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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 29 settembre 1988,...

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sezione lavoro; sentenza 29 settembre 1988, n. 5260; Pres. Nocella, Est D'Alberto, P.M. Dettori (concl. conf.); Soc. Iac Italia (Avv. Pesce) c. Parodi (Avv. Spaziani Testa, Dalla Cola). Conferma Trib. Milano 15 febbraio 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 2569/2570-2573/2574 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184164 . Accessed: 28/06/2014 17:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.151 on Sat, 28 Jun 2014 17:53:36 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 29 settembre 1988, n. 5260; Pres. Nocella, Est D'Alberto, P.M. Dettori(concl. conf.); Soc. Iac Italia (Avv. Pesce) c. Parodi (Avv. Spaziani Testa, Dalla Cola). ConfermaTrib. Milano 15 febbraio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2569/2570-2573/2574Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184164 .

Accessed: 28/06/2014 17:53

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

stato emanato l'apposito decreto del ministro per il lavoro e la

previdenza sociale (la legittimità del quale il giudice ordinario può

sempre controllare a norma dell'art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248,

ali. E), deve ritenersi sussistente ove esso sia garantito — per le pubbliche amministrazioni, per le aziende pubbliche al quale concetto sono riconducibili gli enti pubblici economici (che ope

rano invero secondo criteri di imprenditorialità per scopi di im

mediato interesse pubblico), e per le aziende esercenti pubblici

servizi, fra le quali debbono essere in particolare comprese quelle

esercenti pubblici servizi di trasporto in concessione ai sensi del

r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 e relativo regolamento allegato A e

successive integrazioni e modificazioni — da norme che rendano

il licenziamento del lavoratore quale fatto del tutto eccezionale,

vale a dire circoscritto a predeterminate concrete ipotesi, ferma

in ogni caso la garanzia del controllo giurisdizionale per il ripri

stino del rapporto. Ai fini di cui trattasi la stabilità dell'impiego

dev'essere quindi intesa in senso «pubblicistico» — e, pertanto,

più ristretto rispetto al concetto di «resistenza» del rapporto che

consente il decorso della prescrizione dei diritti retributivi del pre

statore di lavoro e ciò secondo l'orientamento della sentenza di

queste sezioni unite 12 aprile 1976, n. 1268 (id., 1976, I, 915) e delle numerose successive conformi decisioni della sezione lavo

ro — per cui inadeguate si rivelano quelle formule che, pur ga

rantendo la tutela del posto di lavoro, lascino ai datori dei margini

di discrezionalità, il che è da dire in relazione all'art. 3 1. 15

luglio 1966 n. 604 e conseguentemente all'art. 18 1. 20 maggio

1970 n. 300. In tal senso si è invero espressa la giurisprudenza

di questa corte: cfr., in particolare, le sentenze 9 marzo 1982,

n. 1492 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 716) e 9 gennaio 1984, n.

156 (id., Rep. 1984, voce cit., n. 490) sulla diversa accezione,

per l'appunto, del concetto di stabilità previdenziale.

Sul punto va da ultimo precisato che le «norme» sulla stabilità

cui si riferisce il richiamato art. 36 d.p.r. n. 818 del 1957 possono

essere identificate — tenuto conto della generale «sindacalizza

zione» dei rapporti di lavoro anche di natura pubblica — altresì

in clausole della contrattazione collettiva che assicurino detto re

quisito in modo tale che — al di là della ancora generica previsio

ne dell'art. 3 1. n. 604 del 1966 (cfr. inoltre l'inciso di cui all'art.

I di essa) — la cessazione del rapporto da parte del datore di

lavoro sia configurata come ammissibile solo per il verificarsi di

concrete ipotesi di carattere oggettivo tassativamente predetermi

nate (sulla possibilità che un tal tipo di stabilità sia pattiziamente

convenuto, cfr. ancora la sentenza n. 156 del 1984).

