sezione lavoro, sentenza 3 febbraio 1989, n. 677; Pres. ed est. Onnis, P.M. Donnarumma (concl.conf.); Branchetti e altri (Avv. Bissocoli) c. Azienda municipalizzata gas e acqua di Genova (Avv.Barbantini, Ghezzi, Medina) e Federgasacqua (Avv. Barbantini). Cassa Trib. Genova 13 aprile1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2831/2832-2849/2850Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184218 .
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2831 PARTE PRIMA 2832
Ai sensi del 2° comma dell'art. 830 c.c., i beni degli enti pub blici non territoriali, se destinati ad un pubblico servizio, sono
assoggettati alla stessa disciplina di quelli appartenenti allo Stato
e agli enti territoriali (art. 128, 2° comma); e poiché la destina
zione a pubblico servizio va intesa in senso ampio, sussistendo tutte le volte che il bene sia adibito ad una funzione direttamente attinente al fine perseguito dall'ente, non è contestabile che sif fatta destinazione si riscontra per i terreni in questione, i quali sono stati espropriati e vengono assegnati a privati coltivatori, che abbiano la qualità di diretti lavoratori manuali del terreno,
per essere utilizzati dagli stessi e da loro predeterminati aventi
causa (art. 18 1. n. 230 del 1950) per il raggiungimento delle fina lità pubbliche suddette (e agli stessi obiettivi sono correlati gli obblighi gravanti sul concessionario dopo l'assegnazione e i cor
rispondenti poteri pubblicistici degli enti concedenti). Tanto trova conferma nella disciplina del prezzo di assegnazio
ne, che non è quello venale del bene né è remunerativo, ma ha
soltanto la funzione di ristorare in parte gli enti di sviluppo delle
spese sopportate per l'acquisto e il miglioramento dei terreni, giac ché, ai sensi dell'art. 17, 2° comma, assicura il rimborso delle somme pagate per indennità di espropriazione e di 2/3 del costo delle migliorie.
In relazione a tali beni, cosi sottratti al libero mercato, la base
imponibile deve necessariamente essere commisurata — in con formità al primo criterio dettato per i contratti traslativi dal n. 1 dell'art. 41 legge di registro — al prezzo come sopra determina to nell'atto di assegnazione, senza che sia possibile far capo al valore venale; né in ciò si riscontra deroga alla seconda parte di detta disposizione — che assume come base imponibile il valo re venale quando i corrispettivi pattuiti siano inferiori ad esso — giacché questo criterio non può operare, manifestamente, se
per il bene trasferito non sia configurabile un diverso valore di mercato. Appunto per questa ragione non può trarsi contrario
argomento dell'art. 42 della legge, che per le espropriazioni for zate e i trasferimenti coattivi espressamente dispone che l'imponi bile è dato dal prezzo di aggiudicazione e, rispettivamente, dall'ammontare dell'indennizzo; in tali fattispecie, infatti, l'esclu sione del criterio del valore venale, in astratto utilizzabile, costi tuisce deroga alla disciplina suddetta, mentre tanto non si verifica
per le ipotesi in esame, in cui l'utilizzazione di quel criterio è
oggettivamente impossibile per la particolare natura del bene tras ferito.
Resta esclusa in radice, quindi, che per gli atti in questione si possa procedere ad accertamento di maggior valore, ai sensi
degli art. 48 e 49 della legge, sicché l'imposta proporzionale di
registro va sempre liquidata sul prezzo determinato per l'asse
gnazione. 6. - Le osservazioni fatte circa la disciplina di formazione del
prezzo conducono a negare anche l'esistenza di un incremento di valore del bene assoggettabile all'Invim nei confronti dell'ente concedente.
Il presupposto materiale del tributo è dato dall'incremento di valore degli immobili fra la data dell'acquisto e quella dell'atto di alienazione (o del decorso decennio), ai sensi degli art. 1 e 6 d.p.r. n. 643 del 1972. E nelle ipotesi in esame un incremento di valore a favore dell'ente concedente non può mai verificarsi, in quanto il prezzo dell'assegnazione per legge non può essere
superiore all'indennità di espropriazione corrisposta per l'acquisi zione del terreno. Né per determinare il parametro finale di rife rimento è possibile far capo al criterio del valore venale, per le stesse ragioni per cui l'accertamento di maggior valore è escluso ai fini dell'imposta di registro.
A conferma di ciò, va segnalato, infine, che anche il permane re del fondo presso l'ente concedente è ritenuto dalla legge non
produttivo di incremento di valore, in quanto è espressamente esclusa la tassabilità per decorso del decennio (art. 25, lett. n, d.p.r. n. 643 del 1972).
7. - In definitiva, con la diversa motivazione innanzi svolta, la decisione impugnata deve essere tenuta ferma, con conseguen ziale rigetto del ricorso principale e assorbimento di quello inci dentale condizionato.
li Foro Italiano — 1989.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro, sentenza 3 febbraio
1989, n. 677; Pres. ed est. Onnis, P.M. Donnarumma (conci,
conf.); Branchetti e altri (Aw. Bissocoli) c. Azienda munici
palizzata gas e acqua di Genova (Aw. Barbantini, Ghezzi,
Medina) e Federgasacqua (Aw. Barbantini). Cassa Trib. Ge
nova 13 aprile 1984.
Lavoro (contratto collettivo) — Accordo sindacale statuente pre stazioni in favore dei pensionati — Natura giuridica — Gestio
ne di affari altrui — Conseguenze.
Il contratto collettivo che prevede somministrazioni in natura in
favore dei pensionati è qualificabile non come contratto a fa vore di terzo ma come gestione di affari altrui, sicché la succes
siva contrattazione collettiva, in mancanza di nuova ratifica, rimane estranea ai lavoratori pensionati (nella specie, la senten
za cassata aveva invece ritenuto vincolante per i lavoratori pen sionati il contratto collettivo che disponeva la sostituzione delle
prestazioni in natura in precedenza godute con un'indennità
annua di minor valore). (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 3 settembre
1988, n. 5016; Pres. Menichbjo, Est. Nardino, P.M. La Val va (conci, conf.); Gestione commissariale governativa per le
Ferrovie del Sud-Est c. Carmineo (Aw. Ventura). Conferma Trib. Bari 6 novembre 1985.
Lavoro (contratto collettivo) — Efficacia nei confronti dei lavo
ratori collocati in quiescenza — Esclusione — Modifiche re
troattive «in peius» — Disposizione di diritti quesiti — Inam
missibilità.
In difetto di specifico mandato o di acquiescenza o ratifica degli interessati, il contratto collettivo — che in ogni caso non pro duce effetti nei confronti dei lavoratori cessati dal servizio, es
sendo per costoro venuta meno la stessa legittimazione dell'or
ganizzazione sindacale a rappresentarli — non può disporre dei diritti soggettivi acquisiti dai lavoratori (nella specie, il princi pio del diritto quesito è stato affermato in relazione a migliora menti retributivi previsti dalla disciplina negoziale vigente all'e
poca del collocamento a riposo poi ridotti, con decorrenza re
troattiva, da successivi contratti collettivi). (2)
(1-6) I. - Il tema del potere di rappresentanza del sindacato e dei suoi limiti, generalmente discusso a proposito delle modifiche in peius intro dotte nella successione di fonti collettive, acquista con riferimento alla posizione dei lavoratori non attivi (perché pensionati o disoccupati) nuo ve dimensioni problematiche, di cui è traccia nelle decisioni in rassegna.
a) In materia di rappresentanza di lavoratori disoccupati, la tesi espo sta in Cass. 22 maggio 1987, n. 4658 (riportata anche in Mass. giur. lav., 1987, 328, con nota di Inglese, Contrattazione trilaterale e succes sione di contratti collettivi), che l'esistenza del rapporto di lavoro non è un presupposto indeclinabile del potere di rappresentanza sindacale, e che sottrarre a priori alla competenza dell'autonomia collettiva tutto quanto non è contrattazione delle condizioni di lavoro (sull'indimostrato assunto che funzione del contratto collettivo sia soltanto quella normati va) sarebbe alquanto riduttivo, costituisce un'importante messa a punto per il corretto inquadramento concettuale del problema. Muovendo dalla valenza plurifunzionale del contratto collettivo, la sentenza richiamata ribadisce infatti, per la qualificazione di accordi sindacali contenenti clausole a favore di lavoratori disoccupati, la priorità del ricorso agli schemi giuri dici di diritto sindacale, censurando l'applicazione dello schema civilistico del contratto a favore di terzo.
In quest'ultimo senso si era invece orientata la Cassazione in fattispecie consimili: a proposito di accordi sindacali sul reimpiego di lavoratori li cenziati da aziende in crisi, v. infatti Cass. 24 maggio 1985, n. 3162, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (contratto), n. 34 (e in Mass. giur. lav., 1985, 283, commentata da Genghini, Vertenza conclusa con patto di riassunzione di ex dipendenti: contratto preliminare a favore di terzo o accordo aziendale collettivo?, id., 1986, 154), in cui l'obbligo dell'im presa stipulante di dare integrale attuazione ad un accordo di riassunzio ne, una volta esclusa dalla corte la capacità rappresentativa del sindacato stipulante, per non essere l'interessato parte di un rapporto di lavoro in atto, viene ricavata dallo schema del contratto a favore di terzo «nel
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 maggio
1987, n. 4658; Pres. Nocella, Est. O. Fanelli, P.M. Zema
(conci, conf.); Soc. Cometra (Aw. Spagnuolo Virgorita, Lear
di) c. Scavino (Aw. Arena). Cassa Trib. Messina 7 febbraio 1984.
Lavoro (contratto collettivo) — Accordo sindacale sul reimpiego di lavoratori licenziati da azienda in crisi — Natura di contrat
to collettivo di diritto comune.
Lavoro (contratto collettivo) — Successione nel tempo di fonti
collettive di pari livello — Ammissibilità di modifiche peggio rative — Intangibilità dei diritti quesiti.
Il contratto collettivo di diritto comune presenta, sotto il profilo
oggettivo, una estesa gamma di funzioni (normativa, obbliga
toria, compositiva di conflitti giuridici ed altre ancora) e con
sente alle parti stipulanti di regolare situazioni concernenti la
voratori non occupati, prevedendo le modalità di reimpiego di
dipendenti licenziati da aziende in crisi (nella specie, la Supre ma corte, alla stregua degli enunciati principi, ha annullato la
pronuncia del giudice di merito che, qualificata l'intesa nego
ziale contenente l'obbligo di riassunzione di lavoratori licenzia
ti da altre aziende come contratto a favore di terzo, e non co
me contratto collettivo, ne aveva affermato, ex art. 1411, 3°
comma, c.c., la immodificabilità in peius senza il consenso
espresso dei beneficiari, considerando perciò illegittima l'esclu
sione dall'assunzione dei lavoratori ultrasessantenni disposta da
successivo accordo sindacale modificativo del precedente). (3) Nella successione nel tempo di contratti collettivi di pari livello
la nuova disciplina sostituisce la precedente, anche se meno fa vorevole ai lavoratori, data l'inapplicabilità dell'art. 2077 c.c.
ai rapporti tra fonti collettive, con l'unico limite dell'intangibi lità dei diritti soggettivi ormai entrati nel patrimonio individua le del lavoratore. (4)
preciso senso che la stipulazione del patto costituisce la fonte del rappor to di lavoro cui il promittente resta vincolato a norma del citato art.
1411». V. pure il caso più complesso, di successione di accordi sindacali
contestati da lavoratori avviati in aziende praticanti un trattamento di
minor favore rispetto a quello dell'area di provenienza, esaminato da Cass.
18 dicembre 1986, n. 7723, Foro it., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 1842 (e in Riv. it. dir. lav., 1987, II, 732, con nota di Romei, Interessi
individuali e interesse collettivo nelle crisi occupazionali): anche in questo
caso, pur escludendo la rappresentanza sindacale dei lavoratori in attesa
di occupazione, la Suprema corte risolve il problema della lamentata mo
difica peggiorativa attribuendo efficacia meramente obbligatoria all'ac
cordo contenente l'astratta previsione di riassunzione e natura di contrat
to a favore di terzo a quelli successivi che, selezionando in concreto i
lavoratori da avviare alle nuove società, creerebbero diritti al reimpiego altrimenti inesistenti.
b) Tuttora ferma ad impostazioni che — trascurando la tipicità della
rappresentanza sindacale, che è rappresentanza di interessi collettivi e non
già sostituzione nell'attività negoziale individuale — fanno applicazione eclettica di schemi negoziali di diritto comune è viceversa parte della giu
risprudenza relativa alla rappresentanza dei lavoratori in pensione. L'inquadramento proposto da Cass. 3 febbraio 1989, n. 677, degli ac
cordi sindacali sulle somministrazioni in natura in favore dei pensionati, come gestione di affari altrui, dove la ratifica degli interessati ex art.
