioni da loro sostenute nel giudizio
pretorile. Queste clausole risolvono vari contrasti; alcuni sono au
tonomi rispetto alle controversie deferite al giudizio arbitrale (con
segna dell'appartamento, per il cui ottenimento il Peri aveva adito
il pretore ex art. 700 c.p.c.); altri contrasti vengono, invece, rego lamentati in via provvisoria, in attesa della definizione del giudi zio arbitrale (deposito da parte del Peri della somma di denaro
a garanzia delle pretese avanzate dal Giagheddu). L'intento tran
sattivo, pertanto, non esclude che, per tutto ciò che non sia stato
definito dalle clausole della scrittura privata, le parti si siano affi
date al giudizio arbitrale, voluto (anch'esso stesso come modalità
della composizione transattiva) in sostituzione della decisione giu
diziaria, per la quale esse avevano instaurato giudizio ordinario.
Convergente con la interpretazione che questo collegio dà del
compromesso è stato il comportamento tenuto dalle parti succes
sivamente alla conclusione dell'atto (rilevante ex art. 1362, cpv.,
Il Foro Italiano — 1988.
c.c.). Molte delle questioni che ambedue le parti hanno proposto al collegio arbitrale (e risultanti dal testo del lodo arbitrale) fan
no riferimento al contenuto di un accertamento giudiziario (enti tà dei danni, dei vizi e difformità dell'opera, ecc.): il Peri, in
particolare, nella memoria 15 ottobre 1979, ha chiesto la «liqui dazione delle spese del giudizio arbitrale a carico della parte soc
combente». Il riferimento alla soccombenza in un giudizio si pone chiaramente su un piano giurisdizionale, e non certo contrattuale.
3. - In conclusione, il ricorso del Giagheddu va accolto e la
sentenza impugnata va cassata. La causa va rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, che de
ciderà sulla impugnazione proposta dal Giagheddu ex art. 828
c.p.c., ritenendo che essa abbia per oggetto un arbitrato rituale.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 febbraio
1988, n. 1293; Pres. Pandolfelli, Est. Panzarani, P.M. Tri
dico (conci, conf.); Credito italiano (Avv. Visconti, Montu
schi) c. Cavicchi e altro (Avv. Forti, Bondi). Conferma Trib.
Ravenna 11 settembre 1985.
Lavoro (rapporto) — Lavoratrici madri — Assenza per malattia
del bambino — Convalescenza (Cost., art. 37; 1. 30 dicembre
1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 7).
La lavoratrice madre ha diritto di assentarsi dal lavoro ex art.
7,2° comma, l. 1204 del 1971 durante le malattie del bambino
di età inferiore a tre anni, tra esse comprendendosi la convale
scenza, e cioè la fase conclusiva dell'infermità durante la qua
le, dopo il superamento dei sintomi acuti, il paziente deve ancora
recuperare le proprie normali condizioni biopsichiche. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 ottobre
1987, n. 7767; Pres. Afeltra, Est. Corsaro, P. M. Di Renzo
(conci, diff.); Inps (Avv. Lipari) c. Marcucci (Avv. Agostini).
Conferma Trib. Siena 17 settembre 1984.
Previdenza sociale — Allontanamento dal posto di lavoro per malattia infettiva del figlio — Indennità di malattia — Spettan za (L. 11 gennaio 1943 n. 138, costituzione dell'«Ente mutualità
Istituto per l'assistenza di malattia ai lavoratori», art. 5, 6).
Ha diritto alla indennità economica di malattia il lavoratore al
lontanato dal servizio dall'autorità sanitaria per malattia infet tiva (salmonellosi) del figlio. (2)
I
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo l'istituto banca
rio ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di una norma
di diritto nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motiva
(1-2) Trib. Ravenna 11 settembre 1985, riassunta in Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1894, leggesi in Giust. civ., 1986, I, 236, con nota di R. Del Punta, Assenze della lavoratrice madre per le malattie del bambino e poteri di controllo del datore di lavoro, e in Dir lav., 1986, II, 95, con nota di M. N. Bettini (entrambe le note si soffermano sul profilo, estraneo alla decisione 1293/88 in epigrafe com'è ivi espressa mente detto, dell'applicabilità dell'art. 5 1. 300 del 1970 ai fini del con trollo della malattia del bambino). Trib. Siena 17 settembre 1984 è riassunta in Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 1724.
