sezione lavoro; sentenza 4 marzo 1989, n. 1203; Pres. Sandulli, Est. Berni Canani, P.M. Tridico(concl. diff.); Pomanti (Avv. Piccarreta, Lucchetti) c. Cassa di risparmio di Fermo (Avv.Tessarolo, Vecchiotti). Conferma Trib. Fermo 27 agosto 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2525/2526-2529/2530Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184153 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ritiene il collegio che la parola «mezzi» deve intendersi come
comprensiva sia dei redditi che delle sostanze, cioè di cespiti pa trimoniali che non producono redditi (Cass. 22 gennaio 1957, n.
191, id., Rep. 1957, voce Separazione di coniugi, n. 90; 9 luglio
1959, n. 2201, id., Rep. 1959, voce cit., n. 62; 15 luglio 1965, n. 1533, id., Rep. 1965, voce cit., n. 104), ma che attraverso
la loro alienazione possono soddisfare i bisogni del loro proprie
tario, mentre per quanto riguarda l'aggettivo «adeguata» occorre
far capo alla dottrina ed alla giurisprudenza che, nell'interpretare
l'espressione mancanza di «adeguati redditi propri» usata in te
ma di separazione personale (art. 156, 1° comma, c.c.) — e che
può ritenersi equivalente a quella contenuta nella disposizione in
esame — hanno ritenuto che il difetto dei redditi adeguati sussi
ste quando il coniuge preteso beneficiario dell'assegno non abbia
redditi propri che gli consentano il mantenimento di un tenore
di vita analogo a quello che aveva in costanza di matri
monio.
Analoga interpretazione può seguirsi in relazione alla formula
usata nel novellato 6° comma dell'art. 5 1. n. 898 del 1970, non
essendovi argomenti per attribuire all'aggettivo «adeguati» una
accezione diversa da quella riconosciutagli in sede di separazione
personale. Tale conclusione è del resto conforme alla costante giurispru
denza di questa corte per la quale, ai fini della attribuzione e
della determinazione dell'assegno di divorzio, in base al criterio
assistenziale, non rileva lo stato di bisogno dell'avente diritto, che può essere economicamente autosufficiente, ma l'apprezzabi le deterioramento, in dipendenza dello scioglimento o della cessa
zione degli effetti civili del matrimonio, delle condizioni
economiche del suddetto rispetto a quelle su cui, con riferimento
presenta l'inevitabile riflesso dell'impostazione per la quale la Cassazione ha dimostrato di propendere nella sentenza in epigrafe (83). E la dottrina sembra esserne consapevole (84).
Deve, però, essere anche chiaro che una simile opzione, risolvendosi nella sostanziale obliterazione di qualsiasi differenziazione di fondo tra
separazione personale e divorzio, si indirizza, in un trend quasi obbliga to, nel senso della negazione di ogni autonomia funzionale della stessa
separazione, tanto in generale, quanto nella sequenza separazione divorzio (85).
Si tratta di una possibile (e non da pochi condivisa) opzione ideologica. Ma di un'opzione che non risulta, invero, in linea con le scelte operate dal legislatore proprio con la riforma del divorzio: uno dei punti centrali di questa è senz'altro rappresentato, infatti, dall'aver voluto il legislatore mantenere ferma, nella regolamentazione della crisi familiare, un'artico lazione basata su una duplicità di momenti, con, in particolare, un auto nomo controllo giudiziale dei presupposti del divorzio, imposto da quella definitività del divorzio stesso, in contrapposizione alla tendenziale prov visorietà (comunque, poi, una simile provvisorietà s'intenda finalizzata) della separazione, che non può non riflettersi in una diversità delle valu
tazioni, anche di carattere economico, da effettuare nelle due sedi. Con ciò, evidentemente, si è inteso solo sfiorare la questione (86), nel
quadro delle considerazioni qui svolte sull'assegno di divorzio, sollecitate dalla decisione riportata. E alla pronunzia della Cassazione, allora, de v'essere riconosciuto, se non altro, proprio il merito di contribuire ad attirare l'attenzione su una problematica, in relazione alla quale, dunque, sarebbe colpevole leggerezza, anche da parte della giurisprudenza, appa gandosi delle soluzioni conseguite, non dedicare un'ulteriore adeguata ri flessione.
