sezione lavoro; sentenza 5 giugno 1987, n. 4937; Pres. Antoci, Est. Beneforti, P. M. Simeone(concl. conf.); Soc. Lazzi (Avv. Vaccarella, Pera) c. Barbara ed altri (Avv. Nappi, Paoli, Maggini).Cassa Trib. Firenze 14 marzo 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 873/874-875/876Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181149 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
momento del periodo di prova, ove non ne sia prevista, come
nella specie, una durata minima.
Muovendo da tale premessa — della quale la ricorrente ricono
sce l'indubbia esattezza (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. 913/84,
Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 2065) — la sen
tenza impugnata perviene, tuttavia, all'affermazione dell'illegitti
mità del recesso in esame della datrice di lavoro, benché avvenuto
in periodo di prova, in dipendenza esclusiva della pretesa inade
guatezza, nel caso concreto, della durata dell'esperimento, inade
guatezza che la sentenza stessa valuta in relazione alle mansioni — e non già soltanto alla qualifica (siccome sembra denunciare
la ricorrente) assegnate alla lavoratrice in prova, nonché al difet
to di «capacità lavorativa specifica» della medesima.
Ora, ad avviso della corte, sono proprio le ragioni, che vengo
no addotte a giustificazione della pretesa inadeguatezza della du
rata dell'esperimento, a meritare le censure mosse dalla ricorrente.
1.3. - La recedibilità ad nutum dal rapporto di lavoro in prova
non esclude infatti — secondo l'insegnamento della Corte costi
tuzionale (v. la sentenza 189/80, id., 1981, I, 308) e di questa
corte (vedine, per tutte, le sentenze 864/86, id., Rep. 1986, voce
cit., n. 2229; 6094, 3702/83, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 2380,
2381) — che il lavoratore possa contestare la legittimità del reces
so del datore di lavoro, benché avvenuto durante il periodo di
prova, allegando e dimostrando, tra l'altro, che «. . . non è stata
consentita, per l'inadeguatezza della durata dell'esperimento. . .,
quella verifica del suo comportamento e delle sue capacità pro
fessionali, alla quale il patto di prova è preordinato. . .» (cosi,
testualmente, Corte cost. 189/80, cit.).
Tuttavia l'«inadeguatezza della durata dell'esperimento» dev'es
sere valutata — sécondo lo stesso orientamento giurisprudenziale
testé menzionato — in relazione alla «causa» del patto di prova,
che consiste, appunto, nel consentire alle parti del rapporto di
lavoro di verificarne la reciproca convenienza.
Ora, ad avviso della corte, esula qualsiasi correlazione, con
la «causa» del patto di prova, nella pretesa della sentenza impu
gnata di commisurare la durata dell'esperimento al tempo che,
in concreto, risulti necessario e sufficiente, non già per accertare
(tra l'altro) l'eventuale «incapacità lavorativa» del prestatore in
prova, ma anche per emendarla, ove sia, come (asseritamente)
nella specie, «. . .non. . . irrimediabile. . .».
Infatti la verifica dell'«incapacità lavorativa» del prestatore in
prova — che, nella specie, il tribunale espressamente riconosce
— è, da sola, idonea a realizzare compiutamente la «causa» del
patto di prova ed a legittimare il recesso del datore di lavoro,
esulando dall'istituto della prova lo scopo — proprio dell'appren
distato (e di istituti analoghi) — di addestrare i lavoratori, emen
dandone eventuali difetti iniziali di capacità professionale (in tal
senso, vedi, per tutte, Cass. 7031/82, ibid., voce Lavoro (colloca
mento), n. 40). 1.4. - Né, peraltro, la lavoratrice poteva pretendere, ad avviso
della corte, l'adibizione a mansioni inferiori, asseritamente con
facenti alle sue attitudini professionali, per le quali la sentenza
impugnata ritiene che sarebbe stata sufficiente la durata dell'e
sperimento concretamente svolto nel caso di specie.
Invero — ancorché avviata, nelle forme del collocamento ob
bligatorio, in qualità di orfana — la lavoratrice non poteva rice
vere l'adibizione a mansioni diverse da quelle assegnate dalla
datrice di lavoro (sul potere di conformazione del datore di lavo
ro, nelle assunzioni obbligatorie, vedi, per tutte, Cass. 6546/83,
ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1127).
Infatti la speciale disciplina delle assunzioni obbligatorie (1.
482/68) prevede espressamente (art. 20) soltanto l'obbligo, affat
to diverso, del datore di lavoro di adibire l'«invalido», avviato
obbligatoriamente, a mansioni compatibili con le sue «condizioni
fisiche». Tale obbligo, tuttavia, non riguarda categorie di riservatari di
versi dagli «invalidi» (quale, nella specie, la categoria degli orfa
ni), per le quali le ragioni della speciale protezione non è
riconducibile alle loro «condizioni fisiche», ma ad «handicaps so
ciali» (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. 4608/86, id., 1986, I,
2423; 5082/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (collocamento), n.
