sezione lavoro; sentenza 20 gennaio 1989, n. 342; Pres. Menichino, Est. Florio, P.M. Simeone(concl. diff.); Soc. Sies (Avv. De Francesco, Rampino) c. Paradiso e altri; Soc. Sies c. Paradiso ealtri (Avv. Guttierez, D'Ancona, Carlino, Califano), Ferrari e altri. Conferma Trib. Milano 9novembre 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1105/1106-1109/1110Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183914 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
insufficiente e contraddittoria su punti decisivi (art. 360, nn. 3
e 5, c.p.c.). A suo parere l'interpretazione desta dal tribunale all'art. 40
d.p.r. 488/68 non può essere in alcun modo condivisa, perché
limiterebbe la possibilità di recupero dell'indebito alla sola tratte
nuta del quinto dell'importo di pensione eccedente il trattamento
minimo, con esclusione dell'ordinaria azione di ripetizione (art.
2033 c.c.), della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740
c.c.) e della conseguente facoltà del creditore di agire alternativa
mente ex art. 2910 c.c. su beni diversi dalla pensione. Né potreb
be affermarsi — come il collegio ha invece fatto — che l'art.
69 1. 153/69 abbia integrato, modificandolo, l'art. 40 cit.; la nor
ma, introducendo il principio della intangibilità della quota di
pensione fino alla concorrenza del trattamento minimo, non ha
modificato ma abrogato, almeno parzialmente, l'art. 40; certo
è però che, all'esito, il combinato disposto che ne deriva non
sancisce affatto l'irripetibilità nei confronti dei titolari di pensio ne integrata al minimo, ma solo la sottrazione al recupero (che
è la regola generale) di taluni cespiti, come la pensione al minimo.
Il ricorso è fondato. Ed invero il tribunale desume il proprio
convincimento dalla dizione letterale dell'art. 40, 4° comma, d.p.r.
488/68, che cosi recita:
«Il lavoratore il quale ometta di dichiarare al datore di lavoro
la sua qualità di pensionato è tenuto a versare una somma pari
al doppio dell'importo delle trattenute non effettuate a causa di
tale omissione.
Detta somma sarà prelevata dall'Inps sulla rate di pensione do
vute al trasgressore». A suo giudizio, la norma, dicendo «... detta somma sarà
prelevata . . . sulle rate di pensione», non si esprime in termini
di facoltà, ma di obbligo vero e proprio, per l'Inps, di eseguire
il recupero per la via indicata; e se indubbiamente introduce, a
difesa dell'interesse dell'ente creditore, un'eccezione il principio
generale della intangibilità della pensione, comporta, peraltro, an
che il vantaggio, per il debitore, di un pagamento graduale, dila
zionato nel tempo. Rileva infine che la dizione dell'art. 40 è rimasta invariata an
che dopo l'introduzione dell'art. 69 1. 153/69 che, adeguandosi
alle condizioni prospettate dalla Corte costituzionale nella senten
za n. 22 del 20 febbraio 1969 (Foro it., 1969, I, 807), ha contenu
to nei limiti del quinto il diritto dell'Inps della trattenuta in via
di compensazione sulle pensioni da esso dovute.
Tale tesi è indubbiamente errata. Il d.p.r. 488/68, emanato quan
do era ancora in vigore il 2° comma dell'art. 128 r.d.l. 4 ottobre
1935 n. 1827 — che consentiva all'Inps di recuperare sulle pen
sioni ed in unica soluzione ogni somma dovutagli in base a sen
tenza passata in giudicato ed è stato poi dichiarato incostituzionale
con la citata decisione n. 22 del 1969 — prevedeva che il recupero
in unica soluzione potesse avvenire anche in mancanza di un prov
vedimento dell'autorità giudiziaria.
L'art. 69 1. 153/69 innova riguardo alle possibilità di recupero,
limitandole ad un quinto dell'ammontare delle pensioni, facendo
salvi i trattamenti minimi.
È indubbio, pertanto, che l'art. 40 risulta parzialmente ed in
via implicita abrogato per la parte che riguarda le modalità di
recupero, quantificate dalla norma successiva.
