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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 29 novembre 1988, n....

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13
sezione lavoro; sentenza 29 novembre 1988, n. 6447; Pres. Chiavelli, Est. Florio, P.M. Gazzara (concl. conf.); Ventrella (Avv. Nappi) c. Soc. Borghi trasporti spedizioni (Avv. Vesci). Cassa Trib. Roma 6 giugno 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 2247/2248-2269/2270 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184107 . Accessed: 25/06/2014 02:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.128 on Wed, 25 Jun 2014 02:39:32 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 29 novembre 1988, n. 6447; Pres. Chiavelli, Est. Florio, P.M. Gazzara (concl. conf.); Ventrella (Avv.

sezione lavoro; sentenza 29 novembre 1988, n. 6447; Pres. Chiavelli, Est. Florio, P.M. Gazzara(concl. conf.); Ventrella (Avv. Nappi) c. Soc. Borghi trasporti spedizioni (Avv. Vesci). CassaTrib. Roma 6 giugno 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2247/2248-2269/2270Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184107 .

Accessed: 25/06/2014 02:39

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2247 PARTE PRIMA 2248

bre 1986 (termine, quest'ultimo, come oltre si vedrà, prorogato da successive leggi fino al 31 dicembre 1987) essi non possono chiedere il prepensionamento, ma neppure la continuazione del

l'attività lavorativa ex art. 6 1. 54/82 e riacquistano (solo) il dirit

to di opzione dal 1° gennaio 1988. Pertanto, nel periodo 1° gennaio 1986 - 31 dicembre 1986 (rectius 31 dicembre 1987) il rapporto di lavoro si risolve solo nel termine fissato nell'art. 111. 604/66.

Del resto, pur vigendo le leggi 193/84 e 155/81, il termine di

cui all'art. 11 citato resta pur sempre l'unico applicabile per la

soluzione del rapporto di lavoro in mancanza di istanza, propo sta dal lavoratore, volta a fruire degli istituti di cui agli art. 6

1. 54/82 e 16-18 1. 155/81. Nella fattispecie di cui è causa non è stato contestato — e co

munque risulta provato dai doc. sub 1) prodotti dalla convenuta

società — che la stessa è tra le imprese industriali per le quali è stata emessa la delibera Cipi ex art. 2 1. 675/77.

Pertanto — per tutti i motivi che precedono — deve essere

concluso che anche al ricorrente Salazar va ritenuta l'inapplicabi lità dell'art. 6 1. 54/82.

Riguardo poi alla seconda argomentazione prospettata dal ri

corrente e cioè che la scadenza del 31 dicembre 1986, fissata nel

l'art. 1, 4° comma, 1. 193/84, sarebbe comunque maturata nella

data di compimento del termine previsto per l'esercizio del diritto

di opzione di cui all'art. 6 1. 54/82, va osservato che tale scaden

za è stata prorogata fino al 31 dicembre 1987 nell'art. 3, 4° com

ma, d.l. 22 dicembre 1986 n. 832, nell'art. 4, 4° comma, d.l.

25 febbraio 1987 n. 48, nell'art. 5, 4° comma, d.l. 28 aprile 1987

n. 156, nell'art. 5, 4° comma, d.l. 27 giugno 1987 n. 244, nel

l'art. 5, 4° comma, d.l. 27 agosto 1987 n. 358, nell'art. 5, 4°

comma, d.l. 30 ottobre 1987 n. 442, e infine nell'art. 5, 4° com

ma, d.l. 30 dicembre 1987 n. 536 convertito nella 1. 29 febbraio

1988 n. 48 (questa ultima pubblicata nella G.U. 1° marzo 1988, n. 48).

Da ultimo si osserva che l'estensione al settore alluminio delle

disposizioni di cui all'art. 1 1. 193/84 può essere agevolmente in

terpretata, alla stregua di tutte le considerazioni sopra svolte, nel

senso che quelle norme dell'art. 1 che sono applicabili solo al

settore siderurgico (es. prepensionamento «speciale») sono estese

al settore alluminio.

Da tutti i rilievi che precedono consegue il rigetto delle doman

de proposte dal ricorrente e l'assoluzione della convenuta società.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 29 novem

bre 1988, n. 6447; Pres. Chiavelli, Est. Florio, P.M. Gazza

ra (conci, conf.); Ventrella (Aw. Nappi) c. Soc. Borghi trasporti

spedizioni (Avv. Vesci). Cassa Trib. Roma 6 giugno 1986.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Nozione on

tologica — Intimazione nell'area della c.d. «tutela obbligato ria» — Garanzie procedimentali — Inosservanza — Conseguenze

(Cod. civ., art. 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licen

ziamenti individuali, art. 1, 2, 3, 8, 10, 11; 1. 20 maggio 1970

n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di la voro e norme sul collocamento, art. 7, 18, 35).

Il licenziamento ontologicamente disciplinare — che sia intimato

nell'area della c.d. «tutela obbligatoria» senza l'osservanza del

le garanzie procedimentali (di cui al 2° e 3° comma dell'art.

7 /. 300/70, quali si «leggono» dopo Corte cost. 204/82) —

è soggetto alla stessa sanzione (riassunzione o indennità) com

minata (dall'art. 8 l. 604/66) per il licenziamento non sorretto

da giusta causa o giustificato motivo. (1)

(1-3) I. - La giurisprudenza in tema di licenziamenti disciplinari — inti mati al di fuori dal campo d'applicazione della c.d. «tutela reale» (art. 35 1. 300/70) — pare lontana da una definitiva composizione dei

contrasti, anche dopo gli interventi delle sezioni unite (sent. 4823/87,

Il Foro Italiano — 1989.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 febbraio

1988, n. 1426; Pres. Valente, Est. Chiavelli, P.M. Benanti

(conci, conf.); Mangolini (Aw. Fanfani) c. Soc. Esselunga (Aw.

Pinto). Conferma Trib. Firenze 13 febbraio 1985.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare del dirigente —

Nozione ontologica — Garanzie procedimentali — Applicabili tà (Cod. civ., art. 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 1, 2, 3, 8, 10, 11; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7, 18, 35).

Il licenziamento ontologicamente disciplinare del dirigente è sog

getto alle garanzie procedimentali (di cui ai primi tre commi

dell'art. 71. 300/70, quali si «leggono» dopo Corte cost. 204/82), che nella specie sono state osservate. (2)

Foro it., 1987, I, 2032, con nota di M. De Luca; 8189/87, ibid., 3239, con nota di richiami ed osservazioni di M. De Luca; 1208/88, id., 1988,

I, 1556, con nota di richiami; sez. lav. 4521/88, ibid., 3592; ai riferimenti

di dottrina e giurisprudenza, di cui alle note ed osservazioni citate, adde, in nota a Cass. 1426/88, F. Basenghi, In tema di licenziamenti discipli nari del dirigente, in Dir. lav. 1988, II, 465).

II. - Infatti — con i licenziamenti «ontologicamente» disciplinari, inti

mati nell'area della c.d. «tutela obbligatoria» — la prima delle sentenze in epigrafe si pone in contrasto «inconsapevole», con altra sentenza della stessa sezione lavoro (n. 4521/88, cit.), nella definizione del sistema san zionatone della inosservanza delle garanzie procedimentali (di cui ai pri mi tre commi dell'art. 7 1. 300/70, quali si «leggono» dopo Corte cost.

204/82, Foro it., 1982, I, 2981, con osservazioni di G. Silvestri). Apoditticamente ipotizzando una sorta di «forza espansiva» dell'art.

8 1. 604/66, la sentenza ora in esame, infatti, ne estende l'applicazione al caso che ci occupa, per il quale la precedente sentenza 4521/88 —

sulla falsariga delle suggestioni di Corte cost. 204/82 (cit.) — propone la stessa sanzione («inefficacia») comminata (dall'art. 2 1. 604/66) per il difetto di «forma» del licenziamento.

La composizione del contrasto va, quindi, devoluta alle sezioni unite, che non sono ancora intervenute sulla questione specifica.

III. - In contrasto con le sezioni unite (sent. 8189/87, cit.) si pongono, invece, la seconda e la terza delle sentenze in rassegna, che ritengono applicabili le garanzie procedimentali (di cui ai primi tre commi e, rispet tivamente, al 2° e al 3° comma dell'art. 7 1. 300/70) a licenziamenti disci

plinari intimati nell'area della revocabilità ad nutum (licenziamento di

dirigente e, rispettivamente, licenziamento intimato dal datore di lavoro che non raggiunge le «soglie occupazionali» per l'accesso alla «tutela»).

Tuttavia — mentre la sentenza della sezione lavoro (1426/88) ignora il precedente delle sezioni unite (8189/87) — il Pretore di Monza consa

pevolmente se ne discosta, all'esito di un'ampia ed approfondita motiva

zione, dopo averne posto in dubbio Inefficacia vincolante», in dipendenza dell'adozione al di fuori della specifica «competenza» (ex art. 374, 2°

comma, c.p.c.) delle sezioni unite (sul punto — oltre i riferimenti di cui alle osservazioni a Cass., sez. un., 8189/87, cit. — v., in motivazione, la sentenza delle stesse sezioni unite 3469/88, id., 1988, I, 3302, con nota di richiami).

Resta da attendere, poi, la pronuncia della Corte costituzionale sulla

questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Firenze (sulla quale vedi l'ordinanza 6 dicembre 1988, n. 1068 della corte di restituzione

degli atti al giudice a quo per chiarimenti, in G.U., 1" s.s., n. 50 del 14 dicembre 1988).

IV. - Recenti iniziative legislative (qui di seguito riportate), pur occu

pandosi (tra l'altro) del licenziamento nelle «piccole imprese» (che forma no oggetto anche di una iniziativa referendaria), non si occupano dei

problemi specifici concernenti i licenziamenti disciplinari. Su tali iniziative legislative, vedi M. G. Garofalo, Per una politica

dei diritti dei lavoratori nella piccola impresa, in Riv. giur. lav., 1988, I, 393; M. De Luca, Statuto dei lavoratori: prospettive del «garantismo» per gli anni '90 (note minime tra «ordinamento dato» ed ipotesi di rifor ma), relazione al Convegno nazionale sul tema Statuto dei lavoratori:

problemi del livello di garantismo e della rappresentatività sindacale (Mes sina - Taormina, 28-29 aprile 1989), in corso di pubblicazione su Dir.

lav., oltre che sugli atti del convegno.

» * *

I

Disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi e norme sul campo d'applicazione della l. 20 maggio 1970, n. 300 (disegno di legge n. 305 A.S. d'iniziativa dei senatori Giugni, Fabbri ed altri e, di identico conte

nuto, proposta di legge n. 190 A.C. d'iniziativa del deputato Piro).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ill

PRETURA DI MONZA; sentenza 26 aprile 1989; Giud. Frasca;

Mancino c. Magni.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Nozione on

tologica — Intimazione nell'area della recedibilità «ad nutum» — Garanzie procedimentali — Inosservanza — Conseguenze

(Cod. civ., art. 2118, 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 1, 3, 4, 8, 10, 11; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7, 18, 35).

Il licenziamento ontologicamente disciplinare — intimato nel!'ae

ra della recedibilità ad nutum (in dipendenza del livello occu

pazionale dell'impresa) senza l'osservanza delle garanzie

procedimentali (di cui al 2° e 3° comma dell'art. 7 /. 300/70,

quali si «leggono» dopo Corte cost. 204/82) — è affetto da

nullità. (3)

Titolo I

Sui licenziamenti individuali

Art. 1.

1. Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi del

l'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è nullo, indipendente mente dalla motivazione addotta.

Art. 2.

1. Il licenziamento, a pena di nullità, deve essere comunicato per iscrit

to al prestatore di lavoro.

Art. 3.

1. Il licenziamento del prestatore di lavoro con contratto a tempo inde

terminato, da parte di un datore di lavoro che occupi più di quindici

dipendenti, non può avvenire che per giusta causa, ai sensi dell'articolo

2119 del codice civile o, con preavviso, per giustificato motivo, ai sensi

dell'articolo 5 della presente legge. 2. Il prestatore di lavoro può chiedere anche oralmente, entro otto

giorni dalla ricezione della comunicazione, i motivi che hanno determina

to il licenziamento; in tal caso il datore di lavoro deve, nei cinque giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.

3. È nullo il licenziamento intimato senza l'osservanza della disposizio ne di cui al comma 2.

Art. 4.

1. Il lavoratore, licenziato dal datore di lavoro che occupa da cinque a quindici dipendenti, può promuovere un tentativo di conciliazione, ai

sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile, diretto alla revoca

del licenziamento. 2. Il datore di lavoro ha facoltà di farsi rappresentare da persona che

sia munita di mandato a revocare il licenziamento e sia a conoscenza

dei fatti che costituiscono oggetto della controversia.

3. Ove il datore di lavoro, regolarmente convocato dinanzi alla com

missione di conciliazione di cui al comma 1, non si presenti senza giustifi cato motivo, o per lui non si presenti la persona di cui al comma 2, il licenziamento può essere annullato con sentenza ai sensi e con gli effetti

dell'articolo 8, commi 1 e 2, della presente legge. Il presidente della com

missione dà atto della mancata comparizione del datore di lavoro e del

l'assenza di valide giustificazioni di essa.