2032 c.c. prende il posto del mandato sindacale e vale a rendere efficace, e non modificabile senza un nuova ratifica, la disciplina negoziale conve
nuta, apre un'ulteriore biforcazione nell'orientamento che rinunzia ad ap
plicare i principi e gli schemi interpretativi di diritto sindacale.
Al contratto a favore di terzo, in una controversia analoga, si era in
precedenza richiamata Cass. 16 gennaio 1986, n. 260, Foro it., 1986,
I, 931, con nota di richiami di Curzio (e in Dir. lav., 1986, II, 233, con nota di Amoroso, Contratto collettivo e clausola in favore di terzo),
che, qualificata la clausola sulle somministrazioni in natura per i pensio nati come clausola a favore di terzo, ne aveva ammesso tuttavia, malgra do la intervenuta dichiarazione del terzo di volere profittare della stipula zione in suo favore, la modificabilità in peius ad opera di fonti collettive
successive. La stipulazione di un accordo modificativo delle somministra
zioni in natura a favore dei pensionati dà luogo invece ad una rappresen tanza senza potere ex art. 1398 c.c., e la ratifica del negozio va pertanto ricondotta all'ipotesi di cui all'art. 1399 c.c., secondo Trib. Bologna 27
marzo 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (contratto), n. 22 (e in
Riv. it. dir. lav., 1985, II, 631, con nota di Vailebona) e Pret. Bologna
13 aprile 1982, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 19 (e in Orient, giur.
lav., 1982, 937). L'operatività degli ordinari canali della rappresentanza
Il Foro Italiano — 1989.
IV
PRETURA DI PISA; sentenza 18 marzo 1989; Giud. Vallini; Bartolozzi e Tosini (Avv. Giraudo) c. Cassa di risparmio di
Pisa (Aw. Pera, Del Punta, Guarneeri, Lombardi).
Lavoro (contratto collettivo) — Clausola contrattuale concernen
te un trattamento pensionistico aziendale — Natura ed effetti — Diritto acquisito alla pensione integrativa aziendale — Im
modificabilità «in peius».
La clausola del regolamento di un istituto bancario che disciplina un trattamento pensionistico aziendale ha come destinatari i
lavoratori in servizio attivo e non i pensionati, costituendo il
trattamento medesimo corrispettivo differito dell'attività lavo
rativa svolta, e, pertanto, non può essere qualificata come clau
sola a favore di terzi. (5) Il diritto al trattamento pensionistico di fonte negoziale si perfe
ziona sulla base della disciplina vigente all'epoca del colloca
mento a riposo e, per il principio dell'intangibilità dei diritti
quesiti, è insuscettibile di modifiche ad opera di successivi con
tratti collettivi in mancanza del consenso degli interessati (nella
specie, accertato che le parti stipulanti avevano inteso rappor tare la retribuzione pensionabile al complessivo trattamento eco
nomico del personale in servizio, si è ritenuta illegittima la pre visione collettiva volta ad escludere voci retributive di nuova
istituzione dal computo del trattamento pensionistico). (6)
sindacale per giustificare l'efficacia degli accordi in questione e delle suc
cessive modifiche era stata affermata in primo grado, nel giudizio che
Cass. 677/89 ha diversamente deciso, da Pret. Genova 14 giugno 1983
e 14 gennaio 1983, Foro it., Rep. 1985, voce cit., nn. 26, 36, 61 (e in
Gìur. merito, 1985, 60, con nota di Belfiore).
c) Ancora diversa, perché interna al diritto sindacale ed alle sue regole, la ricostruzione di Pret. Pisa 18 marzo 1989, che si avvale dall'articolata
elaborazione offerta — in tema di potere del sindacato di porre, e di
modificare, normative concernenti la fase del pensionamento — da Cass.
11 novembre 1988, n. 6116, Foro it., 1989, I, 2270. La natura di corri
spettivo differito che il trattamento pensionistico integrativo aziendale ri
veste, consente infatti di riferire l'accordo che lo prevede a lavoratori
in servizio, come tali rappresentati dai soggetti stipulanti, anziché alla
categoria dei pensionati, e di valutare la legittimità delle successive modi
fiche alla stregua delle regole comunemente applicate in materia di suc
cessione nel tempo dei contratti collettivi — in particolare del limite alle
deroghe in peius rappresentato dai diritti quesiti — considerando il pen sionamento come fatto che «perfeziona» la fattispecie costitutiva e fa
sorgere il diritto al trattamento, che diviene perciò immodificabile in sede
di rinnovo contrattuale. In tema, v. inoltre Cass. 27 gennaio 1988, n.
689, id., Rep. 1988, voce Lavoro (contratto), n. 49 che, da premesse comuni alle decisioni appena richiamate, circa la qualificazione come con
tratti collettivi degli accordi statuenti somministrazioni in natura per i
pensionati, trae la conclusione di una loro illimitata modificabilità, anche
in peius. Nel senso che il diritto al trattamento pensionistico di fonte negoziale
si perfeziona sulla base della disciplina vigente all'epoca del collocamento
a riposo e da tale momento diviene un diritto quesito immodificabile
dalla successiva contrattazione collettiva, v. già Trib. Ravenna 31 luglio
1968, id., Rep. 1969, voce cit., n. 62 (e in Foro pad., 1969, I, 946, con nota di Terzago) e Pret. Bari 3 giugno 1985, Foro it., Rep. 1986, voce
cit., n. 82 (e in Riv. it. dir. lav., 1986, II, 648, con nota di Poso), en
trambe relative alla abrogazione del sistema di rivalutazione automatica
della pensione integrativa (ritenuta invece legittima modifica in peius, sul
la base della normale dinamica nel tempo delle fonti collettive, da Cass.
16 ottobre 1987, n. 7673, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 51, e in Noti
ziario giurisprudenza lav., 1988, 131). Con specifico riguardo all'allineamento dei trattamenti pensionistici in
tegrativi alla dinamica salariale dei dipendenti in servizio, oltre a Cass.
11 novembre 1988, n. 6116, cit., che in una fattispecie analoga a quella esaminata dal Pretore di Pisa ha ritenuto non adeguatamente motivata
sul punto la statuizione di merito circa la tassatività delle voci pensiona
bili, cfr. Cass. 19 febbraio 1988, n. 1746, Foro it., Rep. 1988, voce cit.,
n. 24 (e in Notiziario giurisprudenza lav., 1988, 587) che ha invece esclu
so, sulla base dell'interpretazione del contratto collettivo d'origine, che
la pretesa alla rivalutazione automatica costituisca un diritto quesito, trat
tandosi di mera aspettativa collegata all'adesione di volta in volta presta ta dall'interessato alle successive fonti collettive. In materia è di recente
intervenuta la Corte costituzionale (sent. 5 maggio 1988, n. 501, Foro
it., 1989, I, 639) che dalla natura retributiva dei trattamenti pensionistici ha ricavato l'esigenza di un loro costante adeguamento alle retribuzioni
del servizio attivo, disponendo la riliquidazione della pensione dei magi
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2835 PARTE PRIMA 2836
I
Motivi della decisione. — Preliminarmente si osserva che sulla
pronunzia di inammissibilità dell'intervento della Federgasacqua si è formato il giudicato interno, non essendo stata dalla detta
federazione proposta al riguardo alcuna impugnazione in questa sede.
Con il primo motivo del ricorso, denunziando violazione e fal
sa applicazione degli art. 1703 ss. c.c., 1387 ss. c.c., violazione
dei principi generali in tema di mandato e di rappresentanza, non
ché dei principi generali in tema di autonomia negoziale desumi
bili dall'ordinamento giuridico positivo, oltre che omessa, insuf
ficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la Bran
strati sulla base dei mutamenti della struttura retributiva introdotti dalla
1. 141/85 per i magistrati in servizio.
d) L'analisi dei precedenti è resa disagevole dalla diversità dei punti di partenza adottati dalle decisioni che direttamente o indirettamente toc cano il tema dei limiti «soggettivi» del potere di rappresentanza. Confor me a Cass. 3 settembre 1988, n. 5016, nel senso che il mandato sindacale
si estingue automaticamente con il collocamento a riposo e per il compi mento di atti in favore degli ex dipendenti occorre un mandato ad hoc o una ratifica successiva, v. Cass. 25 giugno 1988, n. 4323, Foro it., Rep. 1988, voce Sindacati, n. 46 (e in Orient, giur. lav., 1988, 929) e
Cass. 20 luglio 1982, n. 4280, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro (contrat to), n. 87 (e in Mass. giur. lav., 1982, 571), tutte relative a modifiche
peggiorative retroattive su crediti ormai maturati dai lavoratori in quie scenza; nonché Trib. Bologna 27 marzo 1985, cit., e Pret. Bologna 13
aprile 1982, cit., a proposito delle modifiche in peius degli accordi sulle
somministrazioni in natura. Contra, sulla base di una nozione amplissima di mandato sindacale, comprensivo anche del potere di disporre di diritti
ormai acquisiti dai lavoratori in pensione, Pret. Bari 8 febbraio 1980, Foro it., 1980, I, 2069, con nota di richiami.
Diverso è invece l'orientamento della giurisprudenza in ipotesi di bene
fici economici connessi ad un rinnovo contrattuale: l'indirizzo attualmen
te dominante è infatti nel senso di ritenere l'iscrizione al sindacato titolo sufficiente per l'applicazione al lavoratore cessato dal servizio del con tratto collettivo retroattivo, e di riferire la rappresentanza sindacale alla
permanenza del vincolo associativo anziché alle vicende del rapporto di
lavoro: in tal senso Cass. 8 marzo 1986, n. 1571, id., Rep. 1986, voce
cit., n. 21; 22 giugno 1982, n. 3811, id., Rep. 1983, voce cit., n. 88, e in Giust. civ., 1983, I, 219; 26 giugno 1980, n. 4024, Foro it., 1981,
I, 1365 e Lavoro e prev. oggi, 1980, II, 2332, con nota di Meucci; 15
novembre 1978, n. 5281, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 25 e in Mass.
giur. lav., 1979, 333; 7 maggio 1971, n. 1294, Foro it., 1972, I, 1, 1067, con nota di richiami di Martinelli; tra i giudici di merito, Pret. Milano
11 aprile 1968, id., Rep. 1968, voce cit., n. 46 e in Mon. trib., 1968, 1083, con nota di Alibrandi; Pret. Parma 10 novembre 1981, Foro it..
Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 1610 e Giur. it., 1982, I, 2, 606.
II. - Sul problema della capacità del sindacato di disporre delle situa zioni giuridiche individuali, in presenza della successione nel tempo di
contratti collettivi dello stesso livello, le decisioni in rassegna confermano l'orientamento giurisprudenziale che fa prevalere la disciplina più recente nel tempo, anche se meno favorevole ai lavoratori, con l'unico limite della conservazione dei diritti ormai entrati nel patrimonio individuale: Cass. 2 aprile 1987, n. 3214, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (contrat to), n. 60; 24 aprile 1987, n. 4024, ibid., n. 71; 18 luglio 1987, n. 6355, ibid., n. 57.
In particolare, sul limite dei diritti non disponibili attraverso modifiche
retroattive in peius, in senso conforme a Cass. 5016/88, v. Cass. 20 luglio 1982, n. 4280, cit., e 4 febbraio 1987, n. 1085, ibid., n. 42; più in genera le, sulla carenza di legittimazione del sindacato a rinunciare, transigere o conciliare diritti soggettivi dei lavoratori, sia pure acquisiti per effetto di norme collettive, in difetto di mandato ad hoc o di ratifica successiva, cfr. Cass. 21 agosto 1987, n. 7001, ibid., voce Sindacati, n. 43; 13 set tembre 1986, n. 5592, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 2887; Trib. Mila
no 31 gennaio 1987, ibid., n. 2893; Pret. Bologna 22 settembre 1986,
ibid., n. 2896; Pret. Cesena 14 marzo 1986, ibid., n. 2898. Sulla indispo nibilità dei diritti quesiti negli accordi transattivi, con riferimento alla
posizione di lavoratori in servizio, v. invece Cass. 24 maggio 1988, n.
