sezione lavoro; sentenza 23 maggio 1986, n. 3485; Pres. Della Terza, Est. Pontrandolfi, P.M.Martinelli (concl. conf.); Biagetti (Avv. Moricca) c. Rai-Tv (Avv. Dell'Olio). Cassa Trib. Roma 3luglio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 253/254-257/258Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181048 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dall'entrata in vigore della 1. n. 1431 del 1962 senza provvedere alla ricostruzione del fabbricato sull'area precedentemente occu
pata, dando cosi adito al passaggio dell'area medesima a far par te del patrimonio comunale, come previsto dall'art. 6, ultimo
comma, della legge suddetta. Tanto vero che, come è stato accer
tato nelle fasi di merito del giudizio, con deliberazione consiliare
n. 62 del 10 dicembre 1976 il comune di San Sossio Baronia deci
se di acquisire al proprio patrimonio (unitamente ad altre) l'area
dei Covino, su cui insisteva il fabbricato de quo. In tale situazio
ne, un eventuale ricorso del Raduazzo avverso il provvedimento amministrativo di acquisizione dell'area sarebbe stato fatalmente
destinato all'insuccesso.
Inoltre, la causa dell'evizione, da individuarsi nell'accertato de
corso del termine triennale senza che i Covino provvedessero alla
ricostruzione del fabbricato sull'area precedentemente occupata,
preesisteva al contratto d'acquisto dell'immobile stipulato dal Ra
duazzo con i Covino (del 4 novembre 1974). E a nulla rileva
in contrario l'inesistenza, all'epoca della stipulazione di quel con
tratto, di un formale provvedimento di acquisizione del bene al
patrimonio del comune, giacché ciò non toglie che i venditori
avessero violato il loro impegno traslativo, rendendo cosi opera tiva la garanzia.
Parimenti, a nulla rileva che il Raduazzo, al momento di stipu lare il contratto, fosse a conoscenza della situazione giuridica del
l'immobile, come accertato in sede di merito. La garanzia di cui
all'art. 1483 c.c., invero, opera indipendentemente dalla sussi
stenza della colpa del venditore e, quindi, non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa
di futura evizione, giacché gli effetti di tale garanzia conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, che, facendo venir meno la ragione giustificatrice della contropresta
zione, altera l'equilibrio del sinallagma funzionale, con la conse
guente necessità che vi sia posto rimedio mediante ripristino della
situazione economica dell'acquirente qual era prima dell'acquisto
(sent. 16 maggio 1981, n. 3249, Foro it., Rep. 1981, voce Vendi
ta, n. 56). Con il terzo mezzo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa
applicazione degli art. 1479 e 1483 c.c., nonché omessa, insuffi
ciente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., censurano
l'impugnata sentenza per aver condannato gli stessi attuali ricor
renti al risarcimento del danno, nonostante la loro mancanza di
colpa avendo essi, all'atto della vendita, chiaramente indicato la
condizione giuridica dell'immobile (a), e per aver proceduto alla
rivalutazione monetaria (b). Anche tale censura è infondata. Quanto, invero, al profilo sub
a), è sufficiente rilevare che, ai sensi dell'art. 1483 c.c., la garan zia per evizione — che sanziona l'inadempimento, da parte del
venditore, dell'obbligazione di cui all'art. 1476, n. 2, c.c. — im
pone al venditore medesimo di risarcire il danno nei limiti del
cosiddetto interesse negativo (costituito dalla restituzione del prezzo e dal rimborso delle spese della vendita), tranne che si accerti
aver l'alienante agito con dolo o colpa, nel qual caso l'acquirente ha invece diritto al risarcimento integrale del danno, comprensi vo anche del lucro cessante (sent. 16 maggio 1981, n. 3249, cit. ; 10 marzo 1979, n. 1511, id., Rep. 1979, voce cit., n. 35; 18 mag
gio 1971, n. 1494, id., Rep. 1971, voce cit., n. 45). Ed entro
questi limiti, del cosiddetto interesse negativo, è stato, nel caso
in esame, riconosciuto all'acquirente Raduazzo il diritto al risar
cimento del danno.
