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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 23 maggio 1986, n....

Date post: 28-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 23 maggio 1986, n. 3485; Pres. Della Terza, Est. Pontrandolfi, P.M. Martinelli (concl. conf.); Biagetti (Avv. Moricca) c. Rai-Tv (Avv. Dell'Olio). Cassa Trib. Roma 3 luglio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 253/254-257/258 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181048 . Accessed: 24/06/2014 22:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.185 on Tue, 24 Jun 2014 22:15:14 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 23 maggio 1986, n. 3485; Pres. Della Terza, Est. Pontrandolfi, P.M.Martinelli (concl. conf.); Biagetti (Avv. Moricca) c. Rai-Tv (Avv. Dell'Olio). Cassa Trib. Roma 3luglio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 253/254-257/258Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181048 .

Accessed: 24/06/2014 22:15

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dall'entrata in vigore della 1. n. 1431 del 1962 senza provvedere alla ricostruzione del fabbricato sull'area precedentemente occu

pata, dando cosi adito al passaggio dell'area medesima a far par te del patrimonio comunale, come previsto dall'art. 6, ultimo

comma, della legge suddetta. Tanto vero che, come è stato accer

tato nelle fasi di merito del giudizio, con deliberazione consiliare

n. 62 del 10 dicembre 1976 il comune di San Sossio Baronia deci

se di acquisire al proprio patrimonio (unitamente ad altre) l'area

dei Covino, su cui insisteva il fabbricato de quo. In tale situazio

ne, un eventuale ricorso del Raduazzo avverso il provvedimento amministrativo di acquisizione dell'area sarebbe stato fatalmente

destinato all'insuccesso.

Inoltre, la causa dell'evizione, da individuarsi nell'accertato de

corso del termine triennale senza che i Covino provvedessero alla

ricostruzione del fabbricato sull'area precedentemente occupata,

preesisteva al contratto d'acquisto dell'immobile stipulato dal Ra

duazzo con i Covino (del 4 novembre 1974). E a nulla rileva

in contrario l'inesistenza, all'epoca della stipulazione di quel con

tratto, di un formale provvedimento di acquisizione del bene al

patrimonio del comune, giacché ciò non toglie che i venditori

avessero violato il loro impegno traslativo, rendendo cosi opera tiva la garanzia.

Parimenti, a nulla rileva che il Raduazzo, al momento di stipu lare il contratto, fosse a conoscenza della situazione giuridica del

l'immobile, come accertato in sede di merito. La garanzia di cui

all'art. 1483 c.c., invero, opera indipendentemente dalla sussi

stenza della colpa del venditore e, quindi, non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa

di futura evizione, giacché gli effetti di tale garanzia conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, che, facendo venir meno la ragione giustificatrice della contropresta

zione, altera l'equilibrio del sinallagma funzionale, con la conse

guente necessità che vi sia posto rimedio mediante ripristino della

situazione economica dell'acquirente qual era prima dell'acquisto

(sent. 16 maggio 1981, n. 3249, Foro it., Rep. 1981, voce Vendi

ta, n. 56). Con il terzo mezzo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa

applicazione degli art. 1479 e 1483 c.c., nonché omessa, insuffi

ciente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della

controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., censurano

l'impugnata sentenza per aver condannato gli stessi attuali ricor

renti al risarcimento del danno, nonostante la loro mancanza di

colpa avendo essi, all'atto della vendita, chiaramente indicato la

condizione giuridica dell'immobile (a), e per aver proceduto alla

rivalutazione monetaria (b). Anche tale censura è infondata. Quanto, invero, al profilo sub

a), è sufficiente rilevare che, ai sensi dell'art. 1483 c.c., la garan zia per evizione — che sanziona l'inadempimento, da parte del

venditore, dell'obbligazione di cui all'art. 1476, n. 2, c.c. — im

pone al venditore medesimo di risarcire il danno nei limiti del

cosiddetto interesse negativo (costituito dalla restituzione del prezzo e dal rimborso delle spese della vendita), tranne che si accerti

aver l'alienante agito con dolo o colpa, nel qual caso l'acquirente ha invece diritto al risarcimento integrale del danno, comprensi vo anche del lucro cessante (sent. 16 maggio 1981, n. 3249, cit. ; 10 marzo 1979, n. 1511, id., Rep. 1979, voce cit., n. 35; 18 mag

gio 1971, n. 1494, id., Rep. 1971, voce cit., n. 45). Ed entro

questi limiti, del cosiddetto interesse negativo, è stato, nel caso

in esame, riconosciuto all'acquirente Raduazzo il diritto al risar

cimento del danno.

