sezione lavoro; sentenza 6 giugno 1987, n. 4979; Pres. Menichino, Est. M. De Luca, P. M.Benanti (concl. diff.); Soc. pubblicità editoriale-Spe (Avv. Vianello, Toffoletto) c. Esposito (Avv.Ferrari, Mastrangelo). Cassa Trib. Napoli 27 settembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 871/872-873/874Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181148 .
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PARTE PRIMA
dal codice. Ma ciascuna è pur sempre la parte di un tutto che
è la pronuncia «su tutta la domanda» (art. 112 c.p.c.), tanto è
vero che trova i suoi irretrattabili presupposti nelle altre decisioni
che siano già intervenute e a sua volta costituisce un punto fermo
per le decisioni che la seguiranno nel corso dello stesso processo. Non per nulla, del resto, la pronuncia sulle spese può aver luogo solo «con la sentenza che chiude il processo» (art. 91, 1° comma,
c.p.c.): è solo in questa sede che al giudice è consentito di valuta
re complessivamente il contegno delle parti nello svolgimento del
l'intero processo. Se cosi è, deve in primo luogo osservarsi che quello scopo sus
sista non soltanto nell'ipotesi della riserva d'impugnazione diffe
rita, prevista, per quanto riguarda l'appello, dall'art. 340, 2°
comma, c.p.c., ma altresì nell'ipotesi in cui la riserva non sia
stata fatta perché la parte, che avrebbe avuto interesse a formu
larla, sia rimasta contumace.
In secondo luogo, non può contestarsi che, nel vigente sistema
processuale civile, tutte le impugnazioni diverse da quella che,
per essere stata proposta prima delle altre, viene definita princi
pale, assumono natura e veste d'impugnazione incidentale e de
vono essere introdotte nelle forme e nei termini prescritti per
quest'ultima, in modo da determinare la pendenza di un solo pro
cedimento, in cui sono destinate a confluire, per essere decise
simultaneamente, tutte la successive impugnazioni, le quali, pure se irritualmente esperite nella forma dall'impugnazione principa
le, hanno sempre carattere incidentale (cfr. tra le più recenti, la
sentenza n. 135 del 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 94). Né potrebbe seriamente obiettarsi che la sentenza non definiti
va, verso la quale non sia stata fatta riserva d'impugnazione dif
ferita, è soggetta ad un autonomo regime d'impugnazione, trattandosi di sentenza diversa, non solo formalmente, ma anche
sostanzialmente dalla sentenza definitiva.
In proposito, devesi puntualizzare che il meccanismo delineato
dall'art. 333 c.p.c. per garantire la confluenza di tutte le impu
gnazioni nel medesimo processo è basato sull'unico presupposto che l'impugnazione prior in tempore sia stata notificata.
Verificatosi tale presupposto, è di chiara evidenza che la parte soccombente con la sentenza non definitiva non potrà più soste
nere di non avere avuto conoscenza diretta della decisione per avvalersi del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c., atteso che
l'impugnazione proposta dall'altra parte contro la sentenza defi
nitiva contiene necessariamente il riferimento alle statuizioni del
la sentenza non definitiva, con la conseguenza che, dal momento
della notificazione dell'impugnazione, la parte soccombente con
la sentenza non definitiva ha l'onere di rispettare le modalità e
i termini perentori previsti dall'art. 343 c.p.c. per quanto concer
ne l'appello incidentale.
Pertanto, deve affermarsi che il regime delle impugnazioni in
cidentali dettato dall'art. 333 c.p.c. concerne anche la sentenza
non definitiva, non essendo ipotizzabile l'impugnazione in via au
tonoma di una sentenza non definitiva, che non sia stata notifica
ta, dopo che sia stata proposta dall'altra parte l'impugnazione contro la sentenza definitiva, atteso che, per effetto della notifi
cazione di tale impugnazione, le statuizioni di entrambe le sen
tenze, emesse nello stesso processo, vengono simultaneamente rese
note alla controparte, divenendo in tal modo irrilevante la pre
gressa mancata notificazione della sentenza non definitiva.