Alla luce di tale successione normativa, resta indenne il diritto
dell'Inps di poter recuperare l'indebito in mancanza di una deci
sione del giudice a mezzo di trattenute sulle pensioni, nella misu
ra indicata dalla 1. 153/69.
Ciò posto, si osserva che nessun elemento, letterale o logico,
consente di affermare, come invece ha fatto il tribunale, che l'Inps
sia tenuto, per legge, a poter ripetere le somme indebitamente
erogate nella congiuntura solo attraverso trattenute sulle pensioni.
L'uso del futuro «sarà», fatto nel 4° comma dell'art. 40, non
appare interpretabile in tali sensi.
Dire «detta somma sarà prelevata dall'Inps sulle rate di pensio
ne dovute al trasgressore» equivale a dire «il prelievo sarà effet
tuato sulle ...» e non può essere in alcun modo inteso come
«è previsto il solo prelievo».
È quindi chiaro che il legislatore non ha voluto limitare i prin
cipi di diritto di azione propri dell'Inps, come di ogni altro credi
tore, ma specifica il diritto di ritenuta (cioè di compensazione)
attribuendo ex lege all'indebito de quo e alla relativa sanzione
le caratteristiche di un credito certo, liquido ed esigibile e, per
Il Foro Italiano — 1989.
giunta, compensabile con la pensione solo per effetto della vo
lontà del creditore e non anche in conseguenza di un pregresso
giudicato. Non ha inteso, certo, in altre parole, derogare al prin
cipio dettato dall'art. 2740 c.c. o inibire all'Inps l'azione di cui
all'art. 2033 stesso codice.
D'altro canto non sarebbe concepibile una volontà in tali sensi,
che in pratica comporterebbe la irripetibilità delle somme nei con
fronti di soggetti — che potrebbero essere abbienti o titolari di
considerevoli patrimoni — per il solo fatto che essi siano benefi
ciari di pensione integrata al minimo. Se infatti l'art. 40 citato
imponesse — si come ha ritenuto il giudice d'appello — di recu
perare le omesse trattenute e la relativa sanzione soltanto me
diante trattenute sulla pensione, l'intangibilità di questa al minimo,
sancita dall'art. 69 1. 153/69 comporterebbe l'irrecuperabilità nel
la maggioranza dei casi.
Va infine rilevato che infondata appare l'eccezione di illegitti
mità costituzionale riproposta dal Sacco, relativa al preteso con
trasto con l'art. 3 Cost, dell'art. 2 d.l. 18 settembre 1983 n. 463,
convertito nella 1. 11 novembre 1983 n. 683, là dove non prevede il condono anche a favore dei lavoratori pensionati che abbiano
violato l'art. 20 1. 30 aprile 1969 n. 153.
Il resistente afferma che, mentre è stabilito in favore dei datori
di lavoro il condono per tutte le posizioni debitorie nei confronti
dell'Inps, comprese quelle derivanti dalla violazione dell'art. 20
1. 153/69, non è stata accordata facoltà analoga ai lavoratori pen
sionati.
Va considerato, al riguardo, che trattasi di normativa destinata
agli imprenditori rispetto ai quali il legislatore si è proposto di
favorire la regolarizzazione contributiva, con lo scopo, oltre che
di agevolarne l'attività in periodo di crisi, di realizzare, per pro
prio conto, una entrata immediata. Va altresì' sottolineato che,
vertendosi in materia fiscale, la scelta va fatta per grandi catego
rie, secondo valutazioni di ordine sociale, politico ed economico,
sottratte al sindacato giurisdizionale. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto, con la conseguente
cassazione dell'impugnata sentenza ed il rinvio ad altro giudice
di appello, designato in dispositivo, che si adeguerà agli afferma
ti principi di diritto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 20 gennaio
1989, n. 342; Pres. Menichino, Est. Florio, P.M. Simeone
(conci, diff.); Soc. Sies (Avv. De Francesco, Rampino) c. Pa
radiso e altri; Soc. Sies c. Paradiso e altri (Avv. Guttierez,
D'Ancona, Carlino, Califano), Ferrari e altri. Conferma Trib.
Milano 9 novembre 1985.
Lavoro (rapporto) — Prestazione nel settimo giorno — Indenniz
zabilità (Cost., art. 36; 1. 22 febbraio 1934 n. 370, riposo do
menicale e settimanale, art. 1, 3, 5).