Quanto al rilievo sub b) della censura, è anche qui sufficiente
rilevare che il diritto alla rivalutazione monetaria consegue alla
natura del debito di valore, proprio di quanto attribuito a titolo
di risarcimento del danno, anche se nei soli limiti dell'interesse
negativo (danno emergente). Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 maggio
1986, n. 3485; Pres. Della Terza, Est. Pontrandolfi, P.M.
Martinelli (conci, conf.); Biagetti (Avv. Moricca) c. Rai-Tv
(Avv. Dell'Olio). Cassa Trib. Roma 3 luglio 1982.
Lavoro (rapporto) — Lavoratrici madri — Periodi di astensione
obbligatoria — Computabilità ai fini dell'anzianità di servizio
(L. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 4, 6; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro, art. 3).
I periodi di astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli art. 4
e 5 I. 1204 del 1971, sulla tutela delle lavoratrici madri, vanno
computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, ivi com
presi gli aumenti automatici di retribuzione per decorso del tem
po, essendo nulle, per violazione di norme imperative, le clausole
dei contratti collettivi che eventualmente colleghino la materia
degli aumenti automatici predetta alla effettiva prestazione del
l'attività. (1)
Motivi della decisione. — Con l'unico complesso motivo del
ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (art. 4-6 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, art. 3 1. 9 dicembre
1977 n. 903, art. 1362 ss. c.c.), in relazione all'art. 360, n. 3,
c.p.c., la Biagetti, con implicato riferimento anche alle regole di
interpretazione contrattuale e con esplicita (anche se non richia
mata in premessa al motivo) denuncia di vizio di motivazione, contesta il ragionamento fatto dal tribunale. Assume, tra l'altro, la ricorrente che il fondamentale vizio della sentenza impugnata è di non aver considerato che la 1. n. 903 del 1977 sulla parità di trattamento fra uomo e donna in materia di lavoro non fa
salve tutte le disposizioni contrattuali in ordine ai «requisiti ri
chiesti» dall'autonomia collettiva per considerare attività lavora
tiva le assenze obbligatorie per maternità di cui agli art. 4 e 5
1. n. 1204 del 1971, laddove la predetta disposizione di legge (art.
3, 2° comma) cosi recita: «Le assenze dal lavoro, previste dagli art. 4 e 5 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, sono considerate, ai fini
della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quan do i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari
requisiti». Secondo la ricorrente, il tribunale non si è accorto che i requi
siti fatti salvi dalla legge non sono tutti quelli previsti dall'auto
nomia collettiva, ma solo quelli «particolari»; né si è chiesto se
l'effettivo servizio, o, per ripetere l'espressione usata dallo stesso
tribunale, la «effettività della prestazione lavorativa», sia vera
mente un «particolare» requisito idoneo ad impedire la computa bilità del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità. Se avesse approfondito l'indagine, il tribunale non
avrebbe potuto non accorgersi che affermare ciò sarebbe stato
come dire che «il periodo di astensione obbligatoria predetto de
ve essere considerato come attività lavorativa ... se ... vi sia
stata effettività della prestazione lavorativa»; nel qual caso la nor
ma sarebbe impossibile e, cioè, conterrebbe in se stessa la propria
negazione. Ed invece — sottolinea la ricorrente — la menzionata norma
di legge dice proprio che quella essenza deve essere considerata
come «attività lavorativa», cioè come effettivo servizio.
Sostiene poi la ricorrente che il tribunale ha omesso di valutare — e si trattava di un problema essenziale, sottoposto alla sua
(1) Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione conferma un
orientamento già affermatosi per la materia della progressione di carriera
(cfr. Cass. 15 marzo 1986, n. 1787, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro
(rapporto), n. 878; 6 dicembre 1984, n. 6449, id., Rep. 1985, voce cit., n. 862; 6 dicembre 1984, n. 6448, id., 1985, I, 2342, con nota di richia
mi), e fa ciò prendendo in considerazione — e non solo nello sviluppo
dell'argomentazione ma stranamente nella stessa enunciazione espressa del principio di diritto cui deve uniformarsi il giudice di rinvio ex art.