243). Problema diverso — contrariamente a quel che la sentenza im
pugnata sembra ritenere — è, poi, quello che attiene all'obbligo
del datore di lavoro di adeguare la propria organizzazione azien
dale al fine — che, nella specie, risulta compiutamente realizzato
— di rendere possibile l'assunzione di lavoratori avviati obbliga
li Foro Italiano — 1988.
toriamente (sul punto, vedi, Cass. 1789/86, id., 1986, I, 1550).
1.5. - La sentenza impugnata neanche esamina, invece, il pro
blema affatto diverso — prospettato dalla difesa dell'Esposito
nella discussione orale — se l'adibizione della lavoratrice, avviata
obbligatoriamente, a mansioni superiori rispetto a quelle confa
centi alle sue attitudini professionali, fosse, nella specie, finaliz
zata a rendere impossibile il superamento della prova.
Ora l'assunto, sotteso a tale prospettazione difensiva, tende
rebbe — sempreché fosse stato allegato e dimostrato nella fase
di merito — a configurare un motivo illecito di discriminazione,
in pregiudizio della lavoratrice avviata obbligatoriamente, e, co
me tale, a viziare (ai sensi degli art. 1343, 1345, 1418, 1324 c.c.)
la stessa apposizione del patto di prova (vedi, per tutte, la senten
za 1764/79 delle sezioni unite, id., 1979, I, 918, e le sentenze
1494/86, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1213; 337/85,
id., 1985, I, 1319; 362/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 2057,
della sezione lavoro di questa corte), ancor prima del recesso del
datore di lavoro, di cui si discute (sul punto, vedi per tutte, Corte
cost. 189/80, cit.; Cass. 1833/86, id., Rep. 1986, voce cit., n.
2228; 1017/85, id., 1985, I, 1345). Tuttavia la prospettazione difensiva menzionata non può esse
re esaminata, né tantomeno proposta in questa sede, in quanto
non trova riscontro nella sentenza impugnata; e neppure essa ha
formato oggetto di una specifica impugnazione incidentale (con
dizionata), diretta a far valere tale (eventuale) omissione.
2. - L'accoglimento del primo motivo del ricorso, ne assorbe,
all'evidenza, il secondo che — supponendo l'illegittimità del re
cesso in esame, che viene investita, appunto, dal primo mezzo
— censura la sentenza impugnata per avere ordinato, proprio quale
sanzione di quell'illegittimità, la reintegrazione della lavoratrice
nel posto di lavoro, in pretesa violazione di norma di legge (art.
2096 c.c., 10 1. 604/66, 18 1. 300/70). 3. - Pertanto — mentre il secondo motivo del ricorso va di
chiarato assorbito — in accoglimento e nei limiti del primo moti
vo la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinvio ad altro
giudice d'appello, designato in dispositivo, perché proceda al rie
same della controversia, uniformandosi a principi di diritto
enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 giugno
1987, n. 4937; Pres. Antoci, Est. Beneforti, P. M. Simeone
(conci, conf.); Soc. Lazzi (Avv. Vaccarella, Pera) c. Barba
ra ed altri (Avv. Nappi, Paoli, Maggini). Cassa Trib. Firenze
14 marzo 1985.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenze non
definitive su questioni preliminari di merito — Sentenze di con
danna generica — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 278, 279,
420).
Nel processo de! lavoro sono ammissibili sentenze non definitive
su questioni preliminari di merito e di condanna generica. (1)
(1) La Cassazione prosegue nell'orientamento (secondo cui sono am
missibili anche nel rito del lavoro sentenze non definitive su questioni
preliminari di merito e di condanna generica), che senza sbandamenti
ha seguito almeno dal 1980 in poi.
V., in senso conforme, Cass. 13 gennaio 1987, n. 165, Foro it., Mass.,
29; 5 marzo 1986 n. 1441, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 261; 24 maggio 1985, n. 3164, ibid., n. 262; 23 febbraio
1984, n. 1279, id., Rep. 1984, voce cit., n. 215; nonché Cass. 14 aprile
1986, n. 2628, id., Rep. 1986, voce cit., n. 260; 8 giugno 1985, n. 3489,
8 febbraio 1985, n. 1008, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 185, 249; 12
novembre 1984, n. 5717, 15 marzo 1984, n. 1782, id., Rep. 1984, voce
cit., nn. 218, 217; 10 gennaio 1983, n. 153, id., 1983, I, 2507, con nota
di Orsenigo; 10 novembre 1982, n. 5923, ibid., 1967, con nota di M.