Alla stregua di tali rilievi si osserva, pertanto, come, con riferi

mento alla fattispecie, se non esatta è la considerazione del con

sorzio ricorrente secondo cui fra le norme sullo stato giuridico

e sul trattamento economico non rientrerebbero le clausole dei

contratti collettivi (il che contrasta invero con l'orientamento

espresso da questa corte), il punto che nella sentenza impugnata

rimane al riguardo censurabile, e con profilo di decisività, è quel

lo relativo al concreto accertamento della stabilità, intesa nel sen

so sopra richiamato. Considerato, peraltro, che la qualità di enti

pubblici economici rivestita dai consorzi di bonifica (cfr., ad es., Cass. 10 maggio 1983, n. 3204, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rap

porto), n. 876; sez. un. 10 maggio 1984, n. 2847, id., Rep. 1984,

voce Impiegato dello Stato, n. 222, e 3 aprile 1985, n. 2279, id.,

Rep. 1985, voce cit., n. 807) non sarebbe di per sé sufficiente

per ritenere una tale stabilità (che può non esserci, del resto, nep

pure per i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non econo

mici, cosi come a contrario è confermato dalla stessa previsione

della prima parte dell'art. 36 d.p.r. n. 818 del 1957), il problema

rimane circoscritto a quello di una più approfondita disamina

delle clausole della contrattazione collettiva applicabile a tali enti

e di uno specifico confronto con i criteri enunciati nelle sentenze

n. 1492 del 1982 e n. 156 del 1984. Si osserva, invero, come effettivamente non esauriente si riveli

la motivazione del tribunale in ordine alle cause di risoluzione

del rapporto indicate da determinate clausole della fonte colletti

va presa in riferimento, difettando l'analisi dei presupposti di ope

ratività di alcune di esse in relazione al requisito di tassativa

predeterminazione di cui si è detto, requisito che, fra l'altro, de

v'essere ulteriormente verificato con particolare riguardo alla pre

visione della riorganizzazione dei servizi la quale non potrebbe

coincidere con l'atipica formulazione dell'art. 3, 2a parte, 1. n.

604 del 1966. Peraltro non direttamente pertinente si rivela —

cosi come enunciato nella sentenza impugnata — il confronto

II Foro Italiano — 1989.

con il regime degli impiegati civili dello Stato i quali invero anche

nel caso di sopraggiunta inabilità possono essere diversamente uti

lizzati, laddove per l'ipotesi di soppressione dell'ufficio o di ridu

zione di ruoli organici è previsto il collocamento in disponibilità con le relative garanzie economiche, nonché la possibilità di tras

ferimento presso altre amministrazioni e di richiamo in servizio

entro due anni (art. 72 ss. d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3). (Omissis) In base a tali ragioni e rimanendo superata altresì' ogni ulterio

re considerazione, dev'essere rigettato il primo motivo del ricorso

e vanno dichiarati assorbiti il secondo e il quarto, mentre debbo

no essere accolti il terzo e il quinto motivo, con conseguente cas

sazione della sentenza impugnata in relazione a tali motivi e rinvio

della causa ad altro giudice d'appello che si designa nel Tribunale

di Cassino (sezione lavoro), il quale dovrà procedere a nuovo

esame del merito accertando per quali rapporti del personale del

consorzio ricorrente le relative retribuzioni siano escluse dalla ga ranzia di stabilità e perciò assoggettate alla contribuzione per l'as

sicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria

ritenendo pertanto in relazione ad essi la spettanza del beneficio

dello sgravio contributivo di cui all'art. 18 d.p.r. 30 agosto 1968

n. 918 come modificato dalla legge di conversione 25 ottobre 1968

n. 1098 e successive proroghe, determinando tale stabilità unifor

mandosi al principio secondo cui «tale stabilità dev'essere intesa

nel senso pubblicistico di cui all'art. 36 d.p.r. 26 aprile 1957 n.