384 c.p.c. — anche la disciplina dell'art. 3 1. 903 del 1977, che pure
esplicitamente ritiene inapplicabile alla specie perché entrata in vigore suc
cessivamente. Va sottolineato come dalle sentenze 6448 e 6449/84 cit.
all'art. 3 cit. viene attribuito un significato innovativo, limitativo cioè
del diritto che trae la sua fonte nella legge anziché di fonte costitutiva
del diritto stesso, mentre nella pronuncia in epigrafe si evidenzia che sul
punto l'art. 3 è «privo di sostanziale portata innovativa rispetto alla pre cedente norma».
In tema di rapporto di lavoro di lavoratrice madre, cfr., da ultimo, Pret.
Putignano 1° aprile 1987, id., 1987, I, 3193, con nota di richiami, e Cass.
27 aprile 1987, n. 4079, in questo fascicolo I, 203, con nota di richiami.
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PARTE PRIMA
attenzione, si che la sua apodittica affermazione si traduce in
difetto di motivazione conseguente ad una erronea applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale — se il contratto collettivo
di categoria, parlando di «effettivo servizio», alludesse davvero
ad una particolare distinzione tra «esecuzione del contratto» ed
«esistenza del rapporto», distinzione che nella fattispecie non aveva
alcuna base logica. E aggiunge che essa aveva ben chiarito nei gradi di merito che
un concetto diverso di «effettivo servizio» da quello di anzianità
di servizio non avrebbe avuto alcun senso dal momento che il
decorso dell'ottavo anno non incideva sulle mansioni o sulla qua
lifica, che restavano identiche, ma su un elemento meramente
economico della busta paga: quindi, i presupposti della maggiore
esperienza e dell'affidamento delle capacità non avevano alcun
rilievo, mentre aveva rilievo solo la permanenza per otto anni
nella stessa classe. Ed invero — sempre secondo la ricorrente —
il «servizio effettivo» si contrappone non all'anzianità di servi
zio, ma al servizio senza diritto a retribuzione con diritto al man
tenimento del posto (ad es. art. 22, 3° comma, del contratto
collettivo), oppure ai casi di «sospensione» del rapporto, ecc.
Il ricorso, nell'unico motivo prospettato, è sostanzialmente
fondato.
Il tribunale non ha correttamente considerato la portata del
l'art. 6 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (sulla tutela delle «lavoratrici
madri»), secondo cui «i periodi di astensione obbligatoria dal la
voro ai sensi degli art. 4 e 5 della «presente» legge devono essere
computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi
quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia
e alle ferie».
La sezione lavoro di questa Corte suprema ha già rilevato, nel
la sentenza 9 settembre 1981, n. 5061 (Foro it., Rep. 1981, voce
Lavoro (rapporto), n. 586), e lo ha ribadito nelle successive sen
tenze nn. 6448 (id., 1984, I, 2342) e 6449 del 6 dicembre 1984
(id., Rep. 1985, voce cit., n. 862), che, assicurando già l'art. 2110
c.c., il computo dei periodi di assenza dal lavoro per maternità
nell'anzianità di servizio, «è certo che nessun significato sarebbe
attribuibile alla locuzione — a tutti gli effetti — contenuta nel
citato art. 6 1. del 1971 se non si fosse voluto attribuire alla lavo
ratrice madre, obbligata ad assentarsi dal lavoro, un trattamento
economico e normativo più favorevole rispetto a quello previsto
per l'assenza in caso di malattia».
