sezione lavoro; sentenza 9 giugno 1989, n. 2816; Pres. Farinaro, Est. O. Fanelli, P.M. Iannelli(concl. conf.); Ravagnati (Avv. G. Natoli, Catarisano) c. Min. tesoro. Cassa Trib. Milano 30settembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2783/2784-2785/2786Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184205 .
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2783 PARTE PRIMA 2784
del dipendente» fosse attribuito un trattamento economico più
vantaggioso di quello goduto dagli impiegati della Siae; né può
giovare alla ricorrente il rilievo che il medesimo personale veniva
assunto senza concorso e non era soggetto a trasferimenti, trat
tandosi di aspetti del rapporto che, secondo l'insindacabile ap
prezzamento del giudice del merito, non valevano a compensare il pregiudizio derivante ai lavoratori dal mancato inserimento nel
l'organico dell'ente pubblico (con le conseguenze innanzi delinea
te) e perciò non ostano alla conclusione che il procedimento in
terpositorio fosse predisposto dal regolamento del personale nel
l'interesse ed a beneficio della Siae, la quale provvedeva alle
ordinarie esigenze dei propri uffici periferici adibendo ad essi la
voratori, formalmente assunti dagli agenti, dei quali utilizzava
di fatto le prestazioni (e che, sempre di fatto, retribuiva attraver
so il meccanismo dei rimborsi delle spese delle agenzie), mante
nendo una posizione di apparente «estraneità» rispetto ai rappor ti cosi costituiti ed affrancandosi — come rileva la sentenza —
da obbligazioni, oneri e vincoli nei confronti dei predetti lavoratori.
C) Nella predisposizione, in forza di norme regolamentari, di
un articolato «procedimento», che coinvolgeva gli agenti di ruo
lo, obbligandoli ad assumere fittiziamente la veste di datori di
lavoro nei riguardi del personale addetto alle agenzie, il tribunale
ha giustamente ravvisato la «tecnica elusiva» (poco importa se
più o meno «raffinata») mediante la quale veniva realizzata l'in
termediazione o interposizione nelle prestazioni di lavoro, in vio
lazione del divieto sancito dall'art. 1 1. 1369/60.
Tale conclusione, di cui la ricorrente contesta senza alcun fon
damento la correttezza, costituisce coerente conseguenza degli ac
certamenti di fatto innanzi riferiti ed appare ineccepibile sotto
il profilo giuridico, ove si consideri che la sfera di applicazione dell'art. 1 cit. è talmente ampia da comprendere le più diverse
forme di interposizione nel lavoro, indipendentemente dallo stru
mento a tal fine adoperato («è vietato all'imprenditore di affida
re in appalto o in qualsiasi altra forma... l'esecuzione di mere
prestazioni di lavoro...») nonché dalla «natura dell'opera o servi
zio cui le prestazioni si riferiscono».
L'attività interpositoria, volta ad eludere le norme sul colloca
mento della manodopera ed in genere le norme protettive del la
voro (anche di contenuto economico, con particolare riguardo a quelle che regolano il trattamento di fine rapporto) consiste — come il tribunale ha ritenuto — nel realizzare una scissione
tra la persona del datore di lavoro apparente e quella che effetti
vamente utilizza l'opera del lavoratore (v. Cass. 3 dicembre 1986, n. 7161, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 453). È, di conseguenza, irrilevante lo status professionale del soggetto che riceve l'appalto o che assume comunque l'incarico di fornire
la forza-lavoro ad altra impresa (v. Cass. 20 aprile 1985, n. 2643,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 440); e sussiste violazione del divieto di cui all'art. 1 ogni qualvolta l'imprenditore utilizzi effettiva
mente le prestazioni del lavoratore da altri assunto, sia pur solo
«per attività complementari o sussidiarie, preordinate mediata
mente od indirettamente al raggiungimento delle proprie finalità»
(v. Cass. 26 marzo 1987, n. 2952, id., Rep. 1987, voce cit., n. 471).
Questo risultato, che la 1. 1369/60 intende vietare e reprimere, ben poteva essere realizzato dalla Siae, secondo il motivato con
vincimento del giudice di appello, mediante una disposizione del
regolamento del personale (l'art. 71) che consentiva all'ente —
come si è ampiamente spiegato — di disporre del personale ne
cessario per i propri uffici periferici, inducendo gli agenti di ruo lo (lavoratori dipendenti) ad assumere la veste (solo apparente e formale) di datore di lavoro e cosi sottraendosi al rispetto di
fondamentali norme di tutela dei prestatori di lavoro subordinato.