Il lavoratore che abbia fornito la prestazione dopo sei giorni di
lavoro consecutivi, a seguito di spostamento del riposo dome
nicale in ipotesi consentita ex art. 5 I. 370 del 1934, ha diritto
ad un ristoro economico a titolo indennitario, determinabile
equitativamente, pur se abbia goduto di riposo compensativo. (1)
(1) La sentenza che conferma con diversa motivazione Trib. Milano
8 novembre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1141, si colloca nel filone giurisprudenziale consolidato per il quale il lavoro
nel settimo giorno, pur se compensato da altro giorno di riposo, va ulte
riormente remunerato: oltre ai precedenti richiamati in sentenza, da ulti
mo, cfr. Cass. 19 novembre 1987, n. 8514, id., Rep. 1987, voce cit.,
n. 1196; Pret. Milano 13 febbraio 1986 e Pret. Torino 8 febbraio 1986,
id., Rep. 1986, voce cit., nn. 1142, 1143, ma v., già, Cass., sez. un.,
10 novembre 1982, n. 5923, id., 1983, I, 1967, con nota di M. De Luca.
La peculiarità della presente pronuncia è però nell'affemazione della na
tura indennitaria del dovuto al lavoratore nell'ipotesi in cui ci sia stato
spostamento del riposo domenicale consentito dall'art. 5 1. 370 del 1934.
Cfr. al riguardo, per la natura di maggiorazione per lavoro straordinario
della remunerazione dovuta, Cass. 11 maggio 1987, n. 4352, id., Rep.
1987, voce cit., n. 1417; 2 aprile 1986, n. 2272, id., Rep. 1986, voce
cit., n. 1139. Cfr. ancora Cass. 11 gennaio 1986, n. 136, ibid., n. 1140.
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1107 PARTE PRIMA 1108
Motivi della decisione. — {Omissis). Gli esposti motivi, che a causa delle questioni connesse richiedono una unica trattazio
ne, non sono fondati.
La ricorrente muove, invero, dal presupposto — giuridicamen te errato — che, avendo i suoi dipendenti lavorato nel giorno di domenica ed avendo, in corrispettivo della prestazione eseguita in tale giorno, ricevuto, in conformità di quanto previsto dalla
contrattazione colletiva, una maggiorazione della retribuzione ed
un giorno di riposo compensativo, non potrebbero avanzare al
cun altra pretesa patrimoniale, nemmeno sotto forma di risarci
mento del danno; a parere, infatti, di essa ricorrente, l'obbligo di dare ai dipendenti il riposo compensativo risulterebbe assolto
e lo spostamento di esso oltre il settimo giorno, consentito dal
l'art. 5 1. n. 370 del 1934, risulterebbe pienamente compensato con le «provvidenze» innanzi indicate, per nulla influendo il fat
to che di esso riposo i suoi dipendenti abbiano goduto dopo sette
o più giorni continuativi di lavoro.
Ora, al fine di sgombrare il campo dall'errore di impostazione intorno al quale si sviluppano tutte le censure esposte nei primi due mezzi di ricorso, è necessario puntualizzare che la questione
posta con il ricorso introduttivo del giudizio non concerneva la
pretesa dei lavoratori al riposo compensativo del riposo settima
nale normalmente usufruibile di domenica, ma riguardava, inve
ce, la loro pretesa al risarcimento del danno, fondata sul
presupposto, pacifico, che, essendo stati obbligati a lavorare nel
settimo o nei giorni successivi e non avendo comunque fruito
del riposo compensativo dopo sei giorni di lavoro, essi avevano
risentito un accentuato logorio delle loro energie psico-fisiche.
È, quindi, fuori causa la retribuibilità del lavoro domenicale, in riferimento al quale ed anche al fine di disattendere altre cen
sure che si leggono nel quarto mezzo di ricorso, non è superfluo richiamare quanto in analoga occasione è stato avvertito da que sta corte.
Nelle sentenze più recenti rese in materia di rapporto di lavoro
degli autoferrotramvieri, nonché nella sentenza, in termini, n. 4352
del corrente anno (Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro, (rapporti), n. 1417), è stato, infatti affermato che è legittimo lo spostamento in altro giorno della settimana del riposo settimanale, normal
mente coincidente con la domenica (art. 1, 2° comma, n. 9, 1.