Ne deriva che, stante la tutela più ampia derivante alla lavora
trice madre, in relazione ai periodi di assenza obbligatoria pre e post partum dell'art. 6 1. n. 1204 del 1971 rispetto a quella
apprestata dall'art. 2110, c.c., che garantisce soltanto il computo di tali periodi nella anzianità di servizio ai soli fini della determi
nazione della relativa indennità, possono e debbono rendersi com
putabili a tutti gli effetti legali e contrattuali legati alla permanenza del rapporto di lavoro i periodi di assenza obbligatoria previsti dal citato art. 6, in relazione agli art. 4 e 5 1. del 1971: e ciò,
pertanto, anche ai fini della maturazione degli scatti periodici di anzianità previsti dal contratto collettivo ovvero della progressio ne nella carriera sia in termini di miglioramenti retributivi (come nella fattispecie in cui l'aumento automatico di retribuzione allo
scadere dell'ottavo anno di permanenza nella stessa classe stipen diale, ai sensi dell'art. 10, 8° comma, del ccnl per i dipendenti della società Rai, non costituisce un semplice scatto di anzianità), sia in termini di avanzamento di categoria o di qualifica.
E va chiaramente detto che, trattandosi di norma di legge im
perativa, essa, secondo i principi generali, non potrebbe essere
derogata dall'autonomia collettiva.
Ora, nella fattispecie, il citato art. 10, 8° comma, del contratto
collettivo ricollega l'aumento pari al sei per cento del minimo
tabellare della classe di appartenenza «al compimento dell'ottavo
anno di effettivo servizio nella medesima classe di retribuzione».
Il tribunale ha interpretato l'espressione «effettivo servizio» come
«effettività delle prestazioni lavorative», ma, per quanto l'inter
pretazione dei contratti collettivi postcorporativi rientri nel com
pito istituzionale del giudice del merito, la sentenza impugnata non appare immune, sul punto, dai vizi denunciati di insufficien
za di motivazione e di violazione delle regole legali di ermeneuti ca contrattuale, posto che il tribunale non si è affatto sforzato, nella sua apodittica affermazione, di indagare sulla comune in
tenzione delle parti collettive, in quanto ben poteva la ridetta
espressione contrapporsi a «servizio senza diritto a retribuzione
con diritto alla conservazione del posto».
E, comunque, anche se si voleva interpretare quell'espressione
Il Foro Italiano — 1988.
come «effettività delle prestazioni lavorative», questa interpreta
zione, pur valida in tutti gli altri casi, doveva far salva la specifi ca norma imperativa di legge (il citato art. 6), anche nell'implicita volontà delle parti collettive, pena, in ogni caso, la disapplicazio ne della disposizione del contratto collettivo da parte del giudice nei limiti del suo eventuale contrasto con la norma imperativa di legge.
Che, poi, la portata dell'art. 6 1. n. 1204 del 1971 sia quella che si è sopra indicata risulta confermato dall'art. 3, 2° comma, 1. 9 dicembre 1977, n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini
e donne in materia di lavoro), che entrambe le parti richiamano
a sostegno delle rispettive tesi, sia pure con opposte conseguenze, e che, nella fattispecie, potrebbe assumere soltanto un valore ar
gomentativo e interpretativo, essendo la 1. n. 903 del 1977 succes
siva ai fatti di causa.
Tale norma stabilisce testualmente: «Le assenze dal lavoro, pre viste dagli art. 4 e 5 1. 30 dicembre 1971 n. 1204» (ipotesi di
astensione obbligatoria dal lavoro per maternità) «sono conside
rate, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavo
rativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo
particolari requisiti».
Poiché, come rilevato in precedenza, si verte, nella fattispecie, in un caso di progressione di carriera, sia pure sotto il profilo essenzialmente retributivo, e non di un semplice scatto periodico di anzianità, la norma in esame, nel disciplinare proprio l'ipotesi di astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio ai fini della progressione nella carriera, considerando tale asten
sione, expressis verbi, come attività lavorativa, non ha una vera
portata innovativa rispetto all'art. 6 1. n. 1204 del 1971, in quan to tale ipotesi ben potrebbe farsi rientrare nella più ampia previ sione di quest'ultima norma (che impone il computo della durata
dell'astensione obbligatoria dal lavoro per maternità nell'anziani
tà di servizio «a tutti gli effetti»). In sostanza, l'art. 3, 2° comma, 1. n. 903 del 1977, sia pure
allo scopo di tutelare il principio della parità di trattamento tra
uomini e donne in materia di lavoro, precisa quanto già potrebbe desumersi dall'ampia portata dell'art. 6 1. n. 1204 del 1971, an
corché con specifico riferimento alla progressione nella carriera
della lavoratrice madre.