Quanto al rilievo sub b) della censura, è anche qui sufficiente

rilevare che il diritto alla rivalutazione monetaria consegue alla

natura del debito di valore, proprio di quanto attribuito a titolo

di risarcimento del danno, anche se nei soli limiti dell'interesse

negativo (danno emergente). Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.

Il Foro Italiano — 1988.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 maggio

1986, n. 3485; Pres. Della Terza, Est. Pontrandolfi, P.M.

Martinelli (conci, conf.); Biagetti (Avv. Moricca) c. Rai-Tv

(Avv. Dell'Olio). Cassa Trib. Roma 3 luglio 1982.

Lavoro (rapporto) — Lavoratrici madri — Periodi di astensione

obbligatoria — Computabilità ai fini dell'anzianità di servizio

(L. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 4, 6; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità di trattamento tra

uomini e donne in materia di lavoro, art. 3).

I periodi di astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli art. 4

e 5 I. 1204 del 1971, sulla tutela delle lavoratrici madri, vanno

computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, ivi com

presi gli aumenti automatici di retribuzione per decorso del tem

po, essendo nulle, per violazione di norme imperative, le clausole

dei contratti collettivi che eventualmente colleghino la materia

degli aumenti automatici predetta alla effettiva prestazione del

l'attività. (1)

Motivi della decisione. — Con l'unico complesso motivo del

ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di

diritto (art. 4-6 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, art. 3 1. 9 dicembre

1977 n. 903, art. 1362 ss. c.c.), in relazione all'art. 360, n. 3,

c.p.c., la Biagetti, con implicato riferimento anche alle regole di

interpretazione contrattuale e con esplicita (anche se non richia

mata in premessa al motivo) denuncia di vizio di motivazione, contesta il ragionamento fatto dal tribunale. Assume, tra l'altro, la ricorrente che il fondamentale vizio della sentenza impugnata è di non aver considerato che la 1. n. 903 del 1977 sulla parità di trattamento fra uomo e donna in materia di lavoro non fa

salve tutte le disposizioni contrattuali in ordine ai «requisiti ri

chiesti» dall'autonomia collettiva per considerare attività lavora

tiva le assenze obbligatorie per maternità di cui agli art. 4 e 5

1. n. 1204 del 1971, laddove la predetta disposizione di legge (art.

3, 2° comma) cosi recita: «Le assenze dal lavoro, previste dagli art. 4 e 5 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, sono considerate, ai fini

della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quan do i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari

requisiti». Secondo la ricorrente, il tribunale non si è accorto che i requi

siti fatti salvi dalla legge non sono tutti quelli previsti dall'auto

nomia collettiva, ma solo quelli «particolari»; né si è chiesto se

l'effettivo servizio, o, per ripetere l'espressione usata dallo stesso

tribunale, la «effettività della prestazione lavorativa», sia vera

mente un «particolare» requisito idoneo ad impedire la computa bilità del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità. Se avesse approfondito l'indagine, il tribunale non

avrebbe potuto non accorgersi che affermare ciò sarebbe stato

come dire che «il periodo di astensione obbligatoria predetto de

ve essere considerato come attività lavorativa ... se ... vi sia

stata effettività della prestazione lavorativa»; nel qual caso la nor

ma sarebbe impossibile e, cioè, conterrebbe in se stessa la propria

negazione. Ed invece — sottolinea la ricorrente — la menzionata norma

di legge dice proprio che quella essenza deve essere considerata

come «attività lavorativa», cioè come effettivo servizio.