Sui principi di cui alle massime non si rinvengono, invece, precedenti di legittimità in termini. Per un primo commento alla sentenza 7767/87, cfr. P. Dui, Portatori sani e indennità di malattia, in Dir. e pratica lav., 1987, 3186.
In materia di tutela di lavoratrici madri, cfr., da ultimo, Cass. 20 otto bre 1987, n. 7747, Foro it., 1988, I, 441, e Cass. 27 aprile 1987, n. 4079, ibid., 203 (quest'ultima relativa all'istituto di cui all'art. 7, 2° comma, 1. 1204 del 1971 esaminato da Cass. 1293/88).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zione circa punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e
5, c.p.c.) in relazione all'art. 7, 2° comma, 1. 30 dicembre 1971
n. 1204.
Criticando la tesi del tribunale circa la possibilità di ricondurre
nel concetto di malattia del bambino idonea a giustificare l'assen
za della lavoratrice madre anche la parte iniziale del periodo di
convalescenza collegato dalla necessità di assistenza, il ricorrente
deduce che nella sentenza impugnata non appare chiaro se l'as
senza debba ritenersi giustificata ancorché estesa a periodi di pri ma convalescenza ovvero se la certificazione dei medici di fiducia
(circa la necessità dell'assistenza materna) debba ritenersi di ca
rattere assorbente, in relazione di che non si vede la ragione del
l'espletamento della consulenza tecnica la quale ha precisato che
durante la convalescenza non sussiste malattia in senso medico
legale, anche se il bambino in tenera età necessita di presidi tera
peutici, e l'assistenza della madre ha carattere solo profilattico. Il ricorrente deduce quindi che l'art. 7, 2° comma, 1. del 1971
non comprende affatto nel concetto di malattia quello di conva
lescenza (fase di remissione) e tale norma dev'essere interpretata in senso restrittivo comportando invero l'eccezionale esonero del
debitore dall'obbligo di adempiere la prestazione. Aggiunge che
il tribunale è incorso in vizio di motivazione allorquando ha con
siderato necessaria l'assistenza materna, il che era invece l'ogget to della causa e la consulenza aveva concluso in senso negativo. Deduce ancora che, non potendo le malattie certificate ragione volmente durare per sei mesi consecutivi, sarebbe stato necessario
procedere a un adeguato e più approfondito accertamento dia
gnostico, mentre il tribunale, pur dando atto che fra i singoli
episodi morbosi vi erano stati sicuramente dei periodi di remis
sione e quindi anche di guarigione, ha preferito unificare le intere
assenze.
Tutto ciò richiamato, dev'essere rilevata, per le ragioni che se
guono, l'infondatezza del ricorso. Va peraltro premesso che nella
fattispecie non è più oggetto di dibattito la questione circa la
possibilità per il datore di lavoro, in caso di assenze della lavora
trice madre per malattia del bambino a norma dell'art. 7, 2° com
ma, 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, di richiedere i relativi controlli
medici sia pur nel rispetto delle garanzie di cui all'art. 5 dello
statuto dei lavoratori, problema questo di indubbia delicatezza
su cui però questa corte non deve e non può nel presente giudizio
pronunciarsi. Ciò che invece rimane oggetto di discussione, alla stregua delle
censure contenute nell'unico motivo del ricorso, è, in sostanza,
solo il punto relativo al significato che, al fine di stabilire la legit timità delle assenze della lavoratrice, dev'essere dato all'espres
sione «durante le malattie del bambino di età inferiore a tre anni»,
di cui alla già richiamata disposizione della 1. n. 1204 del 1971.