4. Il presente articolo non si applica, con riferimento ai dipendenti che non abbiano compiuto il venticinquesimo anno, alle imprese artigia

ne, definite tali a norma dell'articolo 4, lettere a), b) e c), della legge 8 agosto 1985, n. 443, che abbiano un numero di dipendenti non superio re a quindici, nonché a quelle di cui alle lettere d) ed e). Resta fermo

quanto previsto dal comma 2 di tale articolo.

Art. 5.

1. - Il licenziamento per giustificato motivo ai sensi dell'articolo 3 è

determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali

del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva,

all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, ivi com

presi i licenziamenti di cui al titolo II della presente legge.

Il Foro Italiano — 1989.

I

Svolgimento del processo. — Enzo Ventrella, lavoratore inqua drato nella 3a categoria degli addetti alle imprese di spedizione, con ricorso del 4 maggio 1983 al Pretore del lavoro di Roma

impugnava il licenziamento applicato nei suoi confronti con prov vedimento del 28 dicembre 1982 dalla s.p.a. Borghi trasporti e

spedizioni che lo aveva destinato alla sede di Pomezia: esso Ven

trella ne denunziava l'illegittimità per la violazione dei primi tre

commi dell'art. 7 statuto lavoratori e, in particolare, perché il

provvedimento espulsivo non era stato preceduto dalla contesta

zione degli addebiti: chiedeva, in conseguenza, la reintegrazione

Art. 6.

1. L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustifi cato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.

Art. 7.

1. Il licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo deve

essere impugnato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla rice

zione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche stragiudi

ziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso

l'intervento dell'organizzazione sindacale, diretta ad impugnare il licen

ziamento stesso. 2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla ricezione della comunica

zione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove que sta non sia contestuale a quella del licenziamento.

Art. 8.

1. Il giudice, per i datori di lavoro imprenditori, il cui volume d'affari

negli ultimi tre anni, determinato secondo la legislazione vigente in mate

ria di imposta sul valore aggiunto, abbia complessivamente superato i

5 miliardi di lire, ovvero per i datori di lavoro non imprenditori che occu

pino più di sessanta dipendenti, con la sentenza con cui annulla il licen

ziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, ordina di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e di pagargli le retribuzioni dovute a

decorrere dalla data del licenziamento, detratti gli eventuali redditi di la

voro percepiti altrove nello stesso periodo di tempo dal lavoratore. In

ogni caso, la misura delle somme dovute al lavoratore non potrà essere

inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinate secondo i criteri

di cui all'articolo 2121 del codice civile.

2. Il datore di lavoro che non ottempera all'ordine di reintegrazione di cui al comma 1, fatta salva l'ipotesi prevista dall'articolo 9, è tenuto

a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rappor to di lavoro dalla data della sentenza fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore

di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto. L'ese

cutività dell'ordine di reintegrazione, nonché di quelli di corrispondere le retribuzioni di cui al presente comma, viene meno in caso di riforma

della sentenza di primo grado che l'abbia disposto. 3. Il datore di lavoro che non ottempera all'ordine di reintegrazione,

confermato con la sentenza di secondo grado, è tenuto, inoltre, per ogni

giorno di ritardo, al pagamento a favore della previdenza sociale per l'as

sicurazione contro la disoccupazione di una somma pari all'importo della

retribuzione dovuta al lavoratore.

4. Al prestatore di lavoro è data facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro di cui ai commi

precedenti, una indennità pari a trentasei mensilità di retribuzione, deter

minate secondo i criteri dell'articolo 2121 del codice civile.

5. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22 della

legge 20 maggio 1970, n. 300, su istanza congiunta del lavoratore e del

sindacato, cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando

ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore

di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

6. L'ordinanza di cui al comma 5 può essere impugnata con reclamo

immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le di

sposizioni dell'articolo 178, commi terzo, quarto, quinto e sesto, del co

dice di procedura civile.

7. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Art. 9.

1. Nell'ipotesi di licenziamento annullato in quanto privo di giusta cau

sa o giustificato motivo, il datore di lavoro imprenditore, che occupi più

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2251 PARTE PRIMA 2252

nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al risarci

mento dei danni, oltre svalutazione ed interessi.

La società Borghi concludeva per la reiezione delle domande

del lavoratore deducendo che a costui, pur non essendo applica bile la normativa garantista dell'art. 7 1. 300 del 1970 attese le

dimensioni dell'unità produttiva alla quale egli era addetto, era

stato contestato l'addebito al quale non avevano fatto seguito le giustificazioni dell'incolpato perché questi aveva rinunziato al

termine a difesa; deduceva, inoltre, che il licenziamento, non in

cluso tra le sanzioni disciplinari, era assistito da giusta causa raf

figurata nel fatto che il Ventrella, nonostante la contraria

di quindici dipendenti, e il cui volume d'affari sia inferiore a quello pre visto dall'articolo 8, comma 1, ovvero il datore di lavoro non imprendi tore, che occupi più di quindici e non oltre sessanta dipendenti, in alternativa alla reintegrazione del lavoratore disposta dalla sentenza di cui all'articolo 8 può corrispondergli la retribuzione per la durata di un anno. Al termine, il lavoratore ha diritto al trattamento speciale di disoc

cupazione previsto dall'articolo 8 della legge 5 novembre 1968, n. 1115, e successive modificazioni, per un periodo non superiore a ventiquattro mesi, salvo che non abbia trovato altra occupazione.

2. L'Istituto nazionale della previdenza sociale è litisconsorte necessa

rio, ai sensi dell'articolo 102 del codice di procedura civile, nel giudizio sulla legittimità del licenziamento.

Art. 10.

1. Al datore di lavoro che intenda risolvere il rapporto di lavoro per giustificato motivo è data facoltà di chiedere al giudice la dichiarazione della risoluzione del contratto di lavoro, con gli stessi effetti del licen ziamento.

2. Il datore di lavoro può sospendere in via provvisoria il lavoratore dallo svolgimento della prestazione di lavoro e dalla retribuzione. Se la domanda non è accolta, la sospensione viene meno con effetto immedia

to, ma può essere rinnovata con ordinanza del giudice dell'impugnazione, ove sussistano motivi di urgente necessità.

3. Il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, su domanda del lavoratore che versi in stato di bisogno, in quanto privo di altre fonti di reddito, può ordinare al datore di lavoro di corrispondergli una quota parte della retribuzione. Se il giudizio pende innanzi alla Corte di cassa

zione, questo provvedimento può essere reso dal giudice che ha emesso la sentenza impugnata.

4. A seguito del passaggio in giudicato della sentenza che respinge la domanda del datore di lavoro, questi è tenuto a corrispondere al lavora tore le retribuzioni non corrisposte a causa della intervenuta sospensione.

5. Eccetto il caso previsto dal comma sesto dell'articolo 415 del codice di procedura civile, tra la data del deposito del ricorso presentato ai sensi del comma 1 del presente articolo e la data in cui il giudice pronuncia la sentenza di primo grado non debbono intercorrere più di centoventi

giorni, decorsi i quali il processo si estingue e il datore di lavoro può risolvere il rapporto a norma dell'articolo 3 della presente legge. Le di

sposizioni del presente articolo, con esclusione dei commi 2 e 3, si appli cano anche nel caso in cui il datore di lavoro intenda risolvere il rapporto per giusta causa.

Art. 11.

1. Le controversie in materia di licenziamento, anche nell'ipotesi di cui all'articolo 10, possono essere decise mediante arbitrato irrituale, ove ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro, senza pregiudi zio delle facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria.

2. Le relative clausole contrattuali debbono prevedere, a pena di nullità:

a) che il presidente del collegio arbitrale sia nominato per l'accordo

degli arbitri nominati dalle parti o, in mancanza, dal pretore o dal diret tore dell'ufficio del lavoro competenti per il luogo ove ha sede l'azienda;

b) che il lodo sia pronunciato entro un periodo prefissato e, comun

que, non superiore a tre mesi dalla proposizione del ricorso; c) che le spese e gli onorari per gli arbitri nominati dalle parti non

gravino sul lavoratore. 3. Le spese relative al presidente del collegio arbitrale sono a carico

del bilancio del Ministero di grazia e giustizia e vengono liquidate dal cancelliere capo del tribunale territorialmente competente secondo un ta riffario emanato dal Ministero stesso.

4. Il lodo arbitrale può essere impugnato solo per i motivi di cui all'ar ticolo 829 del codice di procedura civile, nonché per violazione e falsa

applicazione dei contratti ed accordi collettivi.

Art. 12.

1. Le disposizioni della presente legge, ad eccezione dell'articolo 1, non trovano applicazione nei rapporti disciplinati dalla legge 2 aprile 1958,

Il Foro Italiano — 1989.

determinazione dell'azienda, si era di propria iniziativa collocato

in ferie dal 10 dicembre 1982 al 3 gennaio 1983.

L'adito pretore accoglieva la domanda ed ordinava la reinte

grazione del Ventrella nel posto di lavoro liquidandogli il danno

in lire 15.300.000 oltre rivalutazione ed interessi.

La società Borghi proponeva appello che, resistendo il lavora

tore, il Tribunale di Roma accoglieva con la sentenza qui im

pugnata. Tale giudice, premesso che, in ogni caso, al Ventrella non spet

tava la tutela reale perché egli era addetto ad una unità produtti va (quella di Pomezia) che impiegava appena sei dipendenti e

n. 339, nonché nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che

svolgano senza fini di lucro esclusivamente attività di natura politica, re

ligiosa, sindacale o culturale. 2. Esse non si applicano parimenti nei confronti dei prestatori di lavo

ro che rivestano la qualifica di dirigente, dei prestatori di lavoro che ab biano superato il sessantacinquesimo anno di età ed abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia.

3. Per i lavoratori assunti in prova tali norme, ad eccezione dell'artico lo 1, si applicano solo dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva

e, in ogni caso, quando siano decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro.

Titolo II

Sui licenziamenti collettivi

Art. 13.

1. L'impresa che occupi più di quindici lavoratori, ove non abbia avu to luogo l'applicazione delle procedure di mobilità previste dalle vigenti leggi, nel caso in cui intenda procedere a licenziamenti collettivi determi nati da ragioni economiche o tecnico-organizzative o produttive, è tenuta a darne comunicazione preventiva, per iscritto, alle rappresentanze sinda cali aziendali nonché, per il tramite dell'associazione territoriale di cate

goria, in quanto vi aderisca o le conferisca mandato, alle rispettive associazioni territoriali di categoria. Copia della predetta comunicazione deve essere contestualmente trasmessa all'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione nonché alla commissione regionale per l'impiego.

2. La comunicazione di cui al comma 1 deve contenere indicazione dei motivi del licenziamento, del numero dei lavoratori ritenuti in ecce denza e della loro distribuzione per qualifiche, del numero dei lavoratori

occupati, del periodo nel corso del quale si effettuerebbero i licenziamenti. 3. A richiesta delle rappresentanze sindacali o delle rispettive associa

zioni si procede ad una consultazione tra le parti al fine di esaminare le possibilità di evitare i licenziamenti o ridurne il numero, nonché di attenuare le conseguenze. Sono fatte salve le procedure previste dai con tratti collettivi di lavoro.

4. Al termine delle procedure previste dai contratti di lavoro, ovvero di quelle stabilite dalla presente legge da esaurirsi entro trenta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 1 da parte delle

rappresentanze sindacali e delle rispettive associazioni territoriali di cate

goria, l'impresa, qualora sia stato raggiunto l'accordo ovvero non sia

disponibile ad un'ulteriore prosecuzione della consultazione in sede sin

dacale, dà alla commissione regionale per l'impiego comunicazione scrit ta sull'esito della consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo; copia della predetta comunicazione va contestualmente trasmessa alle con

troparti sindacali.

Art. 14.

1. La commissione regionale per l'impiego, ricevuta la comunicazione di cui all'articolo 13, comma 4, qualora non sia stato raggiunto l'accor

do, convoca le parti al fine di un ulteriore esame delle cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza di manodopera, delle eventuali pos sibilità di diversa utilizzazione del personale eccedentario nell'ambito del la stessa impresa, nonché per cercare soluzioni ai problemi posti dai licenziamenti collettivi progettati.

2. L'impresa è tenuta a fornire tempestivamente alla commissione re

gionale per l'impiego, su richiesta di questa ultima, ogni informazione utile ai fini dell'esame di cui al comma 1.

3. Nel caso in cui non sia stato raggiunto l'accordo, l'impresa può procedere alla intimazione dei licenziamenti quando siano trascorsi trenta

giorni dalla data del ricevimento, da parte della commissione regionale per l'impiego, della comunicazione di cui all'articolo 13, comma 4.

4. Quando vi sia ragione di ritenere che i problemi posti dai licenzia menti collettivi progettati non possano essere risolti nel termine di cui al comma 3, la commissione regionale per l'impiego può prorogare il

predetto termine per un periodo non superiore a trenta giorni, dandone comunicazione all'impresa prima della sua scadenza.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

rilevato che tale circostanza avrebbe, peraltro, avuto rilevanza

solo ai fini delle conseguenze che una eventuale illegittimità del

licenziamento avrebbe potuto esplicare, affermava che al caso di

specie non si rendeva applicabile la normativa di cui all'art. 7,

1°, 2° e 3° comma, 1. 300 del 1970, perché l'infrazione addebita

ta al lavoratore non era stata perseguita con il licenziamento di

sciplinare, in relazione al quale il datore di lavoro sarebbe stato

obbligato ad osservare la procedura garantista. Riteneva, in con

seguenza, che la legittimità del provvedimento espulsivo andava

riscontrata alla stregua dell'art. 2119 c.c.: e poiché l'arbitrarietà

del comportamento tenuto dal lavoratore, che aveva prevaricato i poteri contrattualmente attribuiti al datore di lavoro in ordine

Art. 15.