Sostiene poi la ricorrente che il tribunale ha omesso di valutare — e si trattava di un problema essenziale, sottoposto alla sua

(1) Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione conferma un

orientamento già affermatosi per la materia della progressione di carriera

(cfr. Cass. 15 marzo 1986, n. 1787, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro

(rapporto), n. 878; 6 dicembre 1984, n. 6449, id., Rep. 1985, voce cit., n. 862; 6 dicembre 1984, n. 6448, id., 1985, I, 2342, con nota di richia

mi), e fa ciò prendendo in considerazione — e non solo nello sviluppo

dell'argomentazione ma stranamente nella stessa enunciazione espressa del principio di diritto cui deve uniformarsi il giudice di rinvio ex art.

384 c.p.c. — anche la disciplina dell'art. 3 1. 903 del 1977, che pure

esplicitamente ritiene inapplicabile alla specie perché entrata in vigore suc

cessivamente. Va sottolineato come dalle sentenze 6448 e 6449/84 cit.

all'art. 3 cit. viene attribuito un significato innovativo, limitativo cioè

del diritto che trae la sua fonte nella legge anziché di fonte costitutiva

del diritto stesso, mentre nella pronuncia in epigrafe si evidenzia che sul

punto l'art. 3 è «privo di sostanziale portata innovativa rispetto alla pre cedente norma».

In tema di rapporto di lavoro di lavoratrice madre, cfr., da ultimo, Pret.

Putignano 1° aprile 1987, id., 1987, I, 3193, con nota di richiami, e Cass.

27 aprile 1987, n. 4079, in questo fascicolo I, 203, con nota di richiami.

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PARTE PRIMA

attenzione, si che la sua apodittica affermazione si traduce in

difetto di motivazione conseguente ad una erronea applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale — se il contratto collettivo

di categoria, parlando di «effettivo servizio», alludesse davvero

ad una particolare distinzione tra «esecuzione del contratto» ed

«esistenza del rapporto», distinzione che nella fattispecie non aveva

alcuna base logica. E aggiunge che essa aveva ben chiarito nei gradi di merito che

un concetto diverso di «effettivo servizio» da quello di anzianità

di servizio non avrebbe avuto alcun senso dal momento che il

decorso dell'ottavo anno non incideva sulle mansioni o sulla qua

lifica, che restavano identiche, ma su un elemento meramente

economico della busta paga: quindi, i presupposti della maggiore

esperienza e dell'affidamento delle capacità non avevano alcun

rilievo, mentre aveva rilievo solo la permanenza per otto anni

nella stessa classe. Ed invero — sempre secondo la ricorrente —

il «servizio effettivo» si contrappone non all'anzianità di servi

zio, ma al servizio senza diritto a retribuzione con diritto al man

tenimento del posto (ad es. art. 22, 3° comma, del contratto

collettivo), oppure ai casi di «sospensione» del rapporto, ecc.

Il ricorso, nell'unico motivo prospettato, è sostanzialmente

fondato.

Il tribunale non ha correttamente considerato la portata del

l'art. 6 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (sulla tutela delle «lavoratrici

madri»), secondo cui «i periodi di astensione obbligatoria dal la

voro ai sensi degli art. 4 e 5 della «presente» legge devono essere

computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi

quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia

e alle ferie».

La sezione lavoro di questa Corte suprema ha già rilevato, nel

la sentenza 9 settembre 1981, n. 5061 (Foro it., Rep. 1981, voce

Lavoro (rapporto), n. 586), e lo ha ribadito nelle successive sen

tenze nn. 6448 (id., 1984, I, 2342) e 6449 del 6 dicembre 1984

(id., Rep. 1985, voce cit., n. 862), che, assicurando già l'art. 2110

c.c., il computo dei periodi di assenza dal lavoro per maternità

nell'anzianità di servizio, «è certo che nessun significato sarebbe

attribuibile alla locuzione — a tutti gli effetti — contenuta nel

citato art. 6 1. del 1971 se non si fosse voluto attribuire alla lavo

ratrice madre, obbligata ad assentarsi dal lavoro, un trattamento

economico e normativo più favorevole rispetto a quello previsto

per l'assenza in caso di malattia».