Enrico Quadri
E. Quadri, Sintomi di malessere della Cassazione: ripensamenti (o sban
damenti?) in tema di rapporti patrimoniali fra divorziati.
(83) Significativamente, ad es., anche in relazione al contenuto da dare
all'espressione «mezzi», come comprensivo delle «sostanze», oltre che dei «redditi» (e v. supra, nota 28), la decisione si riferisce a (lontani) prece denti in tema di separazione personale, invece che agli svolgimenti sul
punto della giurisprudenza in tema di divorzio.
(84) V., infatti, A. Finoccklaro, op. cit., 430 s. In senso sostanzial mente analogo, Macario, op. cit., 902 e Bin, op. cit., spec. 329 (che evidenzia la «tendenziale continuità tra i due assegni»). Contro la «com
pleta equiparazione del trattamento economico del divorziato a quello del separato», pur muovendo da una ricostruzione in chiave meramente assistenziale dell'assegno di divorzio, v. Barbera, op. cit., 98 e Dooliotti,
op. cit., 174.
(85) E v., in proposito, quanto rilevato in Quadri, La nuova legge, cit., 38 ss.
(86) Per più ampi sviluppi, si rinvia alle considerazioni svolte in Qua dri, op. loc. ult. cit.
Il Foro Italiano — 1989.
al reddito ed alle sostanze dell'altro, egli poteva contare in co stanza di rapporto e che, in via di massima, devono essere ripri stinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio a favore del
coniuge impoverito (cfr., fra le tante, Cass. 13 novembre 1974, n. 3603, id., Rep. 1974, voce Matrimonio, n. 279; 14 giugno 1977, n. 2474, id., Rep. 1977, voce cit., n. 257; 22 gennaio 1980, n.
496, id., Rep. 1980, voce cit., n. 156; 14 luglio 1983, n. 4834, id., Rep. 1983, voce cit., n. 249; 10 gennaio 1986, n. 72, id.,
Rep. 1986, voce cit., n. 205; 18 giugno 1987, n. 5372, id., Rep. 1987, voce cit., n. 180).
Il riconoscimento della funzione assistenziale dell'assegno da
parte del legislatore del 1987 non può infatti comportare — in
mancanza di oggettivi dati normativi contrari — l'abbandono di
quei criteri che, per il passato, avevano qualificato l'assegno rico
nosciuto in questa funzione.
Ai fini di tale accertamento il giudice del merito deve tener
conto delle condizioni dei coniugi e del reddito di entrambi.
Si deve, pertanto, ritenere che poiché a seguito delle modifiche
apportate dall'art. 10 1. 6 marzo 1987 n. 74 all'art. 5, 4° comma, 1.1° dicembre 1970 n. 898 ed applicabili anche ai giudizi in corso al momento dell'entrata in vigore della prima legge (Cass. 28 ot
tobre 1987, n. 7957, id., 1988, I, 3006), condizione necessaria
per affermare il diritto di un coniuge di ottenere dall'altro un
assegno di divorzio è che il coniuge richiedente non abbia redditi
adeguati e cioè tali che gli consentano di mantenere un tenore
di vita adeguato a quello che aveva in costanza di matrimonio, correttamente il giudice del merito che accerti l'adeguatezza dei
mezzi del richiedente nel senso innanzi precisato, rigetta la do
manda di assegno senza necessità di esaminare gli altri elementi
indicati nella norma.
A tale principio si è attenuta la corte d'appello e la relativa
statuizione congruamente motivata e, peraltro, non impugnata nella parte in cui afferma l'idoneità dei mezzi della richiedente
a garantirle la conduzione di «una vita dignitosa e adeguata al
suo stato sociale» — ove è evidente il riferimento a quello conse
guito in costanza di matrimonio — non è censurabile per la man
cata valutazione degli altri elementi indicati nell'attuale 6° comma
dell'art. 5 I. div., trattandosi di elementi il cui esame non è neces
sario — sulla base della nuova disciplina — una volta affermata
l'insussistenza delle condizioni per far luogo al riconoscimento
dell'assegno. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 marzo
1989, n. 1203; Pres. Sandulli, Est. Berni Canani, P.M. Tri
dico (conci, diff.); Pomanti (Aw. Piccarreta, Lucchetti) c.
Cassa di risparmio di Fermo (Aw. Tessarolo, Vecchiotti).