In proposito dev'essere anzitutto considerato che la disciplina
contenuta in tale legge (cosi come, in precedenza in quella 26
agosto 1950 n. 860) e, in particolare, la tutela del posto di lavoro
da essa garantita durante determinati periodi anteriori e successi
vi al parto, in relazione peraltro al divieto assoluto della presta
zione ovvero alla facoltà della lavoratrice di assentarsi per sei
mesi entro il primo anno di età del bambino e — nell'ipotesi
appunto di malattia di questo — fino a che il medesimo non
abbia compiuto tre anni, costituiscano espressione di un'equili
brata armonizzazione di interessi e di un'adeguata considerazione
di primari valori che trovano il loro fondamentale e univoco rife
rimento nella norma di cui all'art. 37, 1° comma, Cost., che,
oltreché stabilire la parità dei diritti della donna lavoratrice ri
spetto al lavoratore (prima parte), prescrive che le condizioni di
lavoro devono consentirle «l'adempimento della sua essenziale fun
zione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale
adeguata protezione» (parte seconda). Tali fondamentali valori
morali e sociali, di cui la Costituzione si è fatta interprete, esigo
no pertanto che la collettività partecipi al compito «protettivo»
della madre e del bambimo e ciò, tra l'altro, attraverso l'assisten
za sanitaria pubblica e le prestazioni previdenziali corrisposte, in
diversa misura e in determinati periodi (art. 15, 1° e 2° comma,
della suddetta legge), e che inoltre, nello svolgimento del rappor
to di lavoro, vi sia un ragionevole contemperamento delle rispet
tive esigenze delle parti. Per quanto concerne pertanto il periodo
di assenza facoltativa fino al compimento del terzo anno di età
del bambino — e a prescindere dai sei mesi previsti nel 1 ° comma
dell'art. 7 — tale contemperamento si esprime, in sintesi, nel di
ritto della lavoratrice di conservare, durante tale periodo, il pro
prio posto di lavoro senza però la percezione né della retribuzione
Il Foro Italiano — 1988.
né di alcuna indennità previdenziale. Dal che deriva innanzi tutto
la necessità per il datore di lavoro di predisporre l'organizzazione
dell'impresa in modo da tener conto delle possibili assenze della
lavoratrice, durante le quali tuttavia egli non viene a risentire
del costo economico del rapporto se non in misura limitatissima,
e, cioè, in relazione al solo computo dell'anzianità di servizio
della lavoratrice medesima (con esclusione invece degli effetti re
lativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o gratifica natalizia). Il vantaggio che la lavoratrice ottiene durante il periodo in cui
(a parte, ripetesi, i sei mesi previsti dal 1° comma dell'art. 7 della
legge) sia assente dal lavoro per provvedere al proprio bambino
infratreenne che sia stato colto da malattia è, pertanto, solo quel lo della conservazione del posto di lavoro e della maturazione
dell'anzianità di servizio. Con tale soluzione si è cosi attuato quel
contemperamento delle rispettive esigenze dei soggetti del rappor to di lavoro, di cui si è sopra accennato, onde consentire alla
lavoratrice l'adempimento della sua «essenziale funzione familia
re» senza peraltro eccessivo onere per il datore di lavoro. La con
siderazione, quindi, del fondamento e dell'alta finalità sociale della
disciplina di cui trattasi consente di risolvere sul piano giuridico il problema della determinazione del concetto di malattia del bam
bino che, tenuto conto di tale fondamento e di tale finalità, deve
necessariamente comprendere, non soltanto la fase di alterazione
patologica in atto, ma altresì' quella della convalescenza, con ciò
intendendosi — conformemente, del resto, ai criteri propri della
scienza medica — la fase conclusiva della malattia stessa durante
la quale, dopo il superamento dei sintomi acuti, il paziente deve
ancora recuperare le proprie normali condizioni biopsichiche. È
noto peraltro come la scienza medica evidenzi altresì' la delicatez
za di tale fase, durante la quale sono possibili — data la debilita
zione dell'organismo — pregiudizievoli ricadute. Va, del resto,
considerato che, anche ai fini della determinazione della durata
del comporto per malattia del lavoratore, non può non ritenersi
giustificata la protrazione dell'assenza dovuta appunto alla con
valescenza nel senso sopra indicato. Si rileva ancora come la scienza
medica parli altresì' di psicoterapia del convalescente e sottolinei
la necessità che gli venga assicurato il necessario clima per il com
pleto suo ristabilimento fisico e psichico. Orbene, tutto ciò non
può, ovviamente, non essere ancor più marcatamente pertinente
nei confronti del bambino ammalatosi nei suoi primissimi anni
di vita ed è evidente come il ruolo della madre si riveli, per i
suddetti profili, assolutamente insostituibile anche durante la fase
della convalescenza.