Ne deriva che, stante la tutela più ampia derivante alla lavora

trice madre, in relazione ai periodi di assenza obbligatoria pre e post partum dell'art. 6 1. n. 1204 del 1971 rispetto a quella

apprestata dall'art. 2110, c.c., che garantisce soltanto il computo di tali periodi nella anzianità di servizio ai soli fini della determi

nazione della relativa indennità, possono e debbono rendersi com

putabili a tutti gli effetti legali e contrattuali legati alla permanenza del rapporto di lavoro i periodi di assenza obbligatoria previsti dal citato art. 6, in relazione agli art. 4 e 5 1. del 1971: e ciò,

pertanto, anche ai fini della maturazione degli scatti periodici di anzianità previsti dal contratto collettivo ovvero della progressio ne nella carriera sia in termini di miglioramenti retributivi (come nella fattispecie in cui l'aumento automatico di retribuzione allo

scadere dell'ottavo anno di permanenza nella stessa classe stipen diale, ai sensi dell'art. 10, 8° comma, del ccnl per i dipendenti della società Rai, non costituisce un semplice scatto di anzianità), sia in termini di avanzamento di categoria o di qualifica.

E va chiaramente detto che, trattandosi di norma di legge im

perativa, essa, secondo i principi generali, non potrebbe essere

derogata dall'autonomia collettiva.

Ora, nella fattispecie, il citato art. 10, 8° comma, del contratto

collettivo ricollega l'aumento pari al sei per cento del minimo

tabellare della classe di appartenenza «al compimento dell'ottavo

anno di effettivo servizio nella medesima classe di retribuzione».

Il tribunale ha interpretato l'espressione «effettivo servizio» come

«effettività delle prestazioni lavorative», ma, per quanto l'inter

pretazione dei contratti collettivi postcorporativi rientri nel com

pito istituzionale del giudice del merito, la sentenza impugnata non appare immune, sul punto, dai vizi denunciati di insufficien

za di motivazione e di violazione delle regole legali di ermeneuti ca contrattuale, posto che il tribunale non si è affatto sforzato, nella sua apodittica affermazione, di indagare sulla comune in

tenzione delle parti collettive, in quanto ben poteva la ridetta

espressione contrapporsi a «servizio senza diritto a retribuzione

con diritto alla conservazione del posto».

E, comunque, anche se si voleva interpretare quell'espressione

Il Foro Italiano — 1988.

come «effettività delle prestazioni lavorative», questa interpreta

zione, pur valida in tutti gli altri casi, doveva far salva la specifi ca norma imperativa di legge (il citato art. 6), anche nell'implicita volontà delle parti collettive, pena, in ogni caso, la disapplicazio ne della disposizione del contratto collettivo da parte del giudice nei limiti del suo eventuale contrasto con la norma imperativa di legge.

Che, poi, la portata dell'art. 6 1. n. 1204 del 1971 sia quella che si è sopra indicata risulta confermato dall'art. 3, 2° comma, 1. 9 dicembre 1977, n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini

e donne in materia di lavoro), che entrambe le parti richiamano

a sostegno delle rispettive tesi, sia pure con opposte conseguenze, e che, nella fattispecie, potrebbe assumere soltanto un valore ar

gomentativo e interpretativo, essendo la 1. n. 903 del 1977 succes

siva ai fatti di causa.

Tale norma stabilisce testualmente: «Le assenze dal lavoro, pre viste dagli art. 4 e 5 1. 30 dicembre 1971 n. 1204» (ipotesi di

astensione obbligatoria dal lavoro per maternità) «sono conside

rate, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavo

rativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo

particolari requisiti».

Poiché, come rilevato in precedenza, si verte, nella fattispecie, in un caso di progressione di carriera, sia pure sotto il profilo essenzialmente retributivo, e non di un semplice scatto periodico di anzianità, la norma in esame, nel disciplinare proprio l'ipotesi di astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio ai fini della progressione nella carriera, considerando tale asten

sione, expressis verbi, come attività lavorativa, non ha una vera

portata innovativa rispetto all'art. 6 1. n. 1204 del 1971, in quan to tale ipotesi ben potrebbe farsi rientrare nella più ampia previ sione di quest'ultima norma (che impone il computo della durata

dell'astensione obbligatoria dal lavoro per maternità nell'anziani

tà di servizio «a tutti gli effetti»). In sostanza, l'art. 3, 2° comma, 1. n. 903 del 1977, sia pure

allo scopo di tutelare il principio della parità di trattamento tra

uomini e donne in materia di lavoro, precisa quanto già potrebbe desumersi dall'ampia portata dell'art. 6 1. n. 1204 del 1971, an

corché con specifico riferimento alla progressione nella carriera

della lavoratrice madre.