1. L'impresa, nella identificazione dei lavoratori da licenziare, dovrà

tener conto dei seguenti criteri in concorso tra loro: esigenze tecniche

e produttive, anzianità, carichi di famiglia.

Art. 16.

1. Nel caso in cui il progetto di licenziamento collettivo riguardi unità

produttive dislocate in province di differenti regioni le comunicazioni di

cui all'articolo 13, commi 1 e 4, vanno fatte rispettivamente al Ministero

del lavoro e della previdenza sociale e alla Commissione centrale per

l'impiego.

Art. 17.

1. Ove l'impresa proceda, entro un anno dalla data di attuazione dei

licenziamenti, a nuove assunzioni nelle mansioni o specialità proprie dei

lavoratori già licenziati, questi avranno diritto ad essere riassunti; la rias

sunzione avverrà con i criteri obiettivi di precedenza in ordine inverso

a quello in base al quale furono esperiti i licenziamenti.

Art. 18.

1. Il presente titolo non si applica:

a) ai licenziamenti effettuati per scadenza dei rapporti regolati con con

tratto a termine, nonché a quelli per fine lavoro nelle costruzioni edili

e nelle attività stagionali o saltuarie;

b) alle imprese di navigazione per il personale navigante;

e) ai licenziamenti dei lavoratori addetti alle attività che cessino per effetto di decisione dell'autorità giudiziaria ovvero di provvedimento del

l'autorità amministrativa.

Art. 19.

1. Il licenziamento intimato per le ragioni di cui al comma 1 dell'arti

colo 13 in violazione della procedura prevista nel presente titolo o in

violazione dei criteri previsti dall'articolo 15 è considerato privo di giusti ficato motivo.

Titolo III

Dell'attività sindacale

Art. 20.

1. Delegati sindacali interaziendali, per zona o altri ambiti territoriali

definiti nei contratti collettivi o accordi sindacali, possono essere nomina

ti ad iniziativa dei lavoratori interessati, nell'ambito:

a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappre sentative sul piano nazionale;

b) delle associazioni non affiliate alle predette confederazioni che siano

firmatarie dei contratti collettivi nazionali e provinciali applicati all'impresa. 2. I predetti delegati possono essere nominati direttamente anche dalle

associazioni di cui al comma 1.

3. Modalità per le elezioni dei delegati sindacali interaziendali possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.

Art. 21.

1. Per l'espletamento del proprio mandato, il delegato sindacale intera

ziendale ha diritto a permessi retribuiti.

Il Foro Italiano — 1989.

alla distribuzione del periodo feriale, configurava giusta causa, confermava la validità del licenziamento.

Tale sentenza viene gravata di ricorso a questa corte dal Ven

trella che svolge tre motivi di annullamento, cui la società Borghi

spedizioni resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo il Ventrella de

nunzia la violazione dell'art. 7 1. 300 del 1970 dal tribunale rite

nuto, ma erroneamente, inapplicabile al licenziamento intimatogli, senza che l'addebito gli fosse stato preventivamente contestato

e senza che gli fosse stato concesso il termine a difesa; esso ricor

rente ritiene che, pur potendo ipotizzarsi la non necessaria affis

sione del codice disciplinare, resta indiscutibile la nullità del

2. Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro, tali

permessi non possono essere inferiori a tre ore all'anno per ciascun di

pendente dell'impresa o del gruppo di imprese, per le quali si procede alla nomina del delegato interaziendale, e non possono superare il limite di duecento ore annue.

3. Gli oneri derivanti dai permessi per il delegato interaziendale sono

ripartiti secondo modalità stabilite dai contratti collettivi tra le imprese interessate, in proporzione del numero dei dipendenti di ciascuna impresa.

4. Ulteriori modalità per l'espletamento del mandato da parte del dele

gato sindacale interaziendale possono essere stabilite dai contratto collet tivi o dagli accordi sindacali.

5. Ai fini del calcolo dei permessi retribuiti di cui ai commi 1, 2 e

3, si computano anche i lavoratori a domicilio, ai sensi della legge 18

dicembre 1973, n. 877, come modificata dalla legge 16 dicembre 1980, n. 858.

6. Gli stessi lavoratori a domicilio possono partecipare alla nomina del delegato sindacale interaziendale e alle riunioni di cui all'articolo 22, con i diritti da questo definiti.

Art. 22.

1. I lavoratori hanno diritto di riunirsi durante l'orario di lavoro nei limiti di dieci ore annue, per le quali sarà corrisposta la retribuzione de

terminata secondo i criteri dell'articolo 2121 del codice civile. Tali riunio ni si svolgeranno fuori dei luoghi di lavoro, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, anche aziendale.

2. Le riunioni sono indette dal delegato sindacale interaziendale, con

ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro.

Art. 23.

1. L'imprenditore ha l'obbligo di provvedere alla trattenuta delle quote sindacali nei confronti dei dipendenti che ne effettueranno la richiesta, con modalità che assicurino la segretezza del versamento effettuato dal

lavoratore a ciascuna associazione sindacale.

Art. 24.

1. Le disposizioni del presente titolo si applicano alle unità produttive di cui ai commi primo e secondo dell'articolo 35 della legge 20 maggio

1970, n. 300, come modificato dall'articolo 25 della presente legge, che

occupino più di tre e fino a quindici dipendenti e che appartengano ad

imprese non artigiane.

Art. 25.

1. Il primo e il secondo comma dell'articolo 35 della legge 20 maggio

1970, n. 300, sono sostituiti dai seguenti: «Le disposizioni del titolo III, ad eccezione del primo comma dell'arti

colo 27 della presente legge, si applicano a ciascuna sede, stabilimento,

filiale, ufficio e reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti. Le norme suddette si applicano, altresì', ai datori di lavoro che nell'am

bito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti anche se

ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali

limiti».

Titolo IV

Disposizioni varie e generali

Art. 26

1. All'articolo 2941 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente numero:

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2255 PARTE PRIMA 2256

provvedimento per la violazione delle altre norme della procedu

ra garantista. Al fine di rilevare la fondatezza delle censure prospettate nel

mezzo in esame sarà sufficiente rilevare che, alla stregua della

più recente giurisprudenza di questa corte (sez. un. n. 4823 del

1° giugno 1987, Foro it., 1987, I, 2032) che ha fatto proprio

l'orientamento assunto dalla Corte costituzionale con la decisione

n. 204 del 1982 (id., 1982, I, 2981) anche il licenziamento per

giusta causa può, a volte, assumere la connotazione del licenzia

mento disciplinare, con la conseguenza che esso, ai fini della ope

ratività delle garanzie di cui al 2° ed al 3° comma dell'art. 7

1. 300 del 1970, ancorché non annoverato tra le sanzioni disci

«9) tra prestatore di lavoro subordinato e datore di lavoro, in costanza

di rapporto di lavoro».

2. Dopo l'articolo 2948 del codice civile è aggiunto il seguente: «Art. 2948-bis - (Prescrizione in materia di lavoro subordinato). - 1

diritti del prestatore di lavoro subordinato si estinguono per prescrizione

in un anno dalla data di cessazione del rapporto».

Art. 27.

1. Le norme della presente legge contenenti la individuazione del nu

mero dei lavoratori dipendenti fanno riferimento ai prestatori di lavoro

occupati con contratto di lavoro a tempo indeterminato al momento del

l'intimazione del licenziamento, nonché ai prestatori di lavoro con con

tratto a termine, di formazione e lavoro e di apprendistato, in misura

non superiore al venti per cento di essi.

2. I lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessi

vo dei lavoratori di cui al comma 1 in proporzione dell'orario svolto

riferito alle ore lavorative ordinarie effettuate nell'azienda, con arroton

damento all'unità delle frazioni di orario superiori alla metà di quello

normale.

Art. 28.

1. Sono abrogati: la legge 15 luglio 1966, n. 604, l'articolo 18 della

legge 20 maggio 1970, n. 300, il numero 5) dell'articolo 2948 del codice

civile, il numero 2) dell'articolo 2955 del codice civile, il numero 1) del

l'articolo 2956 del codice civile, nonché ogni altra disposizione contraria

o incompatibile con quelle della presente legge.

II

Norme sulla tutela dei lavoratori della piccola impresa, sulla cassa inte

grazione guadagni e sui licenziamenti (proposta di legge nn, 2324 A.S.

d'iniziativa dei senatori Ghezzi, Bassolino ed altri).

Art. 1.

(Reintegrazione nel posto di lavoro).

1. Le disposizioni di cui all'articolo 18 della legge 20 maggio 1970,

n. 300, si applicano nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori e

non imprenditori, che occupino alle loro dipendenze più di quindici pre

statori di lavoro, e dei datori di lavoro imprenditori agricoli che occupino

più di cinque prestatori di lavoro.

2. Ai fini del computo del limite occupazionale di cui al comma 1,

si tiene conto, oltre che dei lavoratori subordinati assunti con un contrat

to a tempo indeterminato, anche dei lavoratori assunti con contratto di

formazione e lavoro, o con contratto di lavoro a termine di durata supe

riore a sei mesi, degli apprendisti quando siano decorsi sei mesi dall'ini

zio del rapporto di apprendistato, dei lavoratori a domicilio utilizzati in

modo continuativo, nonché degli agenti che svolgono personalmente, e

senza lavoratori alle proprie dipendenze, la loro attività esclusivamente

per l'impresa preponente. 3. L'articolo 11 primo comma della legge 15 luglio 1966, n. 604, è

abrogato. 4. Nel primo comma dell'articolo 35 della legge 20 maggio 1970, n.

300, le parole: «dell'articolo 18 e», sono soppresse. 5. Sono fatte salve le disposizioni dei contratti collettivi e accordi sin

dacali che contengano previsioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.

Art. 2.

(Riassunzione o risarcimento del danno).

1. I datori di lavoro, imprenditori non agricoli e non imprenditori, che occupino alle loro dipendenze almeno cinque e meno di sedici lavora

li. Foro Italiano — 1989.

plinari contemplate nel regolamento d'impresa, non può essere

sottratto, allorché si concretizzi in un infrazione dell'ordinamen

to aziendale, alla procedura garantista che comporta la preventi

va contestazione dell'addebito e l'osservanza del termine a difesa,

non avendo rilevanza, a tali fini, che presso l'unità produttiva

siano occupati meno di quindici dipendenti. Deve, invero, escludersi che la procedura garantista, attesa la

forza espansiva delle inderogabili norme innanzi richiamate, pos

sa essere negata al lavoratore in considerazione della sua sola

appartenenza ad una unità produttiva delle suddette dimensioni;

la tutela del lavoratore incolpato, che in ogni caso deve essere

messo in condizioni di esercitare il diritto di difesa, prescinde,

tori computati con il criterio di cui al comma 2 dell'articolo 1, sono sog

getti all'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 15 luglio 1966,

n. 604. 2. L'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:

«Art. 8-1. Quando risulti acertato che non ricorrono gli estremi del

licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro

è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni

o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo

compreso tra un minimo di cinque e un massimo di quindici mensilità

dell'ultima retribuzione, avuto riguardo all'anzianità del prestatore di la

voro e al comportamento delle parti. 2. La misura massima di tale indennità è ridotta a dieci mensilità per

il prestatore di lavoro con anzianità inferiore a trenta mesi e può essere

maggiorata fino a diciotto mensilità per il prestatore di lavoro con anzia

nità superiore a venti anni.

3. Ove il datore di lavoro, nel termine di cui sopra, proceda alla rias

sunzione, è dovuto al lavoratore l'importo delle retribuzioni effettiva

mente perdute dal giorno della domanda».

3. Sono fatte salve le disposizioni dei contratti collettivi e accordi sin

dacali che contengano previsioni più favorevoli ai lavoratori.

Art. 3.

(Tentativo obbligatorio di conciliazione).

1. La domanda in giudizio richiamata dall'articolo 2 non può essere

proposta se non è preceduta dalla richiesta di conciliazione avanzata di

fronte al collegio di conciliazione e arbitrato di cui al comma 2. L'impro

cedibilità è rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado di giudizio.

2. Il collegio di conciliazione e arbitrato di cui al comma 1 è stabilmen

te istituito, ad iniziativa della commissione regionale per l'impiego, pres

so le commissioni circoscrizionali per l'impiego, ed è composto dal

responsabile della relativa sezione o da un suo delegato in qualità di pre

sidente, nonché da un rappresentante effettivo e da uno supplente dei

datori di lavoro e da un rappresentante effettivo e da uno supplente dei

lavoratori, designati dai sindacati locali aderenti alle organizzazioni sin

dacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, cui le parti sia

no iscritte o conferiscano mandato. Collegi territoriali del medesimo tipo

possono essere istituiti con le stesse modalità, previo parere della com

missione circoscrizionale per l'impiego e con la medesima composizione, anche presso i recapiti periodici di cui all'articolo 1, comma 3, della legge

28 febbraio 1987, n. 56.