818 e riconosciuta sussistente allorquando le norme regolanti lo

stato giuridico e il trattamento economico del personale dipen

dente da pubbliche amministrazioni, da aziende pubbliche — fra

le quali rientrano gli enti pubblici economici e perciò i consorzi

di bonifica — e da aziende esercenti pubblici servizi prevedano

la possibilità per il datore di lavoro di far cessare il rapporto

solo in presenza di concrete ipotesi di carattere oggettivo tassati

vamente predeterminate ancorché in forza di atti negoziali, ovve

ro quando la stabilità sia accertata con provvedimento del ministro

per il lavoro e la previdenza sociale». Il giudice di rinvio dovrà

inoltre espressamente esaminare il punto concernente il dedotto

versamento da parte del consorzio della somma di lire 17.506.826

e la conseguente contestazione dell'addebito di lire 28.968.604.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 29 settem

bre 1988, n. 5260; Pres. Nocella, Est D'Alberto, P.M. Det

tori (conci, conf.); Soc. Iac Italia (Avv. Pesce) c. Parodi (Aw.

Spaziani Testa, Dalla Cola). Conferma Trib. Milano 15 feb

braio 1986.

Ingiunzione (procedimento per) — Dirigente commerciale — Li

cenziamento ingiustificato — Lodo arbitrale irrituale — Prova

scritta idonea — Sussistenza — Contestazione giudiziale — Ir

rilevanza — Estremi (Cod. proc. civ., art. 633, 634, 641). Lavoro (rapporto) — Dirigente commerciale — Licenziamento

ingiustificato — Collegio arbitrale — Lodo — Legittimità —

Condizioni.

Ancorché se ne contesti in giudizio la validità, il lodo arbitrale

irrituale, che condanna il datore di lavoro a corrispondere al

dirigente commerciale licenziato ingiustificatamente indennità

supplementare pari a nove mensilità di preavviso, costituisce

prova scritta idonea ai fini della pronunzia di ingiunzione di

pagamento. (1)

(1) La sentenza confermata, Trib. Milano 15 febbraio 1986 è riassunta

in Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), nn. 733, 743.

La corte ribadisce, con riferimento al lodo irrituale reso in sede d'im

pugnazione di licenziamento di dirigente commerciale (sulla irritualità del

lodo de quo la giurisprudenza è costante: fra le tante, Cass., sez. lav.,

14 gennaio 1987, n. 214, id., 1987, I, 790, con nota di richiami; adde,

per ulteriori riferimenti, sez. un. 11 febbraio 1987, n. 1463, ibid., 1047,

con osservazioni di C.M. Barone; nonché sez. lav. 11 giugno 1987, n.

5108, id., 1988, I, 680, con altre indicazioni), il principio enunciato da

Cass. 19 giugno 1985, n. 3688, id., Rep. 1985, voce Ingiunzione (procedi

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2571 PARTE PRIMA 2572

È congniamente motivata la sentenza di merito confermativa del

lodo dell'apposito collegio di conciliazione ed arbitrato che ha

ritenuto ingiustificato il licenziamento del dirigente di azienda

commerciale, perché privo della contestuale motivazione scritta

richiesta dal contratto collettivo. (2)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Milano

per decreto di ingiunzione, Giorgio Parodi, già dipendente della

s.r.l. Iac Italia con qualifica di dirigente commerciale, esponeva che il collegio di conciliazione ed arbitrato, istituito a norma del

ccnl 22 dicembre 1981 per i dirigenti commerciali, aveva, con

lodo del 4 ottobre 1984, dichiarato ingiustificato il suo licenzia

mento per difetto del requisito della motivazione contestuale ed

aveva condannato la soc. Iac al pagamento di una indennità sup

plementare pari a nove mensilità di preavviso. Il pretore del lavoro emetteva decreto di ingiunzione a favore

dell'istante Parodi e a carico della s.r.l. Iac Italia per la somma

di lire 39.980.205. Nel citato lodo del 4 ottobre 1984 si precisava che Giorgio Pa

rodi era stato licenziato con nota del 27 aprile 1984 scritta in

tedesco su carta non intestata e senza l'indicazione dei motivi; che la società aveva poi ribadito il licenziamento con nota del

