sezione lavoro; sentenza 29 novembre 1988, n. 6447; Pres. Chiavelli, Est. Florio, P.M. Gazzara(concl. conf.); Ventrella (Avv. Nappi) c. Soc. Borghi trasporti spedizioni (Avv. Vesci). CassaTrib. Roma 6 giugno 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2247/2248-2269/2270Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184107 .
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2247 PARTE PRIMA 2248
bre 1986 (termine, quest'ultimo, come oltre si vedrà, prorogato da successive leggi fino al 31 dicembre 1987) essi non possono chiedere il prepensionamento, ma neppure la continuazione del
l'attività lavorativa ex art. 6 1. 54/82 e riacquistano (solo) il dirit
to di opzione dal 1° gennaio 1988. Pertanto, nel periodo 1° gennaio 1986 - 31 dicembre 1986 (rectius 31 dicembre 1987) il rapporto di lavoro si risolve solo nel termine fissato nell'art. 111. 604/66.
Del resto, pur vigendo le leggi 193/84 e 155/81, il termine di
cui all'art. 11 citato resta pur sempre l'unico applicabile per la
soluzione del rapporto di lavoro in mancanza di istanza, propo sta dal lavoratore, volta a fruire degli istituti di cui agli art. 6
1. 54/82 e 16-18 1. 155/81. Nella fattispecie di cui è causa non è stato contestato — e co
munque risulta provato dai doc. sub 1) prodotti dalla convenuta
società — che la stessa è tra le imprese industriali per le quali è stata emessa la delibera Cipi ex art. 2 1. 675/77.
Pertanto — per tutti i motivi che precedono — deve essere
concluso che anche al ricorrente Salazar va ritenuta l'inapplicabi lità dell'art. 6 1. 54/82.
Riguardo poi alla seconda argomentazione prospettata dal ri
corrente e cioè che la scadenza del 31 dicembre 1986, fissata nel
l'art. 1, 4° comma, 1. 193/84, sarebbe comunque maturata nella
data di compimento del termine previsto per l'esercizio del diritto
di opzione di cui all'art. 6 1. 54/82, va osservato che tale scaden
za è stata prorogata fino al 31 dicembre 1987 nell'art. 3, 4° com
ma, d.l. 22 dicembre 1986 n. 832, nell'art. 4, 4° comma, d.l.
25 febbraio 1987 n. 48, nell'art. 5, 4° comma, d.l. 28 aprile 1987
n. 156, nell'art. 5, 4° comma, d.l. 27 giugno 1987 n. 244, nel
l'art. 5, 4° comma, d.l. 27 agosto 1987 n. 358, nell'art. 5, 4°
comma, d.l. 30 ottobre 1987 n. 442, e infine nell'art. 5, 4° com
ma, d.l. 30 dicembre 1987 n. 536 convertito nella 1. 29 febbraio
1988 n. 48 (questa ultima pubblicata nella G.U. 1° marzo 1988, n. 48).
Da ultimo si osserva che l'estensione al settore alluminio delle
disposizioni di cui all'art. 1 1. 193/84 può essere agevolmente in
terpretata, alla stregua di tutte le considerazioni sopra svolte, nel
senso che quelle norme dell'art. 1 che sono applicabili solo al
settore siderurgico (es. prepensionamento «speciale») sono estese
al settore alluminio.
Da tutti i rilievi che precedono consegue il rigetto delle doman
de proposte dal ricorrente e l'assoluzione della convenuta società.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 29 novem
bre 1988, n. 6447; Pres. Chiavelli, Est. Florio, P.M. Gazza
ra (conci, conf.); Ventrella (Aw. Nappi) c. Soc. Borghi trasporti
spedizioni (Avv. Vesci). Cassa Trib. Roma 6 giugno 1986.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Nozione on
tologica — Intimazione nell'area della c.d. «tutela obbligato ria» — Garanzie procedimentali — Inosservanza — Conseguenze
(Cod. civ., art. 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licen
ziamenti individuali, art. 1, 2, 3, 8, 10, 11; 1. 20 maggio 1970
n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di la voro e norme sul collocamento, art. 7, 18, 35).
Il licenziamento ontologicamente disciplinare — che sia intimato
nell'area della c.d. «tutela obbligatoria» senza l'osservanza del
le garanzie procedimentali (di cui al 2° e 3° comma dell'art.
7 /. 300/70, quali si «leggono» dopo Corte cost. 204/82) —
è soggetto alla stessa sanzione (riassunzione o indennità) com
minata (dall'art. 8 l. 604/66) per il licenziamento non sorretto
da giusta causa o giustificato motivo. (1)
(1-3) I. - La giurisprudenza in tema di licenziamenti disciplinari — inti mati al di fuori dal campo d'applicazione della c.d. «tutela reale» (art. 35 1. 300/70) — pare lontana da una definitiva composizione dei
contrasti, anche dopo gli interventi delle sezioni unite (sent. 4823/87,
Il Foro Italiano — 1989.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 febbraio
1988, n. 1426; Pres. Valente, Est. Chiavelli, P.M. Benanti
(conci, conf.); Mangolini (Aw. Fanfani) c. Soc. Esselunga (Aw.
Pinto). Conferma Trib. Firenze 13 febbraio 1985.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare del dirigente —
Nozione ontologica — Garanzie procedimentali — Applicabili tà (Cod. civ., art. 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 1, 2, 3, 8, 10, 11; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7, 18, 35).
Il licenziamento ontologicamente disciplinare del dirigente è sog
getto alle garanzie procedimentali (di cui ai primi tre commi
dell'art. 71. 300/70, quali si «leggono» dopo Corte cost. 204/82), che nella specie sono state osservate. (2)
Foro it., 1987, I, 2032, con nota di M. De Luca; 8189/87, ibid., 3239, con nota di richiami ed osservazioni di M. De Luca; 1208/88, id., 1988,
I, 1556, con nota di richiami; sez. lav. 4521/88, ibid., 3592; ai riferimenti
di dottrina e giurisprudenza, di cui alle note ed osservazioni citate, adde, in nota a Cass. 1426/88, F. Basenghi, In tema di licenziamenti discipli nari del dirigente, in Dir. lav. 1988, II, 465).
II. - Infatti — con i licenziamenti «ontologicamente» disciplinari, inti
mati nell'area della c.d. «tutela obbligatoria» — la prima delle sentenze in epigrafe si pone in contrasto «inconsapevole», con altra sentenza della stessa sezione lavoro (n. 4521/88, cit.), nella definizione del sistema san zionatone della inosservanza delle garanzie procedimentali (di cui ai pri mi tre commi dell'art. 7 1. 300/70, quali si «leggono» dopo Corte cost.
204/82, Foro it., 1982, I, 2981, con osservazioni di G. Silvestri). Apoditticamente ipotizzando una sorta di «forza espansiva» dell'art.
8 1. 604/66, la sentenza ora in esame, infatti, ne estende l'applicazione al caso che ci occupa, per il quale la precedente sentenza 4521/88 —
sulla falsariga delle suggestioni di Corte cost. 204/82 (cit.) — propone la stessa sanzione («inefficacia») comminata (dall'art. 2 1. 604/66) per il difetto di «forma» del licenziamento.
La composizione del contrasto va, quindi, devoluta alle sezioni unite, che non sono ancora intervenute sulla questione specifica.
III. - In contrasto con le sezioni unite (sent. 8189/87, cit.) si pongono, invece, la seconda e la terza delle sentenze in rassegna, che ritengono applicabili le garanzie procedimentali (di cui ai primi tre commi e, rispet tivamente, al 2° e al 3° comma dell'art. 7 1. 300/70) a licenziamenti disci
plinari intimati nell'area della revocabilità ad nutum (licenziamento di
dirigente e, rispettivamente, licenziamento intimato dal datore di lavoro che non raggiunge le «soglie occupazionali» per l'accesso alla «tutela»).
Tuttavia — mentre la sentenza della sezione lavoro (1426/88) ignora il precedente delle sezioni unite (8189/87) — il Pretore di Monza consa
pevolmente se ne discosta, all'esito di un'ampia ed approfondita motiva
zione, dopo averne posto in dubbio Inefficacia vincolante», in dipendenza dell'adozione al di fuori della specifica «competenza» (ex art. 374, 2°
comma, c.p.c.) delle sezioni unite (sul punto — oltre i riferimenti di cui alle osservazioni a Cass., sez. un., 8189/87, cit. — v., in motivazione, la sentenza delle stesse sezioni unite 3469/88, id., 1988, I, 3302, con nota di richiami).
Resta da attendere, poi, la pronuncia della Corte costituzionale sulla
questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Firenze (sulla quale vedi l'ordinanza 6 dicembre 1988, n. 1068 della corte di restituzione
degli atti al giudice a quo per chiarimenti, in G.U., 1" s.s., n. 50 del 14 dicembre 1988).
IV. - Recenti iniziative legislative (qui di seguito riportate), pur occu
pandosi (tra l'altro) del licenziamento nelle «piccole imprese» (che forma no oggetto anche di una iniziativa referendaria), non si occupano dei
problemi specifici concernenti i licenziamenti disciplinari. Su tali iniziative legislative, vedi M. G. Garofalo, Per una politica
dei diritti dei lavoratori nella piccola impresa, in Riv. giur. lav., 1988, I, 393; M. De Luca, Statuto dei lavoratori: prospettive del «garantismo» per gli anni '90 (note minime tra «ordinamento dato» ed ipotesi di rifor ma), relazione al Convegno nazionale sul tema Statuto dei lavoratori:
problemi del livello di garantismo e della rappresentatività sindacale (Mes sina - Taormina, 28-29 aprile 1989), in corso di pubblicazione su Dir.
lav., oltre che sugli atti del convegno.
» * *
I
Disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi e norme sul campo d'applicazione della l. 20 maggio 1970, n. 300 (disegno di legge n. 305 A.S. d'iniziativa dei senatori Giugni, Fabbri ed altri e, di identico conte
nuto, proposta di legge n. 190 A.C. d'iniziativa del deputato Piro).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ill
PRETURA DI MONZA; sentenza 26 aprile 1989; Giud. Frasca;
Mancino c. Magni.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Nozione on
tologica — Intimazione nell'area della recedibilità «ad nutum» — Garanzie procedimentali — Inosservanza — Conseguenze
(Cod. civ., art. 2118, 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 1, 3, 4, 8, 10, 11; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7, 18, 35).
Il licenziamento ontologicamente disciplinare — intimato nel!'ae
ra della recedibilità ad nutum (in dipendenza del livello occu
pazionale dell'impresa) senza l'osservanza delle garanzie
procedimentali (di cui al 2° e 3° comma dell'art. 7 /. 300/70,
quali si «leggono» dopo Corte cost. 204/82) — è affetto da
nullità. (3)
Titolo I
Sui licenziamenti individuali
Art. 1.
1. Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi del
l'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è nullo, indipendente mente dalla motivazione addotta.
Art. 2.
1. Il licenziamento, a pena di nullità, deve essere comunicato per iscrit
to al prestatore di lavoro.
Art. 3.
1. Il licenziamento del prestatore di lavoro con contratto a tempo inde
terminato, da parte di un datore di lavoro che occupi più di quindici
dipendenti, non può avvenire che per giusta causa, ai sensi dell'articolo
2119 del codice civile o, con preavviso, per giustificato motivo, ai sensi
dell'articolo 5 della presente legge. 2. Il prestatore di lavoro può chiedere anche oralmente, entro otto
giorni dalla ricezione della comunicazione, i motivi che hanno determina
to il licenziamento; in tal caso il datore di lavoro deve, nei cinque giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.
3. È nullo il licenziamento intimato senza l'osservanza della disposizio ne di cui al comma 2.
Art. 4.
1. Il lavoratore, licenziato dal datore di lavoro che occupa da cinque a quindici dipendenti, può promuovere un tentativo di conciliazione, ai
sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile, diretto alla revoca
del licenziamento. 2. Il datore di lavoro ha facoltà di farsi rappresentare da persona che
sia munita di mandato a revocare il licenziamento e sia a conoscenza
dei fatti che costituiscono oggetto della controversia.
3. Ove il datore di lavoro, regolarmente convocato dinanzi alla com
missione di conciliazione di cui al comma 1, non si presenti senza giustifi cato motivo, o per lui non si presenti la persona di cui al comma 2, il licenziamento può essere annullato con sentenza ai sensi e con gli effetti
dell'articolo 8, commi 1 e 2, della presente legge. Il presidente della com
missione dà atto della mancata comparizione del datore di lavoro e del
l'assenza di valide giustificazioni di essa.
4. Il presente articolo non si applica, con riferimento ai dipendenti che non abbiano compiuto il venticinquesimo anno, alle imprese artigia
ne, definite tali a norma dell'articolo 4, lettere a), b) e c), della legge 8 agosto 1985, n. 443, che abbiano un numero di dipendenti non superio re a quindici, nonché a quelle di cui alle lettere d) ed e). Resta fermo
quanto previsto dal comma 2 di tale articolo.
Art. 5.
1. - Il licenziamento per giustificato motivo ai sensi dell'articolo 3 è
determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali
del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, ivi com
presi i licenziamenti di cui al titolo II della presente legge.
Il Foro Italiano — 1989.