Conferma Trib. Fermo 27 agosto 1985.
Lavoro (rapporto) — Trasferimento per esigenze temporanee del
datore di lavoro — Legittimità (Cod. civ., art. 2103; 1. 20 mag
gio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13).
È legittimo il trasferimento del lavoratore disposto dal datore di
lavoro per comprovate esigenze di natura temporanea. (1)
(1) Nel decidere una fattispecie di trasferimento ad altra sede di un
dipendente di banca per la chiusura provvisoria dell'ufficio valutario del
l'unità cui era adibito, la Corte di cassazione, con la sentenza sopra ri
portata, ha arricchito la propria giurisprudenza con alcune puntualizzazioni. a) Trasferimento e trasferta si distinguono in ragione della durata, de
finitiva e, rispettivamente, provvisoria, da risolversi, quest'alternativa («op
posizione», nel linguaggio della corte), nell'altra contingente-stabile, e ciò
nelle previsioni ed enunciazioni del datore di lavoro. La distinzione, sem
pre secondo la Cassazione, non permette di tracciare una linea di demar cazione netta, sicché, nei c.d. intervalli intermedi, deve farsi riferimento ad elementi esterni, ricavabili dalla natura dell'attività e dalle caratteristi che dell'azienda, oltre che dalla comune esperienza, per ravvisare in con creto trasferimento o trasferta (cfr., per la distinzione appunto tra
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2527 PARTE PRIMA 2528
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso si
denunzia violazione dell'art. 2103 c.c., anche in relazione all'art.
83 del ccnl del settore, nonché difetto di motivazione, per avere
il tribunale erroneamente ed apoditticamente ritenuto legittimo il contestato trasferimento in relazione a motivi che per il loro
carattere temporaneo avrebbero potuto giustificare, secondo ra
gionevolezza, un allontanamento egualmente temporaneo dal po sto di lavoro, ma non una dislocazione definitiva della dipendente in altra sede; omesso di considerare, oltre la regionevole possibi lità di utilizzare la dipendente altrove per il tempo dei lavori, che il trasferimento era stato motivato principalmente con asseri
trasferimento e trasferta in termini di definitività e temporaneità dello
spostamento, da ultimo, Cass. 27 maggio 1988, n. 3651, Foro it., Mass.,
534; 2 marzo 1987, n. 2196, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 1119; 16 maggio 1986, n. 3248, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1042; 7 marzo 1986, n. 1546, ibid., voce Previdenza sociale, n. 497; 30 gennaio 1986, n. 603, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1044; 20 novembre 1985, n. 5722, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1568; 3 giugno 1985, n. 3291, id.,
1986, I, 105, con nota di richiami; 23 aprile 1985, n. 2681, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1045; 30 gennaio 1985, n. 597, ibid., n. 1085; Pret.
Lendinara 30 gennaio 1988, Orient, giur. lav., 1988, 1022 (fattispecie par
ticolare); Pret. Torino 29 gennaio 1986, Foro it., 1986, I, 1707, con nota
di richiami (fattispecie particolare). Per la sottolineatura dell'occasionali tà e contingenzialità dei fatti determinanti la trasferta (v. sentenza in epi
grafe), cfr. Cass. 14 luglio 1988, n. 4621, id., Mass., 676. Cfr., inoltre, sulla distinzione predetta, le rassegne di giurisprudenza di L. Pelaggi, Il trasferimento del lavoratore subordinato e la giurisprudenza della Cor
te di cassazione, in Mass. giur. lav., 1988, 393 e di G. P. Tagliagambe, Il trasferimento del lavoratore nella giurisprudenza formatasi sull'art. 13
statuto lavoratori, in Lavoro 80, 1987, 925. In dottrina, cfr. A. Vallebo
na, Il trasferimento dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 1987, I, 67; L.