3592, id., 1989, I, 457; 29 gennaio 1988, n. 795, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 2416; 27 gennaio 1988, n. 719, ibid., nn. 928, 2417 (e in Riv. it. dir. lav., 1988, II, 910, con nota di Maresca); 14 maggio 1987, n.
4408, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 2418; Trib. Campobasso 26 feb braio 1988, ibid., n. 1639 (e in Riv. it. dir. lav., 1988, II, 927, con nota di Poso). Sull'intera problematica, v., da ultimo, Lambertucci, Brevi
considerazioni sul c.d. potere dispositivo dell'autonomia collettiva dinan
zi alla pluralità di «modelli» della contrattazione collettiva, in Foro it., 1988, I, 528, ed ivi ulteriori riferimenti. [P. Bellocchi]
Il Foro Italiano — 1989.
chetti e gli altri consorti di lite hanno sostenuto che il tribunale
ha errato: 1) nel non aver tenuto conto che ciascuno di loro al
momento del collocamento a riposo aveva perduto ipso iure, se
condo le regole statutarie delle rispettive organizzazioni di cate
goria, il diritto attivo e passivo alla rappresentanza sindacale, non
facendo più parte di un rapporto di lavoro in atto, sicché in nes
sun caso i contratti collettivi stipulati in tempo successivo avreb
be potuto incidere sul loro status giuridico-economico, tanto più se lesivi dei diritti quesiti all'atto del loro collocamento a riposo;
2) che coloro i quali non erano stati mai iscritti ad alcun sindaca
to, stipulante o no, non potevano essere lesi nel trattamento pen sionistico acquisito al momento del loro collocamento a riposo da alcuna trattativa collettiva posteriore.
Il motivo è fondato. Premesso che nella specie, come si desu
me dall'impugnata sentenza, i ricorrenti, una volta collocati a
riposo, non avevano diritto all'iscrizione alle organizzazioni sti
pulanti dei lavoratori in servizio, si osserva che sulla questione relativa alla legittimazione del sindacato a stipulare tuttavia con
tratti collettivi che prevedano determinati benefici economici an
che a favore dei lavoratori collocati in pensione (somministrazio ne in natura di gas), e sulla derogabilità in peius di tale disciplina contrattuale da parte di contratti collettivi successivi, questa cor
te si è già pronunciata con la sentenza 16 gennaio 1986, n. 260
(Foro it., 1986, I, 931). La corte ha dato risposta affermativa ad ambedue i quesiti,
ritenendo che la clausola contrattuale concernente gli indicati be
nefici per i pensionati è riconducibile non alla parte normativa
del contratto collettivo, nel cui campo di applicazione non rien
trano i pensionati, siccome non più soggetti di un rapporto di
lavoro in atto, ma nell'ambito della parte obbligatoria del con
tratto collettivo medesimo ed inquadrabile nello schema del con
tratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.). In proposito, nella citata decisione si è rilevato che la validità
ed operatività di detta figura contrattuale prescinde dalla parteci
pazione — diretta o delegata — del «terzo» alla stipulazione del
contratto e quindi anche dal potere di rappresentarlo delle parti
stipulanti, delle quali è richiesto soltanto 1' «interesse», mentre
la dichiarazione del «terzo», il quale acquista il diritto, previsto in suo favore per effetto della stipulazione, di volere di questa
profittare può assumere rilievo solo al diverso fine di rendere
«irrevocabile» e «immodificabile» la stipulazione medesima.
Si è però considerato che tuttavia il diritto del terzo non viene
definitivamente acquisito al patrimonio di questi, ma può venir
meno in dipendenza della cessazione sopravvenuta del contratto
(per scadenza del termine di efficacia, per recesso o per altra cau
sa) e può anche subire modifiche in peius ad opera di contratti
collettivi successivi, ove queste siano consentite dal relativo regi me convenzionale o legale.
Ciò premesso, la corte non ritiene di poter condividere, nella
presente analoga controversia, codesto precedente giurispru denziale.
Invero, l'art. 1411, 3° comma, c.c. prevede la irrevocabilità
della stipulazione una volta che il terzo abbia dichiarato anche
con comportamenti concludenti di volerne profittare, sicché la
situazione giuridica del terzo devesi ritenere immodificabile in peius ad opera di una dichiarazione di volontà degli originari contraen
ti. Il diritto del terzo è infatti definitivamente acquisito al suo
patrimonio, e non è più possibile alcuna revoca o modifica della
primitiva pattuizione, senza che egli presti ad essa il suo consenso.
Una volta inquadrata la fattispecie nello schema negoziale del
contratto a favore di terzi, non è dato superare l'ostacolo costi
tuito dall'impossibilità di modificare il contratto ove il terzo ab bia dichiarato di volerne profittare, mediante il riferimento ad
una diversa disciplina, retta da principi del tutto diversi, com'è
quella concernente la contrattazione collettiva riguardata nella sua
successione nel tempo. Devesi piuttosto ritenere che il contratto collettivo, il quale sta
bilisca in favore dei lavoratori pensionati il diritto all'erogazione da parte del precedente datore di lavoro di determinate prestazio ni in natura, si risolva nei riguardi dei pensionati stessi — rimasti
estranei alla stipulazione del contratto — in una utile gestione
(art. 2028 ss. c.c.), giacché ne sussistono in tal caso tutte le con
dizioni, ossia: 1) la mancanza di un'obbligazione tra il gestore ed il dominus; 2) l'intenzione di gerire un affare altrui; 3) l'im possibilità obiettiva dei titolari del diritto di provvedervi: 4) l'a lienità del negozio gerito.
Nella contemplata ipotesi, le associazioni sindacali stipulanti
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sono infatti consapevoli di non aver ricevuto alcun mandato da
parte dei pensionati per rappresentarli nella trattativa sindacale, sono dotati di animus negotia aliena gerendi, e, consapevoli che
i pensionati, come collettività di persone non organizzate, non
potrebbero gestire tempestivamente in un'occasione loro propi
zia, quale la nuova contrattazione collettiva, un miglioramento del loro trattamento pensionistico, non incorrono ex fide bona
nel divieto di intromettersi indebitamente negli affari altrui (art.
1372, 2° comma, c.c.). La ratifica ex art. 2032 c.c. da parte degli aventi diritto, per
facta concludentia (accettazione del beneficio), della suddetta ge stione di affari, ne costituisce la conclusione, sicché la successiva
contrattazione collettiva, con la quale le parti contraenti abbiano
convenuto di ridurre il beneficio concesso ai pensionati, dev'esse
re ritenuto estraneo a questi ultimi, in difetto del requisito dell'u
tiliter coeptum, e, come res inter alios acta, non giova né nuoce
nei loro confronti, in mancanza peraltro di alcuna successiva ra
tifica. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il primo moti
vo del ricorso dev'essere dunque accolto, rimanendo assorbito
il secondo, con il quale si deduce la mancata preventiva consulta
zione dei ricorrenti nella fase precontrattuale dell'accordo collet
tivo in questione. In conclusione, la sentenza impugnata dev'essere cassata, con
il rinvio della causa ad altro giudice d'appello, il quale si unifor
merà ai principi di diritto sopra enunciati.
II
Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente, denunziando «violazione e falsa applicazione dell'art. 15 preleg
gi, dell'art. 1 r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, delle leggi 6 agosto 1954 n. 858 e 1° febbraio 1978 n. 30 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.», rileva che le qualifiche funzionali degli autoferro
tramvieri e l'individuazione del relativo livello d'inquadramento trovano la loro disciplina unicamente nella legge, di talché il la
voratore «non può, sulla base di un contratto collettivo, far vale
re un diritto derivante dall'attribuzione di un certo livello ad una
data qualifica, che gli viene attribuito esclusivamente dalla legge; l'eventuale passaggio di qualifica non può avvenire in maniera
compiuta, altrimenti che tramite un puntuale provvedimento legi
slativo, che nel caso de quo è la 1. 1° febbraio 1978 n. 30». Tale
conclusione troverebbe conferma nel fatto che lo stesso contratto
collettivo del 1976, nel disciplinare — ai sensi dell'art. 1 r.d. n.
148 del 1931 — le retribuzioni minime globali, «differisce l'ope ratività dei benefici economici previsti all'emanazione del provve dimento legislativo che determina le tabelle nazionali delle quali fiche». Ne consegue che, secondo la ricorrente, «la pretesa fon
data sulla temporalizzazione economica recata dal ccnl 23 luglio 1976 non poteva trovar ingresso in via autonoma».
Con il secondo mezzo, con il quale si deduce «omessa, insuffi
ciente e contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5,
c.p.c.», si addebita al tribunale di avere erroneamente ritenuto
che la controversia vertesse «sul problema della legittimazione del
sindacato a tutelare gli interessi degli ex dipendenti» e di non
aver preso, di conseguenza, in considerazione «la possibilità . . .
che gli accordi collettivi del 1977 e del 1978 siano stati stipulati
per rispondere . . . alle esigenze che giustificano la riserva del
ccnl del 1976», secondo la quale, ai fini della pratica correspon sione dei benefici economici previsti dal nuovo contratto, il mini
stero del lavoro avrebbe dovuto esperire «ogni opportuna indagi
ne, nei tempi tecnici più solleciti, atta ad accertare la legittima
possibilità del loro effettivo pagamento prima dell'emanazione
del richiamato provvedimento legislativo». I predetti accordi —
conclude la ricorrente — venendosi ad inserire in pieno nell'orbi
ta di questa previsione contrattuale, non possono essere valutati
che come integrazione contrattuale di una disciplina non compiu
ta e comunque non attributiva di una situazione giuridica sog
gettiva». Le suesposte censure, che per la loro connessione possono esse
re congiuntamente esaminate, non meritano accoglimento. Inconferente è il rilievo che, essendo regolate dalla legge le ta
belle nazionali delle qualifiche del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto, non potrebbe essere fatto valere, «sulla base
di un contratto collettivo, un diritto derivante dall'attribuzione
di un certo livello ad un data qualifica».
Il Foro Italiano — 1989.
Il lavoratore ha, infatti, rivendicato non già una qualifica su
periore o un livello d'inquadramento diverso da quello assegna
togli, come presupposto della pretesa di natura economica dedot
ta in giudizio, ma unicamente il diritto ai miglioramenti retributi
vi previsti dal ccnl 23 luglio 1976 (alleg. C) con decorrenza
retroattiva al 1° gennaio 1976.
Né la previsione del «differimento» della concreta erogazione dei benefici economici alla data di entrata in vigore della ema
nanda legge sulle tabelle delle qualifiche (1. 1° febbraio 1978 n.
30) vale a dimostrare l'asserita «incompletezza» degli accordi in
materia di retribuzione e la conseguente necessità di integrarli me
diante pattuizioni successive.
Secondo l'insindacabile apprezzamento del giudice del merito, fondato su elementi testuali di inconstestabile chiarezza («i bene
fici economici dei nuovi parametri avranno comunque effetto dal
1° gennaio 1976»), la suddetta previsione aveva la sola funzione
di stabilire un termine per l'esigibilità dei benefici derivanti dal l'applicazione del nuovo contratto, ma non incideva sulla «ope ratività» della relativa disciplina e sul diritto dei lavoratori al mi
glior trattamento economico, già perfetto in tutti i suoi elementi
costitutivi.
Né ha alcun fondamento l'addebito, mosso al Tribunale di Ba
ri, di non aver tenuto conto della «possibilità» che gli accordi
stipulati il 23 novembre 1977 ed il 31 gennaio 1978 fossero giusti ficati dalla «riserva» di affidare al ministero del lavoro un'inda
gine diretta ad accertare la «legittima possibilità» di effettuare
il pagamento dei «benefici economici», prima della emanazione
del provvedimento legislativo sulle tabelle di qualifica. Come già si è detto, il giudice d'appello ha accertato, alla stre
gua della disciplina negoziale, che il diritto dei lavoratori ai mi
glioramenti economici concordati non era sottoposto ad alcuna
riserva o condizione; ed anzi, proprio dalla previsione contrat
tuale in questione, per la quale il pagamento dei «benefici» già maturati sarebbe potuto avvenire in anticipo rispetto alla data
stabilita (e quindi indipendentemente dalle prescrizioni ancora igno te della legge in corso di elaborazione), ha tratto elementi di con
ferma del proprio convincimento che il diritto di percepire le nuove
«retribuzioni minime conglobate», già determinate nel loro esatto
importo in relazione ai vari livelli di inquadramento del persona
le, era entrato a far parte del patrimonio dei lavoratori per effet
to della stipulazione del contratto collettivo, anche se la sua con
creta realizzazione era stata «differita» nell'interesse delle azien
de autoferrotramviarie.