22 febbraio 1934 n 370 ed art. 2109, 1° comma, c.c.) a condizio
ne che esso consegua, per l'initerrotta durata di ventiquattro ore, a sei giorni di lavoro.
Tale principio — già affermato nella sentenza n. 3600 del 1969
(id., Rep. 1970, voce cit., n. 391), ribadito nella sentenza n. 2138
del 1973 (id., Rep. 1973, voce cit., n. 641), e meglio precisato nella sentenza delle sezioni unite n. 5923 del 1982 (id., 1983, I,
1967), alla quale si sono uniformate le successive pronunce n.
3009 e n. 5667 del 1984 (id., Rep. 1984, voce cit., nn. 1202, 1396), nonché n. 1493 e n. 2523 del 1985 (id., Rep. 1985, voce cit., nn. 1404, 1395) — secondo il quale il lavoro svolto nel giorno di domenica, destinato al riposo settimanale, comporta, nella ipo tesi che vi sia il riposo compensativo nell'arco di sette giorni, il diritto del lavoratore ad una maggiorazione economica per la
maggiore gravosità del lavoro domenicale, è stato, poi, ulterior
mente integrato dalla richiamata giurisprudenza la quale ha fer
mamente precisato che nel caso in cui manchi il riposo settimanale
compensativo — e cioè nel caso in cui la esecuzione del lavoro
si protragga per sette giorni consecutivi — al lavoratore spetta non soltanto la suddetta maggiorazione economica, ma anche un
compenso, avente natura (genericamente) risarcitoria del manca
to riposo settimanale.
Va inoltre segnalato: a) Cass. 342/89 sopra riportata si sofferma diffu samente a distinguere la problematica del lavoro domenicale (su cui, da
ultimo, Cass. 2 luglio 1988, n. 4400, 25 giugno 1988, n. 4313, 11 aprile 1988, n. 2856, 9 aprile 1988, n. 2818, id., Mass., 644, 629, 428, 424; Corte cost. 22 gennaio 1987, n. 16, id., 1987, I, 666, con nota di richia
mi), da quella del lavoro nel settimo giorno; b) ritiene però lecito que st'ultimo — come tale indennizzabile e non risarcibile — ove espletato in ipotesi consentita di spostamento del riposo domenicale (v. anted); e) af ferma in obiter, che non è dovuto nulla al prestatore d'opera nel caso in cui il settimo giorno cada di domenica (evidentemente, ma ciò non è detto in sentenza, con diritto a quanto previsto per il lavoro domenicale).
In tema di obbligo di reperibilità nella giornata domenicale, cfr. Cass. 5 giugno 1987, n. 4940, id., 1988, I, 3033, con nota di richiami e nota di R. Santucci, Diritto al riposo settimanale e obbligo di reperibilità.
Il Foro Italiano — 1989.
Nella giurisprudenza di questa corte è, dunque, chiaro il con
cetto che, se vi è il riposo compensativo nell'arco di sette giorni, il lavoratore ha diritto ad un supplemento di retribuzione diretto
a compensare la penosità del lavoro svolto nel giorno di domeni
ca, atteso che l'art. 36, 1° comma, Cost, commisura la retribu
zione anche alla qualità del lavoro, da intendersi, appunto, con
riguardo al maggior costo personale richiesto al lavoratore (sez. un. n. 5923 del 1982), mentre, nel caso in cui manchi il riposo
compensativo o questo cada oltre il settimo giorno, il lavoro pre stato in tale giorno deve essere risarcito, perché la sua esecuzione
si pone in contrasto con il 3° comma dell'anzicitato art. 36, il
quale ipotizza come perfetto ed irrinunciabile il diritto al riposo
settimanale, essendo questo destinato alla protezione della salute
fisica del lavoratore ed all'impiego del suo tempo libero in mani
festazioni di arricchimento delle relazioni familiari, sociali e cul
turali.