4 maggio 1984; che lo stesso Parodi aveva eccepito la carenza

di motivazione con nota del 16 maggio 1984; infine, che solo

con nota pervenuta il 26 maggio 1984 la società aveva fornito

una motivazione, rilevando però che questa era ampiamente nota

ad esso Parodi e che non era stata espicitata soltanto per motivi

di riservatezza e a tutela dello stesso dirigente; riteneva quindi il collegio arbitrale che non era stato rispettato il requisito essen

ziale della contestuale motivazione posto dal contratto collettivo

ed in relazione a ciò sanciva a carico della società l'erogazione di una indennità supplementare.

Con ricorso del 14 novembre 1984 al Pretore di Milano la soc.

Iac proponeva opposizione al decreto ingiuntivo e, premesso che

aveva già reso nota a Giorgi Parodi la motivazione del licenzia

mento già prima della sua comunicazione e che lo aveva conve

nuto in altro giudizio per risarcimento di danni, esponeva: che

il lodo de quo, ancorché emeso da un collegio arbitrale definito

nella contrattazione collettiva come «arbitrato irrituale», in real

tà concludeva «un procedimento decisionale formale... (ex) art.

808 ss. c.p.c.» e quindi poteva essere reso esecutivo con le moda

mento per), n. 19 e dalla richiamata Cass. 28 aprile 1975, n. 1628, id., Rep. 1975, voce cit., n. 11, in relazione al lodo di arbitri irrituali, generi camente inteso. La stessa corte ritiene, inoltre, sia pure implicitamente, inutile [in conformità a quanto affermato, in generale, da Cass. 15 giu gno 1953, n. 1754, id., Rep. 1953, voce cit., n. 15 e, con specifico riguar do a lodo irrituale, del tipo di quello esaminato dalla riportata sentenza, da C.M. Barone (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le con troversie in materia di lavoro, Zanichelli - Foro italiano, Bologna-Roma, 1987, 223-224, e, prima, da Pret. Milano 17 giugno 1985, Foro it., Rep. 1985, voce Ingiunzione (procedimento per) n. 20, per esteso in Orient,

giur. lav., 1985, 993)], ai fini della emanazione del decreto ingiuntivo, l'allegazione dell'atto di compromesso, (allegazione) reputata, invece, ne

cessaria, sempre però da un punto di vista generale, dalla prevalente dot trina (da ultimo, Punzi, Arbitrato, arbitrato rituale e irrituale, voce

dell'Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, II, 43; adde, per una posizio ne più sfumata, A. Proto Pisani, Il procedimento d'ingiunzione, in Riv. trim. dir. eproc. civ., 1987, 291 ss., spec. 300-301). E quest'ultima impo stazione sembra condivisa, in relazione all'arbitrato irrituale di diritto del lavoro, da Flammia, Arbitrato, arbitrato e conciliazione in materia di lavoro, voce dell 'Enciclopedia giuridica Treccani, cit., 2, per il quale, «il lodo, giusta la correlativa prova documentale, può soltanto valere ai fini del decreto di ingiunzione ex art. 633 c.p.c.».

(2) Per enunciazione coincidente, a proposito della interpretazione, da

parte del giudice di merito, dell'art. 22 del contratto collettivo 9 ottobre 1979 per i dirigenti di aziende industriali nel senso che il licenziamento del dirigente, intimato senza la contestuale specificazione dei motivi, è, perciò stesso, ingiustificato, pur conservando la sua efficacia, e comporta l'obbligo per il datore di lavoro del pagamento dell'indennità supplemen tare prevista dall'art. 19, a nulla rilevando la presunta conoscenza da

parte del dirigente delle ragioni poste a base del licenziamento stesso, Cass. n. 214 del 1987 cit., in parte qua, in Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 772 e per esteso, con nota redazionale critica sul

punto, in Mass. giur. lav., 1987, 67. Per l'impossibilità di dedurre, in sede d'impugnazione del lodo arbitra

le irrituale, l'errore di diritto, cons., sulla stessa linea della pronuncia in rassegna, la citata Cass. 11 giugno 1987, n. 5108.