Questa conclusione rappresenta il risultato di un procedimento
interpretativo ineccepibile sul piano logico e condotto nel pieno
rispetto dei criteri legali di eremeneutica contrattuale dettati dagli art. 1362 ss. c.c. (dei quali non viene infatti denunziata, sia pur solo formalmente, la violazione). Sono, pertanto inammissibili — prima ancora che infondati — i rilievi critici della ricorrente, che investono giudizi di fatto adeguatamente e correttamente mo
tivati e che appaiono all'evidenza diretti a contrapporre alla vo
lontà negoziale, come accertata dal giudice di merito (cui è istitu
zionalmente riservata la relativa indagine) una diversa interpreta zione dei patti contrattuali, al fine di dare sostegno all'assunto, coerentemente disatteso dal tribunale, secondo cui la disciplina in materia retributiva contenuta nel contratto collettivo del 1976
non avrebbe creato, a favore dei lavoratori, «una situazione giu ridica soggettiva piena».
È appena il caso di aggiungere che la contraria statuizione del
giudice d'appello (non soggetta, per le spiegate ragioni, al sinda
cato di questa corte) conferisce rilevanza decisiva alla questione,
ingiustificatamente sottovalutata dall'azienda, della legittimazio ne delle organizzazioni sindacali a disporre, mediante accordi col
lettivi nazionali o aziendali con effetti retroattivi, dei diritti sog
gettivi acquisiti dai singoli lavoratori associati.
Premesso che i cennati accordi del 1977 e del 1978 (con i quali i benefici economici derivanti dal ccnl del 1976 vennero ridotti
al 40% del loro importo per il periodo 1° gennaio 1976 - 31
dicembre 1977) sono stati considerati dal Tribunale di Bari (e sul punto non vi è contestazione) come veri e propri atti di rinun
zia parziale al credito maturato dai lavoratori, rileva la corte che
lo stesso tribunale ha dato al suddetto problema soluzione pun tualmente conforme all'orientamento concorde della dottrina e della
giurisprudenza, espresso in numerose pronunzie di questo Supre
mo collegio, nelle quali si afferma che «il nostro ordinamento giu
ridico riconosce alle organizzazioni sindacali — secondo i principi
desumibili dalla Costituzione (art. 39), dallo statuto dei lavo
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2839 PARTE PRIMA 2840
ratori e dalle norme sul processo del lavoro — la funzione di
stipulare contratti collettivi di lavoro, di sostenere le rivendica
zioni dei lavoratori, di assisterli nelle conciliazioni e nelle contro
versie individuali, di svolgere opera di promozione sociale; non
compete invece alle organizzazioni predette alcun potere di rap
presentanza in ordine ad atti dispositivi di diritti soggettivi acqui siti; conseguentemente l'accordo aziendale stipulato tra le orga nizzazioni sindacali ed il datore di lavoro ed avente ad oggetto, tra l'altro, la rinuncia a diritti soggettivi dei lavoratori non vinco
la coloro che non lo abbiano sottoscritto o che non abbiano con
ferito alle organizzazioni predette uno specifico mandato con rap
presentanza, salva sempre la facoltà del lavoratore di prestare successivamente acquiescenza oppure di ratificare, anche con com
portamenti concludenti, l'accordo medesimo . . .» (Cass. 13 aprile
1985, n. 2445, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n.
1889; v. anche, fra le più recenti sentenze in senso conforme,
Cass. 13 maggio 1987, n. 4408, id., Rep. 1987 voce cit., n. 2866; 4 febbraio 1987, n. 1085, ibid., voce Lavoro (contratto), n. 42; 21 gennaio 1987, n. 537, id., 1988, I, 526; 13 settembre 1986, n. 5592, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1276 e voce
Sindacati, n. 40). Alla stregua di tali principi ed avuto riguardo agli accertamenti
di fatto innanzi riferiti, appare giuridicamente corretta la decisio
ne impugnata, la quale ha escluso che gli accordi sindacali ridut
tivi dei benefici economici già acquisiti dai lavoratori potessero essere vincolanti per quei dipendenti delle Ferrovie del Sud Est
che — come il resistente — non solo non avevano conferito al
sindacato un mandato specifico a compiere atti di disposizione del loro diritto di credito, né avevano prestato acquiescenza al
l'accordo abdicativo, ma erano addirittura cessati dal servizio prima della stipulazione dei predetti accordi, di talché era venuta meno
la stessa legittimazione dell'organizzazione sindacale a rappresen tarli e ad interferire negativamente sulla loro sfera giuridica (v., sul punto, Cass. 20 luglio 1982, n. 4280, id., Rep. 1982, voce
Lavoro (contratto), n. 56; 9 marzo 1982, n. 1484, id., 1982, I,
1201). Né potrebbe indurre in diverso avviso il rilievo che, ai sensi
dell'art. 1, 2° comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, è demandata
alla contrattazione collettiva «ogni statuizione concernente i trat
tamenti economici» degli autoferrotramvieri. Non è, invero, con
sentito desumere da tale disposizione che alle organizzazioni sin
dacali di tali lavoratori siano conferiti dalla legge poteri assoluti
ed incontrollabili di rappresentatività e di disposizione dei diritti
degli associati oltre i limiti naturali, innanzi precisati, del manda
to sindacale e addirittura oltre al termine di cessazione del rap
porto di lavoro, al quale è inscindibilmente collegato quello di
associazione al sindacato della categoria. Vige, pertanto, anche
nel settore degli autoferrotramvieri il divieto per le organizzazio ni sindacali di disporre retroattivamente, invito domino, di diritti
soggettivi in precedenza acquisiti dal lavoratore; e vige altresì' il
suindicato limite temporale di rappresentanza degli iscritti (salvo casi particolari in cui i contratti o accordi collettivi contengano
disposizioni retroattive vantaggiose per i lavoratori, ancorché col
locati in quiescenza). Per le considerazioni fin qui svolte il ricorso va rigettato.
Ili
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso, denun
ciandosi erronea applicazione dei principi in tema di contratto
collettivo e di interpretazione del contratto (art. 1362 ss. c.c.), si censura l'impugnata sentenza per aver negato che le intese ne
goziali del 9 ottobre 1980 e del 25 marzo 1982 siano qualificabili come accordi collettivi e per avere invece ritenuto la prima un
contratto a favore di terzo, laddove, disciplinando esso gli inte
ressi di una collettività di lavoratori in quanto ne era parte un
soggetto collettivo quale la Firn, trattavasi di vero e proprio ac
cordo collettivo, intercorso fra due sostanziali parti quali l'Efim
da un lato e la Firn dall'altro, non giuridicamente rilevante essen
do la presenza dei due ministeri del lavoro o per il Mezzogiorno, o della Imsa prima e della Cometra poi.
Cosicché si tratta del normale succedersi di due contrattazioni
collettive nel corso del tempo, tra le quali prevale quella cronolo
gicamente successiva.
Quanto al contenuto degli accordi, si trattava di risolvere un
Il Foro Italiano — 1989.
problema occupazionale, e, una volta stabilito che essi intercorre
vano sostanzialmente fra l'Efim e l'organizzazione sindacale dei
lavoratori, gli altri intervenuti avevano o una funzione meramen
te politica, come i ministeri, o una funzione meramente esecuti
va, come le due società, succedutesi, la Imsa e la Cometra, onde
non rilevava la mancata presenza nel secondo accordo di tutte
le stesse parti del primo. Col secondo motivo, denunciandosi erronea applicazione delle
norme in tema di contratto a favore di terzo (art. 1411 ss. c.c.)
e in tema di promessa obbligazione del terzo (art. 1381 c.c.), si
esclude la configurabilità, nella specie, della fattispecie negoziale di cui all'art. 1411 c.c., essendosi l'Efim obbligato soltanto a co
stituire la nuova società e ad assicurare che questa avrebbe assun
to il personale Imsa, cosi promettendo una obbligazione non pro
pria bensì di un terzo, con la conseguenza che l'inadempimento
poteva comportare a carico dell'Efim (peraltro estraneo al pre sente giudizio) solo un obbligo indennitario ai sensi dell'art. 1381.
I due motivi, che conviene esaminare congiuntamente, appaio no fondati.
La decisione impugnata si basa sull'affermazione che nessuno
degli accordi del 1980 e del 1982 possa essere considerato un con
tratto collettivo, e che invece quelli del 1980 vanno qualificati a favore di terzi donde la conseguenza della immodificabilità,
ad opera del successivo, senza il consenso del terzo beneficiario,
delle obbligazioni da essi nascenti.
Orbene, è questa una mera asserzione, che va attentamente ve
rificata prima di potere semplicemente o semplicisticamente desu
mere dalla negazione del carattere collettivo di detti accordi (e dalla conseguente loro estraneità alla disciplina propria del dirit
to sindacale) una diretta applicabilità di norme civilistiche, che
nella sua astrattezza può rischiare di stravolgere i peculiari princi
pi del diritto sindacale ed il senso di detti accordi.
È vero che il diritto del lavoro e con esso il diritto sindacale
(almeno quanto ai suoi aspetti privatistici, essendo altresì in parte
permeato di disciplina pubblicistica), non è che un ramo del dirit
to civile, dal quale quindi mutua, in mancanza di specifica disci
plina, principi e regole, ma è pur vero che, proprio in considera
zione delle specialità di detto ramo, a quei principi si può far
ricorso sol dopo che si sia esaminato se la disciplina del caso
in questione non si rinvenga nel diritto speciale, che in quanto tale trova applicazione prioritaria rispetto al diritto generale. Ed
è quanto il tribunale ha omesso di fare, limitandosi a negare, senza in alcun modo tener conto dei principi elaborati nell'ambi
to del diritto sindacale, che gli accordi di cui si discute vadano
qualificati come accordi di carattere collettivo.
Orbene, anche se una indagine del genere può non essere age
vole, perché la sempre più complessa funzione assunta dalla con
trattazione collettiva ed il progressivo ampliamento del suo cam
po di azione fa si che essa ricomprenda pattuizioni fra loro diver
se, non facilmente riconducibili ad omogenietà sotto il profilo
funzionale, tuttavia la ormai lunga esperienza di contrattazione
consente, pur in assenza di una regolamentazione, di invididuare
principi a regulae iuris sufficientemente consolidati.
Alla originaria funzione normativa del contratto collettivo (ti
pico «contratto normativo», volto a determinare i contenuti dei
successivi contratti individuali in corso), si è venuta affiancando
una funzione obbligatoria, caratterizzata dal fatto che essa in
staura rapporti obbligatori direttamente fra le parti collettive, e
non, come per la funzione «normativa», fra le parti del rapporto individuale di lavoro. Ed ancora, accanto a tali funzioni, si pone talora altresì una funzione «compositiva» di conflitti giuridici at
traverso la quale le parti dispongono, in genere in forma di tran
sazione o di mero accertamento, di situazioni giuridiche in atto.
Nell'ambito, quindi, di una più ampia o generica funzione
economico-sociale di composizione di conflitti di interessi e di
diritti fra gruppi professionali, propria del contratto collettivo,
possono specificarsi funzioni più particolari, quali quelle di cui si è detto, normativa, obbligatoria, compositiva, ed altre ancora.
Questa essendo la caratterizzazione del contratto collettivo sot
to l'aspetto oggettivo, va detto che esso si contraddistingue anche
sotto il profilo soggettivo per essere stipulato non da soggetti in
dividuali, ma da soggetti collettivi, vale a dire coalizzati in asso
ciazioni sindacali, quanto meno dalla parte dei lavoratori (expar te datoris soggetto stipulante può essere anche il singolo impren
ditore, come generalmente avviene, ad esempio, per i contratti
collettivi aziendali), sicché si riscontra una diversità fra le
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
parti del contratto collettivo e quelle dei singoli contratti indivi
duali (che sono sempre il datore di lavoro e il lavoratore). Più di recente a pattuizioni collettive ha partecipato talvolta
un terzo soggetto pubblico, lo Stato, ma più in funzione di avallo
e di scambio politico che di vero e proprio contraente (anche se si parla di accordi «trilaterali»): tipico ed importante esempio è quello dell'accordo del 22 gennaio 1983, comunemente inteso
come «accordo Scotti».