La nozione di malattia, agli specifici fini di cui trattasi, dev'es
sere perciò logicamente intesa in modo conforme alla ratio della
disciplina in esame, e perciò come comprensiva di quel periodo
in cui, in diretta connessione causale con una sofferta affezione
morbosa, il bambino non abbia ancora adeguatamente riacqui
stato le sue normali condizioni. Correttamente pertanto nella fat
tispecie il Tribunale di Ravenna ha rilevato la necessità
dell'assistenza materna per prevenire ricadute e per aiutare il re
cupero psicologico del bambino in un'età in cui la presenza affet
tiva della madre è realmente insostituibile. Né può sottacersi,
tenendo presenti dati di comune esperienza, la situazione di con
creta difficoltà in cui una lavoratrice può sovente venirsi a trova
re, anche sul piano economico, onde farsi coadiuvare da persone
capaci dell'assistenza convalescenziale di un bambino fin tanto
che non sia nuovamente possibile l'utilizzazione degli organismi
sociali che si occupano dell'infanzia.
Conclusivamente dev'essere perciò affermato che la disposizio
ne dell'art. 7, 2° comma, 1. n. 1204 del 1971 va interpretata,
non già in senso restrittivo come dedotto dal ricorrente, bensì
alla luce delle sue evidenti finalità di garantire l'adempimento
dell'essenziale funzione familiare della lavoratrice madre e di as
sicurare a lei e al bambino una speciale adeguata protezione, se
condo la ricordata formula dell'art. 37, 1° comma, Cost. La
nozione di assenze durante le malattie del bambino di cui alla
detta disposizione della 1. n. 1204 dev'essere perciò necessaria
mente recepita nel significato di assenze effettuate in connessione
delle malattie del bambimo e pertanto anche in relazione alle ne
cessità attinenti alla fase convalescenziale. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — Denunciando la violazione e l'errata
interpretazione degli art. 5 e 6 1. 11 gennaio 1943 n. 138, il ricor
rente deduce: che la legge non dà alcuna definizione della malat
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PARTE PRIMA
tia assistibile; tuttavia, si ricava dal sistema normativo che deve
trattarsi di un'alterazione fisica o fisio-psichica, che riguardi la
persona del lavoratore, rendendolo incapace al lavoro; che, a tut
to concedere, si potrebbe considerare ammalato un portatore sa
no di germi, per giustificare il suo allontanamento dal lavoro, a fini profilattici e non terapeutici; ma, nella specie, la Marcucci
è stata allontanata dal lavoro non già perché portatrice di salmo
nellosi, ma perché lo era suo figlio, convivente; che gli accerta
menti hanno escluso il contagio; ed in queste condizioni è
impossibile considerare la ricorrente «affetta da malattia»; che
l'accoglimento delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici di
merito porterebbe a riconoscere il diritto all'indennità di malattia
a tutti quanti. Le censure sono infondate. Anche se la motivazione della sen
tenza impugnata deve essere corretta parzialmente, ai sensi del
l'art. 384, ultima parte, c.p.c., la decisione del Tribunale di Siena
deve essere confermata.
Non può accogliersi l'affermazione «di principio», secondo la
quale, per rispettare il precetto costituzionale dell'art. 58, occorre
includere tra le ipotesi di indennizzabilità qualsiasi caso di allon
tanamento dal posto di lavoro che abbia «in qualche modo colle
gamento con la malattia».