Il Foro Italiano — 1989.

lità di cui all'art. 825 c.p.c., e non con il procedimento per in

giunzione; che il collegio arbitrale presuppone uno specifico ac

cordo delle parti, non essendo sufficiente la previsione del contratto

collettivo; che il contratto non poneva la sanzione della invalidità

del recesso in caso di mancanza della motivazione; che questa,

comunque, era stata fornita sia prima che dopo. La società chie

deva quindi la declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo. Resi

steva G. Parodi, rilevando che l'opposizione non riguardava alcuna

delle censure astrattamente opponibili alla pronunzia per arbitri

e chiedeva il rigetto della opposizione. Il pretore con la sentenza del 24 aprile 1985 rigettava l'opposi

zione; qualificato come irrituale l'arbitrato de quo, rilevava che

la valutazione della «ingiustificatezza del licenziamento» non po teva non riguardare anche i requisiti formali, e che conseguente mente il lodo si palesava legittimo.

Avverso la detta sentenza interponeva appello la soc. Iac Ita

lia, deducendo: che nella specie trattasi di arbitrato rituale contra

legem ex art. 806 c.p.c.; che il collegio arbitrale aveva operato una interpretazione della norma contrattuale «equivalente nell'or

dinamento giuridico alla norma di legge (art. 1372 c.c.)», nel mo

mento in cui aveva valutato il requisito della motivazione, e con

ciò aveva ecceduto i limiti del mandato; che, comunque, G. Pa

rodi aveva avuto sicura e preventiva conoscenza delle motivazio

ni del recesso; che, pertanto, il provvedimento arbitrale era da

ritenere nullo.

Con rituale memoria difensiva l'appellato contrastava il grava

me, di cui chiedeva il rigetto, deducendo, tra l'altro, che, nel

caso, il problema sulla qualificazione dell'arbitrato, se rituale o

irrituale, non aveva ragione d'essere, atteso che le stesse parti

contraenti, all'art. 24, lett. a), «dichiarano espressamente, e di

ciò si danno atto, che l'arbitrato è irrituale».

L'appello era rigettato dall'adito Tribunale di Milano con sen

tenza 11 dicembre 1985-15 febbraio 1986, nella cui parte motiva

è precisato, tra l'altro: che in assenza di tutela legale in materia

di licenziamenti individuali per il personale avente la qualifica di dirigente, «il ccnl 22 dicembre 1981 per i dirigenti di aziende

commerciali ha istituito un collegio di conciliazione e arbitrato

(art. 24) dalla natura irrituale, secondo la definizione contenuta

nella stessa fonte collettiva (art. 24, ultimo comma, lett. a)»; che,

inoltre, tale contratto: «1) pone limiti convenzionali al potere di

licenziamento, stabilendo che esso deve essere formulato per iscritto

(ex art. 25, 1° comma) e deve contenere la motivazione conte

stuale (art. 27, 1° comma); 2) definisce le doglianze tipiche che

il dirigente può contestare al disposto licenziamento, individuan

dole nella carenza di motivazioni contestuali e nella inadeguata

giustificazione (art. 27, 2° comma); 3) disciplina quindi compiu tamente la procedura arbitrale (art. 27, 3° comma, ss.); 4) descri

ve infine con chiarezza la funzione del lodo, stabilendo che il

collegio con motivato giudizio, ove riconosca che il licenziamento

è ingiustificato... disporrà... a favore del dirigente e a carico del

datore di lavoro, a titolo risarcitorio, una indennità supplementa re... in misura graduabile... (art. 24, 15° e 16° comma)».

Contro questa sentenza la soccombente società ha proposto ri

corso per cassazione affidato a due mezzi di annullamento. Gior

gio Parodi ha proposto controricorso.