Ciò è stato già rilevato da questa corte nelle citate sentenze
nn. 6448 e 6449 del 1984, e conviene qui ribadirlo e precisarlo, ove dovesse residuare qualche dubbio in proposito.
Ma la sentenza impugnata, conformemente all'opinione della
società Rai, sostiene che, facendo salve l'art. 3, 2° comma, della
legge sulla parità le disposizioni contrattuali in ordine ai requisiti richiesti dall'autonomia collettiva per considerare attività lavora
tiva le assenze dal lavoro di cui agli art. 4 e 5 1. n. 1204 del
1971, nella specie dovrebbe tenersi conto della clausola collettiva
che, come in precedenza detto, prevede l'aumento retributivo a
favore del lavoratore, in via generale, al compimento dell'ottavo
anno di «effettivo servizio», nel senso già precisato — secondo la sentenza impugnata — di otto anni di prestazioni lavorative effettive.
A parte quanto già rilevato in precedenza in tema di regole di ermeneutica contrattuale, questa corte, comunque, ha già chia
rito, nelle citate decisioni, che gli eventuali requisiti, che siano
richiesti dai contratti collettivi, ai sensi dell'art. 3 della legge sulla
parità del 1977, per la progressione nella carriera della lavoratrice
madre, diversi dalla mera anzianità di servizio, vanno individuati
a titolo esemplificativo, nel merito misto all'anzianità nel solo
merito, nel possesso di titoli, nel superamento di esami, ecc. e,
cioè, in elementi per i quali, prescindendosi dal sesso, la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne non avrebbe moti
vo di essere applicata. D'altra parte, la norma di legge parla di «particolari requisiti»
(idonei, cioè, ad impedire la computabilità dei periodi di asten sione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio ai fini
della progressione nella carriera della lavoratrice), e tra tali requi siti non potrebbe certamente ricomprendersi, come esattamente
rilevato dalla ricorrente, l'effettività delle prestazioni lavorative,
giacché altrimenti sarebbe come dire che quei periodi di astensio ne obbligatoria devono essere considerati come attività lavorativa
solo se vi sia stata effettività delle prestazioni; con il che la nor
ma troverebbe in se stessa la propria negazione. Né deriva che il ricorso va accolto e che la sentenza impugnata
va cassata, rinviandosi la causa ad altro giudice d'appello, che
si designa nel Tribunale di Civitavecchia (sezione lavoro), il quale,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nel procedere a nuovo esame, si atterrà al seguente principio di
diritto: «L'art. 6 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (sulla tutela delle lavora
trici madri) — il quale stabilisce che i periodi di astensione obbli
gatoria dal lavoro ai sensi degli art. 4 e 5 della stessa legge «devono
essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, com
presi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica nata lizia e alle ferie» — e l'art. 3, 2° comma, 1. 9 dicembre 1977
n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) — il quale, privo sul punto di sostanziale portata inno
vativa rispetto alla precedente norma, stabilisce che le assenze
dal lavoro nei predetti periodi « sono considerate, ai fini della
progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i con
tratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti», rendono computabili i periodi di astensione obbligatoria dal la
voro ai sensi degli art. 4 e 5 1. n. 1204 del 1971, ai fini della
progressione nella carriera della lavoratrice madre, per effetto della
mera anzianità di servizio, ove i contratti collettivi non richieda
no a tali fini requisiti particolari e diversi dalla mera anzianità
di servizio, tra i quali non può essere ricompresa la effettività
delle prestazioni lavorative durante i suddetti periodi di astensio
ne obbligatoria.
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 21 dicembre 1987; Pres. A. Valente, Est. G. Silvestri; Giuliani (Avv. Lancel
lotti) c. Lombardi (Avv. Gentile).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Famiglia (regime patrimoniale della) — Costruzione eseguita su
terreno di proprietà esclusiva di uno dei coniugi — Comunione
legale — Esclusione — Operatività dell'accessione (Cod. civ., art. 177, 934).