I
Svolgimento del processo. — Enzo Ventrella, lavoratore inqua drato nella 3a categoria degli addetti alle imprese di spedizione, con ricorso del 4 maggio 1983 al Pretore del lavoro di Roma
impugnava il licenziamento applicato nei suoi confronti con prov vedimento del 28 dicembre 1982 dalla s.p.a. Borghi trasporti e
spedizioni che lo aveva destinato alla sede di Pomezia: esso Ven
trella ne denunziava l'illegittimità per la violazione dei primi tre
commi dell'art. 7 statuto lavoratori e, in particolare, perché il
provvedimento espulsivo non era stato preceduto dalla contesta
zione degli addebiti: chiedeva, in conseguenza, la reintegrazione
Art. 6.
1. L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustifi cato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.
Art. 7.
1. Il licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo deve
essere impugnato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla rice
zione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche stragiudi
ziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso
l'intervento dell'organizzazione sindacale, diretta ad impugnare il licen
ziamento stesso. 2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla ricezione della comunica
zione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove que sta non sia contestuale a quella del licenziamento.
Art. 8.
1. Il giudice, per i datori di lavoro imprenditori, il cui volume d'affari
negli ultimi tre anni, determinato secondo la legislazione vigente in mate
ria di imposta sul valore aggiunto, abbia complessivamente superato i
5 miliardi di lire, ovvero per i datori di lavoro non imprenditori che occu
pino più di sessanta dipendenti, con la sentenza con cui annulla il licen
ziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, ordina di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e di pagargli le retribuzioni dovute a
decorrere dalla data del licenziamento, detratti gli eventuali redditi di la
voro percepiti altrove nello stesso periodo di tempo dal lavoratore. In
ogni caso, la misura delle somme dovute al lavoratore non potrà essere
inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinate secondo i criteri
di cui all'articolo 2121 del codice civile.
2. Il datore di lavoro che non ottempera all'ordine di reintegrazione di cui al comma 1, fatta salva l'ipotesi prevista dall'articolo 9, è tenuto
a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rappor to di lavoro dalla data della sentenza fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore
di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto. L'ese
cutività dell'ordine di reintegrazione, nonché di quelli di corrispondere le retribuzioni di cui al presente comma, viene meno in caso di riforma
della sentenza di primo grado che l'abbia disposto. 3. Il datore di lavoro che non ottempera all'ordine di reintegrazione,
confermato con la sentenza di secondo grado, è tenuto, inoltre, per ogni
giorno di ritardo, al pagamento a favore della previdenza sociale per l'as
sicurazione contro la disoccupazione di una somma pari all'importo della
retribuzione dovuta al lavoratore.
4. Al prestatore di lavoro è data facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro di cui ai commi
precedenti, una indennità pari a trentasei mensilità di retribuzione, deter
minate secondo i criteri dell'articolo 2121 del codice civile.
5. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, su istanza congiunta del lavoratore e del
sindacato, cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando
ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore
di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
6. L'ordinanza di cui al comma 5 può essere impugnata con reclamo
immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le di
sposizioni dell'articolo 178, commi terzo, quarto, quinto e sesto, del co
dice di procedura civile.
7. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Art. 9.
1. Nell'ipotesi di licenziamento annullato in quanto privo di giusta cau
sa o giustificato motivo, il datore di lavoro imprenditore, che occupi più
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2251 PARTE PRIMA 2252
nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al risarci
mento dei danni, oltre svalutazione ed interessi.
La società Borghi concludeva per la reiezione delle domande
del lavoratore deducendo che a costui, pur non essendo applica bile la normativa garantista dell'art. 7 1. 300 del 1970 attese le
dimensioni dell'unità produttiva alla quale egli era addetto, era
stato contestato l'addebito al quale non avevano fatto seguito le giustificazioni dell'incolpato perché questi aveva rinunziato al
termine a difesa; deduceva, inoltre, che il licenziamento, non in
cluso tra le sanzioni disciplinari, era assistito da giusta causa raf
figurata nel fatto che il Ventrella, nonostante la contraria
di quindici dipendenti, e il cui volume d'affari sia inferiore a quello pre visto dall'articolo 8, comma 1, ovvero il datore di lavoro non imprendi tore, che occupi più di quindici e non oltre sessanta dipendenti, in alternativa alla reintegrazione del lavoratore disposta dalla sentenza di cui all'articolo 8 può corrispondergli la retribuzione per la durata di un anno. Al termine, il lavoratore ha diritto al trattamento speciale di disoc
cupazione previsto dall'articolo 8 della legge 5 novembre 1968, n. 1115, e successive modificazioni, per un periodo non superiore a ventiquattro mesi, salvo che non abbia trovato altra occupazione.
2. L'Istituto nazionale della previdenza sociale è litisconsorte necessa
rio, ai sensi dell'articolo 102 del codice di procedura civile, nel giudizio sulla legittimità del licenziamento.
Art. 10.
1. Al datore di lavoro che intenda risolvere il rapporto di lavoro per giustificato motivo è data facoltà di chiedere al giudice la dichiarazione della risoluzione del contratto di lavoro, con gli stessi effetti del licen ziamento.
2. Il datore di lavoro può sospendere in via provvisoria il lavoratore dallo svolgimento della prestazione di lavoro e dalla retribuzione. Se la domanda non è accolta, la sospensione viene meno con effetto immedia
to, ma può essere rinnovata con ordinanza del giudice dell'impugnazione, ove sussistano motivi di urgente necessità.
3. Il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, su domanda del lavoratore che versi in stato di bisogno, in quanto privo di altre fonti di reddito, può ordinare al datore di lavoro di corrispondergli una quota parte della retribuzione. Se il giudizio pende innanzi alla Corte di cassa
zione, questo provvedimento può essere reso dal giudice che ha emesso la sentenza impugnata.
4. A seguito del passaggio in giudicato della sentenza che respinge la domanda del datore di lavoro, questi è tenuto a corrispondere al lavora tore le retribuzioni non corrisposte a causa della intervenuta sospensione.
5. Eccetto il caso previsto dal comma sesto dell'articolo 415 del codice di procedura civile, tra la data del deposito del ricorso presentato ai sensi del comma 1 del presente articolo e la data in cui il giudice pronuncia la sentenza di primo grado non debbono intercorrere più di centoventi
giorni, decorsi i quali il processo si estingue e il datore di lavoro può risolvere il rapporto a norma dell'articolo 3 della presente legge. Le di
sposizioni del presente articolo, con esclusione dei commi 2 e 3, si appli cano anche nel caso in cui il datore di lavoro intenda risolvere il rapporto per giusta causa.
Art. 11.
1. Le controversie in materia di licenziamento, anche nell'ipotesi di cui all'articolo 10, possono essere decise mediante arbitrato irrituale, ove ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro, senza pregiudi zio delle facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria.
2. Le relative clausole contrattuali debbono prevedere, a pena di nullità:
a) che il presidente del collegio arbitrale sia nominato per l'accordo
degli arbitri nominati dalle parti o, in mancanza, dal pretore o dal diret tore dell'ufficio del lavoro competenti per il luogo ove ha sede l'azienda;
b) che il lodo sia pronunciato entro un periodo prefissato e, comun
que, non superiore a tre mesi dalla proposizione del ricorso; c) che le spese e gli onorari per gli arbitri nominati dalle parti non
gravino sul lavoratore. 3. Le spese relative al presidente del collegio arbitrale sono a carico
del bilancio del Ministero di grazia e giustizia e vengono liquidate dal cancelliere capo del tribunale territorialmente competente secondo un ta riffario emanato dal Ministero stesso.
4. Il lodo arbitrale può essere impugnato solo per i motivi di cui all'ar ticolo 829 del codice di procedura civile, nonché per violazione e falsa
applicazione dei contratti ed accordi collettivi.
Art. 12.
1. Le disposizioni della presente legge, ad eccezione dell'articolo 1, non trovano applicazione nei rapporti disciplinati dalla legge 2 aprile 1958,
Il Foro Italiano — 1989.
determinazione dell'azienda, si era di propria iniziativa collocato
in ferie dal 10 dicembre 1982 al 3 gennaio 1983.
L'adito pretore accoglieva la domanda ed ordinava la reinte
grazione del Ventrella nel posto di lavoro liquidandogli il danno
in lire 15.300.000 oltre rivalutazione ed interessi.
La società Borghi proponeva appello che, resistendo il lavora
tore, il Tribunale di Roma accoglieva con la sentenza qui im
pugnata. Tale giudice, premesso che, in ogni caso, al Ventrella non spet
tava la tutela reale perché egli era addetto ad una unità produtti va (quella di Pomezia) che impiegava appena sei dipendenti e
n. 339, nonché nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che
svolgano senza fini di lucro esclusivamente attività di natura politica, re
ligiosa, sindacale o culturale. 2. Esse non si applicano parimenti nei confronti dei prestatori di lavo
ro che rivestano la qualifica di dirigente, dei prestatori di lavoro che ab biano superato il sessantacinquesimo anno di età ed abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia.
3. Per i lavoratori assunti in prova tali norme, ad eccezione dell'artico lo 1, si applicano solo dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva
e, in ogni caso, quando siano decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro.
Titolo II
Sui licenziamenti collettivi
Art. 13.
1. L'impresa che occupi più di quindici lavoratori, ove non abbia avu to luogo l'applicazione delle procedure di mobilità previste dalle vigenti leggi, nel caso in cui intenda procedere a licenziamenti collettivi determi nati da ragioni economiche o tecnico-organizzative o produttive, è tenuta a darne comunicazione preventiva, per iscritto, alle rappresentanze sinda cali aziendali nonché, per il tramite dell'associazione territoriale di cate
goria, in quanto vi aderisca o le conferisca mandato, alle rispettive associazioni territoriali di categoria. Copia della predetta comunicazione deve essere contestualmente trasmessa all'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione nonché alla commissione regionale per l'impiego.
2. La comunicazione di cui al comma 1 deve contenere indicazione dei motivi del licenziamento, del numero dei lavoratori ritenuti in ecce denza e della loro distribuzione per qualifiche, del numero dei lavoratori
occupati, del periodo nel corso del quale si effettuerebbero i licenziamenti. 3. A richiesta delle rappresentanze sindacali o delle rispettive associa
zioni si procede ad una consultazione tra le parti al fine di esaminare le possibilità di evitare i licenziamenti o ridurne il numero, nonché di attenuare le conseguenze. Sono fatte salve le procedure previste dai con tratti collettivi di lavoro.
4. Al termine delle procedure previste dai contratti di lavoro, ovvero di quelle stabilite dalla presente legge da esaurirsi entro trenta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 1 da parte delle
rappresentanze sindacali e delle rispettive associazioni territoriali di cate
goria, l'impresa, qualora sia stato raggiunto l'accordo ovvero non sia
disponibile ad un'ulteriore prosecuzione della consultazione in sede sin
dacale, dà alla commissione regionale per l'impiego comunicazione scrit ta sull'esito della consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo; copia della predetta comunicazione va contestualmente trasmessa alle con
troparti sindacali.
Art. 14.
1. La commissione regionale per l'impiego, ricevuta la comunicazione di cui all'articolo 13, comma 4, qualora non sia stato raggiunto l'accor
do, convoca le parti al fine di un ulteriore esame delle cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza di manodopera, delle eventuali pos sibilità di diversa utilizzazione del personale eccedentario nell'ambito del la stessa impresa, nonché per cercare soluzioni ai problemi posti dai licenziamenti collettivi progettati.
2. L'impresa è tenuta a fornire tempestivamente alla commissione re
gionale per l'impiego, su richiesta di questa ultima, ogni informazione utile ai fini dell'esame di cui al comma 1.
3. Nel caso in cui non sia stato raggiunto l'accordo, l'impresa può procedere alla intimazione dei licenziamenti quando siano trascorsi trenta
giorni dalla data del ricevimento, da parte della commissione regionale per l'impiego, della comunicazione di cui all'articolo 13, comma 4.
4. Quando vi sia ragione di ritenere che i problemi posti dai licenzia menti collettivi progettati non possano essere risolti nel termine di cui al comma 3, la commissione regionale per l'impiego può prorogare il
predetto termine per un periodo non superiore a trenta giorni, dandone comunicazione all'impresa prima della sua scadenza.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rilevato che tale circostanza avrebbe, peraltro, avuto rilevanza
solo ai fini delle conseguenze che una eventuale illegittimità del
licenziamento avrebbe potuto esplicare, affermava che al caso di
specie non si rendeva applicabile la normativa di cui all'art. 7,
1°, 2° e 3° comma, 1. 300 del 1970, perché l'infrazione addebita
ta al lavoratore non era stata perseguita con il licenziamento di
sciplinare, in relazione al quale il datore di lavoro sarebbe stato
obbligato ad osservare la procedura garantista. Riteneva, in con
seguenza, che la legittimità del provvedimento espulsivo andava
riscontrata alla stregua dell'art. 2119 c.c.: e poiché l'arbitrarietà
del comportamento tenuto dal lavoratore, che aveva prevaricato i poteri contrattualmente attribuiti al datore di lavoro in ordine
Art. 15.