Rimanendo nell'ambito del caso sottoposto ad esame, per la
soluzione della questione è decisivo il «momento iniziale» della
vicenda; ossia le ragioni che hanno indotto l'autorità sanitaria
a sospendere le prestazioni di lavoro della Marcucci: suo figlio era portatore sano di salmonellosi. L'Inps stesso afferma che si
potrebbe, al più, considerare ammalato il portatore sano di ger
mi, ma non il convivente. Non considera, però, che il dato di
fatto della convivenza viene assunto dagli organi sanitari nel pre
supposto che «anche» il lavoratore possa essere portatore di ger mi (magari «non sano») e, come tale, è allontanato dal posto di lavoro. Non vi può essere differenza tra le due ipotesi; neppu re «dopo» l'esito degli accertamenti concernenti quelle condizioni
del lavoratore, che hanno provocato l'intervento coercitivo del
l'autorità sanitaria. Peraltro, non è sostenibile, e questo vale in
generale, l'esclusione della tutela assicurativa, con valutazione ex
post (errore della diagnosi dell'affezione presupposta). Ritornan
do al momento iniziale, gli apprezzamenti, essenzialmente tecni
ci, degli organi sanitari, che, per superiori esigenze di profilassi e prevenzione, impongono l'allontanamento del lavoratore dal po sto di lavoro, non sono insindacabili in altra sede (Inps, autorità
giudiziaria), neppure in considerazione delle implicazioni negati ve prospettate dal ricorrente (estensione illimitata del concetto di
indennizzabilità delle malattie). Tali conseguenze non possono giustificare, in questa sede, l'af
fermazione della non indennizzabilità del lavoratore, in base ad
una rigorosa definizione clinica del concetto di malattia ed in
mancanza di nozione legislativa della malattia. Non lo consente
la ratio di tutta la normativa in materia di assicurazione obbliga toria contro le malattie. In particolare, l'art. 5 1. 11 gennaio 1943
n. 138 non distingue tra i «vari casi di malattie», né li definisce.
Per quanto riguarda le malattie infettive, poi, non rileva, ai fini
che qui interessano, la distinzione tra malato e portatore sano
di germi patogeni. In conclusione, quando l'autorità sanitaria di
spone l'allontanamento dal posto di lavoro, per ragioni di igiene e profilassi, del lavoratore, ritenuto, al momento dell'allontana
mento, per qualsiasi motivo, possibile portatore (anche «sano») di germi infettivi, permane l'obbligo dell'ente assicuratore di cor
rispondere le prestazioni previste per i casi di malattia.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 gennaio
1988, n. 481; Pres. Falcone, Est. Borruso, P.M. Amirante
(conci, conf.); Soc. Sip (Avv. Sartoreixi) c. Soc. Sipro (Avv.
Esposito, Verde). Conferma App. Napoli 4 ottobre 1982.
Telefono — Conduttura telefonica — Servitù di passaggio ed ap
poggio — Diramazione su fondi vicini — Indennità — Spettan za (D.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, t.u. delle disposizioni in materia
postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, art. 232, 233).
Al proprietario di un fondo, se è fatto obbligo di consentire gra tuitamente il passaggio e l'appoggio delle condutture telefoni
li. Foro Italiano — 1988.
che e necessarie all'allacciamento del suo apparecchio, spetta un giusto ristoro laddove attraverso il suo fondo vengano col
legati apparecchi telefonici di proprietari di immobili vicini. (1)
Svolgimento del processo. — Sin dal 1964 la s.p.a. Sipro aveva
in Casoria due telefoni esterni allacciati alla rete pubblica da un
cavo che , nell'ultimo tratto, era aereo in quanto sorretto da pali. Nel 1974 la Sip (società italiana per l'esercizio telefonico) senza
alcun preventivo accordo con la Sipro e senza far ricorso alla
speciale procedura di imposizione coattiva di servitù, sostituiva
detto allacciamento aereo con un cavo interrato, corrente, per
circa 210 mt., sotto un terreno di proprietà della Sipro. In prossimità del punto di immissione del cavo nel sottosuolo
della Sipro, veniva costruito, sempre sul suo terreno, anche un
«pozzetto di diramazione» in muratura.