È alla stregua di siffatti principi — certo non codificati, ma
ormai chiaramente e sicuramente enuncleati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, principi ricavabili dall'ordinamento giuridico an che nel suo concreto atteggiarsi nel vigente quadro costituzionale, e perciò principi di diritto, la cui osservanza è quindi verificabile in sede di legittimità — che andavano esaminati, ai fini della loro
giuridica qualificazione, gli accordi in discussione. Orbene, si sarebbe dovuto verificare, intanto, ex parte subiecti,
se essi erano riconducibili a soggetti sindacali (e certo tale era
la Flm in entrambi gli accordi, cui controparte, in veste di so
stanziale imprenditore, era l'Efim, che aveva prima rilevato l'Im
sa e poi sostituito in suo luogo la Cometra, potendosi attribuire
alla parte pubblica presente quella funzione politica, più che fun
zione di vera e propria parte contraente, cui si è fatto cenno); e poi, ex parte obiecti, se il contenuto degli accordi fosse ricon
ducibile a taluna delle funzioni che si è visto essere tipiche del
contratto collettivo: fra le quali quella obbligatoria e quella com
positiva possono apparire le più adeguate a riassumere la realtà
contrattuale in discussione, la quale, del resto è chiaramente vol
ta a tutelare non (e non tanto) interessi di singoli, ma l'interesse
generale alla salvaguardia di livelli occupazionali compatibili con
la situazione aziendale e di mercato.
Dalla assunzione nello schema negoziale del contratto colletti
vo (e non del mero contratto di diritto privato, cui ostano i rile
vati aspetti oggettivi, soggettivi e funzionali) discende che la di
sciplina del concorso-conflitto tra detti accordi va tratta innanzi
tutto dal diritto speciale e solo residualmente da quello comune.
Orbene, è principio acquisito nel diritto sindacale che nella suc
cessione temporale tra contratti collettivi di eguale livello il con
tratto successivo può modificare, anche in peggio per i lavorato
ri, clausole del precedente, con l'unico limite della intangibilità
di quei diritti che siano già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una prestazione già resa e
nell'ambito, quindi, di un rapporto e di una fase del rapporto
già esauriti. Anzi in giurisprudenza si è precisato che il principio del diritto quesito può essere invocato nel caso di successione
di leggi e non anche in quello di successione di atti di autonomia
negoziale collettiva, con la conseguenza che con i contratti collet
tivi di lavoro può essere disposta, anche con efficacia retroattiva
(ma, beninteso, salvo che per le prestazioni già rese), la soppres sione di indennità riconosciute dalla precedente contrattazione col
lettiva (Cass. 2 dicembre 1982, n. 6574, Foro it., Rep. 1982, voci
Contratto in genere, n. 183; Lavoro (contratto), nn. 45, 53, 81;
Lavoro (rapporto), n. 1429; 16 marzo 1981, n. 1516, id., 1982,
I, 224), essendo la successione tra contratti collettivi ispirata al
principio secondo cui, in mancanza di specifiche disposizioni tran
sitorie, i contratti hanno immediata efficacia sostitutiva di quelli precedenti ed incidono sui rapporti di lavoro in corso (Cass. 5
aprile 1983, n. 2365, id., Rep. 1983, voce Lavoro (contratto) n.
42; 23 aprile 1983, n. 2790, ibid., nn. 51-54; 12 marzo 1984,
n. 1690, id., Rep. 1984, voce cit., 65 e voce Lavoro (rapporto), n. 1459). Invero, ove ad una disciplina dettata da un contratto
collettivo succeda nel tempo altra disciplina di analoga natura,
si verifica sempre, in armonia con i principi generali che regolano
l'efficacia degli atti di autonomia privata, la sostituzione delle
nuove clausole a quelle precedenti, anche se le prime risultino
essere meno favorevoli ai lavoratori (i quali, pertanto, non pos
sono vantare, sotto tale profilo, posizioni di diritto quesito), giac
ché il divieto di deroga in peius è posto dall'art. 2077 unicamente
per il contratto individuale di lavoro in relazione alle disposizioni
del contratto collettivo (Cass. 16 novembre 1985, n. 5648, id.,
Rep. 1985, voce Lavoro (contratto), n. 55; 16 luglio 1985, n.
4202, ibid., n. 58). In tali termini ponendosi la problematica dei c.d. diritti quesi
ti, cioè di diritti intangibili se già entrati a far parte del patrimo nio dei lavoratori, a differenza delle semplici pretese o delle mere
aspettative, al quesito se, nella specie, degli uni o delle altre si
trattasse non può darsi risposta sulla base della disciplina propria
Il Foro Italiano — 1989.
del contratto a favore di terzo, bensì' sulla base delle pattuizioni intercorse fra le parti degli accordi collettivi, cui sono giuridica mente estranei i singoli lavoratori, pur se i loro individuali inte
ressi possano trovare indiretta tutela attraverso quella dell'inte
resse collettivo, ma entro i limiti della tutela che a questo la parte
collettiva, anche se in conflitto con i detti interessi individuali, ritiene di potere, per considerazioni di carattere generale, riservare.
Il ricorso va dunque accolto, con rinvio della causa ad altro
giudice, che la riesaminerà alla stregua degli anzidetti principi.
IV
Svolgimento del processo. — Con ricorso, depositato il 24 set
tembre 1987, Bartolozzi Roberto e Tosini Mario esponevano di
avere lavorato alle dipendenze della Cassa di risparmio di Pisa, con le qualifiche, rispettivamente, di dirigente e di funzionario,
e di fruire di un trattamento pensionistico aziendale integrativo,
disciplinato da un regolamento, approvato dalla Banca d'Italia
il 20 aprile 1959. Rilevavano che il fondo integrativo, a carico
del quale godevano del predetto trattamento, costituiva uno stru
mento privato di previdenza di origine contrattuale, avente cioè
natura esclusivamente negoziale, privatistica ed individuale, es
sendo la sua fonte insuscettibile di essere assimilata ai contratti
collettivi. Aggiungevano che, in relazione a quanto sopra, gli or
ganismi, legittimati alla stipulazione dei contratti collettivi, non
potevano in alcun modo deliberare, eventualmente modificando
ne il contenuto, sui contratti di previdenza aziendale, in assenza
di specifica delega degli interessati e cioè dei pensionati. Eviden
ziavano, peraltro che, in data recente l'organizzazione sindacale
rappresentativa delle casse di risparmio e le organizzazioni sinda
cali, cui aderisce il personale direttivo delle stesse casse, avevano
inserito, in contrattazioni collettive economiche nazionali, clau
sole volte ad escludere dal trattamento di previdenza aziendale
integrativo somme erogate al personale in servizio che, a norma
del regolamento aziendale citato in principio, avrebbero avuto
positivi effetti economici anche nei confronti dei pensionati. Pre
cisava che le suddette illegittime previsioni, cui la Cassa di rispar mio di Pisa si era attenuta, erano contenute: 1) negli accordi eco
nomici nazionali del 26 luglio 1983 per i dirigenti e i funzionari, 2) nel protocollo di intesa, stipulato il 18 dicembre 1985 fra l'As
sociazione tra le casse di risparmio italiane e le Federdirigenti
credito, 3) nel protocollo di intesa, stipulato in Roma F8 ottobre
1986 fra l'Acri e la stessa Federdirigenti credito.
Assumevano, in particolare, che nel primo accordo era stato
escluso che i pensionati potessero fruire di una una tantum, rico
nosciuta invece al personale in servizio quale «integrazione del
trattamento economico del mese di dicembre 1982», nonostante
il carattere chiaramente retributivo di tale voce, costituente, nella
sostanza, corresponsione di emolumenti arretrati per il secondo
semestre 1982, emolumenti che avrebbero dunque dovuto essere
attribuiti anche ad essi ricorrenti, il cui trattamento pensionistico
integrativo era agganciato, in base al più volte citato regolamento del 1959, a quello dei dipendenti in servizio.
Analoga questione ponevano con riguardo al secondo accordo,
che prevedeva fosse erogata una somma a ciascun interessato, al gennaio 1986, quale anticipo sugli aumenti che sarebbero con
seguiti al rinnovo del ccnl, scaduto il 30 giugno 1985, sancendo,
peraltro, che tale somma, al momento, non avrebbe potuto con
siderarsi utile «ai fini previdenziali aziendali».
Quanto all'ultimo accordo, osservavano come questo avesse rea
lizzato una integrale ristrutturazione del trattamento economico
dei dipendenti; tuttavia, sempre al fine di eludere le aspettative del personale in quiescenza, tale accordo aveva poi scomposto
in altra norma tale nuovo trattamento, riportandolo, in modo
del tutto arbitrario, ad una pluralità di voci, già previste dalle
disposizioni precedenti, sancendo che le dette voci, «ai fini della
determinazione della base retributiva per il calcolo dei trattamen
ti pensionistici aziendali . . . conservavano la loro individualità, in modo tale da evitare, al riguardo, effetti automatici indotti».
In base a tale sibillina formulazione, evidenziavano i ricorren
ti, la Cassa di risparmio di Pisa, nel rapportare il trattamento
pensionistico aziendale al nuovo trattamento economico del per
sonale in servizio, aveva scorporato talune voci e più precisamen
te quelle relative al «contributo per il pasto meridiano» ed al
«concorso per le spese tram viarie».
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2843 PARTE PRIMA 2844
Tutto ciò premesso, concludevano affinché questo pretore di
chiarasse che, sia l'una tantum di cui agli accordi economici na
zionali del 26 luglio 1983, sia l'erogazione di cui al protocollo di intesa del 18 dicembre 1985, erano da ricomprendersi nella
retribuzione pensionabile; dichiarasse altresì', in linea più genera
le, che ai ricorrenti, a norma dell'art. 36 del regolamento 20 apri le 1959 spettava l'adeguamento della pensione al trattamento in
atto, tempo per tempo, per il personale della Cassa di risparmio di Pisa, in attività di servizio; condannasse, quindi, la Cassa di
risparmio di Pisa a corrispondere in favore di essi ricorrenti, nel
la misura di cui al citato regolamento, Yuna tantum e l'erogazio
ne, sopra menzionate, nonché a riliquidare la pensione del 1°
luglio 1986, con riguardo al complessivo trattamento economico
di cui al protocollo di intesa 8 ottobre 1986, senza alcuno scorpo ro o detrazione, il tutto con rivalutazione ed interessi delle singo le scadenze al saldo. (Omissis)
Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda. (Omissis) Motivi della decisione. — Ai fini di valutare la fondatezza del
le domande dei ricorrenti deve, in primo luogo, essere individua
ta la fonte normativa del trattamento integrativo, di cui gli stessi
fruiscono, ricercando in tale fonte le linee generali di regolamen tazione del trattamento medesimo. Risulta ora dagli atti che il
Bartolozzi ed il Tosini, già dipendenti della Cassa di risparmio di Pisa ed iscritti al fondo pensioni in data anteriore al 31 dicem
bre 1958, furono collocati a riposo, il primo, con la qualifica di dirigente, in data 4 settembre 1967 ed il secondo, con la quali fica di funzionario, in data 31 ottobre 1969. Da quanto sopra discende che ad entrambi deve ritenersi applicabile il regolamen
to, approvato dalla Banca d'Italia con lettera 20 aprile 1959 n.
2426 (art. 36), vigente all'epoca del loro pensionamento, nonché,
per quanto concerne le modalità di calcolo della pensione inte
grativa, il precedente contratto aziendale 4 gennaio 1951 per i
funzionari e dirigenti, espressamente richiamato dal predetto re
golamento all'art. 36.
Resta, invece, esclusa l'applicabilità del successivo regolamento 9 gennaio 1974, in base all'art. 26 dello stesso accordo per il
Bartolozzi, e in mancanza della richiesta di cui all'art. 27 per il Tosini.