1. L'impresa, nella identificazione dei lavoratori da licenziare, dovrà
tener conto dei seguenti criteri in concorso tra loro: esigenze tecniche
e produttive, anzianità, carichi di famiglia.
Art. 16.
1. Nel caso in cui il progetto di licenziamento collettivo riguardi unità
produttive dislocate in province di differenti regioni le comunicazioni di
cui all'articolo 13, commi 1 e 4, vanno fatte rispettivamente al Ministero
del lavoro e della previdenza sociale e alla Commissione centrale per
l'impiego.
Art. 17.
1. Ove l'impresa proceda, entro un anno dalla data di attuazione dei
licenziamenti, a nuove assunzioni nelle mansioni o specialità proprie dei
lavoratori già licenziati, questi avranno diritto ad essere riassunti; la rias
sunzione avverrà con i criteri obiettivi di precedenza in ordine inverso
a quello in base al quale furono esperiti i licenziamenti.
Art. 18.
1. Il presente titolo non si applica:
a) ai licenziamenti effettuati per scadenza dei rapporti regolati con con
tratto a termine, nonché a quelli per fine lavoro nelle costruzioni edili
e nelle attività stagionali o saltuarie;
b) alle imprese di navigazione per il personale navigante;
e) ai licenziamenti dei lavoratori addetti alle attività che cessino per effetto di decisione dell'autorità giudiziaria ovvero di provvedimento del
l'autorità amministrativa.
Art. 19.
1. Il licenziamento intimato per le ragioni di cui al comma 1 dell'arti
colo 13 in violazione della procedura prevista nel presente titolo o in
violazione dei criteri previsti dall'articolo 15 è considerato privo di giusti ficato motivo.
Titolo III
Dell'attività sindacale
Art. 20.
1. Delegati sindacali interaziendali, per zona o altri ambiti territoriali
definiti nei contratti collettivi o accordi sindacali, possono essere nomina
ti ad iniziativa dei lavoratori interessati, nell'ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappre sentative sul piano nazionale;
b) delle associazioni non affiliate alle predette confederazioni che siano
firmatarie dei contratti collettivi nazionali e provinciali applicati all'impresa. 2. I predetti delegati possono essere nominati direttamente anche dalle
associazioni di cui al comma 1.
3. Modalità per le elezioni dei delegati sindacali interaziendali possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.
Art. 21.
1. Per l'espletamento del proprio mandato, il delegato sindacale intera
ziendale ha diritto a permessi retribuiti.
Il Foro Italiano — 1989.
alla distribuzione del periodo feriale, configurava giusta causa, confermava la validità del licenziamento.
Tale sentenza viene gravata di ricorso a questa corte dal Ven
trella che svolge tre motivi di annullamento, cui la società Borghi
spedizioni resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo il Ventrella de
nunzia la violazione dell'art. 7 1. 300 del 1970 dal tribunale rite
nuto, ma erroneamente, inapplicabile al licenziamento intimatogli, senza che l'addebito gli fosse stato preventivamente contestato
e senza che gli fosse stato concesso il termine a difesa; esso ricor
rente ritiene che, pur potendo ipotizzarsi la non necessaria affis
sione del codice disciplinare, resta indiscutibile la nullità del
2. Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro, tali
permessi non possono essere inferiori a tre ore all'anno per ciascun di
pendente dell'impresa o del gruppo di imprese, per le quali si procede alla nomina del delegato interaziendale, e non possono superare il limite di duecento ore annue.
3. Gli oneri derivanti dai permessi per il delegato interaziendale sono
ripartiti secondo modalità stabilite dai contratti collettivi tra le imprese interessate, in proporzione del numero dei dipendenti di ciascuna impresa.
4. Ulteriori modalità per l'espletamento del mandato da parte del dele
gato sindacale interaziendale possono essere stabilite dai contratto collet tivi o dagli accordi sindacali.
5. Ai fini del calcolo dei permessi retribuiti di cui ai commi 1, 2 e
3, si computano anche i lavoratori a domicilio, ai sensi della legge 18
dicembre 1973, n. 877, come modificata dalla legge 16 dicembre 1980, n. 858.
6. Gli stessi lavoratori a domicilio possono partecipare alla nomina del delegato sindacale interaziendale e alle riunioni di cui all'articolo 22, con i diritti da questo definiti.
Art. 22.
1. I lavoratori hanno diritto di riunirsi durante l'orario di lavoro nei limiti di dieci ore annue, per le quali sarà corrisposta la retribuzione de
terminata secondo i criteri dell'articolo 2121 del codice civile. Tali riunio ni si svolgeranno fuori dei luoghi di lavoro, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, anche aziendale.
2. Le riunioni sono indette dal delegato sindacale interaziendale, con
ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro.
Art. 23.
1. L'imprenditore ha l'obbligo di provvedere alla trattenuta delle quote sindacali nei confronti dei dipendenti che ne effettueranno la richiesta, con modalità che assicurino la segretezza del versamento effettuato dal
lavoratore a ciascuna associazione sindacale.
Art. 24.
1. Le disposizioni del presente titolo si applicano alle unità produttive di cui ai commi primo e secondo dell'articolo 35 della legge 20 maggio
1970, n. 300, come modificato dall'articolo 25 della presente legge, che
occupino più di tre e fino a quindici dipendenti e che appartengano ad
imprese non artigiane.
Art. 25.
1. Il primo e il secondo comma dell'articolo 35 della legge 20 maggio
1970, n. 300, sono sostituiti dai seguenti: «Le disposizioni del titolo III, ad eccezione del primo comma dell'arti
colo 27 della presente legge, si applicano a ciascuna sede, stabilimento,
filiale, ufficio e reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti. Le norme suddette si applicano, altresì', ai datori di lavoro che nell'am
bito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti anche se
ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali
limiti».
Titolo IV
Disposizioni varie e generali
Art. 26
1. All'articolo 2941 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente numero:
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2255 PARTE PRIMA 2256
provvedimento per la violazione delle altre norme della procedu
ra garantista. Al fine di rilevare la fondatezza delle censure prospettate nel
mezzo in esame sarà sufficiente rilevare che, alla stregua della
più recente giurisprudenza di questa corte (sez. un. n. 4823 del
1° giugno 1987, Foro it., 1987, I, 2032) che ha fatto proprio
l'orientamento assunto dalla Corte costituzionale con la decisione
n. 204 del 1982 (id., 1982, I, 2981) anche il licenziamento per
giusta causa può, a volte, assumere la connotazione del licenzia
mento disciplinare, con la conseguenza che esso, ai fini della ope
ratività delle garanzie di cui al 2° ed al 3° comma dell'art. 7
1. 300 del 1970, ancorché non annoverato tra le sanzioni disci
«9) tra prestatore di lavoro subordinato e datore di lavoro, in costanza
di rapporto di lavoro».
2. Dopo l'articolo 2948 del codice civile è aggiunto il seguente: «Art. 2948-bis - (Prescrizione in materia di lavoro subordinato). - 1
diritti del prestatore di lavoro subordinato si estinguono per prescrizione
in un anno dalla data di cessazione del rapporto».
Art. 27.
1. Le norme della presente legge contenenti la individuazione del nu
mero dei lavoratori dipendenti fanno riferimento ai prestatori di lavoro
occupati con contratto di lavoro a tempo indeterminato al momento del
l'intimazione del licenziamento, nonché ai prestatori di lavoro con con
tratto a termine, di formazione e lavoro e di apprendistato, in misura
non superiore al venti per cento di essi.
2. I lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessi
vo dei lavoratori di cui al comma 1 in proporzione dell'orario svolto
riferito alle ore lavorative ordinarie effettuate nell'azienda, con arroton
damento all'unità delle frazioni di orario superiori alla metà di quello
normale.
Art. 28.
1. Sono abrogati: la legge 15 luglio 1966, n. 604, l'articolo 18 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, il numero 5) dell'articolo 2948 del codice
civile, il numero 2) dell'articolo 2955 del codice civile, il numero 1) del
l'articolo 2956 del codice civile, nonché ogni altra disposizione contraria
o incompatibile con quelle della presente legge.
II
Norme sulla tutela dei lavoratori della piccola impresa, sulla cassa inte
grazione guadagni e sui licenziamenti (proposta di legge nn, 2324 A.S.
d'iniziativa dei senatori Ghezzi, Bassolino ed altri).
Art. 1.
(Reintegrazione nel posto di lavoro).
1. Le disposizioni di cui all'articolo 18 della legge 20 maggio 1970,
n. 300, si applicano nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori e
non imprenditori, che occupino alle loro dipendenze più di quindici pre
statori di lavoro, e dei datori di lavoro imprenditori agricoli che occupino
più di cinque prestatori di lavoro.
2. Ai fini del computo del limite occupazionale di cui al comma 1,
si tiene conto, oltre che dei lavoratori subordinati assunti con un contrat
to a tempo indeterminato, anche dei lavoratori assunti con contratto di
formazione e lavoro, o con contratto di lavoro a termine di durata supe
riore a sei mesi, degli apprendisti quando siano decorsi sei mesi dall'ini
zio del rapporto di apprendistato, dei lavoratori a domicilio utilizzati in
modo continuativo, nonché degli agenti che svolgono personalmente, e
senza lavoratori alle proprie dipendenze, la loro attività esclusivamente
per l'impresa preponente. 3. L'articolo 11 primo comma della legge 15 luglio 1966, n. 604, è
abrogato. 4. Nel primo comma dell'articolo 35 della legge 20 maggio 1970, n.
300, le parole: «dell'articolo 18 e», sono soppresse. 5. Sono fatte salve le disposizioni dei contratti collettivi e accordi sin
dacali che contengano previsioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Art. 2.
(Riassunzione o risarcimento del danno).
1. I datori di lavoro, imprenditori non agricoli e non imprenditori, che occupino alle loro dipendenze almeno cinque e meno di sedici lavora
li. Foro Italiano — 1989.
plinari contemplate nel regolamento d'impresa, non può essere
sottratto, allorché si concretizzi in un infrazione dell'ordinamen
to aziendale, alla procedura garantista che comporta la preventi
va contestazione dell'addebito e l'osservanza del termine a difesa,
non avendo rilevanza, a tali fini, che presso l'unità produttiva
siano occupati meno di quindici dipendenti. Deve, invero, escludersi che la procedura garantista, attesa la
forza espansiva delle inderogabili norme innanzi richiamate, pos
sa essere negata al lavoratore in considerazione della sua sola
appartenenza ad una unità produttiva delle suddette dimensioni;
la tutela del lavoratore incolpato, che in ogni caso deve essere
messo in condizioni di esercitare il diritto di difesa, prescinde,
tori computati con il criterio di cui al comma 2 dell'articolo 1, sono sog
getti all'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 15 luglio 1966,
n. 604. 2. L'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
«Art. 8-1. Quando risulti acertato che non ricorrono gli estremi del
licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro
è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni
o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo
compreso tra un minimo di cinque e un massimo di quindici mensilità
dell'ultima retribuzione, avuto riguardo all'anzianità del prestatore di la
voro e al comportamento delle parti. 2. La misura massima di tale indennità è ridotta a dieci mensilità per
il prestatore di lavoro con anzianità inferiore a trenta mesi e può essere
maggiorata fino a diciotto mensilità per il prestatore di lavoro con anzia
nità superiore a venti anni.
3. Ove il datore di lavoro, nel termine di cui sopra, proceda alla rias
sunzione, è dovuto al lavoratore l'importo delle retribuzioni effettiva
mente perdute dal giorno della domanda».
3. Sono fatte salve le disposizioni dei contratti collettivi e accordi sin
dacali che contengano previsioni più favorevoli ai lavoratori.
Art. 3.
(Tentativo obbligatorio di conciliazione).
1. La domanda in giudizio richiamata dall'articolo 2 non può essere
proposta se non è preceduta dalla richiesta di conciliazione avanzata di
fronte al collegio di conciliazione e arbitrato di cui al comma 2. L'impro
cedibilità è rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado di giudizio.
2. Il collegio di conciliazione e arbitrato di cui al comma 1 è stabilmen
te istituito, ad iniziativa della commissione regionale per l'impiego, pres
so le commissioni circoscrizionali per l'impiego, ed è composto dal
responsabile della relativa sezione o da un suo delegato in qualità di pre
sidente, nonché da un rappresentante effettivo e da uno supplente dei
datori di lavoro e da un rappresentante effettivo e da uno supplente dei
lavoratori, designati dai sindacati locali aderenti alle organizzazioni sin
dacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, cui le parti sia
no iscritte o conferiscano mandato. Collegi territoriali del medesimo tipo
possono essere istituiti con le stesse modalità, previo parere della com
missione circoscrizionale per l'impiego e con la medesima composizione, anche presso i recapiti periodici di cui all'articolo 1, comma 3, della legge
28 febbraio 1987, n. 56.
3. Il collegio di conciliazione e arbitrato, ricevuta la richiesta di conci
liazione, convoca le parti per una prima riunione da tenersi non oltre
dieci giorni dal ricevimento della stessa. La comunicazione al datore di
lavoro della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di con
ciliazione, in qualsiasi modo avvenuta nel termine di cui all'articolo 6
della legge 15 luglio 1966, n. 604, impedisce la decadenza sancita dalla
medesima norma.