Al lume di tali principi deve perciò escludersi — contrariamen
te a quanto preteso dalla ricorrente — che la prestazione eseguita nel settimo giorno (o anche oltre) possa esonerare il datore di
lavoro dall'obbligazione risarcitoria (genericamente intesa) per il
solo fatto che i lavoratori abbiano, a norma di contratto, perce
pito la maggiorazione della retribuzione per il lavoro domenicale
ed abbiano goduto del riposo compensativo oltre il settimo gior no: giova, invero, ancora una volta ribadire che la maggiorazione retributiva compensa la gravosità del lavoro prestato nella gior nata di domenica, mentre l'attribuzione di un ulteriore ristoro
pecuniario ha una funzione satisfattiva del pregiudizio morale e
materiale risentito dal lavoratore per aver dovuto — in forza del
la turnazione predisposta dall'azienda — eseguire la prestazione nel settimo giorno: trattasi, quindi, di un ristoro compensativo di una seconda e diversa gravosità che può essere esclusa solo
nella ipotesi in cui la prestazione lavorativa nel settimo giorno coincida con la domenica; tale ipotesi non ricorre, però, nel caso
di specie, avendo il giudice del merito implicitamente esclusa la
sussistenza di una tale coincidenza; esso giudice, invero, ha sol
tanto come principio affermato che il riposo settimanale, sia esso
stabilito nella domenica o in un giorno diverso, deve avere inde
rogabile cadenza settimanale.
Ferma, peraltro, l'esigenza di correggere, ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c., la suddetta affermazione, vigendo l'opposto
principio secondo il quale in alcune situazioni legislative determi
nate il riposo compensativo può avere una cadenza variabile, de
ve essere anche disattesa l'obiezione della ricorrente, la quale sostiene che, quando ricorrono, come nella specie, siffatte situa
zioni, una corretta interpretazione dell'art. 5 1. n. 370 del 1934, nel cui ambito si sviluppa la contrattazione collettiva succedutasi
dal 1972 in poi, avrebbe dovuto indurre il giudice del merito a
ritenere legittimo ed esaustivo il trattamento praticato ai suoi di
pendenti, perché il tipo di attività svolta comporterebbe la deroga al principio della cadenza fissa del riposo settimanale; tale deroga — afferma essa ricorrente — le consentirebbe, appunto di fissare il riposo compensativo del riposo domenicale in un arco di tempo eccedente il normale rapporto di sei giorni di lavoro ed uno di
riposo e la esonererebbe, inoltre, dall'obbligo di compensare ul
teriormente il lavoro esatto nel settimo giorno. Và, però, osservato che le eccezioni ipotizzate nell'art. 5 della
legge sopra citata consentono lo spostamento — che perciò di
venta legittimo — del riposo domenicale.
Infatti, tanto le sentenze della Corte costituzionale (la n. 105
del 1972, id., 1972, I, 1912, che si è occupata del riposo settima
nale degli addetti alle agenzie giornalistiche e similari; la n. 146
del 1971, id., 1971, I, 2140, e la n. 65 del 1963, id., 1963, I, 1291, entrambe riguardanti il personale dei servizi pubblici di tras
porto in concessione), quanto la giurisprudenza di questa Supre ma corte (ex pluribus, tra le più recenti, le sentenze n. 2801 del
1986, id., Rep. 1986, voce Ferrovie e tramvie, n. 102, e n. 1887
del 1986, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1418, rese ugualmente in materia di rapporto di lavoro degli autoferrotramvieri) si espri mono nel senso che esiste la possibilità, in considerazione della
specialità di alcune attività imprenditoriali, di spostare il riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica e chiariscono
che esiste anche la possibilità, non contrastante con l'ordinamen
to costituzionale, che il riposo compensativo non abbia cadenza
fissa.
La deroga al principio fondamentale secondo il quale il riposo settimanale deve rispettare la cadenza di sei giorni di lavoro ed
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
uno di riposo, consiste, dunque, nella possibilità di dare una ca
denza variabile al riposo compensativo, a condizione, però, che
nel complesso delle turnazioni ovvero della organizzazione delle
lavorazioni, indicate nella normativa statale (per la editoria che
qui interessa, d.m. 8 agosto 1972), sia rispettato il rapporto di
sei giorni di lavoro ad uno di riposo, ma non consiste, invece, nell'esonerare il datore di lavoro dall'obbligo di indennizzare il
prestatore del pregiudizio che egli risente per aver lavorato conti
nuativamente per sette giorni. Il fatto, perciò, che tale sposta mento sia legittimo, se comporta che esso perda il carattere della
illiceità (la quale ingenera l'obbligo del risaricimento affermato
da questa corte con riferimento, appunto, ai casi in cui non è
consentito lo spostamento del giorno di riposo compensativo), non comporta anche l'esonero del datore di lavoro dall'obbligo di corrispondere l'indennizzo al lavoratore che ha eseguito la pre stazione richiestagli nel settimo o nei giorni successivi, essendo
l'indennizzo dovuto ogni qualvolta l'esercizio, pur se legittimo, di un diritto arreca pregiudizio alle situazioni soggettive dei terzi.