Angiello, Il trasferimento del lavoratore, Cedam, Padova, 1986, 98, ed
ivi un cenno anche al rilievo, presente nella sentenza sopra riportata,
per il quale la linea di demarcazione tra definitività e provvisorietà non
è netta (v. antea). b) Non esiste una rigorosa correlazione giuridica tra durata dello spo
stamento e quella delle esigenze aziendali (onde il principio di cui in
massima). c) Sono consentite pattuizioni ad hoc dirette ad impegnare il datore
a ritrasferire il lavoratore con il venir meno delle esigenze alla base dello
spostamento, o, viceversa, a far rinunziare il dipendente al diritto di pre stare lavoro nella nuova sede modificandosi tali esigenze.
d) Non è compito del giudice sostituirsi al datore di lavoro nell'analisi
dei costi e dei ricavi volta ad individuare le soluzioni ottimali per l'azien
da, tra le varie prospettabili, ad ovviare ad esigenze immediate di durata
prevedibile (nella specie, si è però sottolineato in sentenza, la parte ricor
rente non ha comunque offerto elementi a sostegno dell'irrazionalità del
provvedimento denunciata, né indicazioni circa la rilevanza in concreto sulle soluzioni alternative e la compatibilità con le esigenze di servizio
delle sue condizioni personali e familiari). Cfr., per la limitazione del
controllo giudiziale all'accertamento del nesso di causalità tra ragioni del trasferimento e provvedimento adottato, si da evitare che quelle possano tradursi in un eccesso di potere, nella forma dello sviamento, a danno del dipendente, senza potere entrare nel merito delle stesse, Cass. 8 gen naio 1987, n. 55, Foro it., 1987, I, 2437, con nota di L. Angiello. In senso conforme in ordine alla preclusione del sindacato di merito del
giudice sulla rilevanza del provvedimento adottato nell'economia azien
dale, cfr. Trib. Voghera 15 ottobre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1126 e in Lavoro 80, 1987, 177, con nota di Tagliagambe. Per l'esistenza di un potere discrezionale del datore di lavoro circa la scelta tra più solu zioni organizzative che siano tutte ragionevoli, cfr. Cass. 14 giugno 1985, n. 3580, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 1040; inoltre, v. Cass. 29 mag
gio 1985, n. 3249, ibid., n. 1049. Contra, da ultimo, Pret. Milano 8 gen naio 1988, Lavoro 80, 1988, 431 (v. anche subito appresso). Cass. 19
giugno 1987, n. 5432, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 1122, ha escluso che il datore di lavoro debba fornire la prova anche della inevitabilità del provvedimento sotto il profilo della sicura inutilizzabilità del dipen dente presso la sede originaria (ma cfr. già Cass. 3580/85, cit. e 17 aprile 1984, n. 2490, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1044). Contra, Pret. Milano 4 agosto 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1136 e 24 ottobre 1984, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 1059, che hanno precisato che va verificata sia detta inutilizzabilità, sia l'indispensabilità nella nuova sede del lavoratore
trasferito; Pret. Torino 2 novembre 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1055. Per la necessità che le ragioni devono sussistere sia nella sede a
qua che in quella ad quem, cfr., oltre alle pronunce sopra citate, Trib. Milano 18 giugno 1988, Lavoro 80, 1988, 950; Pret. Milano 7 luglio 1987, id., 1987, 1046; 5 giugno 1987 e 4 febbraio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce cit., nn. 1138, 1140; 21 aprile 1986, ibid., n. 1066, e altre.
Circa la libertà del datore di scegliere i lavoratori da trasferire con i soli limiti del divieto di atti discriminatori e del rispetto del principio
Il Foro Italiano — 1989.
te esigenze della direzione generale rimaste sfornite di prova, e
che a norma dell'art. 83 del ceni doveva tenersi conto ai fini
del trasferimento delle condizioni familiari e personali dell'inte
ressata compatibilmente con le esigenze di servizio; argomentato,
infine, il proprio convincimento circa la legittimità del trasferi mento sulla base di circostanze successive al provvedimento e non
pertinenti, quali la malattia della dipendente e la riorganizzazione dell'ufficio cui era stata addetta.
Con il secondo motivo si denunzia difetto di motivazione in
ordine alla dequalificazione professionale verificatasi con il tras
ferimento per le mansioni cui la dipendente era stata adibita pres so la sede di Fermo.
Il primo motivo è infondato.
La differenza tra gli istituti del trasferimento e della trasferta,
quali erano andati delineandosi nella contrattazione collettiva prima dell'entrata in vigore dello statuto dei lavoratori, risulta imper niata sull'elemento della durata.