4. Se le parti si conciliano, viene redatto un processo verbale secondo
le modalità e con gli effetti previsti dal primo e dal secondo comma del
l'articolo 411 del codice di procedura civile e trova applicazione il quarto
comma dell'articolo 2113 del codice civile.
5. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, le parti pos
sono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale
deferito al medesimo collegio. Ove ciò non avvenga, ovvero quando il
tentativo di conciliazione non sia stato iniziato per carenza di iscrizione
o di mandato ai sindacati di cui al comma 2, o comunque siano decorsi
trenta giorni dalla sua richiesta senza che questa sia stata esaminata, le
parti possono adire l'autorità giudiziaria ordinaria. Il lavoratore può pa
rimenti adire l'autorità giudiziaria ordinaria, quando il datore di lavoro
non si presenti al collegio per la procedura di conciliazione nel termine
di cui al comma 3, o dichiari di non accettarla. Se il datore di lavoro
non si presenta o non accetta la procedura di conciliazione, l'efficacia
del licenziamento resta sospesa fino alla sentenza di primo grado del giu
dizio davanti l'autorità giudiziaria. 6. Ove il giudice rilevi l'improcedibilità della domanda ai sensi del comma
1, sospende il giudizio e fissa alle parti un termine per la proposizione
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
invero, dalle dimensioni dell'unità produttiva, sicché, ogni qual volta di licenziamento rinvenga la propria motivazione in una
mancanza o in una inadempienza del lavoratore, non assumibile
nell'area di fatti o di comportamenti perseguiti come illecito da
altre fonti dell'ordinamento, non può farsi a meno dall'osservare
le norme innanzi menzionate, che la 1. 300 del 1970 colloca tra
le norme protettive della dignità del lavoratore.
La dimensione dell'unità produttiva alla quale è addetto il la
voratore ha, invece, rilevanza ai fini degli effetti che scaturiscono
dalla pronuncia di nullità, di annullamento o di inefficacia del
licenziamento applicatogli, nel senso cioè che il lavoratore addet
to ad unità produttiva con meno di quindici dipendenti non ha
della richiesta del tentativo di conciliazione. 11 processo deve essere rias sunto a cura di una delle parti nel termine perentorio di centottanta gior ni che decorre dalla cessazione della causa della sospensione.
Art. 4.
(Potenzialità economica e capitale investito).
1. I datori di lavoro imprenditori il cui volume di affari degli ultimi tre anni determinato secondo la legislazione vigente in materia di imposta sul valore aggiunto abbia complessivamente raggiunto, nel triennio, i cin
que miliardi di lire, e che, al momento del licenziamento, risultino titolari di beni ammortizzabili, in base alle risultanze del registro dei beni am mortizzabili di cui all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repub blica 29 settembre 1973, n. 600, per un importo non inferiore a lire
300.000.000, o comunque utilizzino beni strumentali per detto importo minimo, sono soggetti all'applicazione dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, indipendentemente dal numero dei lavoratori occupati alle loro dipendenze.
Art. 5.
(Licenziamento discriminatorio).
1. Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi del
l'articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dell'articolo 15 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'articolo 13 della leg ge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione
addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'articolo 18 della legge 20
maggio 1970, n. 300. Al datore di lavoro che, in tal caso, non ottemperi all'ordine di reintegra, ancorché contenuto in un provvedimento non de
finitivo, si applica la sanzione di cui all'articolo 650 del codice penale.
Art. 6.
(Delegato interaziendale).
1. Per le imprese od unità produttive il cui livello occupazionale sia inferiore a quello previsto dall'articolo 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, ma nelle
quali siano occupati almeno cinque prestatori di lavoro, possono essere
nominati, ad iniziativa dei lavoratori e nell'ambito delle organizzazioni sindacali di cui all'articolo 19 lettere a) e b) della legge 20 maggio 1970, n. 300, delegati sindacali interaziendali per zone o per altri ambiti definiti
nei contratti o accordi collettivi, cui competono i compiti ed i diritti dei
dirigenti di rappresentanza sindacale aziendale. I delegati sindacali intera ziendali debbono essere dipendenti di una delle imprese interessate. Le
modalità da seguirsi per la loro elezione nonché per l'espletamento del loro mandato sono stabilite dai contratti o accordi collettivi, che stabili
scono anche la quantità minima e quella massima dei permessi retribuiti
loro spettanti. Gli oneri derivanti dai permessi per il delegato interazien
dale sono ripartiti tra le imprese interessate in proporzione al numero
dei dipendenti di ciascuna impresa, secondo modalità stabilite dai con
tratti collettivi. 2. I lavoratori delle imprese interessate hanno diritto di riunirsi durante
l'orario di lavoro nei limiti di dieci ore annue, per le quali viene corrispo sta la normale retribuzione. Tali riunioni si svolgono fuori dei luoghi di lavoro, secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi. Le riunioni
sono convocate dal delegato sindacale interaziendale con ordine del gior no su materie di interesse sindacale e del lavoro.
3. Ai fini del calcolo della soglia numerica e dei permessi retribuiti
di cui al comma 1, si computano anche i lavoratori a domicilio, ai sensi
della legge 18 dicembre 1973, n. 877, come modificata dalla legge 16
dicembre 1980, n. 858. Gli stessi lavoratori a domicilio partecipano alla
Il Foro Italiano — 1989.
diritto, in caso di pronuncia avente siffatto contenuto, alla rein
tegrazione nel posto di lavoro, ai sensi dell'art. 18 1. 300 del 1970, ma ha diritto, in presenza delle condizioni ipotizzate nell'art. 11
1. n. 604 del 1966, alla tutela prevista nell'art. 8 di essa legge
(sez. un., n. 5050 del 1985, id., 1985, I, 2876). Poiché nel caso di specie è risultato che il licenziamento, moti
vato da un comportamento del lavoratore confliggente con l'or
dinamento aziendale, ontologicamente configura, pur rientrando
nell'area della giusta causa, un licenziamento disciplinare, in re
lazione al quale doveva essere applicata da parte del datore di
lavoro — che non lo ha fatto — la procedura garantista di cui
si è discusso, la sentenza che di tale procedura ha ritenuto l'irrile
nomina del delegato sindacale interaziendale ed alle riunioni di cui al comma 2.
4. Il delegato sindacale interaziendale gode della tutela contro i licen ziamenti ingiustificati di cui al quarto, quinto, sesto e settimo comma dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e di quella in tema di trasferimenti disposta dall'articolo 22 della stessa legge.
5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 26 della legge 20 mag gio 1970, n. 300, l'imprenditore deve comunque provvedere alla trattenu ta delle quote sindacali nei confronti dei dipendenti che ne effettuino la richiesta, con modalità tali da assicurare la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna organizzazione sindacale.
6. Sono fatte salve le disposizioni dei contratti ed accordi collettivi che contengano previsioni più favorevoli ai prestatori di lavoro. I medesi mi contratti possono prevedere anche la nomina di delegati sindacali azien
dali, ad iniziativa dei lavoratori, per le imprese in cui siano occupati da
cinque a quindici prestatori di lavoro. Ai delegati sindacali aziendali cosi nominati spettano i compiti e competono le garanzie di cui ai commi
precedenti.
Art. 7.
(Imprese di gruppo e influenza dominante).
1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 trovano applicazione anche in favore dei lavoratori occupati in imprese aventi il medesimo oggetto od oggetto analogo, quando si tratti, al momento del licenziamento, di
imprese direttamente o indirettamente controllanti, o di imprese diretta mente o indirettamente controllate, ovvero di imprese comunque sottopo ste alla stessa direzione o al potere decisionale, seppure eventualmente esercitato per interposta persona, di uno stesso detentore o gruppo di detentori dei capitali, delle macchine e delle attrezzature prevalentemente in esse impiegate, ancorché nella singola impresa licenziante non sussista
no i requisiti occupazionali previsti negli articoli medesimi, purché co
munque sussistano nell'insieme delle imprese considerate.
Art. 8.
(Interposizione e comando).
1. Ferme restando le previsioni di cui agli articoli 1 e 2 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, il comando o distacco del prestatore di lavoro
presso altro imprenditore è consentito su accordo delle parti, risultante da atto scritto e con l'eventuale assistenza delle organizzazioni sindacali, solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive di natu ra transitoria e per periodi temporali predeterminati. Il lavoratore conser va ogni diritto discendente dal contratto di lavoro nei confronti
dell'imprenditore che ha proposto il comando o distacco, salva la respon sabilità solidale dell'imprenditore che ha fruito delle sue prestazioni per 1 trattamenti economici e normativi ad esse corrispondenti e per l'adem
pimento degli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e assistenza. 2. In caso di comando o distacco disposto in violazione delle disposi
zioni previste nel comma 1 si applicano le sanzioni di cui all'articolo 2 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369; l'ammenda prevista dallo stesso
articolo è elevata a lire 100.000 per ogni lavoratore occupato e per ogni
giornata di occupazione.
Art. 9.
(Subappalti).
1. L'appaltatore di opere o di servizi che, indipendentemente dalla qualità
privata o pubblica dell'appaltante, subappalta in tutto o in parte l'esecu
zione delle opere o del servizio, è responsabile nei confronti dei dipenden ti del subappaltatore per la corresponsione di un trattamento retributivo
e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi del
settore e della zona cui appartiene l'impresa subappaltatrice, nonché per
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2259 PARTE PRIMA 2260
vanza sotto il profilo che la giusta causa avrebbe esonerato il
datore di lavoro dall'obbligo di osservare le norme inderogabili di cui al 2° ed al 3° comma dell'art. 7 1. 300 del 1970, deve
essere, sul punto, cassata, con rinvio della causa ad altro giudice che si uniformerà ai principi di diritto innanzi enunciati e provve derà anche in ordine alle spese del giudizio.
All'accoglimento dell'esaminato motivo di ricorso non è, inve
ro, di ostacolo l'assunto secondo il quale il Ventrella avrebbe
rinunziato al diritto di difesa, perché, a parte ogni riserva in or
dine alla prova ed alla validità della stessa (in merito alla quale non risulta, per altro, alcuna motivazione) la rinunzia all'eserci
zio di tale diritto presuppone la contestazione dell'addebito, non
essendo ipotizzabile una rinunzia alla difesa senza che vi sia stata
un'accusa formalmente contestata.
l'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e assistenza e per l'approntamento delle misure di sicurezza e delle cautele antinfortunistiche.
Art. 10.
(Decentramento produttivo).
1. Nei contratti aventi ad oggetto l'esecuzione di opere o di servizi o la produzione di beni o semilavorati costituenti oggetto dell'attività pro duttiva o commerciale dell'impresa committente, l'imprenditore commit tente è tenuto ad inserire una clausola di rispetto, da parte dell'imprenditore che riceve le commesse, di trattamenti economici e normativi nei con fronti dei dipendenti di quest'ultimo non inferiori a quelli dovuti per legge o risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona cui appartiene lo stesso imprenditore destinatario delle commesse.
2. La clausola di cui al comma 1 è di diritto inserita nel contratto anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti. La me desima clausola spiega effetti anche nei confronti dei lavoratori ai sensi dell'articolo 1411 del codice civile. Ogni patto od eccezione ed ogni di chiarazione in contrario è nulla.
3. Quando l'esecuzione di opere o di servizi o la produzione di beni o semilavorati costituenti oggetto dell'attività produttiva o commerciale
dell'impresa committente dipende, per oltre il venti per cento, da com messe di lavoro affidate ad altre imprese, l'impresa o le imprese destina tarie delle commesse, confermano, nel contratto che le ha ad oggetto, l'osservanza degli obblighi imposti dalle leggi previdenziali ed assistenziali.
4. Nelle ipotesi di cui al comma 3, il contratto ivi previsto è comunque annullabile ove a carico dell'impresa o delle imprese che ricevono le com messe siano accertate violazioni degli obblighi imposti dalle leggi previ denziali ed assistenziali. La domanda di annullamento è proposta dalla commissione regionale per l'impiego territorialmente competente, su de nunzia dell'istituto previdenziale od assistenziale ovvero dei sindacati lo cali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, entro un anno dalla denunzia stessa. Ferma restando
ogni altra eventuale sanzione di ordine amministrativo e penale, i lavora tori interessati conservano il diritto alle prestazioni derivanti dagli obbli ghi inevasi, e gli istituti previdenziali e assistenziali agiscono in regresso per i contributi non prescritti nei confronti dell'impresa o delle imprese inadempienti.
5. La medesima disciplina si applica anche quando le commesse di la voro, nella percentuale di cui al comma 3, provengano da imprese tra le quali intercorrono i rapporti di cui all'articolo 7.
6. Le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 di applicano anche ai con tratti di vendita o di somministrazione di beni o semilavorati oggetto dell'attività produttiva o commerciale dell'impresa acquirente o sommini
strata, quando essi concorrono ad integrare la percentuale di lavoro esterno affidata da questa nella misura prevista dal comma 3.
Art. 11.
(Importo apparente del prospetto paga).