3. Il collegio di conciliazione e arbitrato, ricevuta la richiesta di conci

liazione, convoca le parti per una prima riunione da tenersi non oltre

dieci giorni dal ricevimento della stessa. La comunicazione al datore di

lavoro della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di con

ciliazione, in qualsiasi modo avvenuta nel termine di cui all'articolo 6

della legge 15 luglio 1966, n. 604, impedisce la decadenza sancita dalla

medesima norma.

4. Se le parti si conciliano, viene redatto un processo verbale secondo

le modalità e con gli effetti previsti dal primo e dal secondo comma del

l'articolo 411 del codice di procedura civile e trova applicazione il quarto

comma dell'articolo 2113 del codice civile.

5. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, le parti pos

sono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale

deferito al medesimo collegio. Ove ciò non avvenga, ovvero quando il

tentativo di conciliazione non sia stato iniziato per carenza di iscrizione

o di mandato ai sindacati di cui al comma 2, o comunque siano decorsi

trenta giorni dalla sua richiesta senza che questa sia stata esaminata, le

parti possono adire l'autorità giudiziaria ordinaria. Il lavoratore può pa

rimenti adire l'autorità giudiziaria ordinaria, quando il datore di lavoro

non si presenti al collegio per la procedura di conciliazione nel termine

di cui al comma 3, o dichiari di non accettarla. Se il datore di lavoro

non si presenta o non accetta la procedura di conciliazione, l'efficacia

del licenziamento resta sospesa fino alla sentenza di primo grado del giu

dizio davanti l'autorità giudiziaria. 6. Ove il giudice rilevi l'improcedibilità della domanda ai sensi del comma

1, sospende il giudizio e fissa alle parti un termine per la proposizione

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

invero, dalle dimensioni dell'unità produttiva, sicché, ogni qual volta di licenziamento rinvenga la propria motivazione in una

mancanza o in una inadempienza del lavoratore, non assumibile

nell'area di fatti o di comportamenti perseguiti come illecito da

altre fonti dell'ordinamento, non può farsi a meno dall'osservare

le norme innanzi menzionate, che la 1. 300 del 1970 colloca tra

le norme protettive della dignità del lavoratore.

La dimensione dell'unità produttiva alla quale è addetto il la

voratore ha, invece, rilevanza ai fini degli effetti che scaturiscono

dalla pronuncia di nullità, di annullamento o di inefficacia del

licenziamento applicatogli, nel senso cioè che il lavoratore addet

to ad unità produttiva con meno di quindici dipendenti non ha

della richiesta del tentativo di conciliazione. 11 processo deve essere rias sunto a cura di una delle parti nel termine perentorio di centottanta gior ni che decorre dalla cessazione della causa della sospensione.

Art. 4.

(Potenzialità economica e capitale investito).

1. I datori di lavoro imprenditori il cui volume di affari degli ultimi tre anni determinato secondo la legislazione vigente in materia di imposta sul valore aggiunto abbia complessivamente raggiunto, nel triennio, i cin

que miliardi di lire, e che, al momento del licenziamento, risultino titolari di beni ammortizzabili, in base alle risultanze del registro dei beni am mortizzabili di cui all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repub blica 29 settembre 1973, n. 600, per un importo non inferiore a lire

300.000.000, o comunque utilizzino beni strumentali per detto importo minimo, sono soggetti all'applicazione dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, indipendentemente dal numero dei lavoratori occupati alle loro dipendenze.

Art. 5.

(Licenziamento discriminatorio).

1. Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi del

l'articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dell'articolo 15 della

legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'articolo 13 della leg ge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione

addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'articolo 18 della legge 20

maggio 1970, n. 300. Al datore di lavoro che, in tal caso, non ottemperi all'ordine di reintegra, ancorché contenuto in un provvedimento non de

finitivo, si applica la sanzione di cui all'articolo 650 del codice penale.

Art. 6.

(Delegato interaziendale).

1. Per le imprese od unità produttive il cui livello occupazionale sia inferiore a quello previsto dall'articolo 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, ma nelle

quali siano occupati almeno cinque prestatori di lavoro, possono essere

nominati, ad iniziativa dei lavoratori e nell'ambito delle organizzazioni sindacali di cui all'articolo 19 lettere a) e b) della legge 20 maggio 1970, n. 300, delegati sindacali interaziendali per zone o per altri ambiti definiti

nei contratti o accordi collettivi, cui competono i compiti ed i diritti dei

dirigenti di rappresentanza sindacale aziendale. I delegati sindacali intera ziendali debbono essere dipendenti di una delle imprese interessate. Le

modalità da seguirsi per la loro elezione nonché per l'espletamento del loro mandato sono stabilite dai contratti o accordi collettivi, che stabili

scono anche la quantità minima e quella massima dei permessi retribuiti

loro spettanti. Gli oneri derivanti dai permessi per il delegato interazien

dale sono ripartiti tra le imprese interessate in proporzione al numero

dei dipendenti di ciascuna impresa, secondo modalità stabilite dai con

tratti collettivi. 2. I lavoratori delle imprese interessate hanno diritto di riunirsi durante

l'orario di lavoro nei limiti di dieci ore annue, per le quali viene corrispo sta la normale retribuzione. Tali riunioni si svolgono fuori dei luoghi di lavoro, secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi. Le riunioni

sono convocate dal delegato sindacale interaziendale con ordine del gior no su materie di interesse sindacale e del lavoro.

3. Ai fini del calcolo della soglia numerica e dei permessi retribuiti

di cui al comma 1, si computano anche i lavoratori a domicilio, ai sensi

della legge 18 dicembre 1973, n. 877, come modificata dalla legge 16

dicembre 1980, n. 858. Gli stessi lavoratori a domicilio partecipano alla

Il Foro Italiano — 1989.

diritto, in caso di pronuncia avente siffatto contenuto, alla rein

tegrazione nel posto di lavoro, ai sensi dell'art. 18 1. 300 del 1970, ma ha diritto, in presenza delle condizioni ipotizzate nell'art. 11

1. n. 604 del 1966, alla tutela prevista nell'art. 8 di essa legge

(sez. un., n. 5050 del 1985, id., 1985, I, 2876). Poiché nel caso di specie è risultato che il licenziamento, moti

vato da un comportamento del lavoratore confliggente con l'or

dinamento aziendale, ontologicamente configura, pur rientrando

nell'area della giusta causa, un licenziamento disciplinare, in re

lazione al quale doveva essere applicata da parte del datore di

lavoro — che non lo ha fatto — la procedura garantista di cui

si è discusso, la sentenza che di tale procedura ha ritenuto l'irrile

nomina del delegato sindacale interaziendale ed alle riunioni di cui al comma 2.

4. Il delegato sindacale interaziendale gode della tutela contro i licen ziamenti ingiustificati di cui al quarto, quinto, sesto e settimo comma dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e di quella in tema di trasferimenti disposta dall'articolo 22 della stessa legge.

5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 26 della legge 20 mag gio 1970, n. 300, l'imprenditore deve comunque provvedere alla trattenu ta delle quote sindacali nei confronti dei dipendenti che ne effettuino la richiesta, con modalità tali da assicurare la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna organizzazione sindacale.

6. Sono fatte salve le disposizioni dei contratti ed accordi collettivi che contengano previsioni più favorevoli ai prestatori di lavoro. I medesi mi contratti possono prevedere anche la nomina di delegati sindacali azien

dali, ad iniziativa dei lavoratori, per le imprese in cui siano occupati da

cinque a quindici prestatori di lavoro. Ai delegati sindacali aziendali cosi nominati spettano i compiti e competono le garanzie di cui ai commi

precedenti.

Art. 7.

(Imprese di gruppo e influenza dominante).

1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 trovano applicazione anche in favore dei lavoratori occupati in imprese aventi il medesimo oggetto od oggetto analogo, quando si tratti, al momento del licenziamento, di

imprese direttamente o indirettamente controllanti, o di imprese diretta mente o indirettamente controllate, ovvero di imprese comunque sottopo ste alla stessa direzione o al potere decisionale, seppure eventualmente esercitato per interposta persona, di uno stesso detentore o gruppo di detentori dei capitali, delle macchine e delle attrezzature prevalentemente in esse impiegate, ancorché nella singola impresa licenziante non sussista

no i requisiti occupazionali previsti negli articoli medesimi, purché co

munque sussistano nell'insieme delle imprese considerate.

Art. 8.

(Interposizione e comando).

1. Ferme restando le previsioni di cui agli articoli 1 e 2 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, il comando o distacco del prestatore di lavoro

presso altro imprenditore è consentito su accordo delle parti, risultante da atto scritto e con l'eventuale assistenza delle organizzazioni sindacali, solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive di natu ra transitoria e per periodi temporali predeterminati. Il lavoratore conser va ogni diritto discendente dal contratto di lavoro nei confronti

dell'imprenditore che ha proposto il comando o distacco, salva la respon sabilità solidale dell'imprenditore che ha fruito delle sue prestazioni per 1 trattamenti economici e normativi ad esse corrispondenti e per l'adem

pimento degli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e assistenza. 2. In caso di comando o distacco disposto in violazione delle disposi

zioni previste nel comma 1 si applicano le sanzioni di cui all'articolo 2 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369; l'ammenda prevista dallo stesso

articolo è elevata a lire 100.000 per ogni lavoratore occupato e per ogni

giornata di occupazione.

Art. 9.

(Subappalti).

1. L'appaltatore di opere o di servizi che, indipendentemente dalla qualità

privata o pubblica dell'appaltante, subappalta in tutto o in parte l'esecu

zione delle opere o del servizio, è responsabile nei confronti dei dipenden ti del subappaltatore per la corresponsione di un trattamento retributivo

e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi del

settore e della zona cui appartiene l'impresa subappaltatrice, nonché per

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2259 PARTE PRIMA 2260

vanza sotto il profilo che la giusta causa avrebbe esonerato il

datore di lavoro dall'obbligo di osservare le norme inderogabili di cui al 2° ed al 3° comma dell'art. 7 1. 300 del 1970, deve

essere, sul punto, cassata, con rinvio della causa ad altro giudice che si uniformerà ai principi di diritto innanzi enunciati e provve derà anche in ordine alle spese del giudizio.

All'accoglimento dell'esaminato motivo di ricorso non è, inve

ro, di ostacolo l'assunto secondo il quale il Ventrella avrebbe

rinunziato al diritto di difesa, perché, a parte ogni riserva in or

dine alla prova ed alla validità della stessa (in merito alla quale non risulta, per altro, alcuna motivazione) la rinunzia all'eserci

zio di tale diritto presuppone la contestazione dell'addebito, non

essendo ipotizzabile una rinunzia alla difesa senza che vi sia stata

un'accusa formalmente contestata.

l'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e assistenza e per l'approntamento delle misure di sicurezza e delle cautele antinfortunistiche.

Art. 10.

(Decentramento produttivo).

1. Nei contratti aventi ad oggetto l'esecuzione di opere o di servizi o la produzione di beni o semilavorati costituenti oggetto dell'attività pro duttiva o commerciale dell'impresa committente, l'imprenditore commit tente è tenuto ad inserire una clausola di rispetto, da parte dell'imprenditore che riceve le commesse, di trattamenti economici e normativi nei con fronti dei dipendenti di quest'ultimo non inferiori a quelli dovuti per legge o risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona cui appartiene lo stesso imprenditore destinatario delle commesse.

2. La clausola di cui al comma 1 è di diritto inserita nel contratto anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti. La me desima clausola spiega effetti anche nei confronti dei lavoratori ai sensi dell'articolo 1411 del codice civile. Ogni patto od eccezione ed ogni di chiarazione in contrario è nulla.

3. Quando l'esecuzione di opere o di servizi o la produzione di beni o semilavorati costituenti oggetto dell'attività produttiva o commerciale

dell'impresa committente dipende, per oltre il venti per cento, da com messe di lavoro affidate ad altre imprese, l'impresa o le imprese destina tarie delle commesse, confermano, nel contratto che le ha ad oggetto, l'osservanza degli obblighi imposti dalle leggi previdenziali ed assistenziali.

4. Nelle ipotesi di cui al comma 3, il contratto ivi previsto è comunque annullabile ove a carico dell'impresa o delle imprese che ricevono le com messe siano accertate violazioni degli obblighi imposti dalle leggi previ denziali ed assistenziali. La domanda di annullamento è proposta dalla commissione regionale per l'impiego territorialmente competente, su de nunzia dell'istituto previdenziale od assistenziale ovvero dei sindacati lo cali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, entro un anno dalla denunzia stessa. Ferma restando

ogni altra eventuale sanzione di ordine amministrativo e penale, i lavora tori interessati conservano il diritto alle prestazioni derivanti dagli obbli ghi inevasi, e gli istituti previdenziali e assistenziali agiscono in regresso per i contributi non prescritti nei confronti dell'impresa o delle imprese inadempienti.

5. La medesima disciplina si applica anche quando le commesse di la voro, nella percentuale di cui al comma 3, provengano da imprese tra le quali intercorrono i rapporti di cui all'articolo 7.

6. Le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 di applicano anche ai con tratti di vendita o di somministrazione di beni o semilavorati oggetto dell'attività produttiva o commerciale dell'impresa acquirente o sommini

strata, quando essi concorrono ad integrare la percentuale di lavoro esterno affidata da questa nella misura prevista dal comma 3.