E, perciò, l'azienda, avendo legittimamente preteso la presta zione lavorativa nel settimo giorno (o anche oltre), se può essere
esonerata dall'adempimento di una obbligazione risarcitoria, è tut
tavia obbligata all'adempimento di una prestazione indennitaria
a favore dei dipendenti per il sacrificio ad essi imposto. Non hanno pregio, perciò, le censure che si appuntano sulla
statuizione che attiene alla riconosciuta sussistenza di tale pregiu dizio ed alla liquidazione della indennità riparatoria.
Vero è che il giudice a quo ha fatto riferimento al risarcimento
del danno: tuttavia, la impropria definizione che esso giudice ha
dato della natura dell'obbligazione datoriale satisfattiva del dirit
to del lavoratore, non inficia la validità della sentenza impugna
ta, essendo rimasto immutato il presupposto di fatto causativo
dell'indennizzo ed avendo il giudice del merito adottato per la
liquidazione di esso i criteri di equità che sono tipici di tale istitu to (ad es. art. 2045 c.c. sulla liquidazione equitativa del danno
cagionato da chi agisce in stato di necessità; art. 2047, 2° com
ma, c.c. in materia di liquidazione del danno cagionato dall'inca
pace; art. 843, 2° comma, c.c. in materia di accesso nel fondo
altrui: in tali ipotesi si demanda, appunto, al giudice di liquidare
la indennità con criteri di equità).
Posto, perciò, che il riposo compensativo era stato goduto ol
tre il limite costituzionale (art. 36, 3° comma, Cost.) ma in forza
di una disposizione di legge (art. 5 1. n. 370 del 1934) che ne
consentiva lo spostamento oltre il settimo giorno, rendendo, in
tal modo, legittima la prestazione lavorativa del detto giorno,
che, però, nello stesso tempo, cagionava un pregiudizio psico
fisico ai dipendenti che erano stati obbligati a lavorare nel giorno
destinato, appunto, al recupero delle energie psico-fisiche, va os
servato che la esistenza del danno — che la ricorrente contesta — è provata proprio dalla situazione nella quale i lavoratori ave
vano eseguito la prestazione, mentre la liquidazione della inden
nità deve ritenersi incensurabile, perché il giudice del merito si
è correttamente avvalso dei criteri equitativi.
Né, infine, esso giudice avrebbe potuto apportare una riduzio
ne alla indennità liquidata equitativamente nella misura di tre ore
di retribuzione, perché le altre somme corrisposte ai lavoratori
erano satisfattive della prestazione del lavoro effettuato nella gior
nata di domenica (e perciò imputabili ad una diversa e distinta
causale), mentre l'importo delle tre ore di retribuzione indenniz
zavano la penosità del lavoro prestato nel settimo giorno (ovvia
mente non coincidente con la domenica).
Le osservazioni che sorreggono la reiezione delle censure fin
qui esaminate consentono, poi, di ritenere non pertinenti quelle
doglianze con le quali si addebita al tribunale di aver omesso
qualsiasi indagine in ordine alle clausole dei contratti collettivi,
succedutisi dal 1972, che si occupano della retribuibilità del lavo
ro prestato nel giorno di domenica: occorre, in proposito, ancora
una volta ricordare che il caso deferito al giudice del merito non
riguardava la retribuibilità di tale lavoro, ma aveva ad oggetto
la diversa ed autonoma fattispecie, ovviamente non contemplata
in detti contratti, della indennizzibilità del danno psico-fisico ri
sentito dai lavoratori che avevano prestato la propria attività nel
settimo giorno. Non era perciò richiesta l'interpretazione della
clausola collettiva, se non al limitato fine — che risulta persegui
to dal tribunale — di escludere che il trattamento contrattuale
previsto per il lavoro domenicale fosse satisfattivo anche del la
II Foro Italiano — 1989.
voro maggiormente usurante prestato nel o anche oltre il settimo
giorno.