Ciò è stato già rilevato da questa corte nelle citate sentenze

nn. 6448 e 6449 del 1984, e conviene qui ribadirlo e precisarlo, ove dovesse residuare qualche dubbio in proposito.

Ma la sentenza impugnata, conformemente all'opinione della

società Rai, sostiene che, facendo salve l'art. 3, 2° comma, della

legge sulla parità le disposizioni contrattuali in ordine ai requisiti richiesti dall'autonomia collettiva per considerare attività lavora

tiva le assenze dal lavoro di cui agli art. 4 e 5 1. n. 1204 del

1971, nella specie dovrebbe tenersi conto della clausola collettiva

che, come in precedenza detto, prevede l'aumento retributivo a

favore del lavoratore, in via generale, al compimento dell'ottavo

anno di «effettivo servizio», nel senso già precisato — secondo la sentenza impugnata — di otto anni di prestazioni lavorative effettive.

A parte quanto già rilevato in precedenza in tema di regole di ermeneutica contrattuale, questa corte, comunque, ha già chia

rito, nelle citate decisioni, che gli eventuali requisiti, che siano

richiesti dai contratti collettivi, ai sensi dell'art. 3 della legge sulla

parità del 1977, per la progressione nella carriera della lavoratrice

madre, diversi dalla mera anzianità di servizio, vanno individuati

a titolo esemplificativo, nel merito misto all'anzianità nel solo

merito, nel possesso di titoli, nel superamento di esami, ecc. e,

cioè, in elementi per i quali, prescindendosi dal sesso, la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne non avrebbe moti

vo di essere applicata. D'altra parte, la norma di legge parla di «particolari requisiti»

(idonei, cioè, ad impedire la computabilità dei periodi di asten sione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio ai fini

della progressione nella carriera della lavoratrice), e tra tali requi siti non potrebbe certamente ricomprendersi, come esattamente

rilevato dalla ricorrente, l'effettività delle prestazioni lavorative,

giacché altrimenti sarebbe come dire che quei periodi di astensio ne obbligatoria devono essere considerati come attività lavorativa

solo se vi sia stata effettività delle prestazioni; con il che la nor

ma troverebbe in se stessa la propria negazione. Né deriva che il ricorso va accolto e che la sentenza impugnata

va cassata, rinviandosi la causa ad altro giudice d'appello, che

si designa nel Tribunale di Civitavecchia (sezione lavoro), il quale,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nel procedere a nuovo esame, si atterrà al seguente principio di

diritto: «L'art. 6 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (sulla tutela delle lavora

trici madri) — il quale stabilisce che i periodi di astensione obbli

gatoria dal lavoro ai sensi degli art. 4 e 5 della stessa legge «devono

essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, com

presi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica nata lizia e alle ferie» — e l'art. 3, 2° comma, 1. 9 dicembre 1977

n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) — il quale, privo sul punto di sostanziale portata inno

vativa rispetto alla precedente norma, stabilisce che le assenze

dal lavoro nei predetti periodi « sono considerate, ai fini della

progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i con

tratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti», rendono computabili i periodi di astensione obbligatoria dal la

voro ai sensi degli art. 4 e 5 1. n. 1204 del 1971, ai fini della

progressione nella carriera della lavoratrice madre, per effetto della

mera anzianità di servizio, ove i contratti collettivi non richieda

no a tali fini requisiti particolari e diversi dalla mera anzianità

di servizio, tra i quali non può essere ricompresa la effettività

delle prestazioni lavorative durante i suddetti periodi di astensio

ne obbligatoria.

CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 21 dicembre 1987; Pres. A. Valente, Est. G. Silvestri; Giuliani (Avv. Lancel

lotti) c. Lombardi (Avv. Gentile).