Art. 11.

(Importo apparente del prospetto paga).

1. 11 datore di lavoro che, indipendemente dal numero dei suoi dipen denti, con artifizi o raggiri o con minaccia di risoluzione, sospensione o altra modificazione del rapporto di lavoro, corrisponda al dipendente una retribuzione inferiore a quella risultante dal prospetto paga di cui alla legge 5 gennaio 1953, n. 4, ottenendo quietanza per il maggior im

porto apparente, è tenuto a corrispondere al lavoratore il quintuplo della differenza tra il quietanzato ed il corrisposto, dalla costituzione del rap porto di lavoro, o comunque da quando l'illecito si è consumato o ha avuto inizio, fino alla domanda giudiziale.

2. Resta ferma ogni altra eventuale sanzione di ordine amministrativo e penale.

Il Foro Italiano — 1989.

Nell'accoglimento di tale motivo restano, poi, assorbite le cen

sure esposte nel terzo mezzo, perché, una volta annullata la sen

tenza impugnata per le ragioni già enunciate, la valutazione della

gravità della giusta causa non è più rilevante ai fini della decisione.

Con il secondo mezzo esso Ventrella denunzia omessa ed insuf

ficiente motivazione su punto decisivo della controversia costitui

to dalla (contestata) sua appartenenza alla unità produttiva di

Pomezia; lamenta il ricorrente che il giudice dell'appello non avreb

be adeguatamente apprezzato il materiale probatorio offerto al

fine di dimostrare che egli era assegnato in organico alla sede di Roma dalla quale era stato distaccato, per motivi di carattere

sindacale, alla sede di Pomezia.

Le censure innanzi esposte sono inammissibili.

Il tribunale, con accertamento di fatto logicamente motivato

Art. 12.

(Integrazione salariale).

1. Agli operai ed impiegati dipendenti da imprese artigiane iscritte al l'albo di cui all'articolo 5 della legge 8 agosto 1985, n. 443, con almeno tre dipendenti assunti a tempo indeterminato, che siano sospesi dal lavo ro o effettuino lavoro a orario ridotto, è dovuta l'integrazione salariale ordinaria nei casi previsti dal numero 1) dell'articolo 1 della legge 20

maggio 1975, n. 164 e l'integrazione salariale straordinaria nelle ipotesi di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo.

2. Sono esclusi dall'integrazione sia ordinaria che straordinaria i dipen denti delle imprese del settore trasporti, di quelle che in qualsiasi forma

esplichino attività di servizi igienici e alla persona, di quelle che già frui scono di istituti equivalenti.

3. Restano esclusi dalle integrazioni sia ordinaria che straordinaria i

dipendenti con anzianità di lavoro presso la medesima impresa inferiore a dodici mesi nell'arco degli ultimi ventiquattro.

4. L'integrazione salariale straordinaria è dovuta agli operai e agli im

piegati dipendenti da imprese artigiane quando la sospensione o contra zione dell'attività dell'impresa artigiana sia comunque determinata da

sospensioni o contrazioni dell'attività dell'impresa che esercita l'influsso

gestionale prevalente ai sensi del comma 5, per le quali quest'ultima sia stata ammessa all'integrazione salariale straordinaria ai sensi del numero

2) dell'articolo 1 della legge 20 maggio 1975, n. 164, nonché dell'articolo 2, quinto comma, lettera Q della legge 12 agosto 1975, n. 675.

5. Si ha influenza gestionale prevalente, ai fini di cui al comma 4, quando, nei contratti aventi ad oggetto l'esecuzione di opere o di servizi o la produzione di beni o semilavorati costituenti oggetto dell'attività pro duttiva o commerciale dell'impresa committente, la somma dei corrispet tivi risultanti dalle fatture emesse dall'impresa destinataria delle commesse nei confronti dell'impresa committente, acquirente o somministrata abbia

superato, nell'ultimo anno, secondo quanto emerge dall'elenco dei clienti e fornitori di cui all'articolo 29 del decreto del Presidente della Repubbli ca 26 ottobre 1972, n. 633, come da ultimo sostituito dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1980, n. 897, il cinquanta per cento del complessivo fatturato dell'impresa destinataria.

Art. 13.

(Misura e modalità

dell'integrazione salariale).

1. Le integrazioni salariali di cui alla presente legge sono dovute, per ciascun intervento, nelle misure e con le durate previste nell'industria.

2. La misura dell'integrazione salariale ordinaria e straordinaria di cui alla presente legge non può superare, sia per gli operai che per gli impie gati, quella prevista dalla legge 13 agosto 1980, n. 427, e successive modi ficazioni ed integrazioni.

3. Per l'ammissione al trattamento di integrazione salariale sia ordina ria che straordinaria, di cui alla presente legge, le imprese artigiane deb bono applicare la procedura di consultazione sindacale prevista dall'articolo 5 della legge 20 maggio 1975, n. 164, da esperire, in quanto vi aderiscano o conferiscano loro mandato, tramite le associazioni artigiane e nei con fronti delle associazioni sindacali di cui al comma 6, nonché nei confronti del delegato di cui all'articolo 6.

4. Per l'ammissione al trattamento di integrazione salariale sia ordina ria che straordinaria, di cui alla presente legge, si applica il procedimento previsto dall'articolo 7 della legge 20 maggio 1975, n. 164.

5. Per provvedere alla corresponsione dell'integrazione salariale ordi naria prevista dalla presente legge è istituita, in seno alla Cassa per l'inte grazione dei guadagni degli operai dell'industria di cui all'articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 788 e successive modificazioni e integrazioni, una gestione speciale per i dipendenti del l'artigianato, avente contabilità separata delle prestazioni e dei contribu ti. Essa è amministrata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale che

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

e sorretto dagli elementi di prova che esso giudice ha valorizzato

in rapporto alla rilevanza della circostanza esaminata, ha escluso

che il Ventrella fosse stato distaccato dalla sede di Roma presso la filiale di Latina: esso giudice ha, inoltre, escluso che si fosse

trattato di un distacco, perché la destinazione del Ventrella alla

unità produttiva di Pomezia aveva avuto il carattere della defini

tività ed ha, infine, escluso che tale destinazione fosse stata moti

vata da ragioni di indole sindacale.

Poiché dette censure impongono in un accertamento di fatto

che la sufficienza e la logicità della motivazione rendono insinda

cabile in sede di legittimità, il dedotto mezzo deve essere dichia

rato inammissibile.

vi provvede con i suoi organi centrali e periferici secondo la normativa

prevista per i suoi organi d'amministrazione. 6. L'integrazione salariale ordinaria di cui alla presente legge è disposta

con provvedimento delle commissioni provinciali previste dall'articolo 8 della legge 20 maggio 1975, n. 164, e successive modificazioni ed integra zioni; a tal fine i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro,

previsti da tale articolo, sono designati rispettivamente dalle associazioni

sindacali di categoria più rappresentative operanti nella provincia e dalle associazioni dei datori di lavoro dell'artigianato firmatarie dei contratti nazionali di categoria.

7. Avverso i provvedimenti negativi delle commissioni provinciali di cui al comma 6 è ammesso ricorso, secondo quanto dispone l'articolo 9 della legge 20 maggio 1975, n. 164, al comitato speciale di cui all'arti

colo 7 del decreto legislativo luogoteneziale 9 novembre 1945, n. 788; a tal fine i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, previsti da tale articolo, sono designati dalle rispettive associazioni sindacali più

rappresentative firmatarie dei contratti nazionali di categoria. 8. Ferma restando la disciplina del pagamento diretto dell'integrazione

straordinaria prevista dall'articolo 5 del decreto-legge 30 marzo 1978, n.

80, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 1978, n. 215, nei casi di integrazione salariale ordinaria, di cui alla presente legge, le

commissioni provinciali di cui al comma 6 possono disporre, in caso di

comprovata carenza di liquidità dell'impresa artigiana, il pagamento di

retto ai lavoratori da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale

delle relative prestazioni, con i connessi assegni familiari ove spettanti. 9. L'integrazione salariale ordinaria, disciplinata dalla presente legge,

è alimentata dai contributi previsti dai numeri 1 e 2 dell'articolo 12 della

legge 20 maggio 1975, n. 164, e successive modificazioni ed integrazioni.

L'equilibrio della gestione è assicurato sulla base delle risultanze di bilan

cio della gestione speciale per l'artigianato, di cui al comma 5 del presen te articolo.

10. Alla disciplina delle integrazioni salariali di cui alla presente legge si applica, in quanto compatibile, la disciplina della Cassa per l'integra zione dei guadagni e della garanzia del salario prevista per l'industria.

11. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 1 della legge 2 febbraio

1970, n. 14 e dall'articolo 1, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1085, nonché dai provvedimenti emanati in seguito a catastrofi e cala

mità naturali. 12. Ai maggiori oneri derivanti dall'applicazione del comma 4 dell'arti

colo 12 della presente legge, stimati in lire 500 miliardi a partire dall'eser

cizio 1988, si provvede mediante riduzione di lire 100 miliardi dello

stanziamento di cui al capitolo 4011 dello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa per il 1988 e successive proiezioni, e di lire

200 miliardi degli stanziamenti iscritti in ciascuno dei capitoli 4031 e 4051

dello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa per l'anno 1988 e successive proiezioni.

Ili

Proposta Cgil-Cisl-Uil per una iniziativa legislativa a tutela dei lavoratori

delle piccole imprese

Art. 1

Il licenziamento non comunicato per iscritto è nullo. È altresì nullo — qualunque sia il numero dei dipendenti del datore di lavoro — il licen

ziamento discrimatorio ai sensi dell'art. 15 della legge 20 maggio 1970

n. 300.

Le disposizioni di cui ai seguenti commi trovano applicazione in tutte

le imprese cui non siano applicabili le disposizioni sui licenziamenti indi

viduali previste dalla legge 15 luglio 1966 n. 604 nonché dalla legge 20

maggio 1970 n. 300. Entro 10 giorni dalla comunicazione del licenziamento, l'associazione

sindacale, alla quale il lavoratore aderisce o conferisce mandato, può pro muovere un tentativo facoltativo di conciliazione secondo le procedure

previste dai contratti collettivi.

Ove tali procedure manchino, il tentativo di conciliazione potrà essere

Il Foro Italiano — 1989.

II

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 7 1.

n. 300 del 1970 ed argomenta, anche in base al canone di coeren

za propugnato dalla sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 della

Corte costituzionale (Foro it., 1982, I, 2981), interpretativa di

accoglimento della questione di costituzionalità dell'art. 7 1. n.

300 del 1970, che non possono sussistere dubbi sulla identità fra

licenziamento disciplinare e licenziamento per mancanza a niente

rilevando l'inserimento o meno del licenziamento fra le sanzioni

disciplinari ai fini qualificatori, poiché ciò che conta e che è suf

effettuato presso la Commissione di conciliazione di cui all'art. 410 codi

ce di procedura civile.

Qualora il tentativo di conciliazione non abbia esito positivo il lavora tore senza pregiudizi della sua facoltà di adire l'autorità giudiziaria nei casi di nullità del licenziamento, può richiedere al datore di lavoro, per il tramite dell'associazione sindacale cui conferisca mandato, di rimettere ad un arbitrato irrituale la decisione secondo equità sulla revoca del licen ziamento o sul mantenimento dello stesso, con eventuale corresponsione di indennità nelle misure previste dai commi 11, 12 e 14 del presente articolo.

La richiesta di cui al precedente comma deve essere avanzata entro 10 giorni dall'esito negativo del tentativo di conciliazione.

Salvo diverse procedure arbitrali fissate dalla contrattazione collettiva, ai fini dell'intervento del collegio arbitrale il lavoratore ed il datore di lavoro entro 10 giorni dalla richiesta di arbitrato nominano un arbitro

per parte oltre ad un terzo arbitro. In caso di disaccordo sulla nomina

di quest'ultimo, lo stesso è prescelto, se le parti sono concordi, mediante

sorteggio tra i nominativi compresi in una lista di nomi concordata tra

le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori

maggiormente rappresentative a livello nazionale. Qualora non vi sia ac

cordo per il sorteggio, su richiesta anche di una sola parte il terzo arbitro

è designato dal pretore, in funzione di giudice del lavoro, competente ai sensi dell'articolo 413 del codice di procedura civile.

Il collegio arbitrale può, con il lodo, revocare il licenziamento con effi

cacia dal momento del rientro in servizio del lavoratore che è tenuto ad

offrire la sua prestazione lavorativa entro 10 giorni dalla comunicazione

del provvedimento del collegio. In tal caso il collegio, con il lodo, dichiara tenuto il datore di lavoro

a corrispondere al lavoratore l'importo delle retribuzioni perdute nel pe riodo di tempo intercorso tra il licenziamento e il giorno di emanazione

del lodo, e determina una somma ulteriore dovuta al lavoratore per l'ipo tesi di sua mancata riammissione al lavoro, in un importo compreso tra

1 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione, riferita all'anzianità di servizio

del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti, alla dimensione dell'impresa.