1. 11 datore di lavoro che, indipendemente dal numero dei suoi dipen denti, con artifizi o raggiri o con minaccia di risoluzione, sospensione o altra modificazione del rapporto di lavoro, corrisponda al dipendente una retribuzione inferiore a quella risultante dal prospetto paga di cui alla legge 5 gennaio 1953, n. 4, ottenendo quietanza per il maggior im
porto apparente, è tenuto a corrispondere al lavoratore il quintuplo della differenza tra il quietanzato ed il corrisposto, dalla costituzione del rap porto di lavoro, o comunque da quando l'illecito si è consumato o ha avuto inizio, fino alla domanda giudiziale.
2. Resta ferma ogni altra eventuale sanzione di ordine amministrativo e penale.
Il Foro Italiano — 1989.
Nell'accoglimento di tale motivo restano, poi, assorbite le cen
sure esposte nel terzo mezzo, perché, una volta annullata la sen
tenza impugnata per le ragioni già enunciate, la valutazione della
gravità della giusta causa non è più rilevante ai fini della decisione.
Con il secondo mezzo esso Ventrella denunzia omessa ed insuf
ficiente motivazione su punto decisivo della controversia costitui
to dalla (contestata) sua appartenenza alla unità produttiva di
Pomezia; lamenta il ricorrente che il giudice dell'appello non avreb
be adeguatamente apprezzato il materiale probatorio offerto al
fine di dimostrare che egli era assegnato in organico alla sede di Roma dalla quale era stato distaccato, per motivi di carattere
sindacale, alla sede di Pomezia.
Le censure innanzi esposte sono inammissibili.
Il tribunale, con accertamento di fatto logicamente motivato
Art. 12.
(Integrazione salariale).
1. Agli operai ed impiegati dipendenti da imprese artigiane iscritte al l'albo di cui all'articolo 5 della legge 8 agosto 1985, n. 443, con almeno tre dipendenti assunti a tempo indeterminato, che siano sospesi dal lavo ro o effettuino lavoro a orario ridotto, è dovuta l'integrazione salariale ordinaria nei casi previsti dal numero 1) dell'articolo 1 della legge 20
maggio 1975, n. 164 e l'integrazione salariale straordinaria nelle ipotesi di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo.
2. Sono esclusi dall'integrazione sia ordinaria che straordinaria i dipen denti delle imprese del settore trasporti, di quelle che in qualsiasi forma
esplichino attività di servizi igienici e alla persona, di quelle che già frui scono di istituti equivalenti.
3. Restano esclusi dalle integrazioni sia ordinaria che straordinaria i
dipendenti con anzianità di lavoro presso la medesima impresa inferiore a dodici mesi nell'arco degli ultimi ventiquattro.
4. L'integrazione salariale straordinaria è dovuta agli operai e agli im
piegati dipendenti da imprese artigiane quando la sospensione o contra zione dell'attività dell'impresa artigiana sia comunque determinata da
sospensioni o contrazioni dell'attività dell'impresa che esercita l'influsso
gestionale prevalente ai sensi del comma 5, per le quali quest'ultima sia stata ammessa all'integrazione salariale straordinaria ai sensi del numero
2) dell'articolo 1 della legge 20 maggio 1975, n. 164, nonché dell'articolo 2, quinto comma, lettera Q della legge 12 agosto 1975, n. 675.
5. Si ha influenza gestionale prevalente, ai fini di cui al comma 4, quando, nei contratti aventi ad oggetto l'esecuzione di opere o di servizi o la produzione di beni o semilavorati costituenti oggetto dell'attività pro duttiva o commerciale dell'impresa committente, la somma dei corrispet tivi risultanti dalle fatture emesse dall'impresa destinataria delle commesse nei confronti dell'impresa committente, acquirente o somministrata abbia
superato, nell'ultimo anno, secondo quanto emerge dall'elenco dei clienti e fornitori di cui all'articolo 29 del decreto del Presidente della Repubbli ca 26 ottobre 1972, n. 633, come da ultimo sostituito dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1980, n. 897, il cinquanta per cento del complessivo fatturato dell'impresa destinataria.
Art. 13.
(Misura e modalità
dell'integrazione salariale).
1. Le integrazioni salariali di cui alla presente legge sono dovute, per ciascun intervento, nelle misure e con le durate previste nell'industria.
2. La misura dell'integrazione salariale ordinaria e straordinaria di cui alla presente legge non può superare, sia per gli operai che per gli impie gati, quella prevista dalla legge 13 agosto 1980, n. 427, e successive modi ficazioni ed integrazioni.
3. Per l'ammissione al trattamento di integrazione salariale sia ordina ria che straordinaria, di cui alla presente legge, le imprese artigiane deb bono applicare la procedura di consultazione sindacale prevista dall'articolo 5 della legge 20 maggio 1975, n. 164, da esperire, in quanto vi aderiscano o conferiscano loro mandato, tramite le associazioni artigiane e nei con fronti delle associazioni sindacali di cui al comma 6, nonché nei confronti del delegato di cui all'articolo 6.
4. Per l'ammissione al trattamento di integrazione salariale sia ordina ria che straordinaria, di cui alla presente legge, si applica il procedimento previsto dall'articolo 7 della legge 20 maggio 1975, n. 164.
5. Per provvedere alla corresponsione dell'integrazione salariale ordi naria prevista dalla presente legge è istituita, in seno alla Cassa per l'inte grazione dei guadagni degli operai dell'industria di cui all'articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 788 e successive modificazioni e integrazioni, una gestione speciale per i dipendenti del l'artigianato, avente contabilità separata delle prestazioni e dei contribu ti. Essa è amministrata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale che
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
e sorretto dagli elementi di prova che esso giudice ha valorizzato
in rapporto alla rilevanza della circostanza esaminata, ha escluso
che il Ventrella fosse stato distaccato dalla sede di Roma presso la filiale di Latina: esso giudice ha, inoltre, escluso che si fosse
trattato di un distacco, perché la destinazione del Ventrella alla
unità produttiva di Pomezia aveva avuto il carattere della defini
tività ed ha, infine, escluso che tale destinazione fosse stata moti
vata da ragioni di indole sindacale.
Poiché dette censure impongono in un accertamento di fatto
che la sufficienza e la logicità della motivazione rendono insinda
cabile in sede di legittimità, il dedotto mezzo deve essere dichia
rato inammissibile.
vi provvede con i suoi organi centrali e periferici secondo la normativa
prevista per i suoi organi d'amministrazione. 6. L'integrazione salariale ordinaria di cui alla presente legge è disposta
con provvedimento delle commissioni provinciali previste dall'articolo 8 della legge 20 maggio 1975, n. 164, e successive modificazioni ed integra zioni; a tal fine i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro,
previsti da tale articolo, sono designati rispettivamente dalle associazioni
sindacali di categoria più rappresentative operanti nella provincia e dalle associazioni dei datori di lavoro dell'artigianato firmatarie dei contratti nazionali di categoria.
7. Avverso i provvedimenti negativi delle commissioni provinciali di cui al comma 6 è ammesso ricorso, secondo quanto dispone l'articolo 9 della legge 20 maggio 1975, n. 164, al comitato speciale di cui all'arti
colo 7 del decreto legislativo luogoteneziale 9 novembre 1945, n. 788; a tal fine i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, previsti da tale articolo, sono designati dalle rispettive associazioni sindacali più
rappresentative firmatarie dei contratti nazionali di categoria. 8. Ferma restando la disciplina del pagamento diretto dell'integrazione
straordinaria prevista dall'articolo 5 del decreto-legge 30 marzo 1978, n.
80, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 1978, n. 215, nei casi di integrazione salariale ordinaria, di cui alla presente legge, le
commissioni provinciali di cui al comma 6 possono disporre, in caso di
comprovata carenza di liquidità dell'impresa artigiana, il pagamento di
retto ai lavoratori da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale
delle relative prestazioni, con i connessi assegni familiari ove spettanti. 9. L'integrazione salariale ordinaria, disciplinata dalla presente legge,
è alimentata dai contributi previsti dai numeri 1 e 2 dell'articolo 12 della
legge 20 maggio 1975, n. 164, e successive modificazioni ed integrazioni.
L'equilibrio della gestione è assicurato sulla base delle risultanze di bilan
cio della gestione speciale per l'artigianato, di cui al comma 5 del presen te articolo.
10. Alla disciplina delle integrazioni salariali di cui alla presente legge si applica, in quanto compatibile, la disciplina della Cassa per l'integra zione dei guadagni e della garanzia del salario prevista per l'industria.
11. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 1 della legge 2 febbraio
1970, n. 14 e dall'articolo 1, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1085, nonché dai provvedimenti emanati in seguito a catastrofi e cala
mità naturali. 12. Ai maggiori oneri derivanti dall'applicazione del comma 4 dell'arti
colo 12 della presente legge, stimati in lire 500 miliardi a partire dall'eser
cizio 1988, si provvede mediante riduzione di lire 100 miliardi dello
stanziamento di cui al capitolo 4011 dello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa per il 1988 e successive proiezioni, e di lire
200 miliardi degli stanziamenti iscritti in ciascuno dei capitoli 4031 e 4051
dello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa per l'anno 1988 e successive proiezioni.
Ili
Proposta Cgil-Cisl-Uil per una iniziativa legislativa a tutela dei lavoratori
delle piccole imprese
Art. 1
Il licenziamento non comunicato per iscritto è nullo. È altresì nullo — qualunque sia il numero dei dipendenti del datore di lavoro — il licen
ziamento discrimatorio ai sensi dell'art. 15 della legge 20 maggio 1970
n. 300.
Le disposizioni di cui ai seguenti commi trovano applicazione in tutte
le imprese cui non siano applicabili le disposizioni sui licenziamenti indi
viduali previste dalla legge 15 luglio 1966 n. 604 nonché dalla legge 20
maggio 1970 n. 300. Entro 10 giorni dalla comunicazione del licenziamento, l'associazione
sindacale, alla quale il lavoratore aderisce o conferisce mandato, può pro muovere un tentativo facoltativo di conciliazione secondo le procedure
previste dai contratti collettivi.
Ove tali procedure manchino, il tentativo di conciliazione potrà essere
Il Foro Italiano — 1989.
II
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 7 1.
n. 300 del 1970 ed argomenta, anche in base al canone di coeren
za propugnato dalla sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 della
Corte costituzionale (Foro it., 1982, I, 2981), interpretativa di
accoglimento della questione di costituzionalità dell'art. 7 1. n.
300 del 1970, che non possono sussistere dubbi sulla identità fra
licenziamento disciplinare e licenziamento per mancanza a niente
rilevando l'inserimento o meno del licenziamento fra le sanzioni
disciplinari ai fini qualificatori, poiché ciò che conta e che è suf
effettuato presso la Commissione di conciliazione di cui all'art. 410 codi
ce di procedura civile.
Qualora il tentativo di conciliazione non abbia esito positivo il lavora tore senza pregiudizi della sua facoltà di adire l'autorità giudiziaria nei casi di nullità del licenziamento, può richiedere al datore di lavoro, per il tramite dell'associazione sindacale cui conferisca mandato, di rimettere ad un arbitrato irrituale la decisione secondo equità sulla revoca del licen ziamento o sul mantenimento dello stesso, con eventuale corresponsione di indennità nelle misure previste dai commi 11, 12 e 14 del presente articolo.
La richiesta di cui al precedente comma deve essere avanzata entro 10 giorni dall'esito negativo del tentativo di conciliazione.
Salvo diverse procedure arbitrali fissate dalla contrattazione collettiva, ai fini dell'intervento del collegio arbitrale il lavoratore ed il datore di lavoro entro 10 giorni dalla richiesta di arbitrato nominano un arbitro
per parte oltre ad un terzo arbitro. In caso di disaccordo sulla nomina
di quest'ultimo, lo stesso è prescelto, se le parti sono concordi, mediante
sorteggio tra i nominativi compresi in una lista di nomi concordata tra
le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori
maggiormente rappresentative a livello nazionale. Qualora non vi sia ac
cordo per il sorteggio, su richiesta anche di una sola parte il terzo arbitro
è designato dal pretore, in funzione di giudice del lavoro, competente ai sensi dell'articolo 413 del codice di procedura civile.
Il collegio arbitrale può, con il lodo, revocare il licenziamento con effi
cacia dal momento del rientro in servizio del lavoratore che è tenuto ad
offrire la sua prestazione lavorativa entro 10 giorni dalla comunicazione
del provvedimento del collegio. In tal caso il collegio, con il lodo, dichiara tenuto il datore di lavoro
a corrispondere al lavoratore l'importo delle retribuzioni perdute nel pe riodo di tempo intercorso tra il licenziamento e il giorno di emanazione
del lodo, e determina una somma ulteriore dovuta al lavoratore per l'ipo tesi di sua mancata riammissione al lavoro, in un importo compreso tra
1 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione, riferita all'anzianità di servizio
del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti, alla dimensione dell'impresa.
Il collegio può, viceversa, confermare il licenziamento e in tal caso
può sia escludere il pagamento di ogni indennità, sia, considerati i motivi
del licenziamento, disporlo in un importo compreso tra 1 e 12 mensilità
dell'ultima retribuzione. Ove non vi sia diverso accordo tra le parti, con
11 lodo viene anche determinata la ripartizione degli oneri relativi alle
spese e al compenso degli arbitri.