CORTE D'APPELLO DI ROMA;

Famiglia (regime patrimoniale della) — Costruzione eseguita su

terreno di proprietà esclusiva di uno dei coniugi — Comunione

legale — Esclusione — Operatività dell'accessione (Cod. civ., art. 177, 934).

La costruzione eseguita su terreno appartenente ad uno solo dei

coniugi diviene di proprietà esclusiva di quest'ultimo in virtù

del principio dell'accessione e non è soggetta al regime di co

munione legale. (1)

(1) Dottrina e giurisprudenza risultano profondamente divise in ordine all'alternativa vertente sull'applicabilità della disciplina dell'accessione di cui all'art. 934 c.c. oppure di quella dettata per la comunione legale tra

coniugi dall'art. 177 c.c., nel testo introdotto dalla 1. 19 maggio 1975 n. 151, nell'ipotesi di costruzione eseguita, in costanza di matrimonio, sul suolo di proprietà esclusiva di uno dei coniugi. La soluzione accolta nella sentenza riportata, secondo cui la peculiare struttura della fattispe cie prefigurata dall'art. 934 esclude l'operatività della comunione legale, risulta seguita, in giurisprudenza, da App. Brescia 10 giugno 1983, Foro

it., Rep. 1984, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 36; Trib. Velletri 30 maggio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 28, e Trib. Firenze 9 feb braio 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 45, tutte citate nella decisione in epigrafe con l'indicazione delle riviste sulle quali sono riportate per esteso. In senso contrario, a favore cioè della prevalenza dell'art. 177, lett. a), c.c., considerato quale norma speciale rispetto al principio super ficies solo cedit, cfr., oltre alla sentenza riformata (Temi romana, 1986, 436), Trib. Bergamo 22 dicembre 1981, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 37, e Trib. Roma 25 settembre 1985, Temi romana, 1986, 436, an ch'esse citate in motivazione. La Corte di cassazione non ha avuto occa sione di pronunciarsi sull'argomento nel periodo successivo all'entrata in vigore della 1. n. 151 del 1975: con riferimento, però, alla disciplina della comunione convenzionale, posta dall'art. 217 c.c. nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia, è stato deciso che nel regime della comunione degli utili e degli acquisti la proprietà della costruzione ese

guita durante il matrimonio da uno dei coniugi su suolo che era di sua esclusiva proprietà prima della stipulazione del patto di comunione non si comunica all'altro coniuge, che, invece, acquista soltanto un diritto di credito corrispondente alla metà del valore dei materiali che il primo ha impiegato nella costruzione (Cass. 14 giugno 1966, n. 1545, id., Rep. 1966, voce Coniugi (rapporti patrimoniali tra), n. 9, e Cass. 30 maggio 1951, n. 1354, id., 1951, I, 689, secondo cui detto credito non ha natura

pecuniaria e non è, pertanto, soggetto al principio nominalistico). Anche la dottrina è nettamente divisa. Per la soluzione favorevole alla

espansione della proprietà esclusiva del dominus soli, che si estenderebbe alla costruzione realizzata mediante l'incorporazione dei materiali nel ter

reno, v. Giusti, Costruzione di un edificio in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale su terreno di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, in Giur. merito, 1985, 234; Ieva, Il principio di accessione e gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 1983, 707; Id., Ancora in tema di conflitto fra il principio di accessione e gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, id., 1984, 1193;

Il Foro Italiano — 1988 — Parte 1-5.

Motivi della decisione. — Col primo motivo di gravame l'ap

pellante ha censurato la sentenza impugnata per avere accolto la tesi della estensione della comunione legale alla costruzione realizzata sul terreno appartenente ad uno solo dei coniugi con una motivazione erronea, scarna e non convincente che si limita a riprodurre gli argomenti sviluppati da uno degli indirizzi afferma tisi in dottrina e in giurisprudenza senza un'attenta e com

pleta valutazione di tutti i precedenti esistenti nella materia in esame.

Col secondo motivo di gravame viene criticata l'opinione che ha condotto il tribunale a qualificare l'art. 177 c.c. nel testo

introdotto dalla 1. 19 maggio 1975 n. 151, come norma speciale

rispetto all'art. 934 c.c. sul rilievo che sarebbe stato fatto cattivo uso dell'art. 15 preleggi omettendo di considerare che il coordi namento dell'art. 177 (oggetto della comunione) con l'art. 179

(beni personali) impedisce di attribuire al termine «acquisti» un significato lato e onnicomprensivo, tale da coprire anche

gli acquisti a titolo originario, oltre a quelli a titolo deri vativo.