Il collegio può, viceversa, confermare il licenziamento e in tal caso

può sia escludere il pagamento di ogni indennità, sia, considerati i motivi

del licenziamento, disporlo in un importo compreso tra 1 e 12 mensilità

dell'ultima retribuzione. Ove non vi sia diverso accordo tra le parti, con

11 lodo viene anche determinata la ripartizione degli oneri relativi alle

spese e al compenso degli arbitri.

Nei soli casi in cui il datore di lavoro non abbia aderito alla richiesta

di arbitrato o successivamente ne abbia di fatto reso impossibile l'espleta mento o la conclusione, il pretore in funzione di giudice del lavoro, com

petente ai sensi dell'art. 413 del codice di procedura civile, accerta se

ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa ai sensi dell'art.

2119 del codice civile o per giustificato motivo ai sensi dell'art. 3 della

legge 15 luglio 1966 n. 604.

Qualora nella memoria difensiva il convenuto eccepisca di non aver

impedito l'arbitrato, competerà al pretore accertare le cause del mancato

espletamento dell'arbitrato stesso. L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustifica

to motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro. Quando risulti ac

certato che non ricorrono tali estremi, il datore di lavoro è tenuto a

riammettere il dipendente nel posto di lavoro entro il termine di 3 giorni

o, in mancanza, a risarcire il danno versando una indennità da un mini

mo di 5 a un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione, riferita

all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento, alle

condizioni delle parti, e alla dimensione dell'impresa. La misura può essere maggiorata sino a 24 mensilità per i prestarori

di lavoro con anzianità superiore ai 20 anni.

Art. 2

Per le imprese il cui livello occupazionale, compresi gli apprendisti e

i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, sia inferiore

a quello previsto dall'art. 35 della legge 20 maggio 1970 n. 300, possono

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2263 PARTE PRIMA 2264

fidente a far scattare le garanzie di cui all'art. 7 è la causa del

licenziamento configurata come punizione di una mancanza.

Rileva inoltre che, in ogni caso, il ccnl per i dirigenti rinvian

do, con l'art. 31, alle norme collettive in vigore per gli impiegati di massima categoria per ciò che non è divesamente regolato ri

chiamerebbe l'art. 110, 2° comma, del ccnl 17 dicembre 1979

del settore commercio che afferma l'applicazione dell'art. 7 1.

300 del 1970 ai licenziamenti disciplinari. Il motivo non è fondato, ancorché, a norma dell'art. 384, cpv.,

c.p.c., debba essere corretta la motivazione della sentenza impu

gnata, nel senso che a tutti i licenziamenti per mancanza (c.d.

ontologicamente disciplinari) e, quindi, anche al licenziamento per

giusta causa, ove questa sia ravvisata nel comportamento del di

essere nominati dei rappresentanti di area o interaziendali, ad iniziativa

dei lavoratori, nell'ambito delle associazioni sindacali di cui all'art. 19

della stessa legge. I rappresentanti sindacali di cui al comma precedente sono nominati

per gli ambiti e con le modalità previsti dai contratti o accordi collettivi,

nazionali, o, in mancanza, per un insieme di imprese che complessiva mente occupino più di 15 dipendenti, e sono titolari dei compiti e diritti

previsti per i dirigenti di r.s.a., di cui all'art. 19 della legge 20 maggio 1970 n. 300.

II rappresentante sindacale può essere nominato sia tra soggetti estranei

alle imprese interessate sia tra i dipendenti di una di esse, e gode delle

tutele di cui all'art. 18 e all'art. 22 della legge 20 maggio 1970 n. 300.

Gli oneri derivanti dai permessi sindacali spettanti al rappresentante di cui ai commi precedenti, sono ripartiti tra le imprese interessate in

proporzione al numero dei dipendenti di ciascuna impresa e secondo le

modalità stabilite da accordi o contratti collettivi nazionali.

Art. 3

Il datore di lavoro che, con artifizi o raggiri o con minaccia di risolu

zione, sospensione o altra modificazione del rapporto di lavoro, corri

sponda al dipendente una retribuzione inferiore a quella risultante dal

prospetto paga di cui alla legge 5 gennaio 1953 n. 4, ottenendone quietan za per il maggior importo apparente, ovvero lo induca, con gli stessi

mezzi, alla parziale restituzione delle spettanze retributive erogate, è tenu to a corrispondere al lavoratore il quintuplo della differenza tra il quie tanzato e il corrisposto, dalla costituzione del rapporto di lavoro, o

comunque da quando l'illecito si è consumato o ha avuto inizio fino alla domanda giudiziale.

Resta ferma ogni altra eventuale sanzione di ordine amministrativo e

penale.

Art. 4

Nei capitolati di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, a servizi o a forniture, concessi da amministrazioni statali o da altri enti

pubblici deve essere inserita una clausola esplicita, con gli effetti di cui

all'art. 1411 del codice civile determinanti l'obbligo per l'appaltatore di

applicare e far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizio ni non inferiori a quelle previste da contratti collettivi nazionali di lavo

ro, o, se più favorevoli, da contratti provinciali ed aziendali. Tale obbligo deve essere osservato nella fase di realizzazione degli im

pianti o delle opere e di esecuzione dei servizi o forniture, ed altresì' in

quella successiva, ove l'imprenditore benefici di agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato o da enti pubblici e per la durata di

queste ultime. Ogni infrazione del suddetto obbligo che sia accertata dal

l'Ispettorato del lavoro viene comunicata immediatamente ai Ministri nel la cui amministrazione sia stata disposta la concessione dell'appalto, ovvero

agli altri enti pubblici, i quali adotteranno le opportune determinazioni e nei casi più gravi, o nel caso di recidiva, potranno decidere la esclusione del responsabile, per un tempo fino a 5 anni, da qualsiasi appalto.

L'erogazione di finanziamenti pubblici alle imprese, sotto forma di age volazioni creditizie, sovvenzioni, garanzie, sgravi contributivi, fiscalizza zione degli oneri sociali o diversi benefici, previsti da leggi statali o regionali, è sottoposta, indipendentemente dalla natura dell'ente erogatore, alla con dizione dell'applicazione, in favore dei dipendenti, dei contratti collettivi nazionali di lavoro, nonché, in quanto più favorevoli, dei contratti collet tivi provinciali ed aziendali, o comunque di un trattamento non inferiore a quello in essi previsto.

L'applicazione dei suddetti contratti collettivi, oltre a formare oggetto di esplicite clausole contrattuali o previdenziali, ove il beneficio sia con cesso sulla base di un contratto o di un provvedimento amministrativo, deve essere attestata da una dichiarazione dell'imprenditore o legale rap presentante dell'impresa, redatta nelle forme previste dalla legge 4 gen naio 1968 n. 15 per la dichiarazione sostitutiva di notorietà. In caso di dichiarazione mendace trovano applicazione le pene previste dall'art. 496

Il Foro Italiano — 1989.

pendente, sono applicabili le garanzie di cui all'art. 7, 1°, 2° e

3° comma, 1. n. 300 del 1970, in base ad una intepretazione con

forme ai principi costituzionali, come enunciato nella sentenza

n. 204 del 1982 della Corte costituzionale.

Tuttavia, la decisione è conforme al diritto poiché è stato ac

certato in fatto che il Mangolini, nonostante licenziato ex art.

2119 c.c., aveva avuto contestazione dell'addebito e la possibilità di esporre le sue difese.

del codice penale, e i finanziamenti o benefici vengono revocati fin dal

momento della loro concessione.

Copia delle dichiarazioni di cui al precedente comma deve essere invia

ta all'Ispettorato del lavoro territorialmente competente cui è fatto obbli

go di comunicare immediatamante l'accertamento di eventuali infrazioni

alle Amministrazioni ed Enti interessati all'erogazione dei finanziamenti

e, nel caso di dichiarazione mendace, all'Autorità giudiziaria, e deve esse

re altresì inviata alle Commissioni regionali per l'impiego competenti. Sono abrogate tutte le norme previste da leggi, anche regionali, in con

trasto con le disposizioni del presente articolo.

Art. 5

Possono tuttavia essere destinatari dei benefici e finanziamenti gli im

prenditori che, pur non applicando, al momento della entrata in vigore della presente legge, ai loro dipendenti i contratti collettivi, assumano

l'impegno alla graduale applicazione, in termine certo, dei contratti col lettivi vigenti e futuri.

Tale impegno è validamente assunto, ai fini del presente articolo, tra

mite contratti aziendali applicativi di accordi sindacali, da concludersi entro 24 mesi dall'entrata in vigore della presente legge, di livello nazio

nale o di livello territoriale, ma comunque stipulati congiuntamente, in

tale ipotesi, da sindacati e associazioni datoriali di categoria nazionali

e locali stipulanti del contratto collettivo. Ai fini della stipulazione dei contratti aziendali di cui al precedente

comma, gli imprenditori interessati sono tenuti a manifestare la loro vo lontaria adesione agli accordi sindacali nazionali e territoriali, entro 90

giorni dalla loro stipulazione, tramite comunicazione diretta ai sindacati

stipulanti contenente l'invito all'inizio della trattativa aziendale.

L'impegno di definitiva e completa applicazione del contratto colletti vo deve essere comunque realizzato entro due anni dalla stipula degli accordi sindacali nazionali o territoriali, salvo diverso termine eventual mente previsto dallo stesso contratto collettivo.

Nelle ipotesi di applicazione delle disposizioni che precedono, la dichia razione di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 4 deve avere ad oggetto l'avvenuta conclusione dell'accordo, da allegarsi in originale o copia conforme.

Art. 6

Gli imprenditori che commettono a terzi lavorazioni di prodotti finiti o semifiniti o l'effettuazione di servizi inerenti alla loro attività produtti va o commerciale sono tenuti ai sensi e per gli effetti dell'art. 1339 del codice civile ad inserire nel contratto di commessa apposita clausola ri

chiedente alle imprese esecutrici l'impegno ad applicare ai lavoratori di

pendenti da queste ultime trattamenti economico-normativi non inferiori a quelli previsti dai ccnl del settore cui appartiene l'impresa destinataria della commessa. La clausola produce in favore dei lavoratori gli effetti di cui all'art. 1411 del codice civile.

Qualora il valore delle commesse affidate nell'ultimo biennio risulti in media superiore, in base alle risultanze dell'elenco fornitori e clienti di cui all'art. 29 del d.p.r. 26 ottobre 1977 n. 633, al 60% del fatturato

dell'impresa, destinataria delle commesse, i dipendenti di quest'ultima pos sono agire anche nei confronti dell'imprenditore committente in caso di

inadempienza da parte dell'imprenditore loro datore di lavoro. La sen tenza avrà effetto verso il committente solo dopo l'infruttuosa escussione di quest'ultimo.

Art. 7

L'appaltatore di opere e servizi che subappalta in tutto o in parte l'ese cuzione dell'opera o del servizio, a lui commessi sia da privati che da Enti pubblici, è responsabile nei confronti dei dipendenti del subappalta tore per la corresponsione di un trattamento retributivo e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi del settore e della zona cui appartiene l'impresa subappaltatrice, nonché per l'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e assistenza e per l'ap prestamento delle misure di sicurezza e delle cautele antinfortunistiche.

È altresì penalmente responsabile, a titolo di concorso, ove all'atto del la stipula del subappalto, e, successivamente con periodicità almeno men

sile, non abbia provveduto ad accertare con atto ricognitivo formato in contraddittorio tra le parti e da esse sottoscritto, la regolarità delle misu re e cautele predisposte dal subappaltatore.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il licenziamento fu intimato, in tronco, solo quando tali difese

furono ritenute inadeguate.

Quanto alla garanzia di cui all'art. 7, 1° comma, 1. 300 del

1970, è da ritenere che essa non sia stata violata, posto che la

«giusta causa» di cui all'art. 2119 c.c. non abbisogna di essere

enunciata e pubblicata, con il codice disciplinare, derivando essa

direttamente dalla previsione di legge. Lo stesso art. 7 1. 300 del 1970, sia pure ad altri fini (4° com

ma) conferma la permamenza in vigore di altre norme in materia

di recesso («fermo restando quanto disposto dalla 1. 604 del 1966») come aveva già rilevato la pronuncia n. 1781 del 1981 (id., 1981,

I, 1285) delle sezioni unite della corte. (Omissis)

III

Motivi della decisione. — Preliminarmente va rilevato che il

procuratore di parte ricorrente i sede di discussione dedusse l'ille

gittimità del licenziamento oggetto di giudizio sotto il profilo del

mancato rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 7 dello statuto

dei lavoratori, con ciò volendo riferirsi evidentemente a quelle di cui ai primi tre commi di detta norma, siccome risultanti dalla

manipolazione operata dalla nota sentenza 30 novembre 1982,

n. 204 (Foro it., 1982, I, 2981) della Corte costituzionale. La

ritualità della deduzione in discorso è stata giustificata da quel

procuratore nel presupposto che solo nella memoria di costituzio

ne la resistente avrebbe palesato la motivazione disciplinare del

licenziamento rendendone cosi possibile l'impugnativa sotto il pro filo in discorso. L'assunto può essere condiviso, in quanto la de

duzione della nullità del licenziamento per inosservanza dell'art.

7, 1°, 2° e 3° comma, nella fattispecie assume il valore di una

replicatio all'eccezione della resistente in ordine alla sussistenza

di una motivazione del licenziamento diversa da quella illecita

dedotta dalla ricorrente.