Nei soli casi in cui il datore di lavoro non abbia aderito alla richiesta
di arbitrato o successivamente ne abbia di fatto reso impossibile l'espleta mento o la conclusione, il pretore in funzione di giudice del lavoro, com
petente ai sensi dell'art. 413 del codice di procedura civile, accerta se
ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa ai sensi dell'art.
2119 del codice civile o per giustificato motivo ai sensi dell'art. 3 della
legge 15 luglio 1966 n. 604.
Qualora nella memoria difensiva il convenuto eccepisca di non aver
impedito l'arbitrato, competerà al pretore accertare le cause del mancato
espletamento dell'arbitrato stesso. L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustifica
to motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro. Quando risulti ac
certato che non ricorrono tali estremi, il datore di lavoro è tenuto a
riammettere il dipendente nel posto di lavoro entro il termine di 3 giorni
o, in mancanza, a risarcire il danno versando una indennità da un mini
mo di 5 a un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione, riferita
all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento, alle
condizioni delle parti, e alla dimensione dell'impresa. La misura può essere maggiorata sino a 24 mensilità per i prestarori
di lavoro con anzianità superiore ai 20 anni.
Art. 2
Per le imprese il cui livello occupazionale, compresi gli apprendisti e
i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, sia inferiore
a quello previsto dall'art. 35 della legge 20 maggio 1970 n. 300, possono
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2263 PARTE PRIMA 2264
fidente a far scattare le garanzie di cui all'art. 7 è la causa del
licenziamento configurata come punizione di una mancanza.
Rileva inoltre che, in ogni caso, il ccnl per i dirigenti rinvian
do, con l'art. 31, alle norme collettive in vigore per gli impiegati di massima categoria per ciò che non è divesamente regolato ri
chiamerebbe l'art. 110, 2° comma, del ccnl 17 dicembre 1979
del settore commercio che afferma l'applicazione dell'art. 7 1.
300 del 1970 ai licenziamenti disciplinari. Il motivo non è fondato, ancorché, a norma dell'art. 384, cpv.,
c.p.c., debba essere corretta la motivazione della sentenza impu
gnata, nel senso che a tutti i licenziamenti per mancanza (c.d.
ontologicamente disciplinari) e, quindi, anche al licenziamento per
giusta causa, ove questa sia ravvisata nel comportamento del di
essere nominati dei rappresentanti di area o interaziendali, ad iniziativa
dei lavoratori, nell'ambito delle associazioni sindacali di cui all'art. 19
della stessa legge. I rappresentanti sindacali di cui al comma precedente sono nominati
per gli ambiti e con le modalità previsti dai contratti o accordi collettivi,
nazionali, o, in mancanza, per un insieme di imprese che complessiva mente occupino più di 15 dipendenti, e sono titolari dei compiti e diritti
previsti per i dirigenti di r.s.a., di cui all'art. 19 della legge 20 maggio 1970 n. 300.
II rappresentante sindacale può essere nominato sia tra soggetti estranei
alle imprese interessate sia tra i dipendenti di una di esse, e gode delle
tutele di cui all'art. 18 e all'art. 22 della legge 20 maggio 1970 n. 300.
Gli oneri derivanti dai permessi sindacali spettanti al rappresentante di cui ai commi precedenti, sono ripartiti tra le imprese interessate in
proporzione al numero dei dipendenti di ciascuna impresa e secondo le
modalità stabilite da accordi o contratti collettivi nazionali.
Art. 3
Il datore di lavoro che, con artifizi o raggiri o con minaccia di risolu
zione, sospensione o altra modificazione del rapporto di lavoro, corri
sponda al dipendente una retribuzione inferiore a quella risultante dal
prospetto paga di cui alla legge 5 gennaio 1953 n. 4, ottenendone quietan za per il maggior importo apparente, ovvero lo induca, con gli stessi
mezzi, alla parziale restituzione delle spettanze retributive erogate, è tenu to a corrispondere al lavoratore il quintuplo della differenza tra il quie tanzato e il corrisposto, dalla costituzione del rapporto di lavoro, o
comunque da quando l'illecito si è consumato o ha avuto inizio fino alla domanda giudiziale.
Resta ferma ogni altra eventuale sanzione di ordine amministrativo e
penale.
Art. 4
Nei capitolati di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, a servizi o a forniture, concessi da amministrazioni statali o da altri enti
pubblici deve essere inserita una clausola esplicita, con gli effetti di cui
all'art. 1411 del codice civile determinanti l'obbligo per l'appaltatore di
applicare e far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizio ni non inferiori a quelle previste da contratti collettivi nazionali di lavo
ro, o, se più favorevoli, da contratti provinciali ed aziendali. Tale obbligo deve essere osservato nella fase di realizzazione degli im
pianti o delle opere e di esecuzione dei servizi o forniture, ed altresì' in
quella successiva, ove l'imprenditore benefici di agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato o da enti pubblici e per la durata di
queste ultime. Ogni infrazione del suddetto obbligo che sia accertata dal
l'Ispettorato del lavoro viene comunicata immediatamente ai Ministri nel la cui amministrazione sia stata disposta la concessione dell'appalto, ovvero
agli altri enti pubblici, i quali adotteranno le opportune determinazioni e nei casi più gravi, o nel caso di recidiva, potranno decidere la esclusione del responsabile, per un tempo fino a 5 anni, da qualsiasi appalto.
L'erogazione di finanziamenti pubblici alle imprese, sotto forma di age volazioni creditizie, sovvenzioni, garanzie, sgravi contributivi, fiscalizza zione degli oneri sociali o diversi benefici, previsti da leggi statali o regionali, è sottoposta, indipendentemente dalla natura dell'ente erogatore, alla con dizione dell'applicazione, in favore dei dipendenti, dei contratti collettivi nazionali di lavoro, nonché, in quanto più favorevoli, dei contratti collet tivi provinciali ed aziendali, o comunque di un trattamento non inferiore a quello in essi previsto.
L'applicazione dei suddetti contratti collettivi, oltre a formare oggetto di esplicite clausole contrattuali o previdenziali, ove il beneficio sia con cesso sulla base di un contratto o di un provvedimento amministrativo, deve essere attestata da una dichiarazione dell'imprenditore o legale rap presentante dell'impresa, redatta nelle forme previste dalla legge 4 gen naio 1968 n. 15 per la dichiarazione sostitutiva di notorietà. In caso di dichiarazione mendace trovano applicazione le pene previste dall'art. 496
Il Foro Italiano — 1989.
pendente, sono applicabili le garanzie di cui all'art. 7, 1°, 2° e
3° comma, 1. n. 300 del 1970, in base ad una intepretazione con
forme ai principi costituzionali, come enunciato nella sentenza
n. 204 del 1982 della Corte costituzionale.
Tuttavia, la decisione è conforme al diritto poiché è stato ac
certato in fatto che il Mangolini, nonostante licenziato ex art.
2119 c.c., aveva avuto contestazione dell'addebito e la possibilità di esporre le sue difese.
del codice penale, e i finanziamenti o benefici vengono revocati fin dal
momento della loro concessione.
Copia delle dichiarazioni di cui al precedente comma deve essere invia
ta all'Ispettorato del lavoro territorialmente competente cui è fatto obbli
go di comunicare immediatamante l'accertamento di eventuali infrazioni
alle Amministrazioni ed Enti interessati all'erogazione dei finanziamenti
e, nel caso di dichiarazione mendace, all'Autorità giudiziaria, e deve esse
re altresì inviata alle Commissioni regionali per l'impiego competenti. Sono abrogate tutte le norme previste da leggi, anche regionali, in con
trasto con le disposizioni del presente articolo.
Art. 5
Possono tuttavia essere destinatari dei benefici e finanziamenti gli im
prenditori che, pur non applicando, al momento della entrata in vigore della presente legge, ai loro dipendenti i contratti collettivi, assumano
l'impegno alla graduale applicazione, in termine certo, dei contratti col lettivi vigenti e futuri.
Tale impegno è validamente assunto, ai fini del presente articolo, tra
mite contratti aziendali applicativi di accordi sindacali, da concludersi entro 24 mesi dall'entrata in vigore della presente legge, di livello nazio
nale o di livello territoriale, ma comunque stipulati congiuntamente, in
tale ipotesi, da sindacati e associazioni datoriali di categoria nazionali
e locali stipulanti del contratto collettivo. Ai fini della stipulazione dei contratti aziendali di cui al precedente
comma, gli imprenditori interessati sono tenuti a manifestare la loro vo lontaria adesione agli accordi sindacali nazionali e territoriali, entro 90
giorni dalla loro stipulazione, tramite comunicazione diretta ai sindacati
stipulanti contenente l'invito all'inizio della trattativa aziendale.
L'impegno di definitiva e completa applicazione del contratto colletti vo deve essere comunque realizzato entro due anni dalla stipula degli accordi sindacali nazionali o territoriali, salvo diverso termine eventual mente previsto dallo stesso contratto collettivo.
Nelle ipotesi di applicazione delle disposizioni che precedono, la dichia razione di cui ai commi 4 e 5 dell'art. 4 deve avere ad oggetto l'avvenuta conclusione dell'accordo, da allegarsi in originale o copia conforme.
Art. 6
Gli imprenditori che commettono a terzi lavorazioni di prodotti finiti o semifiniti o l'effettuazione di servizi inerenti alla loro attività produtti va o commerciale sono tenuti ai sensi e per gli effetti dell'art. 1339 del codice civile ad inserire nel contratto di commessa apposita clausola ri
chiedente alle imprese esecutrici l'impegno ad applicare ai lavoratori di
pendenti da queste ultime trattamenti economico-normativi non inferiori a quelli previsti dai ccnl del settore cui appartiene l'impresa destinataria della commessa. La clausola produce in favore dei lavoratori gli effetti di cui all'art. 1411 del codice civile.
Qualora il valore delle commesse affidate nell'ultimo biennio risulti in media superiore, in base alle risultanze dell'elenco fornitori e clienti di cui all'art. 29 del d.p.r. 26 ottobre 1977 n. 633, al 60% del fatturato
dell'impresa, destinataria delle commesse, i dipendenti di quest'ultima pos sono agire anche nei confronti dell'imprenditore committente in caso di
inadempienza da parte dell'imprenditore loro datore di lavoro. La sen tenza avrà effetto verso il committente solo dopo l'infruttuosa escussione di quest'ultimo.
Art. 7
L'appaltatore di opere e servizi che subappalta in tutto o in parte l'ese cuzione dell'opera o del servizio, a lui commessi sia da privati che da Enti pubblici, è responsabile nei confronti dei dipendenti del subappalta tore per la corresponsione di un trattamento retributivo e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi del settore e della zona cui appartiene l'impresa subappaltatrice, nonché per l'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e assistenza e per l'ap prestamento delle misure di sicurezza e delle cautele antinfortunistiche.
È altresì penalmente responsabile, a titolo di concorso, ove all'atto del la stipula del subappalto, e, successivamente con periodicità almeno men
sile, non abbia provveduto ad accertare con atto ricognitivo formato in contraddittorio tra le parti e da esse sottoscritto, la regolarità delle misu re e cautele predisposte dal subappaltatore.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il licenziamento fu intimato, in tronco, solo quando tali difese
furono ritenute inadeguate.
Quanto alla garanzia di cui all'art. 7, 1° comma, 1. 300 del
1970, è da ritenere che essa non sia stata violata, posto che la
«giusta causa» di cui all'art. 2119 c.c. non abbisogna di essere
enunciata e pubblicata, con il codice disciplinare, derivando essa
direttamente dalla previsione di legge. Lo stesso art. 7 1. 300 del 1970, sia pure ad altri fini (4° com
ma) conferma la permamenza in vigore di altre norme in materia
di recesso («fermo restando quanto disposto dalla 1. 604 del 1966») come aveva già rilevato la pronuncia n. 1781 del 1981 (id., 1981,
I, 1285) delle sezioni unite della corte. (Omissis)
III
Motivi della decisione. — Preliminarmente va rilevato che il
procuratore di parte ricorrente i sede di discussione dedusse l'ille
gittimità del licenziamento oggetto di giudizio sotto il profilo del
mancato rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 7 dello statuto
dei lavoratori, con ciò volendo riferirsi evidentemente a quelle di cui ai primi tre commi di detta norma, siccome risultanti dalla
manipolazione operata dalla nota sentenza 30 novembre 1982,
n. 204 (Foro it., 1982, I, 2981) della Corte costituzionale. La
ritualità della deduzione in discorso è stata giustificata da quel
procuratore nel presupposto che solo nella memoria di costituzio
ne la resistente avrebbe palesato la motivazione disciplinare del
licenziamento rendendone cosi possibile l'impugnativa sotto il pro filo in discorso. L'assunto può essere condiviso, in quanto la de
duzione della nullità del licenziamento per inosservanza dell'art.
7, 1°, 2° e 3° comma, nella fattispecie assume il valore di una
replicatio all'eccezione della resistente in ordine alla sussistenza
di una motivazione del licenziamento diversa da quella illecita
dedotta dalla ricorrente.
Il canale attraverso il quale detta replicatio trova legittimamen
te ingresso in giudizio nonostante la rigidità delle preclusioni del
potere di allegazione dei fatti rilevanti per il decidere connaturato
al rito di lavoro, è costituito dalla norma dell'art. 420, 1° com
ma, ultimo inciso, la quale consente che, previa autorizzazione
del giudice la parte possa, se ricorrono gravi motivi, modificare
la domanda.