Motivi della decisione. — (Omissis). Quanto all'ultima censura

formulata dalla società nel primo mezzo in esame, l'inconsistenza

del correlato assunto è palesata dal principio che questa corte

ha già avuto occasione di enunciare ed a tenore del quale un

lodo arbitrale irrituale, ancorché la sua validità sia oggetto di

contestazione in un giudizio in corso, costituisce prova scritta, idonea come fondamento per l'emanazione di un decreto ingiun

tivo, in quanto la prova scritta richiesta dall'art. 633 c.p.c. può essere costituita anche da un documento privo di efficacia proba toria piena e l'emissione del decreto ingiuntivo non è preclusa dall'esistenza di contestazioni intorno all'esistenza ed all'esigibili tà del credito (sent. 28 aprile 1975, n. 1628, Foro it., Rep. 1975, voce Ingiunzione (procedimento per), n. 19). Del pari non fonda

te ravvisa la corte le censure di cui al secondo mezzo di ricorso.

Non appare frustraneo, innanzi tutto, rilevare che nella parte motiva della sua pronunzia, il giudice a quo, lungi dall'incorrere

nel denunciato difetto di attività (per «omessa motivazione»), os

serva, tra l'altro (dopo l'articolata menzione delle disposizioni contenute negli art. 24, 25, 27 del ccnl 22 dicembre 1981 e indica

te nella narrativa che precede): — che, stante la menzionata disciplina contrattuale deve consi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

derarsi giustificata la decisione del collegio arbitrale, il quale ha

ritenuto sussistente, nel caso di specie, la mancanza «di motiva

zione contestuale» del licenziamento e ha ricondotto tale vizio

«alla categoria della ingiustificatezza», specificamente sanzionata

dal contratto collettivo; — che, «del resto,... in assenza di una disciplina legale, è pro

prio l'elemento della motivazione contestuale scritta che può con

sentire al dirigente di attivare la procedura in esame, in quanto determina la materia su cui dovrà innestarsi la successiva valu

tazione»; — che, secondo il meccanismo convenzionale di tutela, «sussi

ste l'obbligo tipico e specifico della forma scritta e della motiva

zione contestuale, e ciò importa che non possono considerarsi

equipollenti forme diverse, quali la motivazione orale ovvero la

motivazione scritta, comunicata addirittura dopo la promozione del procedimento arbitrale; se la motivazione contestuale appare finalizzata a consentire la formulazione di un giudizio di giustifi

catezza, è del tutto conseguente assimilare la mancata motivazio

ne per l'appunto alla mancanza di giustificazione».

Ora, alla luce di quanto esposto sin qui, ritiene la corte che

il secondo mezzo in esame sia insuscettibile di sortire alcun effet

to, a prescindere dalla considerazione secondo cui nello stesso

mezzo non risulta denunciata alcuna violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale in relazione all'interpretazione di spe cifiche disposizioni del suindicato contratto collettivo di diritto

comune data dal giudice a quo: disposizioni a tenore delle quali, secondo il tribunale, il licenziamento del dirigente di azienda com

merciale, intimato senza la contestuale specificazione scritta dei

motivi, è, per ciò stesso, ingiustificato, pur conservando la sua

efficacia, e comporta l'obbligo del datore di lavoro del pagamen to di un'indennità «supplementare».

E ciò, sia perché tali disposizioni della contrattazione collettiva

pongono validi limiti al recesso del datore di lavoro del dirigente, da ritenere, come già precedentemente detto, legittimamente ri

messi all'autorità privata (v. Cass. 14 gennaio 1987, n. 214, id.,

1987, I, 790); sia per l'assorbente rilievo che l'arbitrato irrituale — con la cui natura è compatibile il conferimento agli arbitri

del potere di decidere la controversia secondo diritto — non è

impugnabile per errore di diritto, ma soltanto per l'errore concer

nente la formazione della volontà degli arbitri, per cui essi abbia

no avuto una falsa rappresentazione della realtà, omettendo di

considerare elementi della controversia, supponendone altri inesi

stenti o ritenendo pacifici fatti contestati e viceversa. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 5 luglio

1988, n. 4420; Pres. Tilocca, Est. Caizzone, P.M. Leo (conci,

conf.); Frescura (Aw. Faraone, Steccanella) c. Da Re (Aw.