Detto cavo — raggiunti gli edifici della Sipro — si diramava
a sua volta attraverso una cassetta posta su un muro della Sipro, in dieci coppie di cavetti: due proseguivano all'interno attraverso
il muro per alimentare i due telefoni della Sipro, e altri otto pro
seguivano, invece, verso l'esterno per collegare altri otto apparec chi telefonici installati in edifici vicini di proprietà esclusiva di terzi.
A seguito di ciò, la Sipro conveniva avanti al Tribunale di Na
poli la Sip perché, in via principale, sentisse dichiarare illegittima la posa del cavo e la creazione del pozzetto nella sua proprietà ed ordinare la rimozione con condanna della Sip al risarcimento
dei danni e — in via subordinata — qualora fosse ritenuta possi bile l'imposizione della servitù coattiva, condannare la Sip al pa
gamento della relativa indennità, oltre a quanto dovuto per il
periodo di occupazione illegittima ed interessi legali. La Sip resisteva sostenendo l'infondatezza di entrambe le
domande.
Espletata la consulenza tecnica da cui risultava la situazione
di fatto in premessa descritta, il tribunale con sentenza del 1980 — ritenuto che in base all'art. 95 r.d. 19 luglio 1941 n. 1198
(richiamato dal nuovo codice postale e delle telecomunicazioni
del 29 marzo 1973 n. 156) la Sipro, quale utente del servizio tele
fonico, aveva l'obbligo di concedere gratuitamente l'appoggio e
il passaggio nell'immobile di sua proprietà delle condutture tele
foniche delle quali qui trattasi — rigettava le domande attrici.
La Sipro proponeva gravame e la Corte d'appello di Napoli, con sentenza depositata il 4 ottobre 1982, in totale riforma della
decisione di primo grado, condannava la Sip alla rimozione delle
opere eseguite nella proprietà Sipro sopradescritte nonché al pa
gamento di lire 1.000.000 a titolo di risarcimento dei danni equi
tativamente valutati sulla base delle seguneti considerazioni:
I) Nel caso in esame non è applicabile né l'art. 231 del nuovo
codice postale (d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156), né l'art. 95 del
regolamento del predetto codice, perché entrambi gli articoli, nel
sancire l'obbligo di concessione del passaggio gratuito di condut
ture, fili o di qualsiasi altro impianto negli immobili di proprietà
aliena, prevedono che la detta concessione sia diretta alla instal
lazione nei predetti immobili di apparecchi telefonici. Quando in
vece — come nel caso in esame — il passaggio di condutture,
fili, ecc. sia diretto alla installazione del telefono in proprietà di terzi, allora ricorre l'ipotesi di cui all'art. 233 del nuovo codice
postale, che prevede l'imposizione di una vera e propria servitù
coattiva la quale in mancanza di accordo del proprietario dell'im
mobile su cui la servitù deve gravare, deve essere costituita con
(1) Nell'affermare il principio di cui in massima, la corte liquida la
tesi sostenuta dalla società telefonica attrice secondo cui gli art. 233 e
234 cod. postale in materia di servitù telefoniche andrebbero letti nel
senso di negare un ristoro non solo nell'ipotesi — codificata — in cui
il passaggio con appoggio delle condutture è diretto a soddisfare le esi
genze di utenza del proprietario del fondo interessato, bensì' anche nel
diverso caso in cui attraverso quello stesso passaggio la Sip provveda all'allacciamento di apparecchi telefonici appartenenti a terzi proprietari di fondi finitimi. Naturalmente, in tali frangenti di uso promiscuo della
conduttura, l'indennità andrà commisurata in relazione al sacrificio effet
tivamente imposto al proprietario. La direttiva ribadisce l'orientamento
espresso da Trib. Napoli 23 ottobre 1981, Foro it., Rep. 1982, voce Posta
e telecomunicazioni, n. 3; mentre, per quanto attiene all'insussistenza del
l'obbligo in capo al proprietario di uno stabile a concedere l'appoggio
gratuito di condutture atte a soddisfare esigenze di servizio pubblico, v.
Cass. 28 aprile 1982, n. 2661, id., 1982, I, 1893, con nota di richiami, cui si rinvia per i riferimenti di dottrina.
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