Questo giudicante all'udienza di discussione ritenne implicita
mente che la deduzione della nullità del licenziamento per l'inos
servanza dell'art. 7 fosse giustificata dalla prospettazione difensiva
della resistente, tenuto conto che in sede di comminatoria del
licenziamento la motivazione dedotta dalla resistente stessa non
appariva affatto evidenziata (si veda la lettera 18 aprile 1988,
con la quale risulta intimato il licenziamento). D'altro canto, poi
ché la ricorrente propose una domanda di declaratoria della nul
lità del licenziamento la prospettazione di un fatto diverso, peraltro
in replica a un'eccezione della controparte, per giustificare quello
stesso petitum, non può essere ritenuta integrare una mutatio li
belli, ma soltanto una emendatio libelli e quindi non esorbita dal
la fattispecie dell'inciso finale del 1° comma dell'art. 420 c.p.c.
In sostanza, la deduzione di un fatto nuovo che al tempo stesso
si palesa come controeccezione rispetto all'eccezione della resi
stente (in ordine alla motivazione del licenziamento come reazio
ne a un adempimento contrattuale della ricorrente) e come possibile
fatto costitutivo idoneo a sorreggere l'invocata domanda di de
claratoria di nullità del licenziamento, non può integrare un mu
tamento della domanda. Ciò, anche ove si rifletta che l'oggetto
del giudizio di impugnativa di un negozio giuridico, secondo l'o
pinione preferibile, va ravvisato nel diritto potestativo di impu
gnare il negozio, individuato non già sulla base del singolo vizio
che può giustificare l'impugnativa, bensì' sulla base della specie
di invalidità negoziale dedotta. Cosi, chiesto l'annullamento del
negozio, integrerebbe mutatio libelli la richiesta di pronuncia del
la sua nullità. Viceversa, chiesta la declaratoria della nullità per
contrarietà del negozio all'ordine pubblico, ben potrebbe invo
carsene la pronuncia per contrarietà a norma imperativa. L'as
sunto qui sostenuto è certamente conforme a quell'orientamento
della Suprema corte il quale, sia pure in ipotesi di proposizione
della domanda in appello, reputa che integri mutatio libelli inam
missibile la domanda di accertamento della nullità del licenzia
mento per violazione dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori, quando
in primo grado sia stata proposta domanda volta a ottenere la
declaratoria dell'illegittimità del licenziamento per difetto di giu
II Foro Italiano — 1989.
sta causa o di giustificato motivo (Cass., sez. lav., 24 gennaio
1984, n. 596, id., 1984,1, 2196). Appare infatti evidente che quoad
petitum la domanda di declaratoria della legittimità del licenzia
mento e quella di declaratoria della sua nullità sono diverse.
Ciò premesso, va dunque dato atto che oggetto del presente
giudizio è l'accertamento della sussistenza della nullità del licen
ziamento perché disposto senza l'osservanza da parte della resi
stente della norma dell'art. 7, 1°, 2° e 3° comma, dello statuto
dei lavoratori.
Si tratta dunque di verificare se tale norma possa nel caso al
l'esame trovare applicazione. Di ciò non può dubitarsi per quel che attiene alla natura del licenziamento, il quale secondo il teno
re della stessa prospettazione della resistente sarebbe stato dispo sto certamente per una pretesa colpa della ricorrente, la quale sarebbe incorsa in un inadempimento della propria obbligazione
contrattuale di erogare la prestazione lavorativa, assentandosi in
giustificatamente dal lavoro oltre il periodo per cui le era stato
concesso un permesso. Il licenziamento di cui è causa è dunque ontologicamente disci
plinare. Ora, è noto che dopo alterne vicende giurisprudenziali, che avevano visto contrapposto l'indirizzo c.d. ontologico a quel
lo c.d. formalistico, la Suprema corte a sezioni unite (sent. 1°
giugno 1987, n. 4823, id., 1987, I, 2031) ha sancito la validità del primo, sia pure limitatamente all'applicabilità dei commi 2°
e 3° dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori, come manipolati da
Corte cost. 204/82.
Pertanto nella fattispecie, acclarata la natura ontologicamente
disciplinare del licenziamento, non occorre accertare se il licen
ziamento sia incluso fra le sanzioni disciplinari dalla contratta
zione collettiva applicabile in ipotesi al rapporto di lavoro.
Purtuttavia, l'applicabilità al licenziamento di cui è processo
della normativa di cui all'art. 7, sia pure con riguardo solo ai
commi 2° e 3°, appare dubbia sotto un diverso profilo, che, pur
non essendo stato oggetto di specifica contestazione da parte del
la resistente, va esaminato ex officio, in quanto trattasi di que
stione di mero diritto.
Il profilo in questione concerne le dimensioni della ditta dato
riale resistente. È pacifico infatti — si vedano le allegazioni di
cui alla memoria di costituzione della resistente laddove si precisa
che i suoi dipendenti erano la ricorrente e altra persona — che
la ditta resistente sia un'impresa sottratta al regime limitativo del
licenziamento di cui alla 1. 604/66 e all'art. 18 1. 300/70, e che
dunque beneficia del regime del c.d. recesso ad nutum, previsto
dall'art. 2118 c.c. Ora, anteriormente all'arresto della Suprema
corte dianzi citato, la questione dell'applicabilità dell'art. 7, 1°,
2° e 3° comma, come novellati dalla Corte costituzionale all'area
di applicabilità del c.d. recesso ad nutum, allorché il motivo di
licenziamento fosse stato disciplinare, se aveva ricevuto — sia
pure senza approfondimento — risposta negativa da parte della
Suprema corte (si vedano le sent. sez. lavoro 2 gennaio 1986,
n. 21, id., 1986, I, 1352; 6 gennaio 1984, n. 66, id., 1984, I,
2196), aveva invece trovato soluzioni contrastanti nella giurispru
denza di merito. In senso positivo si erano espressi: Trib. Monza,
18 aprile 1986, Orient, giur. lav., 1986, 515; Pret. Thiene 23 gen
naio 1985, Pret. Salerno 30 gennaio 1985 e Pret. Vicenza 15 giu
gno 1984, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), nn. 2068,
2069, 2076.
In senso contrario si era espresso invece Trib. Firenze nelle
sent. 19 giugno 1986 (Riv. it. dir. lav., 1987, II, 231), e 13 aprile
1987 (Foro it., 1987, I, 2031). Questo essendo il panorama giurisprudenziale in subiecta ma
teria, di recente è intervenuta una sentenza delle sezioni unite
della Suprema corte, la quale ha statuito a favore dell'orienta
mento negativo (sent. 5 novembre 1987, n. 8189, ibid., 3239).
Ora, a sommesso avviso di questo giudicante e pur con l'osse
quio dovuto al valore della funzione di nomofilachia della Supre
ma corte, su cui nuovamente oggi insistono i cultori della
Cassazione, nel caso di specie l'insegnamento della Suprema cor
te non convince e non può essere condiviso. Ciò, non tanto per
ragioni, per cosi dire «neutre» rispetto al problema interpretativo
che si esamina e direttamente correlate al significato della funzio
ne nomofilattica, quanto per un'obiettiva — almeno sembra a
questo giudicante — mancanza di persuasività della cennta deci
sione. Sotto il primo profilo è stato comunque sottolineato in
dottrina, in sede di commento della sentenza in discorso, che la
rimessione della questione alle sezioni unite appare nel caso di
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2267 PARTE PRIMA 2268
specie difficilmente ascrivibile a una delle ipotesi di cui all'art.
374 c.p.c. Questo, tuttavia, non varrebbe a sminuire l'efficacia
di persuasione della decisione per questo giudice di merito, ma
semmai — come è stato sottolineato — per la sezione di lavoro
del Supremo collegio. Vero è però, come si è detto, che la decisione della Suprema
corte non appare intrinsecamente convincente e questo induce il
giudicante a motivatamente dissentire da essa.
Valgano all'uopo le seguenti considerazioni. Afferma la Supre
ma corte per giustificare il principio di diritto enunciato che «la
liceità del licenziamento ad nutum comporta l'irrilevanza del mo
tivo che può avere indotto» il datore di lavoro «ad intimare la
risoluzione», perché nei casi in cui il licenziamento è consentito
ad nutum l'effetto tipico, risolutorio del rapporto, che la legge
ricollega all'atto unilaterale del datore, non è subordinato né alla
oggettiva presenza di determinati presupposti né alla esternazione
dei motivi che lo hanno ispirato ed alla loro comunicazione al
lavoratore». Soggiunge altresì' la corte che «la espressione delle
ragioni del licenziamento non vale a qualificarlo ai fini della pro
duzione degli effetti risolutori, a meno che il motivo non sia ille
cito e determinante, secondo i principi generali». Ciò varrebbe
pure per l'eventuale motivazione delle ragioni disciplinari del li
cenziamento. Il ragionamento della Suprema corte trova ancora
più esplicita enunciazione nella citata sent. 13 aprile 1987 del Tri
bunale di Firenze, laddove espressamente si motiva l'inapplicabi lità dell'art. 7 al licenziamento ad nutum assumendo che
l'irrilevanza dei motivi che possono giustificarlo, espressione del
la situazione di libertà del datore di lavoro, esclude che possa
concepirsi la sua soggezione a una norma quale l'art. 7.
Tale norma, infatti, prevederebbe per l'esercizio del potere di
irrogazione delle sanzioni disciplinari e fra queste del licenzia
mento una formalità strettamente funzionalizzata a consentire che
la giustificazione di quell'esercizio venga palesata dal datore di
lavoro. Ma ciò implicherebbe che l'esercizio di quel potere sia
normativamente regolato (a livello legislativo o di contrattazione
collettiva) come vincolato all'esistenza di un presupposto giustifi cativo. Ciò, accadrebbe, per le sanzioni disciplinari diverse dal
licenziamento, pure nell'area del licenziamento ad nutum, mentre
per il licenziamento disciplinare accadrebbe soltanto nell'area in
cui il potere di licenziamento sussiste in presenza di giusta causa
o giustificato motivo e non invece laddove quel potere è libero
quoad motivi.
Queste argomentazioni non convincono per più di una ragione. Anzitutto non appare condivisibile l'assunto, sostenuto dalla Su
prema corte, secondo cui sussisterebbe una sorta di ontologica
incompatibilità fra la situazione di libertà per quel che attiene
al motivo determinante, nella quale si trova il datore di lavoro
nell'area dell'art. 2118 c.c. e l'imposizione allo stesso dell'obbli
go di esternare il motivo sostanzialmente disciplinare, per il tra
mite evidentemente della previa contestazione dell'addebito. Ed
infatti, postoché la formazione del motivo determinante di un
negozio giuridico — qual è certamente il licenziamento in genera le — appartiene al momento della nascita della volontà negoziale e nell'ordinamento giuridico rileva esclusivamente sotto il profilo del giudizio di conformità ai principi dell'ordinamento stesso e
di meritevolezza dell'interesse che la detta volontà, in quanto for
matasi per quel motivo, vuole tutelare, appare evidente che non
è contraddittorio ipotizzare, che, pur riconosciuta a un soggetto
giuridico la possibilità di determinarsi a compiere un certo nego zio liberamente quanto ai motivi, l'ordinamento gli imponga di
esternare il motivo che poi in concreto lo induce a porre in essere
la manifestazione negoziale. Questo onere di esternazione è infat
ti assolutamente ininfluente sulla situazione di libertà nella scelta
del motivo negoziale e condiziona soltanto l'effettiva manifesta
zione della volontà negoziale già formata.
Ebbene, nell'ipotesi del licenziamento ad nutum il riconosci
mento del potere datoriale di porre in essere il negozio per un
qualsiasi motivo (purché non illecito) non è contraddetto, ove
si ammetta che, nel caso in cui il motivo determinante del nego zio sia ontologicamente disciplinare, il datore di lavoro è tenuto
previamente ad esternare la sua volontà risolutoria cosi formatasi
al soggetto controinteressato, prima di procedere al recesso, cioè
alla manifestazione di quella volontà per la produzione degli ef
fetti suoi tipici. L'imposizione dell'onere di esternazione de quo
quale presupposto per la validità del recesso incide su una volon
II Foro Italiano — 1989.
tà negoziale che si è già formata liberamente, assumendo come
motivo determinante uno fra i tanti motivi possibili.
La tesi che si critica sembra quasi supporre che, laddove l'ordi
namento lascia la possibilità al datore di lavoro di determinarsi
al recesso liberamente in punto di motivi, non sia possibile am
mettere alcuna forma di controllo e alcun onere collegato alla
concreta volontà datoriale, formatasi per l'incidenza di uno spe
cifico motivo, in conseguenza dell'esercizio di quel potere. In so
stanza, sembra quasi che la situazione di libertà nell'elezione del
motivo negoziale determini l'impossibilità di attribuire rilevanza
al motivo in concreto prescelto. Senonché, questo postulato è smen
tito dallo stesso orientamento che si critica, laddove si ribadisce
la — scontata — rilevanza invalidante del recesso, propria del
motivo determinante illecito (secondo — evidentemente — il prin
cipio generale di cui all'art. 1345 c.c.). Infatti, una volta che ri
sulti che la concreta volontà negoziale del datore di lavoro si è
formata in base a un motivo illecito, la circostanza che in astrat
to il potere di disposizione unilaterale del rapporto di lavoro,
nel che si concreta il recesso, sia libero nei motivi, dovrebbe in
durre — a voler essere coerenti — a reputare valido il recesso
per essere la sua motivazione illecita concreta astrattamente con
vertibile o in una motivazione lecita o addirittura in una non
motivazione.