Mesiano, Da Re). Conferma App. Venezia 20 dicembre 1983.

Separazione di coniugi — Separazione consensuale omologata —

Attribuzione pattizia della casa familiare al coniuge affidatario

di figli minori — Effetti (Cod. civ., art. 155; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di

matrimonio, art. 11).

L'attribuzione consensuale della casa familiare di proprietà co

mune al coniuge affidatario di figli minori, in sede di separa zione consensuale omologata, vale a costituire un atipico diritto

personale di godimento, inopponibile ai terzi. (1)

(1) La sentenza si legge anche in Nuova giur. civ., 1989, I, 160, con

nota di Di Nardo. La Cassazione, nel ribadire il prevalente orientamento che esclude, a

favore del coniuge cui sia stata assegnata la casa familiare, una situazione

giuridica di tipo reale (in tal senso, v. Cass. 31 gennaio 1986, n. 624

e 16 ottobre 1985, n. 5082, Foro it., 1986, I, 1317, con nota di Janna

relli, Incerta sorte per la casa familiare. In nota a Cass. 5082/85, v.

anche A. Finocchiaro, in Giust. civ., 1986, I, 70; Di Nardo, in Nuova

giur. civ., 1986, I, 353. In nota a Cass. 624/86, v. Marchio, in

Il Foro Italiano — 1989.

Svolgimento del processo. — Frescura Lavina, separata con

sensualmente dal marito Da Re Alessandro con separazione rego lamentare omologata alla condizione, tra le altre, che

l'appartamento di proprietà comune indivisa, per quote eguali, dei coniugi, restasse a disposizione di lei per abitarvi con i figli minori a lei affidati, con citazione notificata il 27 aprile 1979

conveniva davanti al Tribunale di Treviso il Da Re, chiedendo

che fosse accertata la natura di diritto reale di abitazione, oppo nibile a terzi mediante trascrizione, della disponibilità dell'immo

bile a lei cosi attribuita.

Giur. it., 1987, I, 1, 1221 e Caputo - Buttitta, in Vita not., 1986, 193) afferma anche la non opponibilità di tale diritto nei confronti dei terzi.

Nel caso di specie, l'assegnazione della casa familiare alla moglie, com

proprietaria e affidataria dei figli minori, era avvenuta sulla base di un

accordo in sede di separazione consensuale regolarmente omologata. La

domanda attrice era diretta a far accertare giudizialmente la natura di

diritto reale di abitazione, opponibile a terzi mediante trascrizione, della

disponibilità dell'immobile. Respinta la domanda in prima istanza, la corte

d'appello aveva negato che si potesse far riferimento al diritto reale di

abitazione per il fatto che tale diritto «è attribuito al titolare per i bisogni abitativi suoi e della famiglia (art. 1022 c.c.) con la conseguenza che le

esigenze dei familiari sono considerate in qualche modo in funzione di

quelle dell'avente diritto, mentre il godimento della casa familiare è bensì

assegnato a uno dei coniugi in quanto affidatario dei figli minori, ma

sono costoro i veri beneficiari dell'accordo o della statuizione». A ciò si era aggiunto che la variabilità delle condizioni di separazione mal si

concilia con la tendenziale stabilità del diritto reale. Inoltre, si negava la possibilità di ricomprendere il diritto alla casa familiare, che può rap

presentare un mezzo di adempimento dell'obbligo di adempimento. Con

tra, App. L'Aquila 19 maggio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Separazione di coniugi, n. 82 e in Giust. civ., 1983, I, 2725; Cass. 1° febbraio 1983, n. 858, Foro it., Rep. 1983, voce cit., nn. 77, 81 e in Giur. it., 1983,