Il canale attraverso il quale detta replicatio trova legittimamen

te ingresso in giudizio nonostante la rigidità delle preclusioni del

potere di allegazione dei fatti rilevanti per il decidere connaturato

al rito di lavoro, è costituito dalla norma dell'art. 420, 1° com

ma, ultimo inciso, la quale consente che, previa autorizzazione

del giudice la parte possa, se ricorrono gravi motivi, modificare

la domanda.

Questo giudicante all'udienza di discussione ritenne implicita

mente che la deduzione della nullità del licenziamento per l'inos

servanza dell'art. 7 fosse giustificata dalla prospettazione difensiva

della resistente, tenuto conto che in sede di comminatoria del

licenziamento la motivazione dedotta dalla resistente stessa non

appariva affatto evidenziata (si veda la lettera 18 aprile 1988,

con la quale risulta intimato il licenziamento). D'altro canto, poi

ché la ricorrente propose una domanda di declaratoria della nul

lità del licenziamento la prospettazione di un fatto diverso, peraltro

in replica a un'eccezione della controparte, per giustificare quello

stesso petitum, non può essere ritenuta integrare una mutatio li

belli, ma soltanto una emendatio libelli e quindi non esorbita dal

la fattispecie dell'inciso finale del 1° comma dell'art. 420 c.p.c.

In sostanza, la deduzione di un fatto nuovo che al tempo stesso

si palesa come controeccezione rispetto all'eccezione della resi

stente (in ordine alla motivazione del licenziamento come reazio

ne a un adempimento contrattuale della ricorrente) e come possibile

fatto costitutivo idoneo a sorreggere l'invocata domanda di de

claratoria di nullità del licenziamento, non può integrare un mu

tamento della domanda. Ciò, anche ove si rifletta che l'oggetto

del giudizio di impugnativa di un negozio giuridico, secondo l'o

pinione preferibile, va ravvisato nel diritto potestativo di impu

gnare il negozio, individuato non già sulla base del singolo vizio

che può giustificare l'impugnativa, bensì' sulla base della specie

di invalidità negoziale dedotta. Cosi, chiesto l'annullamento del

negozio, integrerebbe mutatio libelli la richiesta di pronuncia del

la sua nullità. Viceversa, chiesta la declaratoria della nullità per

contrarietà del negozio all'ordine pubblico, ben potrebbe invo

carsene la pronuncia per contrarietà a norma imperativa. L'as

sunto qui sostenuto è certamente conforme a quell'orientamento

della Suprema corte il quale, sia pure in ipotesi di proposizione

della domanda in appello, reputa che integri mutatio libelli inam

missibile la domanda di accertamento della nullità del licenzia

mento per violazione dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori, quando

in primo grado sia stata proposta domanda volta a ottenere la

declaratoria dell'illegittimità del licenziamento per difetto di giu

II Foro Italiano — 1989.

sta causa o di giustificato motivo (Cass., sez. lav., 24 gennaio

1984, n. 596, id., 1984,1, 2196). Appare infatti evidente che quoad

petitum la domanda di declaratoria della legittimità del licenzia

mento e quella di declaratoria della sua nullità sono diverse.

Ciò premesso, va dunque dato atto che oggetto del presente

giudizio è l'accertamento della sussistenza della nullità del licen

ziamento perché disposto senza l'osservanza da parte della resi

stente della norma dell'art. 7, 1°, 2° e 3° comma, dello statuto

dei lavoratori.

Si tratta dunque di verificare se tale norma possa nel caso al

l'esame trovare applicazione. Di ciò non può dubitarsi per quel che attiene alla natura del licenziamento, il quale secondo il teno

re della stessa prospettazione della resistente sarebbe stato dispo sto certamente per una pretesa colpa della ricorrente, la quale sarebbe incorsa in un inadempimento della propria obbligazione

contrattuale di erogare la prestazione lavorativa, assentandosi in

giustificatamente dal lavoro oltre il periodo per cui le era stato

concesso un permesso. Il licenziamento di cui è causa è dunque ontologicamente disci

plinare. Ora, è noto che dopo alterne vicende giurisprudenziali, che avevano visto contrapposto l'indirizzo c.d. ontologico a quel

lo c.d. formalistico, la Suprema corte a sezioni unite (sent. 1°

giugno 1987, n. 4823, id., 1987, I, 2031) ha sancito la validità del primo, sia pure limitatamente all'applicabilità dei commi 2°

e 3° dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori, come manipolati da

Corte cost. 204/82.

Pertanto nella fattispecie, acclarata la natura ontologicamente

disciplinare del licenziamento, non occorre accertare se il licen

ziamento sia incluso fra le sanzioni disciplinari dalla contratta

zione collettiva applicabile in ipotesi al rapporto di lavoro.

Purtuttavia, l'applicabilità al licenziamento di cui è processo

della normativa di cui all'art. 7, sia pure con riguardo solo ai

commi 2° e 3°, appare dubbia sotto un diverso profilo, che, pur

non essendo stato oggetto di specifica contestazione da parte del

la resistente, va esaminato ex officio, in quanto trattasi di que

stione di mero diritto.

Il profilo in questione concerne le dimensioni della ditta dato

riale resistente. È pacifico infatti — si vedano le allegazioni di

cui alla memoria di costituzione della resistente laddove si precisa

che i suoi dipendenti erano la ricorrente e altra persona — che

la ditta resistente sia un'impresa sottratta al regime limitativo del

licenziamento di cui alla 1. 604/66 e all'art. 18 1. 300/70, e che

dunque beneficia del regime del c.d. recesso ad nutum, previsto

dall'art. 2118 c.c. Ora, anteriormente all'arresto della Suprema

corte dianzi citato, la questione dell'applicabilità dell'art. 7, 1°,

2° e 3° comma, come novellati dalla Corte costituzionale all'area

di applicabilità del c.d. recesso ad nutum, allorché il motivo di

licenziamento fosse stato disciplinare, se aveva ricevuto — sia

pure senza approfondimento — risposta negativa da parte della

Suprema corte (si vedano le sent. sez. lavoro 2 gennaio 1986,

n. 21, id., 1986, I, 1352; 6 gennaio 1984, n. 66, id., 1984, I,

2196), aveva invece trovato soluzioni contrastanti nella giurispru

denza di merito. In senso positivo si erano espressi: Trib. Monza,

18 aprile 1986, Orient, giur. lav., 1986, 515; Pret. Thiene 23 gen

naio 1985, Pret. Salerno 30 gennaio 1985 e Pret. Vicenza 15 giu

gno 1984, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), nn. 2068,

2069, 2076.

In senso contrario si era espresso invece Trib. Firenze nelle

sent. 19 giugno 1986 (Riv. it. dir. lav., 1987, II, 231), e 13 aprile

1987 (Foro it., 1987, I, 2031). Questo essendo il panorama giurisprudenziale in subiecta ma

teria, di recente è intervenuta una sentenza delle sezioni unite

della Suprema corte, la quale ha statuito a favore dell'orienta

mento negativo (sent. 5 novembre 1987, n. 8189, ibid., 3239).

Ora, a sommesso avviso di questo giudicante e pur con l'osse

quio dovuto al valore della funzione di nomofilachia della Supre

ma corte, su cui nuovamente oggi insistono i cultori della

Cassazione, nel caso di specie l'insegnamento della Suprema cor

te non convince e non può essere condiviso. Ciò, non tanto per

ragioni, per cosi dire «neutre» rispetto al problema interpretativo

che si esamina e direttamente correlate al significato della funzio

ne nomofilattica, quanto per un'obiettiva — almeno sembra a

questo giudicante — mancanza di persuasività della cennta deci

sione. Sotto il primo profilo è stato comunque sottolineato in

dottrina, in sede di commento della sentenza in discorso, che la

rimessione della questione alle sezioni unite appare nel caso di

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2267 PARTE PRIMA 2268

specie difficilmente ascrivibile a una delle ipotesi di cui all'art.

374 c.p.c. Questo, tuttavia, non varrebbe a sminuire l'efficacia

di persuasione della decisione per questo giudice di merito, ma

semmai — come è stato sottolineato — per la sezione di lavoro

del Supremo collegio. Vero è però, come si è detto, che la decisione della Suprema

corte non appare intrinsecamente convincente e questo induce il

giudicante a motivatamente dissentire da essa.

Valgano all'uopo le seguenti considerazioni. Afferma la Supre

ma corte per giustificare il principio di diritto enunciato che «la

liceità del licenziamento ad nutum comporta l'irrilevanza del mo

tivo che può avere indotto» il datore di lavoro «ad intimare la

risoluzione», perché nei casi in cui il licenziamento è consentito

ad nutum l'effetto tipico, risolutorio del rapporto, che la legge

ricollega all'atto unilaterale del datore, non è subordinato né alla

oggettiva presenza di determinati presupposti né alla esternazione

dei motivi che lo hanno ispirato ed alla loro comunicazione al

lavoratore». Soggiunge altresì' la corte che «la espressione delle

ragioni del licenziamento non vale a qualificarlo ai fini della pro

duzione degli effetti risolutori, a meno che il motivo non sia ille

cito e determinante, secondo i principi generali». Ciò varrebbe

pure per l'eventuale motivazione delle ragioni disciplinari del li

cenziamento. Il ragionamento della Suprema corte trova ancora

più esplicita enunciazione nella citata sent. 13 aprile 1987 del Tri

bunale di Firenze, laddove espressamente si motiva l'inapplicabi lità dell'art. 7 al licenziamento ad nutum assumendo che

l'irrilevanza dei motivi che possono giustificarlo, espressione del

la situazione di libertà del datore di lavoro, esclude che possa

concepirsi la sua soggezione a una norma quale l'art. 7.

Tale norma, infatti, prevederebbe per l'esercizio del potere di

irrogazione delle sanzioni disciplinari e fra queste del licenzia

mento una formalità strettamente funzionalizzata a consentire che

la giustificazione di quell'esercizio venga palesata dal datore di

lavoro. Ma ciò implicherebbe che l'esercizio di quel potere sia

normativamente regolato (a livello legislativo o di contrattazione

collettiva) come vincolato all'esistenza di un presupposto giustifi cativo. Ciò, accadrebbe, per le sanzioni disciplinari diverse dal

licenziamento, pure nell'area del licenziamento ad nutum, mentre

per il licenziamento disciplinare accadrebbe soltanto nell'area in

cui il potere di licenziamento sussiste in presenza di giusta causa

o giustificato motivo e non invece laddove quel potere è libero

quoad motivi.

Queste argomentazioni non convincono per più di una ragione. Anzitutto non appare condivisibile l'assunto, sostenuto dalla Su

prema corte, secondo cui sussisterebbe una sorta di ontologica

incompatibilità fra la situazione di libertà per quel che attiene

al motivo determinante, nella quale si trova il datore di lavoro

nell'area dell'art. 2118 c.c. e l'imposizione allo stesso dell'obbli

go di esternare il motivo sostanzialmente disciplinare, per il tra

mite evidentemente della previa contestazione dell'addebito. Ed

infatti, postoché la formazione del motivo determinante di un

negozio giuridico — qual è certamente il licenziamento in genera le — appartiene al momento della nascita della volontà negoziale e nell'ordinamento giuridico rileva esclusivamente sotto il profilo del giudizio di conformità ai principi dell'ordinamento stesso e

di meritevolezza dell'interesse che la detta volontà, in quanto for

matasi per quel motivo, vuole tutelare, appare evidente che non

è contraddittorio ipotizzare, che, pur riconosciuta a un soggetto

giuridico la possibilità di determinarsi a compiere un certo nego zio liberamente quanto ai motivi, l'ordinamento gli imponga di

esternare il motivo che poi in concreto lo induce a porre in essere

la manifestazione negoziale. Questo onere di esternazione è infat

ti assolutamente ininfluente sulla situazione di libertà nella scelta

del motivo negoziale e condiziona soltanto l'effettiva manifesta

zione della volontà negoziale già formata.

Ebbene, nell'ipotesi del licenziamento ad nutum il riconosci

mento del potere datoriale di porre in essere il negozio per un

qualsiasi motivo (purché non illecito) non è contraddetto, ove

si ammetta che, nel caso in cui il motivo determinante del nego zio sia ontologicamente disciplinare, il datore di lavoro è tenuto

previamente ad esternare la sua volontà risolutoria cosi formatasi

al soggetto controinteressato, prima di procedere al recesso, cioè

alla manifestazione di quella volontà per la produzione degli ef

fetti suoi tipici. L'imposizione dell'onere di esternazione de quo

quale presupposto per la validità del recesso incide su una volon

II Foro Italiano — 1989.

tà negoziale che si è già formata liberamente, assumendo come

motivo determinante uno fra i tanti motivi possibili.