Invece, la concreta volontà negoziale sostenuta dal motivo ille
cito non si dubita che sia non riconvertibile nel senso ora detto.
E ciò, perché il giudizio di meritevolezza da parte dell'ordina
mento va riferito proprio a quella volontà in concreto manifesta
ta e non alla volontà negoziale astrattamente esprimibile dal datore
di lavoro.
Quanto fin qui osservato evidenzia che la situazione di libera
sussimibilità dei motivi propria del datore di lavoro legittimato al recesso ad nutum non esclude che l'ordinamento giuridico for
muli valutazioni riferite al concreto motivo che determina il dato
re al recesso. Acquisito questo dato, non si comprende perché,
a fronte dell'ammissibilità di un giudizio di disvalore quanto al
recesso ad nutum determinato da motivo illecito, sia così difficile
ipotizzare un giudizio di disvalore sul recesso ad nutum determi
nato da motivo ontologicamente disciplinare ed intimato senza
l'osservanza almeno della regola di civiltà per cui audiatur et al
tera pars (codificata dal 2° comma dell'art. 7 1. 300/70).
D'altro canto, l'ammissione dell'applicabilità di detta regola non può neppure apparire ingiustificata in ragione del fatto che
il datore di lavoro, pur essendosi determinato al recesso per un
motivo ontologicamente disciplinare, ben potrebbe non eviden
ziarlo volutamente neppure all'atto dell'esercizio del potere riso
lutorio; approfittando della possibilità astrattamente riconosciutagli di non motivare il recesso stesso. Un simile comportamento rile
verebbe soltanto come problema processuale, cioè sul terreno della
prova, nel giudizio di impugnazione del licenziamento che il lavo
ratore intentasse sostenendone la natura disciplinare e lamentan
do appunto la violazione della regola de qua. Si tratterebbe di
una situazione analoga a quella in cui il lavoratore impegni un
recesso ad nutum immotivato sostenendo che il suo motivo deter
minante fu illecito.
Neppure convincente è l'assunto di chi (Trib. Firenze, citata) fa discendere un ulteriore argomento contro la tesi dell'applicabi lità all'area del recesso ad nutum, dalla circostanza che l'osser
vanza delle formalità previste dall'art. 7 e segnatamente dal 2°
comma, sarebbe inutile in quell'area, giacché il licenziamento,
pur dichiarato invalido perché non rispettoso di quelle formalità,
potrebbe essere subito rinnovato senza indicazione dei motivi. In
vero, ove il motivo disciplinare fosse stato indicato, sebbene sen
za essere stato previamente contestato, al lavoratore, la reiterazione
del licenziamento potrebbe avvenire solo previa osservanza della
garanzia di cui al 2° comma dell'art. 7 e non certo con un recesso
immotivato. Ciò, per la semplice ragione che palese risalterebbe
in tal caso la perdurante motivazione disciplinare del licenzia
mento, in quanto non sarebbe credibile — salvo nuove circostan
ze di fatto — una qualsiasi altra motivazione. Ove il recesso
dichiarato invalido fosse invece stato intimato immotivatamente
e solo all'esito del giudizio fosse risultato sorretto da motivazione
disciplinare, varrebbero identiche considerazioni. In entrambi i
casi comunque la declaratoria di invalidità del licenziamento san
zionerebbe l'inosservanza di una regola per l'esercizio del potere di recesso e, una volta garantito il suo rispetto, nulla più potrebbe
pretendere il lavoratore. Del resto, nell'ipotesi in cui sia intimato
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
senza l'osservanza dell'art. 7 un licenziamento per giusta causa
o giustificato motivo effettivamente assistito dalla giusta causa
o dal giustificato motivo dedotto da parte datoriale, la nullità
del licenziamento presenterebbe la stessa inutilità di cui discorre
l'orientamento qui criticato. Infatti, il datore potrebbe immedia
tamente contestare l'addebito e intimare nuovamente il licen
ziamento.
Va altresì' rilevato che la pretesa inutilità del riconoscimento
dell'applicabilità delle garanzie dell'art. 7 al licenziamento ad nu
tum in dipendenza della situazione di libertà di scelta dei motivi
da parte datoriale trova smentita nella circostanza che il dar cor
so al canone per cui audiatur et altera pars, può consentire al
lavoratore, in caso di licenziamento disciplinare, di fornire gli opportuni chiarimenti sulla mancanza posta a base del minaccia
to recesso, si da convincere il datore di lavoro e non darvi corso.
Come tale la regola del contraddittorio è perfettamente indiffe
rente alla natura e ai presupposti possibili del potere in relazione
al cui esercizio debba previamente aver corso. E ciò perché è fun
zionale esclusivamente a scongiurare quell'esercizio. Il controllo
dei presupposti di esercizio del potere è affidato a un momento
successivo quello della impugnativa. È questo il momento che
va raccordato con la regola sostanziale dell'esercizio del potere.
Neppure convincente, a sommesso avviso di chi scrive, è la
pretesa di inferire la tesi negativa qui criticata dalla circostanza
che la manipolazione dell'art. 7, 1°, 2° e 3° comma, operata dalla Corte costituzionale con la sentenza 30 novembre 1982, n.
204, avrebbe tratto origine da giudizi a quibus concernenti fatti
specie nelle quali si controverteva di licenziamenti soggetti al re
gime limitativo della 1. 604/66 o dell'art. 18 1. 300/70. Ditalché, l'art. 7, nel testo risultante da detta sentenza interpretativa di
accoglimento, si dovrebbe intendere applicabile solo all'area di
quei licenziamenti, quasi per una sorta di incidenza del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.
Senonché, a parte la circostanza che il «chiesto» nel giudizio di legittimità costituzionale non può essere determinato certamente
dall'oggetto del giudizio a quo, perché ciò sarebbe incompatibile
con il fatto che l'oggetto del giudizio di legittimità è la norma
impugnata, va detto che nella sentenza 204/82 nessun elemento
si coglie che possa reputarsi significativo dell'intenzione della corte
di integrare l'art. 7 non già con riferimento all'area della sua
applicabilità, quale individuata in negativo, dall'assenza nella 1.
300/70 di qualsiasi norma limitativa, riferita alla consistenza del
l'impresa datoriale, bensì con riguardo a un'area più ristretta e
precisamente a quella nella quale non è possibile il recesso ad
nutum. Si vuole cioè sottointendere che la norma dell'art. 7 sic
come integrata dalla Corte costituzionale con riferimento al li
cenziamento disciplinare quale sanzione disciplinare appare
applicabile all'area del recesso ad nutum cosi come lo era ante
riormente per le altre sanzioni disciplinari. D'altro canto, l'insistenza della Corte costituzionale nella sud
detta sentenza sul valore di regola di civiltà del principio per cui
audiatur et altera pars corrobora l'assunto qui sostenuto. Infatti,
una volta ribadito che detta regola è indirettamente funzionale
all'esercizio del diritto di difesa del lavoratore e che quel diritto
è indifferente alla tutela che il lavoratore, successivamente all'e
sercizio del potere di recesso datoriale, potrà in ipotesi ottenere
(cioè la declaratoria della insussistenza della giusta causa o del
giustificato motivo, nell'area del licenziamento soggetto alla 1.
604/66 e all'art. 18 statuto lavoratori, la declaratoria della illicei
tà del motivo del licenziamento nell'area del recesso ad nutum),
proprio la neutralità della regola stessa rispetto all'atteggiarsi in
modo vincolato oppure non del potere risolutorio datoriale, in
duce a reputare conforme al decisum della Corte costituzionale
l'interpretazione qui sostenuta.
Quand'anche infine di intravedessero nella decisione della cor
te gli estremi per una possibile questione interpretativa in ordine
all'area di riferimento del nuovo diritto da essa creato, il valore
di regola di civiltà riconosciuto dalla corte stessa al principio au
diatur et altera pars, dovrebbe indurre a preferire, fra le due in
terpretazioni sostenibili, quella qui condivisa, come l'unica
conforme a Costituzione e segnatamente all'art. 3 e all'art. 4 di
essa. È appena il caso di chiarire che il segnalato carattere di
neutralità della garanzia de qua rispetto al presupposto del potere
di recesso datoriale, evidenzia come la situazione del lavoratore
ad nutum e di quello licenziabile solo per giusta causa o giustifi
cato motivo, non possono ricevere in materia diverso trattamento.
Il Foro Italiano — 1989.
Va dunque in conclusione affermato che l'art. 7 dello statuto
dei lavoratori e più precisamente i suoi commi 2° e 3° sono ap
plicabili al licenziamento ontologicamente disciplinare disposto nel
l'area del c.d. recesso ad nutum.
Va chiarito invece che non ha senso ipotizzare l'applicabilità nell'area in discorso della garanzia di cui al 1° comma dell'art. 7.
Invero, tale garanzia, in un sistema nel quale l'esercizio del
potere di recesso può avvenire ad nutum, avrebbe poco senso.
In proposito può riconoscersi fondatezza all'argomentare che
l'indirizzo dianzi disatteso trae dalla natura del potere risolutorio
del datore di lavoro. Ma ciò, perché la garanzia in discorso ha
come punto di riferimento, a differenza delle garanzie del 2° e
del 3° comma, non già il potere de quo all'atto in cui si è forma
ta le volontà di esercitarla per un motivo disciplinare nel datore
di lavoro, bensì' il potere stesso nella sua astrattezza. In termini
di garanzia non avrebbe senso per il lavoratore che vi sia la pub blicità di un codice disciplinare, laddove il recesso in astratto è
esercitabile pur al di fuori delle ipotesi ch'esso prevede. Viceversa — e come si è cercato di evidenziare innanzi — la
garanzia di cui ai commi 2° e 3° divengono attuali con riguardo a una concreta specificazione disciplinare del paventato recesso
datoriale.
A chiusura delle svolte considerazioni va infine precisato che
l'affermata applicabilità dell'art. 7, 2° e 3° comma, al licenzia
mento ontologicamente disciplinare nell'area del recesso ad nu
tum, va ritenuta non solo per l'ipotesi nella quale nell'eventuale
atto di comminitoria del licenziamento (sia esso scritto ovvero
orale) sia stata palesata la motivazione disciplinare del licenzia
mento; bensì pure nel caso in cui sia stata palesata una motiva
zione diversa ovvero non sia stata palesata motivazione alcuna.
Infatti, in questa seconda ipotesi vi sarà solo un problema di
difficoltà della motivazione disciplinare, ma ciò non può incidere
sull'estensione del principio qui sostenuto.
Risolta la questione interpretativa esaminata, venendo alla fat
tispecie che si giudica, va rilevato che non può dubitarsi, sia in
ragione del tenore della lettera di licenziamento, sia delle dichia
razioni rese dalle parti in libero interrogatorio (la resistente ha
precisato di non sapere se il marito contestò l'assenza ingiustifi cata alla ricorrente), sia dell'omessa allegazione del contrario in
memoria di costituzione, che alla ricorrente non venne contestato
l'addebito disciplinare prima dell'intimazione del licenziamento
e non fu quindi consentita la discolpa. E perciò indubbia appare la violazione della garanzia di cui ai commi 2° e 3° dell'art. 7.
In conseguenza, il licenziamento appare nullo (all'uopo si veda
Cass., sez. lav., sent. 8 luglio 1988 n. 4521, Foro it., 1988, I,
3592 per l'affermazione secondo cui il licenziamento disciplinare comminato in violazione dell'art. 7 è inefficace, cioè nullo). Il
rapporto di lavoro si deve pertanto reputare come non mai cessa
to e ciò comporta la condanna della resistente al pagamento delle
retribuzioni fino a oggi maturate dal dì del licenziamento. Esse
assommano a lire 6.969.600 (lire 1.089.491xmesi 6 e giorni 12).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 novem
bre 1988, n. 6116; Pres. Zappuiai, Est. Berni Canani, P.M.
Fedeli (conci, diff.); Colombo ed altri (Aw. Persiani) c. Cas
sa di risparmio delle province lombarde (Aw. Giorgianni, Gras
setti, Fabbri). Cassa Trib. Milano 19 ottobre 1984.
Lavoro (contratto collettivo) — Successione di contratti collettivi — Disposizione di diritti dei lavoratori sorti sulla base di prece dente contratto collettivo — Limiti — Fattispecie.
In difetto di specifico mandato, o di adesione o ratifica degli interessati, il contratto collettivo non può incidere su diritti sorti,
in capo alle parti del rapporto di lavoro, per l'avvenuto perfe
zionamento delle corrispondenti fattispecie costitutive e comun
que per effetto di prestazioni eseguite durante la vigenza di
un precedente contratto collettivo (in applicazione dell'enun
ciato principio, è stata ritenuta illegittima la modifica in peius,
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