E, proprio in siffatto diverso atteggiarsi della fattispecie si rin
viene il distacco dai precedenti giurisprudenziali di questa corte
nei quali, essendo stato dedotto che il lavoro prestato nel settimo
giorno — cadente di domenica — doveva essere compensato co
me lavoro straordinario festivo, bene a ragione era stato deman
dato al giudice del rinvio di accertare se ed in quale misura il
compenso contrattuale del lavoro straordinario, eventualmente de
stinato a compensare anche la prestazione di cui si discute, risul
tasse conglobato nella retribuzione complessiva. Tale esigenza non ricorre nella specie, essendo pacifico — per
averlo riteratamente affermato la stessa ricorrente — che il lavo
ro prestato nel settimo o nei successivi giorni non era stato auto
nomamente compensato.
Peraltro, non avendo la società ricorrente proposto una perti nente deduzione di merito, questa corte viene a trovarsi nella im
possibilità di demandare ad altro giudice il compito di identificare i periodi in cui la prestazione del settimo giorno, essendo coinci
dente con la domenica, si sarebbe dovuta retribuire nelle forme
e con i mezzi previsti per il lavoro domenicale e distinguerla dai
periodi nei quali il lavoro del settimo giorno, cadendo in un gior no diverso dalla domenica, si sarebbe dovuto altrimenti com
pensare. Posta perciò la diversità delle fattispecie e ricordato che nel
caso in esame era fuori discussione la legittimità dello spostamen to del giorno di riposo settimanale, perché tale spostamento era,
appunto, consentito dall'art. 5 della 1. n. 370 del 1934, appare del tutto fuor di proposito la deduzione, prospettata nella memo
ria, con la quale la società ricorrente sostiene che, ove si voglia ritenere «che il nostro sistema positivo sancisca il principio inde
rogabile della cadenza fissa del riposo settimanale, nel senso che
esso debba necessariamente seguire dopo sei giorni consecutivi
di lavoro, le norme portate dagli art. 1, 3 e 5 della menzionata
legge si porrebbero in contrasto con l'art. 36, 3° comma, Cost.»:
la correzione apportata alla sentenza impugnata alla stregua del
l'opposto principio enuciato dalla Corte costituzionale con le già menzionate decisioni n. 146 del 1971, n. 65 del 1973 e n. 23 del
1982, esclude, infatti, che le suddette norme possano essere diver
samente interpretate. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 20 gen naio 1989, n. 308; Pres. Granata, Est. Maltese, P.M. Mi
netti (conci, conf.); Soc. Fontana (Avv. Comandini, Villani,
Lampiasi) c. Capitanucci (Avv. Cerrai). Regolamento preven tivo di giurisdizione.
Tributi in genere — Controversia tra sostituto d'imposta e sosti
tuito — Giurisdizione delle commissioni tributarie — Contrad
dittorio (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, revisione della disciplina del contenzioso tributario, art. 16; d.p.r. 29 settembre 1973
n. 602, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 38).
La controversia promossa dal dipendente nei confronti del datore
di lavoro per denunciare l'illegittimità della ritenuta d'acconto
Irpef da questi operata e per chiedere la condanna al pagamen to delle relative somme rientra nella giurisdizione delle com
missioni tributarie e deve essere in quella sede decisa con efficacia di giudicato e nel contraddittorio della amministrazione finan
ziaria dello Stato. (1)
(1-2) Con le decisioni in rassegna (per la sent. 308/89 è stata omessa
la parte di motivazione comune alla sent. 1200/88) la Cassazione confer
ma il mutamento di giurisprudenza, attuato con le sent. 21 gennaio 1988, nn. 441 e 440, Foro it., Mass., 76, e confermato, fra l'altro, con le suc
cessive 1° marzo 1988, nn. 2152 e 2151, ibid., 323, rispetto a quanto deciso con precedenti pronunzie in materia, ove era stata affermata la
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