Alla trasferta è, infatti, associata un'indennità con funzione
in parte risarcitoria, in riferimento alle spese sopportate per vit
to, alloggio, trasporti (originariamente rimborsate con il sistema
del c.d. pié di lista, poi della diaria), e in parte retributiva, in connessione al disagio determinato dall'allontanamento dall'abi
tuale luogo di lavoro, corrisposta per la durata del dislocamento
(v. ad es. Cass. 597/85, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rap
porto), n. 1085). I compensi eventualmente previsti in dipenden za del trasferimento costituiscono, invece, di regola, erogazioni
puntuali corrispondenti a spese di viaggio, trasloco, prima siste
mazione (altri compensi possono essere previsti in relazione non
più al trasferimento in sé ma alle caratteristiche della destinazione). La diversa struttura e funzione di tali compensi tipici individua
nel tempo l'elemento differenziale: la trasferta implica una dura
ta breve, tale da giustificare per il datore di lavoro i maggiori esborsi ad essa proporzionati; il trasferimento una durata non
breve, tale da indurre normalmente il dipendente ad un muta
mento di residenza. Rivela altresì la considerazione, o un princi
pio di parziale tutela (v. la richiamata funzione retributiva della
indennità di trasferta) di un interesse del lavoratore alla stabilità
del luogo della prestazione, ad una continuità sufficiente a con
sentirgli di instaurare una normale vita di relazione. Ed è stato
infatti osservato (v. Cass. n. 3291 del 1985, id., 1986, I, 105) che trasferta e trasferimento presuppongono entrambi un luogo fisso di lavoro; in altri termini: nella trasferta l'allontanamento
dal luogo abituale di lavoro è di breve durata (predeterminata direttamente o determinata dalla natura dell'incarico affidato), nel trasferimento lo spostamento, a tempo indeterminato o deter
minato, è di durata non breve, sufficiente per un nuovo insedia
mento stabile.
Va ancora precisato che la durata cui si fa riferimento è quella
prevista, ed enunciata, al datore di lavoro: il trasferimento non
cessa di essere tale perché seguito a tempi ravvicinati da un nuo
vo trasferimento, il quale non dà quindi diritto ad indennità di
trasferta per il periodo trascorso nella precedente destinazione, cosi come successive proroghe di una trasferta non tramutano
questa necessariamente in trasferimento.
Cosi definita, la distinzione tra le due nozioni non permette ovviamente di tracciare una linea fissa di demarcazione: se uno
spostamento di giorni o settimane è facilmente inquadrabile nella
trasferta, ed al trasferimento va invece ricondotta una dislocazio
ne protratta per anni, per la qualificazione di intervalli intermedi
dovrà farsi riferimento a criteri esterni, quali quelli ricavabili dal
la natura dell'attività e dalle caratteristiche dell'azienda (diverso è il significato della stabilità di insediamento se riferita, ad es., ad una città o ad un cantiere isolato) oltre che dalla comune
esperienza (il trasferimento implica — v. Cass. n. 6144 del 1983,
id., Rep. 1983, voce cit., n. 1235 — un mutamento non transi
di buona fede, cfr. Pret. Milano, ord. 21 novembre 1987, Lavoro 80,
1988, 143. In tema di trasferimento a richiesta del dipendente, cfr., circa la neces
sità che il datore di lavoro rispetti i doveri di correttezza e buona fede, la cui violazione comporta la risarcibilità del danno, Cass. 1° febbraio
1988, n. 868, Riv. giur. lav., 1988, II, 354. Per problemi vari in tema di trasferimento, cfr. le citate rassegne di
giurisprudenza, in specie la più recente di Pelaggi, nonché i contributi richiamati da Angiello nella nota citata.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
torio del luogo della prestazione lavorativa, accompagnato nor
malmente dal mutamento della residenza o del domicilio del la
voratore, o comunque — v. Cass. cit. nn. 3291 e 5722 del 1985,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 1568 — un mutamento per un perio do di durata tale da imporre al dipendente la riorganizzazione della sua vita familiare e sociale).
In tal senso, e cioè come opposizione «contingente-stabile» (con tali termini, che riflettono anche gli effetti — revocabilità discre
zionale o condizionata della dislocazione — del provvedimento, l'alternativa «breve-non breve» è arricchita delle suddette conno
tazioni esterne), va intesa la tradizionale opposizione
«provvisorietà-definitività», e del resto la definitività, se riferita
letteralmente all'intera durata del rapporto di lavoro, è contrad
detta dalla stessa possibilità del trasferimento, e di ulteriori, suc
cessivi trasferimenti.