De Luca; per la giurisprudenza di merito, v. Pret. Roma 22 dicembre
1982, id., 1984, 1, 2383, con nota di richiami.
La Cassazione ha pure precisato: a) che la sentenza di condanna gene
rica è validamente pronunciata anche senza istanza di parte; v. sent. 24
maggio 1985, n. 3164, cit.; 19 gennaio 1985, n. 171, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 251; 16 gennaio 1984, n. 358, id., Rep. 1984, voce Sentenza civile,
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PARTE PRIMA
Motivi della decisione. — (Omissis). Meritano, invece accogli mento, sia pure per considerazioni in parte diverse da quelle svol
te a loro sostegno, il secondo ed il terzo motivo di ricorso con
cui si muove censura all'impugnata sentenza per violazione e fal
sa applicazione di norme processuali (art. 278, 279, 323, 339, 420 e 423 c.p.c.) che si assumono commesse dal giudice d'appello con il ritenere che, nel processo del lavoro, non è ammessa la
sentenza (non definitiva) di condanna generica prevista per il pro cesso ordinario; che, conseguentemente, le due sentenze non defi
nitive di condanna generica emesse dal pretore nella specie sono
semplici ordinanze impugnabili con la sentenza definitiva e l'ap
pello proposto contro le stesse deve essere dichiarato inammissibile.
Con tale pronuncia il giudice d'appello si pone in contrasto
con il costante indirizzo interpretativo di questa Suprema corte
secondo cui anche nel processo del lavoro sono ammissibili sen
tenze non definitive per risolvere questioni preliminari di merito,
poiché la decisione parziale, oltre a non pregiudicare i diritti delle
parti e a non potersi inquadrare in alcuna ipotesi di nullità pro
cessuale, assolve ad una funzione naturale del processo, attuan
do, in modo rapido ed economico, le finalità di esso e trova
fondamento nel disposto dell'art. 420, 4° comma, c.p.c., secon
do cui: «Se. . . il giudice ritiene la causa matura per la decisione
o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla compe tenza o altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice. . . pronuncia sentenza anche non definitiva. . .» nor
ma, questa, da intendersi nel senso che la pronuncia di sentenza
non definitiva non è limitata alle sole questioni pregiudiziali di
rito, ma è estesa alle questioni preliminari di merito (cfr., fra
le altre decisioni: sez. lav. 5 marzo 1986, n. 1441, Foro it., 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 261; 12 febbraio 1985, n. 1176, id., Rep. 1985, voce cit., n. 247; 6 febbraio 1985, n.
8833, ibid., voce Cassazione civile, n. 19). Ritiene la corte che tale indirizzo interpretativo debba trovare
conferma anche nel presente caso, non potendo condividersi le
contrarie argomentazioni svolte nell'impugnata sentenza.
Un'attenta analisi del dettato normativo offre, anzi, ulteriori
elementi a sostegno della soluzione interpretativa da cui il tribu
nale ha inteso discostarsi.
In quella che costituisce l'ipotesi principale dell'art. 420, 4°
comma, enucleata dal contesto della disposizione (se il giudice ritiene la causa matura per la decisione. . . pronuncia sentenza
anche non definitiva. . .) il senso fatto palese dal significato della
parola secondo la connessione di esse rende evidente che la «deci
sione» con sentenza non definitiva è stata prevista dal legislatore,
innanzitutto, per le questioni di merito, del che è conferma nel
coordinamento logico-sistematico con l'ulteriore ipotesi normati
va di pronuncia con sentenza su questioni pregiudiziali (di giuris
n. 51; b) che è ammissibile la domanda introduttiva limitata alla richiesta di condanna generica: v. sent. 5 luglio 1986, n. 4413, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 164; 8 giugno 1985, n. 3489, cit.; 22 maggio 1985, n. 3106, ibid., n. 171; c) che sentenza di condanna
generica può essere pronunciata anche in appello, su istanza di parte, salva tempestiva ed espressa opposizione del convenuto: v. sent. 29 mag gio 1985, n. 3257, id., Rep. 1985, voce cit., n. 413; nel senso che la riduzione della domanda introduttiva di condanna specifica a condanna
generica sia possibile solo col consenso, anche tacito del convenuto, v. la cit. Cass. 153/83 e Cass. 19 gennaio 1978, n. 241, id., Rep. 1978, voce Sentenza civile, n. 48.