Con il secondo mezzo del ricorso principale, si assume che la
Corte d'appello di Napoli ha erroneamente ritenuto inammissibi
le l'appello proposto avverso la sentenza definitiva. Si sostiene
che la norma dell'art. 333 c.p.c. si applica soltanto alle ipotesi di cui agli art. 331 e 332 c.p.c., essendo stata dettata per solleci
tare le parti, diverse da quella che ha proposto l'impugnazione o da quella contro la quale l'impugnazione è diretta, ad esperire le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo.
Il motivo è infondato. Invero, l'art. 333 c.p.c. non pone alcu
na limitazione in ordine al suo ambito di operatività, ma si riferi
sce a tutte le ipotesi in cui siano state eseguite le notificazioni
previste negli articoli precedenti, senza alcuna distinzione, sicché
non può dubitarsi che tale norma è applicabile anche nei con
fronti della parte, a cui sia stata notificata l'impugnazione princi
pale, la quale produce sempre gli effetti connessi alla decorrenza
dei termini fissati per l'impugnazione incidentale, con l'ulteriore
conseguenza che i termini stessi si sostituiscono, come è stato
già evidenziato, a quelli previsti dagli art. 325 e 327 c.p.c. Né costituisce deroga al suddetto principio la norma dell'art.
Il Foro Italiano — 1988.
335 c.p.c., che prescrive la riunione delle impugnazioni proposte
separatamente contro la medesima sentenza.
La norma dell'art. 335 c.p.c. infatti, pur essendo diretta an
ch'essa ad assicurare l'unità del procedimento d'impugnazione, non interferisce sull'ammissibilità o meno delle singole impugna
zioni, e quindi sull'eventuale decadenza dall'impugnazione inci
dentale ai sensi dell'art. 333 del codice di rito.
Con il terzo mezzo del ricorso principale, si assume che la Cor
te d'appello di Napoli ha illegittimamente ritenuto inammissibile
l'impugnazione incidentale proposta con l'atto dell'11 gennaio 1983
e si deduce che non si era verificata la decadenza di cui all'art.
343 in relazione all'art. 333 c.p.c., in quanto non era stata svolta
alcuna concreta attività processuale nella precedente udienza del
21 dicembre 1982.
Il motivo è infondato. Invero, la corte del merito ha corretta
mente dichiarato l'inammissibilità del suddetto gravame, atteso
che esso venne esperito soltanto nell'udienza di precisazione delle
conclusioni, mentre ciò sarebbe dovuto avvenire nell'udienza del
21 dicembre 1982, fissata per la comparizione delle parti in ap
pello (cfr. sent. n. 970/80, id., Rep. 1980, voce Appello civile, n. 32).(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 giugno
1987, n. 4979; Pres. Menichino, Est. M. De Luca, P. M. Be
nanti (conci, diff.); Soc. pubblicità editoriale-Spe (Avv. Via
nello, Toffoletto) c. Esposito (Avv. Ferrari, Mastrangelo). Cassa Trib. Napoli 27 settembre 1983.
Lavoro (rapporto) — Assunzione obbligatoria di orfano — Pe
riodo di prova — Recesso — Limiti (Cod. civ., art. 2096)
È legittimo il recesso del datore dal rapporto di lavoro in prova ove sia adeguata la durata dell'esperimento in ragione della va
lutazione dell'incapacità lavorativa del dipendente, da compier si anche per l'orfano assunto obbligatoriamente con riferimento alle mansioni assegnategli da! datore e non a mansioni compa tibili con le sue condizioni fisiche, ed essendo invece irrilevan
te, ai fini dell'accertamento dell'adeguatezza della durata stessa, il tempo necessario ad emendare l'incapacità. (1)
Motivi della decisione. — 1.1. - Con il primo motivo del ricor
so, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2096 c.c.
nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la Socie
tà pubblicità editoriale (Spe) s.p.a. censura la sentenza impugna ta per avere ritenuto illegittimo il proprio recesso del dedotto
rapporto di lavoro, durante il periodo di prova, muovendo dal
«presupposto» erroneo che la legge (art. 2096 c.c.) imponesse «un
minimo di durata dell'esperimento», per avere, inoltre, ricono
sciuto che l'Esposito non aveva «capacità lavorativa specifica»,
ma, contraddittoriamente, ritenuto insufficiente la durata della
prova per «sperimentare» la capacità stessa, e, infine, per avere
sostenuto che alla lavoratrice potesse essere assegnata una quali fica e, conseguentemente, un livello retributivo inferiori, pure es
sendo «... pacifico in causa che sono in gioco soltanto le mansioni
assegnate alla Esposito e che la Spe non aveva la possibilità di
assegnarle le mansioni diverse».
Il motivo è fondato.
1.2. - La sentenza impugnata non nega — contrariamente al
l'avviso espresso dalla ricorrente — che, in linea generale, le parti del rapporto di lavoro possano recedere, ad nutum, in qualsiasi
(1) Il principio enunciato è l'applicazione di altri già espressi dalla giu risprudenza di legittimità e documentati nella sentenza stessa.
Per la necessità dell'adeguatezza della durata dell'esperimento, cfr. ol tre a Corte cost. 189/80 e a Cass. 864/86 e 6094 e 3702/83, e richiamati in sentenza, Cass. 15 settembre 1981, n. 5115, Foro it., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 689, e le altre decisioni di cui alla nota di richiami a Pret. Firenze, ord. 15 aprile 1983, id., 1985, I, 1320.
Sul recesso dal rapporto di lavoro in prova dell'invalido e sulla necessi tà che sia motivato, cfr. Cass. 16 gennaio 1984, n. 362, ibid.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
momento del periodo di prova, ove non ne sia prevista, come
nella specie, una durata minima.
Muovendo da tale premessa — della quale la ricorrente ricono
sce l'indubbia esattezza (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. 913/84,
Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 2065) — la sen
tenza impugnata perviene, tuttavia, all'affermazione dell'illegitti
mità del recesso in esame della datrice di lavoro, benché avvenuto
in periodo di prova, in dipendenza esclusiva della pretesa inade
guatezza, nel caso concreto, della durata dell'esperimento, inade
guatezza che la sentenza stessa valuta in relazione alle mansioni — e non già soltanto alla qualifica (siccome sembra denunciare
la ricorrente) assegnate alla lavoratrice in prova, nonché al difet
to di «capacità lavorativa specifica» della medesima.
Ora, ad avviso della corte, sono proprio le ragioni, che vengo
no addotte a giustificazione della pretesa inadeguatezza della du
rata dell'esperimento, a meritare le censure mosse dalla ricorrente.
1.3. - La recedibilità ad nutum dal rapporto di lavoro in prova
non esclude infatti — secondo l'insegnamento della Corte costi
tuzionale (v. la sentenza 189/80, id., 1981, I, 308) e di questa
corte (vedine, per tutte, le sentenze 864/86, id., Rep. 1986, voce
cit., n. 2229; 6094, 3702/83, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 2380,
2381) — che il lavoratore possa contestare la legittimità del reces
so del datore di lavoro, benché avvenuto durante il periodo di
prova, allegando e dimostrando, tra l'altro, che «. . . non è stata
consentita, per l'inadeguatezza della durata dell'esperimento. . .,
quella verifica del suo comportamento e delle sue capacità pro
fessionali, alla quale il patto di prova è preordinato. . .» (cosi,
testualmente, Corte cost. 189/80, cit.).