Col terzo motivo di gravame l'appellante ha contestato, sotto

altro profilo, il carattere speciale dell'art. 177 rispetto all'art. 934, osservando che la prima norma è diretta a colmare le lacune degli istituti ordinari, rispetto ai quali si renda necessaria una statui

zione normativa differenziata, e non coinvolge, invece, gli acqui sti a titolo originario che restano soggetti al regime generale della

proprietà immobiliare.

Il quarto motivo di gravame contiene la critica dell'affermazio

ne che figura nella sentenza impugnata secondo cui un'interpre tazione che non ricomprenda gli acquisti a titolo originario nell'ambito dell'art. 177 «dequalificherebbe» l'attività volitiva delle

parti riducendola, in sostanza, a mero fatto giuridico costitutivo

dell'acquisto a titolo originario da parte di uno solo dei coniugi: ad avviso dell'appellante, una simile affermazione risulta tautolo

gica, errata e priva di fondamento giuridico e non potrebbe giu stificare la soluzione, recepita dal giudice di primo grado, favorevole alla prevalenza dell'art. 177 sull'art. 934.

Col quinto motivo di gravame l'appellante ha criticato gli ar

gomenti svolti dal tribunale a sostegno della possibilità della co

stituzione di un diritto di superficie a favore della comunione

fra i coniugi anche in mancanza del requisito della forma scritta

ad substantiam, deducendo che, se è vero che la legge può stabili

re, in casi particolari, diverse modalità di costituzione di diritti

in re aliena, è incontrovertibile che le norme derogative al regime

generale della proprietà non sono suscettibili di applicazione ana

logica. I motivi di gravame, che per la loro connessione devono essere

esaminati congiuntamente, sono fondati e meritano accoglimento. Preliminarmente va precisato che non sussiste contrasto tra le

parti in merito alle circostanze che connotano la fattispecie in

esame in quanto non è contestato che il terreno appartiene sol

tanto al marito, che ne è divenuto proprietario a seguito di dona

zione con atto del 16 gennaio 1975, e che la costruzione è stata

Barnini, L'acquisto per accessione su suolo personale del coniuge fra regole della comunione e regole della proprietà, in Giur. merito, 1985, 234; Tondo, Sugli acquisti originari in regime di comunione legale, in Foro it., 1981, V, 161; Carusi, Il negozio giuridico notarile, Milano, 1980, I, 253; Fraoali, La comunione, in Trattato diretto da Cicu e Mes

sineo, Milano, 1978, II, 180. Nel senso, invece, che la costruzione è sog getta al regime di comunione legale mediante la costituzione ex lege, a favore di entrambi i coniugi, di un diritto di superficie, separato dalla

proprietà personale del suolo, v. Luminoso, Accessione e altre vicende delle cose nella comunione coniugale, in Riv. not., 1985, 761; Gentili, Acquisti per accessione e comunione legale di beni fra i coniugi, in Giur.

it., 1984, I, 2, 695; A. e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di fami glia, Milano, 1979, III, 432; Dì Martino, Gli acquisti a titolo originario in regime di comunione legale fra i coniugi, in Dir. famiglia, 1980, 929; Comporti, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv.

not., 1979, 57; Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario de! diritto di famiglia a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, Padova, 1977, I, 369.

Per la configurazione dell'istituto dell'accessione quale fatto modifica tivo del diritto di proprietà, che determina una estinzione dell'oggetto, e non quale fatto acquisitivo di un nuovo e autonomo diritto, la sentenza

riportata ha seguito le tracce dell'indirizzo affermato, in dottrina, da Pu

gliese, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato diretto da F. Vassalli, Torino, 1972, 126, e da Deiana, Le servitù prediali in Trattato, cit., 1955, 753. Sull'accessione, cfr. anche De Martino, Della proprietà, in Commentario a cura di Sclaloja e Branca, Bologna-Roma, 1976, 492.

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