Con l'art. 2103 c.c., nel testo introdotto dall'art. 13 1. 20 mag
gio 1970 n. 300, il legislatore ha subordinato la validità del tras
ferimento all'esistenza di comprovate ragioni tecniche,
organizzative e produttive dell'azienda.
Se con i limiti posti al potere organizzativo dell'imprenditore la norma ha rafforzato, o sancito, la tutela dell'interesse del la
voratore alla stabilità del luogo della prestazione, prima identifi
cabile in forma implicita o indiretta nei compensi contrattualmente
previsti per brevi spostamenti, essa non ha tuttavia modificato,
ad avviso del collegio, la suesposta nozione di trasferimento.
Deve in primo luogo escludersi una rigorosa correlazione tra
la durata dello spostamento e quella delle esigenze aziendali che
10 hanno determinato: la cessazione di queste non comporta il
diritto del dipendente al rientro, salvo sopravvenute contrarie esi
genze, presso l'unità produttiva dalla quale era stato trasferito.
Configurare un tale diritto, ed il corrispondente obbligo del dato
re di lavoro, equivale invero da un lato a richiedere comprovate
ragioni non più per il solo trasferimento, ma anche per la perma
nenza nel luogo della prestazione; dall'altro a riconoscere come
tutelato non più l'interesse generale del lavoratore ad una desti
nazione stabile, ma quello, del tutto eventuale, ad una particola
re destinazione stabile, normalmente la prima.
Né maggior fondamento può attribuirsi alla tesi in questione
ove la correlazione sia circoscritta alle ipotesi di esigenze di dura
ta predeterminata o predeterminabile. Se, infatti, oggetto di tute
la è l'interesse alla stabilità del luogo della prestazione devono
sussistere comprovate ragioni anche per il ritrasferimento alla se
de di provenienza. Con ciò non si esclude a priori la possibilità di trasferimenti
a tempo predeterminato: attraverso pattuizioni individuali il da
tore di lavoro può impegnarsi a richiamare il lavoratore rinun
ciando ad avvalersi delle originarie ragioni dello spostamento o
ad opporre ragioni future di trasferimento ad altra sede, cosi co
me il dipendente trasferito può rinunciare, anche contestualmen
te, al diritto acquisito di prestare lavoro nella nuova sede finché
non sopravvengano comprovate ragioni per un mutamento.
Ad escludere la correlazione in discorso concorrono poi argo
menti desumibili dalle caratteristiche proprie della programma
zione aziendale. Da un lato le previsioni, necessariamente basate
su ipotesi di permanenza o evoluzione di determinate condizioni,
sono generalmente più sicure a breve che a medio o lungo termi
ne: sono quindi più facilmente prevedibili i limiti temporali delle
esigenze che possono essere soddisfatte dalla trasferta che non
quelli di esigenze che richiedono spostamenti protratti nel medio
e lungo periodo. Dall'altro, esigenze di breve periodo non com
portano necessariamente soluzioni di breve periodo: le esigenze
possono richiedere riorganizzazioni e queste a sua volta presup
porre, per essere praticabili, assetti stabili atti a giustificare le
catene di spostamenti e modifiche eventualmente indotte.
Al quesito posto dalla ricorrente circa la giuridica possibilità
che comprovate esigenze di natura temporanea (nella specie la
chiusura dell'ufficio valutario di San Benedetto) giustifichino l'al
lontanamento a tempo indeterminato del dipendente dal suo po
sto di lavoro, deve dunque darsi risposta, in linea di principio,
positiva.
Deve, di conseguenza, escludersi la denunziata violazione del
l'art. 2103 c.c.