Tuttavia l'«inadeguatezza della durata dell'esperimento» dev'es
sere valutata — sécondo lo stesso orientamento giurisprudenziale
testé menzionato — in relazione alla «causa» del patto di prova,
che consiste, appunto, nel consentire alle parti del rapporto di
lavoro di verificarne la reciproca convenienza.
Ora, ad avviso della corte, esula qualsiasi correlazione, con
la «causa» del patto di prova, nella pretesa della sentenza impu
gnata di commisurare la durata dell'esperimento al tempo che,
in concreto, risulti necessario e sufficiente, non già per accertare
(tra l'altro) l'eventuale «incapacità lavorativa» del prestatore in
prova, ma anche per emendarla, ove sia, come (asseritamente)
nella specie, «. . .non. . . irrimediabile. . .».
Infatti la verifica dell'«incapacità lavorativa» del prestatore in
prova — che, nella specie, il tribunale espressamente riconosce
— è, da sola, idonea a realizzare compiutamente la «causa» del
patto di prova ed a legittimare il recesso del datore di lavoro,
esulando dall'istituto della prova lo scopo — proprio dell'appren
distato (e di istituti analoghi) — di addestrare i lavoratori, emen
dandone eventuali difetti iniziali di capacità professionale (in tal
senso, vedi, per tutte, Cass. 7031/82, ibid., voce Lavoro (colloca
mento), n. 40). 1.4. - Né, peraltro, la lavoratrice poteva pretendere, ad avviso
della corte, l'adibizione a mansioni inferiori, asseritamente con
facenti alle sue attitudini professionali, per le quali la sentenza
impugnata ritiene che sarebbe stata sufficiente la durata dell'e
sperimento concretamente svolto nel caso di specie.
Invero — ancorché avviata, nelle forme del collocamento ob
bligatorio, in qualità di orfana — la lavoratrice non poteva rice
vere l'adibizione a mansioni diverse da quelle assegnate dalla
datrice di lavoro (sul potere di conformazione del datore di lavo
ro, nelle assunzioni obbligatorie, vedi, per tutte, Cass. 6546/83,
ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1127).
Infatti la speciale disciplina delle assunzioni obbligatorie (1.
482/68) prevede espressamente (art. 20) soltanto l'obbligo, affat
to diverso, del datore di lavoro di adibire l'«invalido», avviato
obbligatoriamente, a mansioni compatibili con le sue «condizioni
fisiche». Tale obbligo, tuttavia, non riguarda categorie di riservatari di
versi dagli «invalidi» (quale, nella specie, la categoria degli orfa
ni), per le quali le ragioni della speciale protezione non è
riconducibile alle loro «condizioni fisiche», ma ad «handicaps so
ciali» (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. 4608/86, id., 1986, I,
2423; 5082/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (collocamento), n.
243). Problema diverso — contrariamente a quel che la sentenza im
pugnata sembra ritenere — è, poi, quello che attiene all'obbligo
del datore di lavoro di adeguare la propria organizzazione azien
dale al fine — che, nella specie, risulta compiutamente realizzato
— di rendere possibile l'assunzione di lavoratori avviati obbliga
li Foro Italiano — 1988.
toriamente (sul punto, vedi, Cass. 1789/86, id., 1986, I, 1550).
1.5. - La sentenza impugnata neanche esamina, invece, il pro
blema affatto diverso — prospettato dalla difesa dell'Esposito
nella discussione orale — se l'adibizione della lavoratrice, avviata
obbligatoriamente, a mansioni superiori rispetto a quelle confa
centi alle sue attitudini professionali, fosse, nella specie, finaliz
zata a rendere impossibile il superamento della prova.