I, 1, 701. In dottrina, v. Belvedere, Residenza e casa familiare: riflessio ni critiche, in Riv. critica dir. privato, 1988, 243) nel comodato precario che è essenzialmente gratuito (v. Trib. Roma 28 settembre 1979, Foro

it., Rep. 1980, voce cit., n. 74; App. Firenze 12 marzo 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 63 e in Nuova giur. civ., 1986, I, 338, con nota di

Giusti. Sulla onerosità dell'attribuzione della casa familiare, v. Cass. 28

gennaio 1986, n. 549, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 71 e in Giur.

it., 1987, I, 1, 1292, con nota di Marchio, secondo cui, ai fini della

determinazione dell'assegno, occorre tener conto di tutte le utilità suscet

tibili di valutazione economica; Cass. 1° luglio 1987, n. 5750, Foro it.,

Rep. 1987, voce Matrimonio, n. 178 e in Giust. civ., 1988, I, 2087). Tut

tavia, la corte d'appello ribadiva che l'immobile non poteva essere ven

duto a terzi come libero, risultando l'occupazione da atto di data certa

(verbale di separazione consensuale o provvedimento giudiziale). La Cassazione, reputando conforme al diritto il dispositivo della sen

tenza impugnata, respinge il ricorso e si limita a correggerne il tiro. In

nanzitutto, si prende atto che l'accordo dei coniugi, in ordine

all'assegnazione della casa familiare, conteneva un esplicito rinvio al 4°

comma dell'art. 155 c.c. Si riconosce che i coniugi, in sede di separazione

consensuale, possono attribuirsi l'un l'altro diritti reali immobiliari (in tal senso, v. Cass. 12 giugno 1963, n. 1594, Foro it., Rep. 1963, voce

Separazione di coniugi, n. 74. Contra, Trib. Bergamo 15 novembre 1984

e 19 ottobre 1984, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 18, 19 e in Giust. civ.,

1985, I, 216. Quanto ai criteri per appurare se nel caso concreto sia stato

attribuito un diritto reale o un diritto personale di godimento, v. Cass. 21 settembre 1977, n. 4039, Foro it., Rep. 1977, voce Superficie, n. 2). Si afferma, in assenza di diversa pattuizione, che il diritto del coniuge alla casa familiare, avendo nel caso di specie lo stesso contenuto del dirit

to previsto dall'art. 155, 4° comma, c.c., non poteva avere altra natura

che quella di un atipico diritto personale di godimento. A questo punto, invece di trarre tutte le ulteriori conseguenze, la Cassazione decide che

tale diritto, non avendo natura reale, non può essere opponibile a terzi.

Se il coniuge proprietario aliena la casa a terzi — si legge in motivazione

—, unica conseguenza è che egli potrà essere tenuto al risarcimento del

danno a favore del coniuge assegnatario. Le questioni che il caso di specie suggerisce e che la Cassazione avrebbe

dovuto affrontare meno frettolosamente sono due: 1) se il richiamo patti zio all'art. 155, 4° comma, c.c., e quindi l'attribuzione al coniuge di

un diritto dello stesso contenuto di quello derivante dall'assegnazione giu

diziale, consentiva di applicare anche la disposizione contenuta nell'art.

II,6° comma, 1. 74/87 sul divorzio; 2) se l'accordo, regolarmente omo

logato dal giudice della separazione, era trascrivibile e perciò opponibile ai terzi.

1. - Dall'esame della 1. 74/87 si evince innanzitutto l'intento del legisla tore di realizzare una tutela sostanzialmente uguale per i figli dei coniugi divorziati e separati (v. App. Bari 6 luglio 1988, id., 1988, I, 3411, con

riferimento all'adeguamento automatico dell'assegno di mantenimento dei

figli, previsto dall'art. 11 1. 74/87, nei casi di separazione).

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