La tesi che si critica sembra quasi supporre che, laddove l'ordi

namento lascia la possibilità al datore di lavoro di determinarsi

al recesso liberamente in punto di motivi, non sia possibile am

mettere alcuna forma di controllo e alcun onere collegato alla

concreta volontà datoriale, formatasi per l'incidenza di uno spe

cifico motivo, in conseguenza dell'esercizio di quel potere. In so

stanza, sembra quasi che la situazione di libertà nell'elezione del

motivo negoziale determini l'impossibilità di attribuire rilevanza

al motivo in concreto prescelto. Senonché, questo postulato è smen

tito dallo stesso orientamento che si critica, laddove si ribadisce

la — scontata — rilevanza invalidante del recesso, propria del

motivo determinante illecito (secondo — evidentemente — il prin

cipio generale di cui all'art. 1345 c.c.). Infatti, una volta che ri

sulti che la concreta volontà negoziale del datore di lavoro si è

formata in base a un motivo illecito, la circostanza che in astrat

to il potere di disposizione unilaterale del rapporto di lavoro,

nel che si concreta il recesso, sia libero nei motivi, dovrebbe in

durre — a voler essere coerenti — a reputare valido il recesso

per essere la sua motivazione illecita concreta astrattamente con

vertibile o in una motivazione lecita o addirittura in una non

motivazione.

Invece, la concreta volontà negoziale sostenuta dal motivo ille

cito non si dubita che sia non riconvertibile nel senso ora detto.

E ciò, perché il giudizio di meritevolezza da parte dell'ordina

mento va riferito proprio a quella volontà in concreto manifesta

ta e non alla volontà negoziale astrattamente esprimibile dal datore

di lavoro.

Quanto fin qui osservato evidenzia che la situazione di libera

sussimibilità dei motivi propria del datore di lavoro legittimato al recesso ad nutum non esclude che l'ordinamento giuridico for

muli valutazioni riferite al concreto motivo che determina il dato

re al recesso. Acquisito questo dato, non si comprende perché,

a fronte dell'ammissibilità di un giudizio di disvalore quanto al

recesso ad nutum determinato da motivo illecito, sia così difficile

ipotizzare un giudizio di disvalore sul recesso ad nutum determi

nato da motivo ontologicamente disciplinare ed intimato senza

l'osservanza almeno della regola di civiltà per cui audiatur et al

tera pars (codificata dal 2° comma dell'art. 7 1. 300/70).

D'altro canto, l'ammissione dell'applicabilità di detta regola non può neppure apparire ingiustificata in ragione del fatto che

il datore di lavoro, pur essendosi determinato al recesso per un

motivo ontologicamente disciplinare, ben potrebbe non eviden

ziarlo volutamente neppure all'atto dell'esercizio del potere riso

lutorio; approfittando della possibilità astrattamente riconosciutagli di non motivare il recesso stesso. Un simile comportamento rile

verebbe soltanto come problema processuale, cioè sul terreno della

prova, nel giudizio di impugnazione del licenziamento che il lavo

ratore intentasse sostenendone la natura disciplinare e lamentan

do appunto la violazione della regola de qua. Si tratterebbe di

una situazione analoga a quella in cui il lavoratore impegni un

recesso ad nutum immotivato sostenendo che il suo motivo deter

minante fu illecito.

Neppure convincente è l'assunto di chi (Trib. Firenze, citata) fa discendere un ulteriore argomento contro la tesi dell'applicabi lità all'area del recesso ad nutum, dalla circostanza che l'osser

vanza delle formalità previste dall'art. 7 e segnatamente dal 2°

comma, sarebbe inutile in quell'area, giacché il licenziamento,

pur dichiarato invalido perché non rispettoso di quelle formalità,

potrebbe essere subito rinnovato senza indicazione dei motivi. In

vero, ove il motivo disciplinare fosse stato indicato, sebbene sen

za essere stato previamente contestato, al lavoratore, la reiterazione

del licenziamento potrebbe avvenire solo previa osservanza della

garanzia di cui al 2° comma dell'art. 7 e non certo con un recesso

immotivato. Ciò, per la semplice ragione che palese risalterebbe

in tal caso la perdurante motivazione disciplinare del licenzia

mento, in quanto non sarebbe credibile — salvo nuove circostan

ze di fatto — una qualsiasi altra motivazione. Ove il recesso

dichiarato invalido fosse invece stato intimato immotivatamente

e solo all'esito del giudizio fosse risultato sorretto da motivazione

disciplinare, varrebbero identiche considerazioni. In entrambi i

casi comunque la declaratoria di invalidità del licenziamento san

zionerebbe l'inosservanza di una regola per l'esercizio del potere di recesso e, una volta garantito il suo rispetto, nulla più potrebbe

pretendere il lavoratore. Del resto, nell'ipotesi in cui sia intimato

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

senza l'osservanza dell'art. 7 un licenziamento per giusta causa

o giustificato motivo effettivamente assistito dalla giusta causa

o dal giustificato motivo dedotto da parte datoriale, la nullità

del licenziamento presenterebbe la stessa inutilità di cui discorre

l'orientamento qui criticato. Infatti, il datore potrebbe immedia

tamente contestare l'addebito e intimare nuovamente il licen

ziamento.

Va altresì' rilevato che la pretesa inutilità del riconoscimento

dell'applicabilità delle garanzie dell'art. 7 al licenziamento ad nu

tum in dipendenza della situazione di libertà di scelta dei motivi

da parte datoriale trova smentita nella circostanza che il dar cor

so al canone per cui audiatur et altera pars, può consentire al

lavoratore, in caso di licenziamento disciplinare, di fornire gli opportuni chiarimenti sulla mancanza posta a base del minaccia

to recesso, si da convincere il datore di lavoro e non darvi corso.

Come tale la regola del contraddittorio è perfettamente indiffe

rente alla natura e ai presupposti possibili del potere in relazione

al cui esercizio debba previamente aver corso. E ciò perché è fun

zionale esclusivamente a scongiurare quell'esercizio. Il controllo

dei presupposti di esercizio del potere è affidato a un momento

successivo quello della impugnativa. È questo il momento che

va raccordato con la regola sostanziale dell'esercizio del potere.

Neppure convincente, a sommesso avviso di chi scrive, è la

pretesa di inferire la tesi negativa qui criticata dalla circostanza

che la manipolazione dell'art. 7, 1°, 2° e 3° comma, operata dalla Corte costituzionale con la sentenza 30 novembre 1982, n.

204, avrebbe tratto origine da giudizi a quibus concernenti fatti

specie nelle quali si controverteva di licenziamenti soggetti al re

gime limitativo della 1. 604/66 o dell'art. 18 1. 300/70. Ditalché, l'art. 7, nel testo risultante da detta sentenza interpretativa di

accoglimento, si dovrebbe intendere applicabile solo all'area di

quei licenziamenti, quasi per una sorta di incidenza del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Senonché, a parte la circostanza che il «chiesto» nel giudizio di legittimità costituzionale non può essere determinato certamente

dall'oggetto del giudizio a quo, perché ciò sarebbe incompatibile

con il fatto che l'oggetto del giudizio di legittimità è la norma

impugnata, va detto che nella sentenza 204/82 nessun elemento

si coglie che possa reputarsi significativo dell'intenzione della corte

di integrare l'art. 7 non già con riferimento all'area della sua

applicabilità, quale individuata in negativo, dall'assenza nella 1.

300/70 di qualsiasi norma limitativa, riferita alla consistenza del

l'impresa datoriale, bensì con riguardo a un'area più ristretta e

precisamente a quella nella quale non è possibile il recesso ad

nutum. Si vuole cioè sottointendere che la norma dell'art. 7 sic

come integrata dalla Corte costituzionale con riferimento al li

cenziamento disciplinare quale sanzione disciplinare appare

applicabile all'area del recesso ad nutum cosi come lo era ante

riormente per le altre sanzioni disciplinari. D'altro canto, l'insistenza della Corte costituzionale nella sud

detta sentenza sul valore di regola di civiltà del principio per cui

audiatur et altera pars corrobora l'assunto qui sostenuto. Infatti,

una volta ribadito che detta regola è indirettamente funzionale

all'esercizio del diritto di difesa del lavoratore e che quel diritto

è indifferente alla tutela che il lavoratore, successivamente all'e

sercizio del potere di recesso datoriale, potrà in ipotesi ottenere

(cioè la declaratoria della insussistenza della giusta causa o del

giustificato motivo, nell'area del licenziamento soggetto alla 1.

604/66 e all'art. 18 statuto lavoratori, la declaratoria della illicei

tà del motivo del licenziamento nell'area del recesso ad nutum),

proprio la neutralità della regola stessa rispetto all'atteggiarsi in

modo vincolato oppure non del potere risolutorio datoriale, in

duce a reputare conforme al decisum della Corte costituzionale

l'interpretazione qui sostenuta.

Quand'anche infine di intravedessero nella decisione della cor

te gli estremi per una possibile questione interpretativa in ordine

all'area di riferimento del nuovo diritto da essa creato, il valore

di regola di civiltà riconosciuto dalla corte stessa al principio au

diatur et altera pars, dovrebbe indurre a preferire, fra le due in

terpretazioni sostenibili, quella qui condivisa, come l'unica

conforme a Costituzione e segnatamente all'art. 3 e all'art. 4 di

essa. È appena il caso di chiarire che il segnalato carattere di

neutralità della garanzia de qua rispetto al presupposto del potere

di recesso datoriale, evidenzia come la situazione del lavoratore

ad nutum e di quello licenziabile solo per giusta causa o giustifi

cato motivo, non possono ricevere in materia diverso trattamento.

Il Foro Italiano — 1989.

Va dunque in conclusione affermato che l'art. 7 dello statuto

dei lavoratori e più precisamente i suoi commi 2° e 3° sono ap

plicabili al licenziamento ontologicamente disciplinare disposto nel

l'area del c.d. recesso ad nutum.

Va chiarito invece che non ha senso ipotizzare l'applicabilità nell'area in discorso della garanzia di cui al 1° comma dell'art. 7.

Invero, tale garanzia, in un sistema nel quale l'esercizio del

potere di recesso può avvenire ad nutum, avrebbe poco senso.

In proposito può riconoscersi fondatezza all'argomentare che

l'indirizzo dianzi disatteso trae dalla natura del potere risolutorio

del datore di lavoro. Ma ciò, perché la garanzia in discorso ha

come punto di riferimento, a differenza delle garanzie del 2° e

del 3° comma, non già il potere de quo all'atto in cui si è forma

ta le volontà di esercitarla per un motivo disciplinare nel datore

di lavoro, bensì' il potere stesso nella sua astrattezza. In termini

di garanzia non avrebbe senso per il lavoratore che vi sia la pub blicità di un codice disciplinare, laddove il recesso in astratto è

esercitabile pur al di fuori delle ipotesi ch'esso prevede. Viceversa — e come si è cercato di evidenziare innanzi — la

garanzia di cui ai commi 2° e 3° divengono attuali con riguardo a una concreta specificazione disciplinare del paventato recesso

datoriale.

A chiusura delle svolte considerazioni va infine precisato che

l'affermata applicabilità dell'art. 7, 2° e 3° comma, al licenzia

mento ontologicamente disciplinare nell'area del recesso ad nu

tum, va ritenuta non solo per l'ipotesi nella quale nell'eventuale

atto di comminitoria del licenziamento (sia esso scritto ovvero

orale) sia stata palesata la motivazione disciplinare del licenzia

mento; bensì pure nel caso in cui sia stata palesata una motiva

zione diversa ovvero non sia stata palesata motivazione alcuna.

Infatti, in questa seconda ipotesi vi sarà solo un problema di

difficoltà della motivazione disciplinare, ma ciò non può incidere

sull'estensione del principio qui sostenuto.

Risolta la questione interpretativa esaminata, venendo alla fat

tispecie che si giudica, va rilevato che non può dubitarsi, sia in

ragione del tenore della lettera di licenziamento, sia delle dichia

razioni rese dalle parti in libero interrogatorio (la resistente ha

precisato di non sapere se il marito contestò l'assenza ingiustifi cata alla ricorrente), sia dell'omessa allegazione del contrario in

memoria di costituzione, che alla ricorrente non venne contestato

l'addebito disciplinare prima dell'intimazione del licenziamento

e non fu quindi consentita la discolpa. E perciò indubbia appare la violazione della garanzia di cui ai commi 2° e 3° dell'art. 7.

In conseguenza, il licenziamento appare nullo (all'uopo si veda

Cass., sez. lav., sent. 8 luglio 1988 n. 4521, Foro it., 1988, I,

3592 per l'affermazione secondo cui il licenziamento disciplinare comminato in violazione dell'art. 7 è inefficace, cioè nullo). Il

rapporto di lavoro si deve pertanto reputare come non mai cessa

to e ciò comporta la condanna della resistente al pagamento delle

retribuzioni fino a oggi maturate dal dì del licenziamento. Esse

assommano a lire 6.969.600 (lire 1.089.491xmesi 6 e giorni 12).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 novem

bre 1988, n. 6116; Pres. Zappuiai, Est. Berni Canani, P.M.

Fedeli (conci, diff.); Colombo ed altri (Aw. Persiani) c. Cas

sa di risparmio delle province lombarde (Aw. Giorgianni, Gras

setti, Fabbri). Cassa Trib. Milano 19 ottobre 1984.

Lavoro (contratto collettivo) — Successione di contratti collettivi — Disposizione di diritti dei lavoratori sorti sulla base di prece dente contratto collettivo — Limiti — Fattispecie.

In difetto di specifico mandato, o di adesione o ratifica degli interessati, il contratto collettivo non può incidere su diritti sorti,

in capo alle parti del rapporto di lavoro, per l'avvenuto perfe

zionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive e comun

que per effetto di prestazioni eseguite durante la vigenza di

un precedente contratto collettivo (in applicazione dell'enun

ciato principio, è stata ritenuta illegittima la modifica in peius,

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