Ora l'assunto, sotteso a tale prospettazione difensiva, tende
rebbe — sempreché fosse stato allegato e dimostrato nella fase
di merito — a configurare un motivo illecito di discriminazione,
in pregiudizio della lavoratrice avviata obbligatoriamente, e, co
me tale, a viziare (ai sensi degli art. 1343, 1345, 1418, 1324 c.c.)
la stessa apposizione del patto di prova (vedi, per tutte, la senten
za 1764/79 delle sezioni unite, id., 1979, I, 918, e le sentenze
1494/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1213; 337/85,
id., 1985, I, 1319; 362/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 2057,
della sezione lavoro di questa corte), ancor prima del recesso del
datore di lavoro, di cui si discute (sul punto, vedi per tutte, Corte
cost. 189/80, cit.; Cass. 1833/86, id., Rep. 1986, voce cit., n.
2228; 1017/85, id., 1985, I, 1345). Tuttavia la prospettazione difensiva menzionata non può esse
re esaminata, né tantomeno proposta in questa sede, in quanto
non trova riscontro nella sentenza impugnata; e neppure essa ha
formato oggetto di una specifica impugnazione incidentale (con
dizionata), diretta a far valere tale (eventuale) omissione.
2. - L'accoglimento del primo motivo del ricorso, ne assorbe,
all'evidenza, il secondo che — supponendo l'illegittimità del re
cesso in esame, che viene investita, appunto, dal primo mezzo
— censura la sentenza impugnata per avere ordinato, proprio quale
sanzione di quell'illegittimità, la reintegrazione della lavoratrice
nel posto di lavoro, in pretesa violazione di norma di legge (art.
2096 c.c., 10 1. 604/66, 18 1. 300/70). 3. - Pertanto — mentre il secondo motivo del ricorso va di
chiarato assorbito — in accoglimento e nei limiti del primo moti
vo la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinvio ad altro
giudice d'appello, designato in dispositivo, perché proceda al rie
same della controversia, uniformandosi a principi di diritto
enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 giugno
1987, n. 4937; Pres. Antoci, Est. Beneforti, P. M. Simeone
(conci, conf.); Soc. Lazzi (Avv. Vaccarella, Pera) c. Barba
ra ed altri (Avv. Nappi, Paoli, Maggini). Cassa Trib. Firenze
14 marzo 1985.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenze non
definitive su questioni preliminari di merito — Sentenze di con
danna generica — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 278, 279,
420).
Nel processo de! lavoro sono ammissibili sentenze non definitive
su questioni preliminari di merito e di condanna generica. (1)
(1) La Cassazione prosegue nell'orientamento (secondo cui sono am
missibili anche nel rito del lavoro sentenze non definitive su questioni
preliminari di merito e di condanna generica), che senza sbandamenti
ha seguito almeno dal 1980 in poi.
V., in senso conforme, Cass. 13 gennaio 1987, n. 165, Foro it., Mass.,
29; 5 marzo 1986 n. 1441, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 261; 24 maggio 1985, n. 3164, ibid., n. 262; 23 febbraio
1984, n. 1279, id., Rep. 1984, voce cit., n. 215; nonché Cass. 14 aprile
1986, n. 2628, id., Rep. 1986, voce cit., n. 260; 8 giugno 1985, n. 3489,
8 febbraio 1985, n. 1008, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 185, 249; 12
novembre 1984, n. 5717, 15 marzo 1984, n. 1782, id., Rep. 1984, voce
cit., nn. 218, 217; 10 gennaio 1983, n. 153, id., 1983, I, 2507, con nota
di Orsenigo; 10 novembre 1982, n. 5923, ibid., 1967, con nota di M.
De Luca; per la giurisprudenza di merito, v. Pret. Roma 22 dicembre
1982, id., 1984, 1, 2383, con nota di richiami.
La Cassazione ha pure precisato: a) che la sentenza di condanna gene
rica è validamente pronunciata anche senza istanza di parte; v. sent. 24
maggio 1985, n. 3164, cit.; 19 gennaio 1985, n. 171, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 251; 16 gennaio 1984, n. 358, id., Rep. 1984, voce Sentenza civile,
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