Appare, a questo punto, utile trascrivere la previsione del cit.
art. 36 del regolamento del 1959, nonché le norme — ivi richia
mate — della pregressa disciplina del 1951 per i funzionari e diri
genti, da integrarsi con le previsioni, più generali, del contratto
aziendale 31 luglio 1950 per gli impiegati (pure richiamate dal
l'art. 36). Dispone, dunque, l'art. 36: «Al personale ... in pianta stabile
alla data di approvazione del presente regolamento . . ., la cui
anzianità di iscrizione al fondo sia anteriore al 31 dicembre 1958, non si applica il disposto dell'art. 25 (variazione della pensione
integrativa), restando confermato nei suoi confronti il diritto ac
quisito all'adeguamento delle pensioni al trattamento in atto, tempo
per tempo, per il personale della Cassa di risparmio di Pisa in
attività di servizio (4° comma, lett. a, del punto II - parte concer nente il «fondo pensioni» del contratto aziendale 31 luglio 1950
per impiegati e 4 gennaio 1951 per i funzionari e dirigenti)». Recita poi il 4° comma, lett. a), del punto II del contratto
31 luglio 1950: «Il trattamento di quiescenza del personale della
cassa di risparmio è costituito da un assegno vitalizio di pensione mensile . . . calcolato sulle seguenti voci della retribuzione mensi
le: stipendio, di integrazione di stipendio, indennità di carica, in
tegrazione indennità di carica (per quanto ed in quanto sus
sistano)». Il contratto aziendale 4 gennaio 1951 aggiunge: «... viene
esteso ai dirigenti il trattamento di quiescenza del personale im
piegatizio, computando l'indennità di dirigenza . . .».
In base alle previsioni contrattuali suddette risulta evidente il
diritto («acquisito») dei ricorrenti ad un trattamento pensionisti co integrativo, corrispondente ad una percentuale (vedi, per la
misura di tale percentuale, il menzionato contratto aziendale del
1950) del trattamento fruito dal personale di pari grado in attivi
tà di servizio, con obbligo per la cassa di risparmio di «adegua re» il primo alle variazioni del secondo, sopravvenute «tempo
per tempo» cosi da mantenere immutato in ogni momento il men
zionato rapporto percentuale.
Resta, peraltro, da accertare se la volontà delle parti abbia in
teso ricollegare la pensione al normale trattamento economico com
plessivo del personale in servizio, come sembra debba desumersi
dalla formulazione dell'art. 36, o se, invece, come sostiene la con
II Foro Italiano — 1989.
venuta, le ulteriori specificazioni, contenute nei contratti azienda
li del 1950 e del 1951 (alle quali, in sostanza, il regolamento del
1959 si riporta), implichino un aggancio solo a specifiche voci
retributive, di tal che nessuna incidenza (automatica) potrebbe avere sulla misura del trattamento pensionistico, fissato dall'ac
cordo, l'eventuale successiva istituzione di voci retributive, com
prese nell'elencazione originaria ed a queste non rapportabili per identità di tratti caratteristici.
Tale accertamento va risolto nel primo senso, non sussistendo, a parere del decidente, l'efficacia limitativa che la cassa ravvisa
nelle previsioni dei contratti del 1950 e 1951.
Tali contratti, invero, pur richiamando nella base di calcolo
«voci» della retribuzione mensile, elencano poi, tra tali voci, «l'in
tegrazione di stipendio». Trattasi di un termine che non trova alcun specifico riscontro
nelle tabelle e negli allegati, che determinava in concreto il tratta
mento economico del personale di ruolo in base agli stessi con
tratti; da ciò è legittimo dedurre che con tale espressione generi
ca, aggiunta a voci in senso tecnico, quali «stipendio», «indenni
tà di carica» e «indennità di dirigenza», le parti, rinunciando al
criterio della elencazione tassativa delle componenti pensionabili del trattamento economico, abbiano inteso riferirsi ad ogni altra
erogazione, presente e futura, di carattere retributivo, costituente
appunto, come tale, un'integrazione di stipendio, adottando cosi
il criterio di aggancio della pensione all'intero trattamento in at
to, tempo per tempo, per il personale di servizio, con esclusione
unicamente di quegli importi che, non avendo natura retributiva, non potevano essere ricondotti neppure alla sopra menzionata no
zione (residuale) di «integrazione di stipendio».
Questa interpretazione appare tanto più corretta se si considera
che, oltre a rispettare la formulazione letterale delle clausole in
esame, armonizza il contenuto dell'art. 36 cit. con quello dei pre cedenti contratti, ivi richiamati, e comporta una nozione di retri
buzione pensionabile del tutto corrispondente a quella adottata,
pur con diversa terminologia, anche nel regolamento del 1959
(art. 11: «... per retribuzione pensionabile si intende il com
plesso degli emolumenti e indennità aventi carattere continuativo
e ammontare determinato che costituiscono la retribuzione con
trattuale e che risultano soggetti alle ritenute dell'Inps»); ed è
significativo rilevare che, quando le parti intesero abbandonare
tale nozione ed adottare il criterio del riferimento a singole, tas
sative voci, espressero tale volontà con espressioni inequivocabili e ben diverse da quelle usate nel regolamento del 1959 e nei con
tratti aziendali del 1950/1951 (vedi l'art. 10 del regolamento 9
gennaio 1974, in cui sono analiticamente elencate tutte le voci
da ricomprendere nella «retribuzione pensionabile», voci corri
spondenti alle effettive componenti della busta paga del lavorato
re e dalle quali è scomparsa la generica «integrazione di stipen
dio», di cui al suddetto contratto del 1950). Cosi precisato, il contenuto della pensione integrativa spettante
ai ricorrenti, deve esaminarsi se le erogazioni di cui alla presente causa, per le loro oggettive caratteristiche, rientrino tra gli emo
lumenti, di natura retributiva, cui rapportare la detta pensione. In caso positivo, dovrà poi indagarsi sull'efficacia delle even
tuali previsioni successive rispetto al regolamento del 1950 ed ai
contratti del 1950/1951, che abbiano comunque espressamente escluso la computabilità delle erogazioni medesime agli effetti del
trattamento pensionistico. Nello svolgimento della prima indagine possono essere conside
rate congiuntamente, stante la loro identità di natura, le una tan
tum attribuite al personale di servizio dagli art. 6 dell'accordo
economico nazionale 26 luglio 1983 per i dirigenti e 2 dell'accor
do economico in pari data per i funzionari, nonché dal protocol lo d'intesa 18 dicembre 1985, recepito in separati accordi, costi
tuenti parte integrante degli accordi economici nazionali per i di
rigenti e per i funzionari, allegati al ccnl per il personale direttivo
delle casse di risparmio 16 dicembre 1987.
Ora, avuto riguardo alla causale delle erogazioni in questione ed alla loro disciplina, prevista nei menzionati accordi, non si
può seriamente dubitare — nonostante la terminologia usata dal
le parti per designarle — che esse abbiano natura retributiva, es
sendo costituite da percentuali di voci stipendiali, sicuramente re
tributive, attribuite ad una certa data (rispettivamente, dicembre
1982 e 1° semestre 1986), ma maturate in un periodo pregresso
(rispettivamente, dal luglio al dicembre 1982 e dal luglio 1985
al 30 giugno 1986).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Trattasi, in sostanza, di emolumenti arretrati, riconosciuti per aumenti retributivi, inerenti ai periodi sopra specificati, successivi
alle scadenze dei contratti collettivi, precedentemente in vigore, ma anteriori alla vigenza del trattamento economico (pieno), in
trodotto nei nuovi contratti.
Tali una tantum, dunque, ben lungi dal costituire «liberalità»
0 emolumenti ricollegati ad «eventi o ricorrenze storiche degli istituti» (come erroneamente potrebbe far credere la denomina
zione contrattuale), intregrano puramente e semplicemente il trat
tamento retributivo del personale in servizio nella fase transitoria, intercorsa tra due successivi contratti, e non hanno affatto carat
tere straordinario e del tutto occasionale (secondo la terminolo
gia «di comodo», usata dall'accordo del 1983, ma,
significativamente, scomparsa in quello del 1987), essendo costi
tuiti (appunto quali emolumenti arretrati) di una somma di incre
menti, uguali, predeterminati e leggermente inferiori a quelli, attribuiti dal nuovo contratto a pieno regime, maturati mese per mese dalla data di scadenza del vecchio contratto a quella di de
correnza del nuovo.
Il carattere di normale retribuzione delle erogazioni è del resto
confermato dalle circostanze che «vengono proporzionalmente ri
dotte in relazione ai periodi non retribuiti ricadenti nei semestri
che interessano (art. 6, 6° comma, e 2, 7° comma, accordo eco
nomico nazionale 26 luglio 1983 per i dirigenti e per i funzionari;
successivi accordi, allegati al ccnl 16 dicembre 1987); «vanno com
putate pro quota, con riferimento ai semestri predetti, in relazio
ne all'eventuale minor servizio di dirigente — o di funzionario
—» (citati accordi del 1987); sono attribuite, sempre pro quota,
anche ai dirigenti e funzionari cessati dal servizio nel corso dei
semestri di riferimento (vedi sia gli accordi del 1983, che quelli del 1987); sono, infine, espressamente dichiarate utili (quelle del
1986) per il trattamento di fine rapporto. Prevedendo dunque il regolamento dei fondi di quiescenza, ap
plicabile ai ricorrenti, la perequazione in funzione di qualsivoglia
variazione — conseguente ad applicazione aziendale di accordi
nazionali — intervenuta sul trattamento economico del pari gra
do in servizio, non vi è dubbio sul diritto dei ricorrenti medesimi
a vedersi riconoscere sul trattamento previdenziale il particolare
emolumento di cui agli accordi del 1987, essendo scomparsa in
detti accordi ogni riserva sul punto (contenuta, invece, nel proto
collo di intesa 18 dicembre 1985). Qualche perplessità permane, invece, per la precedente una tan
tum per il periodo 1° luglio 1982 - 31 dicembre 1982, atteso che
all'applicazione de plano anche in tale fattispecie dei principi ge
nerali, sopra enunciati, osta l'espressa previsione dei più volte
citati art. 6 e 2 degli accordi per i dirigenti e funzionari 26 luglio
1983, secondo i quali «detta erogazione . . . non va ricompresa
ad alcun effetto nella retribuzione annua utile ... ai fini del trat
tamento di quiescenza e/o previdenza aziendali . . .». Ecco dun
que, come già accennato, per ritenere il ricorso fondato o meno
su questo punto, deve darsi corso ad una seconda indagine relati
va alla validità e rilevanza nei riguardi del personale in quiescen
za della pattuizione collettiva, sopra riportata.
Nel procedere a tale indagine, va, in primo luogo, contestato
l'assunto della convenuta secondo cui la suddetta pattuizione non
avrebbe derogato o modificato in peius i precedenti contratti, poi
ché nulla avrebbe tolto ai ricorrenti che spettasse loro in base
alla originaria normativa, essendosi limitata a creare una nuova
particolare indennità, da corrispondersi al solo personale in servi
zio ed alla quale — appunto in quanto di nuova istituzione —
1 ricorrenti medesimi non potevano vantare alcun diritto acquisi
to, restando l'indennità integralmente disciplinata — nella sua
istituzione come nel suo ambito di applicazione — dalla normati
va collettiva che le aveva dato vita.
Tale assunto potrebbe, invero, essere valido nel solo caso —
ben diverso da quello in esame — in cui la retribuzione pensiona
bile fosse fissata, sin dall'origine, con riferimento a singole e spe
cifiche voci retributive e la successiva contrattazione collettiva
introducesse, per il personale in servizio, altre voci, del tutto nuove
e non rapportabili alle prime. Solo in tal caso, infatti, la non
computabilità di tali voci agli effetti del trattamento pensionisti
co non comporterebbe modifica del trattamento pregresso, men
tre la loro computabilità — ove fosse espressamente prevista —
produrrebbe una modifica in melius del trattamento mede
simo.
Il Foro Italiano — 1989.
A conclusioni opposte deve invece pervenirsi allorquando, co
me nella fattispecie, il pensionato abbia diritto all'adeguamento al trattamento complessivo, comprensivo cioè di ogni voce, costi
tuente integrazione di stipendio, in atto, tempo per tempo, per il personale in servizio. In questa ipotesi, invero, la perequazione e con riferimento a nuove voci (di carattere retributivo) — e nel
caso non trattasi neppure di voci sostanzialmente nuove, ma di
normali incrementi di voci già corrisposte — non può che discen
dere automaticamente dall'istituzione di tali voci a favore dei di
pendenti, sicché ogni esclusione, operata dalla contrattazione
collettiva, circa tale estensione null'altro è che una modifica in
peius del trattamento pensionistico, con riferimento, ovviamente, non al quantum percepito dal pensionato a quel momento, bensì' alla «quantità dinamica» che a questi spetta, «tempo per
tempo». Ciò premesso, ritiene questo pretore di poter negare la validità
della previsione limitativa che qui interessa.