Devono essere, inoltre, disattese anche le censure con le quali
la ricorrènte investe, nel motivo in esame, la motivazione della
sentenza impugnata. La prevedibile durata delle esigenze immediate enunciate dalla
cassa nella lettera di comunicazione del trasferimento (la chiusu
11 Foro Italiano — 1989.
ra dell'ufficio valutario si è di fatto protratta dal 3 marzo 1983
all'11 settembre 1983) consentiva soluzioni alternative astratta
mente tutte plausibili: l'istituto poteva assumere i costi di una
trasferta di durata non trascurabile, trasferire la dipendente a tem
po indeterminato, proporre un accordo su un trasferimento a tem
po determinato, e la ricorrente prospetta l'ulteriore possibilità di
una missione temporanea. Chiamato a stabilire se la sola chiusura dell'ufficio (le esigenze
della direzione generale di cui alla menzionata lettera di trasferi
mento non sono state in alcun modo precisate dalla cassa) giusti ficasse o meno il trasferimento, il giudice d'appello ha ritenuto
ragionevole la scelta operata dall'istituto. Non era suo compito sostituirsi alla cassa in un'analisi di costi e ricavi volta ad indivi
duare la soluzione ottimale per l'azienda. E d'altra parte la ricor
rente non ha offerto elementi a sostegno della prospettata irrazionalità del. provvedimento adottato; come del resto nessuna
indicazione ha fornito circa la rilevanza in concreto sulle possibili soluzioni alternative, e la compatibiltà con le esigenze di servizio
delle proprie condizioni personali e di famiglia. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 marzo
1989, n. 1202; Pres. Antoci, Est. Ponzetta, P.M. De Tomma
so (conci, conf.); Soldati (Avv. Assennato) c. Rai-Tv (Aw. De Stefano). Cassa Trib. Roma 25 luglio 1985.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Eccezione
in senso proprio — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 416, 437;
1. 18 aprile 1962 n. 230, disciplina del contratto di lavoro a
tempo determinato, art. 1, 2; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme
sui licenziamenti individuali, art. 6). Lavoro (rapporto) — Pluralità di contratti a termine — Rappor
to a tempo indeterminato — Risoluzione consensuale — Fatti
specie (L. 18 aprile 1962 n. 230, art. 1, 2).
Costituisce eccezione in senso proprio, come tale soggetta al regi
me degli art. 416 e 437 c.p.c., e non diversa qualificazione giu
ridica dei fatti, la prospettazione della avvenuta risoluzione
consensuale del rapporto a tempo indeterminato in cui si sono
convertiti, per nullità della clausola di durata, alcuni contratti
a termine reiterati nel tempo, originariamente svolta nel senso
della decadenza del lavoratore dall'impugnazione dei singoli con
tratti per scadenza del termine di cui all'art. 6 l. n. 604 del
1966. (1) In caso di reiterazione di contratti a termine, convertiti in rap
porto a tempo indeterminato per nullità della clausola di dura
ta, la semplice astensione dalla prestazione alle varie scadenze
ed il difetto di prova da parte del lavoratore di essersi messo
a disposizione del datore, non comportano che debba ritenersi
risolto per mutuo consenso il rapporto a tempo indeterminato
stesso, potendo tale effetto ricavarsi solo da una lunga interru
zione caratterizzata da! completo disinteresse delle parti alla
prosecuzione del rapporto. (2)
(1) Non si rinvengono precedenti negli esatti termini. Per una fattispe cie di ritenuta argomentazione difensiva e non d'eccezione in senso stret
to, cfr. Cass. 11 dicembre 1987, n. 9207, Foro it., 1988, I, 2998, con
nota di M. Orsenigo. Corte cost. 26 gennaio 1988, n. 82, ibid., 3215,
con nota di F. Donati, ha ritenuto infondata la questione di costituzio
nalità degli art. 437, 2° comma, c.p.c. e 20, 1° comma, 1. n. 533 del
1973, sollevata in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., perché il divieto
di proporre nuove eccezioni in appello non si applica ai procedimenti
già pervenuti in primo grado alla fase decisoria al momento dell'entrata
in vigore della 1. 533 cit.
Per casistica varia in tema di eccezioni in senso stretto nel rito del
lavoro, cfr. L. de Anoelis, Il processo del lavoro nella giurisprudenza e nella dottrinaCedam, Padova, 1986, 190 ss., 388 ss.
(2) Cfr., in senso conforme, oltre ai precedenti richiamati in sentenza,
da ultimo Cass. 8 luglio 1988, n. 4525, Foro it., Mass., 663; 5 novembre
1987, n. 8116, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 608; 9 aprile
1987, n. 3525, 7 aprile 1987, n. 3405, 3 aprile 1987, n. 3259, ibid., nn.
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