Per quanto riguarda l'ammissibilità di sentenze non definitive su que stioni preliminari di merito, v., oltre alle citate Cass. 165/87, 1441/86, 3164/85, 1279/84, Cass. 12 febbraio 1985, n. 1176, id., Rep. 1985, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 247; 15 marzo 1984, n. 1782, 16 dicembre 1983, n. 7414, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 214, 213; 21 giugno 1983, n. 4267, 16 giugno 1983, n. 4156, 23 aprile 1983, n. 2795, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 216, 276, 274; 20 agosto 1980, n. 4959, id., Rep. 1980, voce cit., n. 183.
In dottrina, di recente, v., in senso conforme all'orientamento della
Cassazione, Alesse, La condanna generica nel rito ordinario e nel pro cesso del lavoro: proposta per una lettura «diversa» dell'art. 420, 4 ° com ma, c.p.c., in Dir. lav., 1985, I, 202; contra, secondo l'orientamento
prevalente in dottrina, G. Pezzano (V. Andrioli, C. M. Barone, A. Proto Pisani), Le controversie individuali di lavoro, Zanichelli - Foro
italiano, Bologna-Roma, 1987, 668, 672, ai quali si rinvia per ampie indi cazioni bibliografiche.
Il Foro Italiano — 1988.
dizione, competenza ed altre) la cui decisione valga a definire
il giudizio. Se ne deduce, infatti, che le «altre questioni pregiudiziali» da
decidersi con sentenza definitiva ed a cui si riferisce la norma
sono esclusivamente quelle attinenti al processo, né possono es
servi ricomprese le questioni preliminari di merito (risolvibili an
che con sentenza non definitiva) sia perché, come sopra rilevato, si tratta d'ipotesi già regolata dalla norma sia perché il tenore
di questa, con la stretta consecuzione fra l'espressione «questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza» e quella «o ad al
tre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio», è tale
da fare ritenere accolta dall'art. 420, 4° comma, la distinzione
fra questioni pregiudiziali attinenti al processo e questioni preli minari di merito, già recepita nel processo ordinario (art. 279, 2° comma).
Poiché lo stesso art. 420, 4° comma, prevede la possibilità di
sentenze non definitive di merito nel processo del lavoro, debbo
no ritenersi ammissibili anche le sentenze non definitive di con
danna generica ex art. 278 c.p.c., che senza pregiudizio per le
peculiari esigenze del rito speciale, costituiscono punti fermi per il giudice e per le parti nell'ulteriore corso del giudizio, idonei
ad evitare indagini istruttorie non necessarie e tali, altresì da fa
vorire l'amichevole componimento delle controversie.
Né può fondatamente affermarsi che la sentenza non definitiva
di merito è incompatibile con la struttura e le peculiari esigenze del processo del lavoro, poiché fraziona il giudizio e differisce
la fase istruttoria che deve precedere, invece, la decisione.
La previsione del frazionamento, come già rilevato, è, infatti
nella stessa norma che ammette la sentenza non definitiva su que stioni di merito (e non anche su questioni pregiudiziali di rito) in ciò parzialmente discostandosi dal regime ordinario (art. 279, 4° comma), senza escludere, al tempo stesso, che la sentenza non
definitiva possa essere preceduta da attività istruttoria immediata
(art. 420, 5° e 6° comma). Tanto meno è dato trarre valido argomento nel senso della non
ammissibilità delle sentenze non definitive di condanna generica nel rito speciale, dal particolare regime previsto per il pagamento
anticipato di somme non contestate o di somme in ordine alle
quali il giudice ritenga accertato il diritto e provata la quantità
prima ancora della decisione, e provveda, perciò, con ordinanza
costituente titolo esecutivo, revocabile nella seconda ipotesi (art. 423 c.p.c.).
Come questa Suprema corte ha già avuto occasione di avverti
re, l'ordinanza di pagamento, per la sua natura non decisoria, non è, infatti, assimilabile alla sentenza di condanna generica e,
pertanto, la norma che la prevede non si sostituisce ma semplice mente si aggiunge al regime ordinario della stessa condanna gene rica e della provvisionale (art. 278, 1° e 2° comma, c.p.c.).
Alla stregua delle sopra svolte considerazioni risulta non con forme ad una corretta interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 420, 4° comma c.p.c. l'assunto del Tribunale di Firenze
secondo cui nel processo del lavoro può essere decisa nel merito, con sentenza, solo la causa che non richieda istruttoria, con la
conseguenza che alla condanna generica nei casi di specie deve
riconoscersi il contenuto tipico dell'ordinanza soggetta ad impu gnazione con la sentenza definitiva.
Pertanto, in accoglimento dei primi due motivi l'impugnata sen tenza deve essere cassata con rinvio della causa ad altro giudice che, attenendosi agli enunciati principi, rileverà, pregiudizialmen te, l'ammissibilità dell'appello proposto dalla f.lli Lazzi s.p.a. con tro le due sentenze non definitive del Pretore di Firenze e, quindi, provvederà nel merito.
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