A tale convincimento si perviene qualunque natura voglia attri
buirsi ai contratti aziendali 31 luglio 1950 e 4 gennaio 1951 non
ché al regolamento 20 aprile 1959 (sicché può essere omessa, in
quanto non rilevante ai fini della decisione, ogni approfondita
indagine sul punto). Ed invero, se i detti contratti e regolamento integrano dei nor
mali contratti individuali (come assumono i ricorrenti), stipulati
(con stipulazione plurisoggettiva) direttamente tra la cassa, datri
ce di lavoro, ed i singoli dipendenti, ai quali individualmente è
stata richiesta la sottoscrizione per accettazione, essendo interve
nute le rappresentanze aziendali (rectius: la commissione interna,
per il contratto del 1950 ed una commissione nominata ad hoc
per il reg. 1959) solo nella fase di trattativa, e non nell'esercizio
di loro poteri «istituzionali» bensì' per espressa delega della mag
gioranza del personale (cfr. premessa del contratto del 1950 e
dichiarazione finale allegata, punto 13: «il presente contratto di
verrà esecutivo nei confronti dei singoli previo scambio di copia
controfirmata»; analoga dichiarazione finale — punto 4 — del
contratto del 1951; art. 39 del regolamento del 1959), nessuna
efficacia modificativa degli stessi può essere riconosciuta a pat
tuizioni, intervenute in sede di contrattazione collettiva nazionale
e dunque ad opera di soggetti (associazioni sindacali nazionali
di categoria) del tutto diversi dagli originari stipulanti.
Se, invece, i contratti ed il regolamento in questione debbono
essere considerati come contratti collèttivi aziendali (il che sem
bra meno probabile, individuati come sopra i soggetti, che hanno
partecipato alle trattative, e quelli che in concreto hanno sotto
scritto le pattuizioni; vedi, invece, la ben diversa situazione del
regolamento 9 gennaio 1974, effettivamente concordato dalle rap
presentanze sindacali e per il quale la sottoscrizione del dipenden
te risulta richiesta ad effetti limitati, art. 27), il rapporto tra tali
fonti originarie e la successiva contrattazione collettiva nazionale
va esaminato alla luce del principio, pienamente condiviso da que
sto giudice e recentemente riaffermato da Cass. 11 novembre 1988,
n. 6116 (Foro it., 1989, I, 2270), secondo cui, «in difetto di spe
cifico mandato o di adesione o ratifica degli interessati, il con
tratto collettivo non può incidere su diritti sorti, in capo alle parti
del rapporto di lavoro, sulla base di un precedente contratto col
lettivo, per l'avvenuto perfezionamento delle corrispondenti fatti
specie costitutive o comunque per effetto di prestazioni eseguite»
(cfr., nello stesso senso, Cass. 20 luglio 1982, n. 4280, id., Rep.
1983, voce Lavoro (contratto) n. 87; e 13 aprile 1985, n. 2445,
id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 1889). E la corretta
applicazione di tale principio non può che portare, come accen
nato, a ritenere ugualmente illegittima la clausola in esame.
Invero, anche ove si riconosca la legittimazione delle organiz
zazioni sindacali ad assumere la rappresentanza dei pensionati
in quanto tali e dunque a concludere pattuizioni, incidenti sulla
situazione del personale già in quiescenza (e non retrodatate
all'epoca in cui i pensionati stessi erano in servizio) tale legitti
mazione troverebbe (e a maggior ragione) il limite già detto,
costituito da diritti già sorti a favore di detto personale (ai
quali corrispondono obbligazioni a carico del solo datore di
lavoro) e definiti al momento della cessazione dell'attività lavo
rativa; in altre parole, è da escludere che la contrattazione col
lettiva possa validamente prevedere rinunce o comunque
modificazioni in peius del trattamento di quiescenza, assicurato
al dipendente prima del pensionamento e da questi successiva
mente acquisito con la cessazione del rapporto di lavoro. Tale
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2847 PARTE PRIMA 2848
trattamento di quiescenza, infatti, in quanto concordato, come
nell'ipotesi in esame, nell'ambito di più ampie previsioni contrat
tuali, che disciplinano i rapporti tra datore di lavoro e personale ancora in servizio al momento della contrattazione (vedi, nel caso
di specie, i più volte menzionati contratti aziendali del 1950 e
del 1951, nonché il regolamento del 1959, che prevede l'iscrizione
al fondo di tutti i dipendenti con certi requisiti ed attribuisce, in via normale, il diritto a certe prestazioni solo agli iscritti, che
saranno in futuro collocati a riposo o che si troveranno in certe
particolari situazioni), si presenta chiaramente in rapporto di cor
rispettività con le prestazioni che, in base alla medesima contrat
tazione, sono poste a carico del lavoratore (e non del pensionato) e che vanno individuate nella stessa attività lavorativa, da pre starsi per un numero minimo di anni (cui corrisponde la c.d. an
zianità di iscrizione al fondo) e nel versamento di una contribuzione
(vedi la normativa sopra citata). In virtù della suddetta relazione di corrispettività, peculiare in
quanto, mentre le prestazioni del dipendente sono immediatamente
richieste e si protraggono durante il corso del rapporto, quella del datore di lavoro è differita, divenendo esigibile solo dopo la cessazione del rapporto medesimo, è evidente che la fattispe
cie, nel suo iter formativo, si completa e si perfeziona, divenendo
definitiva ed irretrattabile, nel momento in cui se ne realizza l'ul
timo presupposto (collocamento a riposo). È, invero, a questo momento che nasce, con il contenuto previsto negli accordi allora
in vigore, l'obbligazione del datore di lavoro e dunque il credito
del lavoratore, che trova la sua causa nelle prestazioni già esegui te. Come, pertanto, queste ultime, proprio a seguito del loro esau
rimento e completamento, non sono più suscettibili di alcuna
modifica, cosi non può che restare definita la prima, negli stessi
termini e nel rapporto precedentemente stabilito rispetto alla con
troprestazione. In tal senso è dunque da ritenere diritto acquisito
quello al trattamento integrativo da parte del personale, non più in attività di servizio, ma già collocato in quiescenza.
Può cosi tranquillamente affermarsi, secondo quanto ritenuto
dalla già citata sentenza del Supremo collegio dell'11 novembre
1988, che, non rientrando, come già accennato, nelle specifiche
funzioni, riconosciute dall'ordinamento alle associazioni sindaca
li, e in particolare nella funzione normativa tipica dell'autonomia
collettiva, il potere di disporre, estinguendoli e modificandoli, dei
diritti dei quali si sia già perfezionato l'acquisto anche in forza
di un precedente contratto collettivo, una nuova normativa col
lettiva (quale, in ipotesi, quella degli accordi del 1983 e del 1987)
può trovare diretta applicazione nei confronti dei dipendenti an
cora in servizio al momento della sua entrata in vigore, non nei
confronti di coloro già posti in quiescenza: «per i primi le presta zioni eseguite non hanno ancora determinato il perfezionamento del diritto alla pensione, sicché ad esse (ancora in fase di svolgi
mento) possono essere associati dal contratto superveniens effetti
diversi da quelli previsti dalla precedente disciplina; l'applicazio ne ai secondi di un regime sostitutivo (in peius) di quello vigente alla data di cessazione del rapporto non può, per contro, prescin dere dalla loro adesione».
È, infine, da escludere che, nella fattispecie in esame, possano trovare applicazione i diversi principi, affermati in altra decisione
della Corte di cassazione (n. 260 del 1986, id., 1986, I, 931) e
conseguenti ad una ricostruzione del contratto collettivo, rispetto al personale in quiescenza, come contratto a favore dei terzi.
Si è già evidenziato, infatti, che le pattuizioni, rilevanti nella
presente causa (contratti aziendali del 1950 e del 1951, regola mento del 1959), anche per la parte diretta a regolare il tratta
mento di quiescenza integrativo, hanno come destinatari, non i
pensionati in quanto tali (che assumeranno cosi la veste di terzi, ove si volesse escludere contrariamente a quanto in precedenza
ipotizzato, la legittimazione delle organizzazioni sindacali ad as
sumere la loro rappresentanza), bensì i lavoratori in servizio, aven
do ad oggetto un corrispettivo (differito) di prestazioni (di lavoro
e contributive) di essi dipendenti. E non sembra che i detti lavoratori, rappresentati dagli organi
smi stipulanti i contratti, possano assumere la veste di terzi ri
spetto alle clausole che disciplinano il trattamento pensionistico
integrativo di cui essi stessi fruiranno — o prevedono comunque di poter fruire — alla cessazione della vita lavorativa.
Una problematica del tutto analoga a quella, ora risolta per le una tantum, ed in specie per quella di cui al contratto del
1983, si pone poi con riguardo al mancato computo nel tratta
li Foro Italiano — 1989.
mento pensionistico integrativo dei ricorrenti, corrisposto dalla
cassa di risparmio, di alcuni importi, conglobati nel trattamento
del personale in servizio dalla contrattazione del 1987, ma affe
renti, a detta della resistente ed in applicazione della nota a ver
bale in calce all'art. 20 del ccnl 16 dicembre 1987, a specifiche
pregresse voci di trattamento (contributo per il pasto meridiano
e concorso per le spese tramviarie), non spettanti, nella loro indi
vidualità, ai ricorrenti medesimi. Anche in tal caso, invero, la prima indagine deve esser rivolta
ad accertare se gli importi in questione, cosi come attribuiti ai
dipendenti in servizio dal citato contratto, abbiano acquisito ca
rattere retributivo, divenendo inscindibili ed indistinguibili, og gettivamente, nel complesso del nuovo trattamento economico
stipendiale ovvero per quanto ricompresi in tale trattamento, ab
biano, oggettivamente, mantenuto la loro originaria natura di voci
non retributive, essendosi le parti contraenti limitate ad «accor
parle», solo gli effetti della loro corresponsione e senza confon
derle, ad altre più propriamente retributive (e, per tutte queste
ultime, alla voce «stipendio»). Tale indagine, ove si esaminino gli accordi collettivi in atti,
non può che risolversi nel primo senso.
In proposito, è sufficiente aver riguardo alla formulazione del
chiarimento a verbale all'art. 1 dell'ali, lb al protocollo di intesa
8 novembre 1986, nonché al 1° comma dell'ali. 2 allo stesso pro
tocollo, poi confluito (e recepito) nel ccnl 16 dicembre 1987
cit. Nella prima previsone, le parti chiariscono che «per la determi
nazione del trattamento economico per stipendio ... è stata con
siderata la seguente situazione retributiva preesistente per i
funzionari secondo gli importi indicati dalle tabelle allegate al
l'accordo economico nazionale 26 luglio 1983»; seguono nove voci, tra le quali, oltre allo stipendio e ad altre indennità, contributi
e assegni, sono menzionati il contributo per il pasto meridiano
ed il concorso per le spese tramviarie.
Nella seconda, in sede di specificazione dei criteri per l'asse
gnazione iniziale della nuova tabella di stipendio dei funzionari, si precisa, quanto allo stesso stipendio, che l'importo tabellare
viene riconosciuto «ad integrale sostituzione di quanto percepito
dagli interessati a titolo di stipendio» e per le altre otto voci di
cui sopra. Da ciò è facile desumere che, nella determinazione del nuovo
trattamento retributivo, non si è inteso operare un semplice ac
corpamento — ai soli fini contabili — di voci preesistenti, ma
si è voluto riconoscere al personale in servizio (sia che preceden temente percepisse tutte o solo parte delle voci medesime) un trat
tamento economico del tutto nuovo ed uniforme, agli effetti della
cui determinazione quantitativa di partenza si sono sommati gli
importi, in precedenza dovuti per le voci in questione, indipen dentemente dalla loro diversa originaria natura (retributiva o
meno). Le singole voci risultano perciò definitivamente ed inequivoca
bilmente soppresse, venendo ad essere integralmente sostituite da
un'unica voce — sicuramente o totalmente retributiva — deno
minata stipendio, al cui calcolo le voci medesime hanno concorso
solo da un punto di vista matematico per sommatoria di importi, sommatoria sulla quale è stato computato anche un certo ulterio
re incremento per pervenire alla cifra riportata in tabella.