La costruzione eseguita su terreno appartenente ad uno solo dei
coniugi diviene di proprietà esclusiva di quest'ultimo in virtù
del principio dell'accessione e non è soggetta al regime di co
munione legale. (1)
(1) Dottrina e giurisprudenza risultano profondamente divise in ordine all'alternativa vertente sull'applicabilità della disciplina dell'accessione di cui all'art. 934 c.c. oppure di quella dettata per la comunione legale tra
coniugi dall'art. 177 c.c., nel testo introdotto dalla 1. 19 maggio 1975 n. 151, nell'ipotesi di costruzione eseguita, in costanza di matrimonio, sul suolo di proprietà esclusiva di uno dei coniugi. La soluzione accolta nella sentenza riportata, secondo cui la peculiare struttura della fattispe cie prefigurata dall'art. 934 esclude l'operatività della comunione legale, risulta seguita, in giurisprudenza, da App. Brescia 10 giugno 1983, Foro
it., Rep. 1984, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 36; Trib. Velletri 30 maggio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 28, e Trib. Firenze 9 feb braio 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 45, tutte citate nella decisione in epigrafe con l'indicazione delle riviste sulle quali sono riportate per esteso. In senso contrario, a favore cioè della prevalenza dell'art. 177, lett. a), c.c., considerato quale norma speciale rispetto al principio super ficies solo cedit, cfr., oltre alla sentenza riformata (Temi romana, 1986, 436), Trib. Bergamo 22 dicembre 1981, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 37, e Trib. Roma 25 settembre 1985, Temi romana, 1986, 436, an ch'esse citate in motivazione. La Corte di cassazione non ha avuto occa sione di pronunciarsi sull'argomento nel periodo successivo all'entrata in vigore della 1. n. 151 del 1975: con riferimento, però, alla disciplina della comunione convenzionale, posta dall'art. 217 c.c. nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia, è stato deciso che nel regime della comunione degli utili e degli acquisti la proprietà della costruzione ese
guita durante il matrimonio da uno dei coniugi su suolo che era di sua esclusiva proprietà prima della stipulazione del patto di comunione non si comunica all'altro coniuge, che, invece, acquista soltanto un diritto di credito corrispondente alla metà del valore dei materiali che il primo ha impiegato nella costruzione (Cass. 14 giugno 1966, n. 1545, id., Rep. 1966, voce Coniugi (rapporti patrimoniali tra), n. 9, e Cass. 30 maggio 1951, n. 1354, id., 1951, I, 689, secondo cui detto credito non ha natura
pecuniaria e non è, pertanto, soggetto al principio nominalistico). Anche la dottrina è nettamente divisa. Per la soluzione favorevole alla
espansione della proprietà esclusiva del dominus soli, che si estenderebbe alla costruzione realizzata mediante l'incorporazione dei materiali nel ter
reno, v. Giusti, Costruzione di un edificio in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale su terreno di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, in Giur. merito, 1985, 234; Ieva, Il principio di accessione e gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 1983, 707; Id., Ancora in tema di conflitto fra il principio di accessione e gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, id., 1984, 1193;
Il Foro Italiano — 1988 — Parte 1-5.
Motivi della decisione. — Col primo motivo di gravame l'ap
pellante ha censurato la sentenza impugnata per avere accolto la tesi della estensione della comunione legale alla costruzione realizzata sul terreno appartenente ad uno solo dei coniugi con una motivazione erronea, scarna e non convincente che si limita a riprodurre gli argomenti sviluppati da uno degli indirizzi afferma tisi in dottrina e in giurisprudenza senza un'attenta e com
pleta valutazione di tutti i precedenti esistenti nella materia in esame.
Col secondo motivo di gravame viene criticata l'opinione che ha condotto il tribunale a qualificare l'art. 177 c.c. nel testo
introdotto dalla 1. 19 maggio 1975 n. 151, come norma speciale
rispetto all'art. 934 c.c. sul rilievo che sarebbe stato fatto cattivo uso dell'art. 15 preleggi omettendo di considerare che il coordi namento dell'art. 177 (oggetto della comunione) con l'art. 179
(beni personali) impedisce di attribuire al termine «acquisti» un significato lato e onnicomprensivo, tale da coprire anche
gli acquisti a titolo originario, oltre a quelli a titolo deri vativo.
Col terzo motivo di gravame l'appellante ha contestato, sotto
altro profilo, il carattere speciale dell'art. 177 rispetto all'art. 934, osservando che la prima norma è diretta a colmare le lacune degli istituti ordinari, rispetto ai quali si renda necessaria una statui
zione normativa differenziata, e non coinvolge, invece, gli acqui sti a titolo originario che restano soggetti al regime generale della
proprietà immobiliare.
Il quarto motivo di gravame contiene la critica dell'affermazio
ne che figura nella sentenza impugnata secondo cui un'interpre tazione che non ricomprenda gli acquisti a titolo originario nell'ambito dell'art. 177 «dequalificherebbe» l'attività volitiva delle
parti riducendola, in sostanza, a mero fatto giuridico costitutivo
dell'acquisto a titolo originario da parte di uno solo dei coniugi: ad avviso dell'appellante, una simile affermazione risulta tautolo
gica, errata e priva di fondamento giuridico e non potrebbe giu stificare la soluzione, recepita dal giudice di primo grado, favorevole alla prevalenza dell'art. 177 sull'art. 934.
Col quinto motivo di gravame l'appellante ha criticato gli ar
gomenti svolti dal tribunale a sostegno della possibilità della co
stituzione di un diritto di superficie a favore della comunione
fra i coniugi anche in mancanza del requisito della forma scritta
ad substantiam, deducendo che, se è vero che la legge può stabili
re, in casi particolari, diverse modalità di costituzione di diritti
in re aliena, è incontrovertibile che le norme derogative al regime
generale della proprietà non sono suscettibili di applicazione ana
logica. I motivi di gravame, che per la loro connessione devono essere
esaminati congiuntamente, sono fondati e meritano accoglimento. Preliminarmente va precisato che non sussiste contrasto tra le
parti in merito alle circostanze che connotano la fattispecie in
esame in quanto non è contestato che il terreno appartiene sol
tanto al marito, che ne è divenuto proprietario a seguito di dona
zione con atto del 16 gennaio 1975, e che la costruzione è stata
Barnini, L'acquisto per accessione su suolo personale del coniuge fra regole della comunione e regole della proprietà, in Giur. merito, 1985, 234; Tondo, Sugli acquisti originari in regime di comunione legale, in Foro it., 1981, V, 161; Carusi, Il negozio giuridico notarile, Milano, 1980, I, 253; Fraoali, La comunione, in Trattato diretto da Cicu e Mes
sineo, Milano, 1978, II, 180. Nel senso, invece, che la costruzione è sog getta al regime di comunione legale mediante la costituzione ex lege, a favore di entrambi i coniugi, di un diritto di superficie, separato dalla
proprietà personale del suolo, v. Luminoso, Accessione e altre vicende delle cose nella comunione coniugale, in Riv. not., 1985, 761; Gentili, Acquisti per accessione e comunione legale di beni fra i coniugi, in Giur.
it., 1984, I, 2, 695; A. e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di fami glia, Milano, 1979, III, 432; Dì Martino, Gli acquisti a titolo originario in regime di comunione legale fra i coniugi, in Dir. famiglia, 1980, 929; Comporti, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv.
not., 1979, 57; Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario de! diritto di famiglia a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, Padova, 1977, I, 369.
Per la configurazione dell'istituto dell'accessione quale fatto modifica tivo del diritto di proprietà, che determina una estinzione dell'oggetto, e non quale fatto acquisitivo di un nuovo e autonomo diritto, la sentenza
riportata ha seguito le tracce dell'indirizzo affermato, in dottrina, da Pu
gliese, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato diretto da F. Vassalli, Torino, 1972, 126, e da Deiana, Le servitù prediali in Trattato, cit., 1955, 753. Sull'accessione, cfr. anche De Martino, Della proprietà, in Commentario a cura di Sclaloja e Branca, Bologna-Roma, 1976, 492.
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