Per le considerazioni che precedono è evidente che, cosi deter
minato ex novo il trattamento retributivo del personale in servi
zio, ogni clausola contrattuale, diretta a conservare l'individualità
delle voci più volte menzionate agli effetti della determinazione
della base retributiva per il calcolo dei trattamenti pensionistici
aziendali, è peggiorativa, laddove, come nella fattispecie, sussista
per il pensionato il diritto all'adeguamento della pensione al trat
tamento in atto, tempo per tempo, per i dipendenti. Come si
è verificato nella situazione di cui alla presente causa, mentre al personale in servizio sono attribuiti — senza alcuna riserva
e decurtazione — i nuovi importi tabellari (e, si ripete, a titolo
esclusivamente retributivo), il personale in quiescenza potrebbe,
infatti, veder scorporati da tali importi di riferimento, in base
alla clausola in questione, alcune somme, che pur «storicamente»
rapportabili, nel quantum, a voci preesistenti, eventualmente di
natura non retributiva, fanno però ormai inscindibilmente parte del nuovo stipendio «in atto» per i dipendenti.
L'illegittimità di una tale clausola, contenuta nella già citata
nota a verbale in calce all'art. 20 del ccnl del 1987 (ed enunciata
anche nel menzionato protocollo d'intesa del 1986), consegue dalle
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
considerazioni svolte con riferimento all'esclusione della compu
tabilità dell'una tantum di cui al contratto del 1983.
Concludendo, la domanda dei ricorrenti va integralmente ac
colta, con condanna della cassa convenuta al ricalcolo del tratta
mento integrativo pensionistico, tenendo conto delle erogazioni,
effettuate al personale in servizio e sopra specificate.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 febbraio
1989, n. 654; Pres. Falcone, Est. Borruso, P.M. Minetti
(conci, diff.); Falcinelli (Aw. Bellini, Boschi) c. Peri (Aw. Gobbi, Leonelli). Conferma App. Perugia 13 luglio 1984.
Competenza civile — Dichiarazione giudiziale di paternità — «Ius
superveniens» (L. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina dell'adozio
ne e dell'affidamento dei minori, art. 68).
Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità — Prova ema
tologica (Cod. civ., art. 269).
In pendenza di giudizio di secondo grado in materia di dichiara zione giudiziale di paternità, l'entrata in vigore di una nuova
norma sulla competenza non altera i criteri di individuazione
del giudice competente in appello in funzione del giudice che
ha deciso il primo grado della medesima controversia. (1)
Ai fini della dichiarazione giudiziale di paternità, rientra nella
facoltà del giudice di merito escludere la prova ematologica
laddove sia possibile approdare ad un sicuro convincimento in
base agli altri elementi acquisiti al processo. (2)
(1) La decisione in rassegna era chiamata a risolvere un delicato pro blema relativo al mutamento della normativa sulla competenza a cono
scere dei giudizi dichiarativi di paternità o maternità naturale di minore,
mutamento operato dall'art. 68 1. 184/83.
Come è noto, dopo alcuni disorientamenti dei giudici di merito, Cass.
9 agosto 1985, n. 4425, Foro it., 1985, I, 3119, affermò il principio del
l'applicazione della nuova disciplina sulla competenza anche ai giudizi
pendenti innanzi al tribunale ordinario al momento dell'entrata in vigore della 1. 184/83. Tale orientamento è stato ribadito da Cass. 21 ottobre
1987, n. 7763, id., Rep. 1987, voce Filiazione, n. 63 (e in Giust. civ.
1987, I, 2463), richiamata in motivazione, nonché da Cass. 21 novembre
1986, n. 6859, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 64; entrambe queste decisioni concernevano ipotesi in cui il giudizio dichiarativo di paternità
o maternità naturale era pendente in primo grado innanzi al tribunale
ordinario al momento dell'entrata in vigore della 1. 184/83.
Nel caso risolto dalla sentenza in epigrafe, al momento dell'entrata
in vigore della 1. 184/83 il giudizio dichiarativo di paternità naturale del
minore (minore che però al momento della deliberazione della pronuncia
della Cassazione — come ricordato in motivazione — era ormai vicinissi
mo al raggiungimento della maggiore età) era pendente in grado di appel
lo innanzi alla corte ordinaria d'appello. La sentenza che si riporta evi
denzia correttamente tale particolarità, e facendo leva su di essa: a) rileva
come le precedenti decisioni relative all'applicabilità ai giudizi in corso
della nuova competenza introdotta dall'art. 68 1. 184/83 erano relative
ad ipotesi in cui al momento dell'entrata in vigore della legge il giudizio era pendente in primo grado: ed a tale riguardo richiama anche Cass.
6 novembre 1987, n. 8218, id., Rep. 1987, voce cit., n. 62 (ed in Arch,
civ., 1988, 301), la quale però, chiamata a pronunciarsi relativamente
ad un'ipotesi in cui la 1. 184/83 era sopravvenuta a giudizio di appello
esaurito in pendenza del giudizio di cassazione, ebbe testualmente, ad
affermare in motivazione: se «la causa, decisa dal giudice ordinario, si
trovi in fase d'impugnazione, si impone un necessario 'distinguo' a se
conda del momento dell'entrata in vigore delle nuove regole sulla compe
tenza; se esse sono sopravvenute nella fase di gravame, la pronunzia per
la corte d'appello ordinaria non può essere che di incompetenza, indican
do il giudice effettivamente competente: se — contra — come nella specie
la nuova normativa sopravviene ad appello esaurito e ormai delata sen
tentia un doveroso limite si impone alla portata di quanto sopra esposto
ricavandolo dal principio generale (v. Cass. 6 luglio 1977, n. 2989, id.,
Rep. 1977, voce Contratti agrari, n. 275 e in Giur. it., 1978, I, 1, 24),
secondo cui l'atto processuale è retto dalla legge del tempo in cui si è
compiuto (tempus regit actum), in virtù del quale la sentenza emessa da
un giudice che in quel momento era competente non può considerarsi
invalida a seguito della successiva entrata in vigore di norme che hanno
mutato la competenza attribuendola al giudice dei minori»; b) disatten
dendo, implicitamente, 1'obiter dictum della ora riprodotta Cass. 8218/87,
Il Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. —- L'imprenditore Raffaele Falcinel
li (nato nel 1928, coniugato con figli) veniva condannato, con
sentenza penale passata in giudicato, per il reato di corruzione
di minorenne per aver avuto per circa due anni rapporti sessuali
con Marina Peri, sua dipendente minore degli anni diciotto, rea
to venuto a cessare il 22 febbraio 1968, giorno cui la ragazza
aveva compiuto la maggiore età. Quanto, poi, al reato di atti
osceni per essersi congiunto saltuariamente con la Peri in auto
mobile su strade campestri fino al settembre del 1969, gli veniva
concessa l'amnistia.
Il 27 maggio 1970 la Peri dava alla luce una bambina di nome
Monia. Nel 1974 la Peri conveniva avanti al Tribunale di Perugia (nel
la sentenza in rassegna ha enunciato il principio riassunto nella prima massima: in senso conforme, v., richiamata in motivazione, Cass. 17 gen naio 1977, n. 211, Foro it., Rep. 1977, voce Competenza civile, n. 14
(e in Giust. civ., 1977, I, 607) che aveva enunciato il medesimo principio
riguardo all'art. 34 disp. att. c.c. cosi come sostituito dall'art. 215 1.
19 maggio 1975 n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia; nello stesso
senso vedi inoltre, non richiamate in motivazione, Cass. 18 ottobre 1986,
n. 6140, Foro it.. Rep. 1986, voce cit., n. 18, secondo cui, proprio con
riguardo all'art. 68 1. 184/83, la pubblicazione della sentenza di primo
grado (ma non la sua deliberazione) segna il momento della insensibilità
del processo al sopravvenuto mutamento della norma processuale in tema
di competenza; nonché, esplicitamente, con riguardo a mutamenti di com
petenza in materia di locazione, Cass. 27 agosto 1953, n. 2874, id., Rep.
1953, voce cit., nn. 175, 177; 19 ottobre 1954, n. 3884, id., Rep. 1954,
voce cit., nn. 242, 243, le quali hanno escluso l'applicabilità della nuova
norma sulla competenza qualora il mutamento sopravvenga durante lo
svolgimento del giudizio di appello. Diversamente Cass. 2989/77, cit.,
con riguardo ad un'ipotesi in cui la nuova disciplina sulla competenza
(nella specie art. 26 1. 11 febbraio 1971 n. 11, in tema di competenza delle sezioni specializzate agrarie) era sopravvenuta nel corso del giudizio di rinvio, ha affermato che il giudice ordinario di rinvio deve declinare
la propria competenza in favore della sezione specializzata agraria costi
tuita presso la corte d'appello designata come giudice di rinvio. Sono
infine da ricordare Cass. 16 febbraio 1988, n. 1668, id., Rep. 1988, voce
Filiazione, n. 59, e App. Cagliari 23 aprile 1986, ibid., voce Competenza
civile, n. 30, le quali — alla stregua di un diffuso orientamento (su cui
v. Oriani, cit. infra, § 19) — hanno affermato la competenza del tribu
nale ordinario qualora, pur essendo stata l'azione di dichiarazione giudi
ziale di paternità di un minore proposta anteriormente all'entrata in vigo
re dall'art. 68 1. 184/83, nel corso del giudizio, prima della dichiarazione
di incompetenza da parte del tribunale, il minore abbia raggiunto la mag
giore età. Come risulta da questa rapida rassegna, la questione risolta dalla deci
sione in epigrafe non è affatto pacifica nella giurisprudenza della Cassa
zione: e tali incertezze derivano probabilmente anche — e forse soprat
tutto — dalla circostanza dell'inesattezza della premessa secondo cui le
norme modificatrici della competenza sarebbero normalmente immedia
tamente applicabili anche ai giudizi in corso, quanto meno se pendenti in primo grado. Recentemente, l'argomento ha costituito oggetto di un
attentissimo e documentarissimo riesame da parte di Oriani, La «perpe
tuano iurisdictionis» (art. 5 c.p.c.), id., 1989, V, 35 ss., spec. 73-89 (cui
si rinvia per complete indicazioni di dottrina e di giurisprudenza), il quale
ha con dovizia di argomenti auspicato un mutamento dell'indirizzo giuri
sprudenziale contrario all'applicabilità dell'art. 5 c.p.c. in ipotesi di mu
tamenti della norma disciplinatrice dei criteri di competenza. Corte cost. 25 maggio 1987, n. 193, id., 1988, I, 2802, con nota critica
di G. Puccini, Criterio di ragionevolezza e competenza del tribunale dei
minorenni in materia di dichiarazione di paternità o materinità naturale,
ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
38, 1° comma, disp. att. c.c. cosi come sostituito da ultimo dall'art. 68
1. 184/83, nella parte in cui dispone la competenza del tribunale per i
minorenni (e, è il caso di aggiungere, prevede la trattazione con rito ca
merale) in ordine ai giudizi dichiarativi di paternità o maternità naturale
di minori. [A. Proto Pisani]
(2) La possibilità, per il giudice, di escludere la prova ematologica tro
va conferma in Cass. 3 luglio 1986, n. 4376, Foro it., 1987, I, 140, nella
quale si afferma che, ai fini dell'ammissibilità della domanda di dichiara
zione giudiziale di paternità, sono sufficienti elementi probatori gravi,
precisi e concordanti. V. inoltre Cass. 19 febbraio 1987, n. 1788, id..
Rep. 1987, voce Filiazione, nn. 85, 86; 8 settembre 1986, n. 5470, id.,
Rep. 1986, voce cit., n. 80; 12 giugno 1986, n. 3899, ibid., n. 85.
Per la dottrina, v. Comporti, Filiazione e prove biologiche, in Quadri
mestre, 1985, 248; Morganti, Accertamento biologico di paternità, ibid.,
238; Ranalletta, Nuovi spazi giudiziali e stragiudiziali dell'accertamento
della verità biologica in tema di paternità, in Riv. it. medicina legale,
1986, 1192; Bardanzellu, Brevi note in tema di prove ematologiche e
genetiche nell'accertamento giudiziale della paternità naturale, in Riv. giur.
sarda, 1986, 416.
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