Né vale obiettare che il regolamento del personale risale al 1953, cioè ad epoca precedente all'entrata in vigore della 1. n. 1369
del 1960. Anche a volere ammettere, infatti, che la norma regola mentare in questione originariamente non confliggesse con norme
imperative ed inderogabili, non può disconoscersi che, a seguito della emanazione della predetta legge, la quale vietava proprio l'attività interpositoria imposta agli agenti di ruolo dall'art. 71
reg., questa disposizione veniva automaticamente ad assumere con
notazioni di illiceità, ponendosi in contrasto con il cennato inde
rogabile divieto; di talché la Siae, per avere continuato a farne
applicazione nei confronti dei propri agenti e del personale ad detto alle agenzie di ruolo, non può sottrarsi alla conseguenza che la stessa legge ricollega a siffatta violazione e che è stata esattamente individuata dal tribunale, in conformità ai principi ripetutamente affermati da questa corte, nella conversione o no
li Foro Italiano — 1989.
vazione legale dei rapporti di lavoro, apparentemente costituti dai
soggetti interposti, e nella loro riconducibilità, ab origine e «a
tutti gli effetti», nella sfera giuridica dell'imprenditore che ha in
concreto utilizzato le prestazioni dei lavoratori assunti attraverso
gli intermediari (v. art. 1, ultimo comma, 1. cit.). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 giugno
1989, n. 2816; Pres. Farinaio, Est. O. Fanelli, P.M. Iannel
li (conci, conf.); Ravagnati (Avv. G. Natoli, Catarisano) c.
Min. tesoro. Cassa Trib. Milano 30 settembre 1982.
Lavoro (rapporto) — Lavoratrici madri — Affidamento provvi sorio — Astensione obbligatoria dal lavoro — Spettanza (Cod.
civ., art. 314; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavora
trici madri, art. 4, 6, 15).
La lavoratrice, alla quale sia stato affidato provvisoriamente un
minore ai sensi dell'art. 314/6 c.c., ha diritto — intervenuta
la sentenza 332 del 1988 della Corte costituzionale — all'asten
sione obbligatoria dal lavoro per i tre mesi successivi all'ingres so del minore stesso in famiglia. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 20 gen naio 1981, Ravagnati Carla in Comi conveniva PInam avanti il
Pretore di Milano esponendo: a) che aveva ottenuto con il pro
prio consorte dal Tribunale per i minorenni di Milano l'affida
mento preadottivo di un minore dell'età di due mesi; b) che, al
l'atto dell'ingresso del bambino in famiglia, avvenuto il 26 no
vembre 1979, si era astenuta dal lavoro, avvalendosi della facoltà
concessa dall'art. 6 1. 9 dicembre 1977 n. 903, ed aveva in pari data trasmesso il provvedimento provvisorio del tribunale mino
rile all'Inani perché provvedesse al pagamento dell'indennità do
vuta per legge a quantificata nella misura di lire 727.430 (corri
spondente al periodo 26 novembre 1979 - 31 dicembre 1979); c) che l'Inam aveva rifiutato il pagamento dell'indennità richiesta, sostenendo che erano decorsi oltre sessanta giorni tra la data di
abbandono del lavoro da parte dell'esponente e quella del decre
to di affidamento preadottivo emesso dal tribunale minorile. As
sumendo che il rifiuto opposto dall'Inani era contrario alla citata
norma, in quanto questa accordava il diritto all'assistenza retri
buita senza alcuna riserva dell'effettivo ingresso del bambino nel
la famiglia, la Ravagnati chiedeva la condanna di detto istituto
al pagamento dell'indennità reclamata. Il pretore, con sentenza 6 maggio 1981, accoglieva la domanda
ritenendola fondata, sul rilievo che, ai fini del riconoscimento
del diritto all'astensione dal lavoro ed alla richiesta indennità di
maternità, doveva aversi riguardo alla data dell'effettivo ingresso del bambino nella famiglia, a seguito del provvedimento di collo
camento provvisorio, non potendosi dare alcuna rilevanza al suc cessivo provvedimento di affidamento preadottivo.
Su appello dell'amministrazione del tesoro dello Stato, in sosti tuzione del soppresso Inam tale decisione veniva riformata dal
Tribunale di Milano con sentenza 30 settembre 1982. (Omissis) Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso si so
stiene che l'affidamento provvisorio ex art. 314/6 c.c. va parifi
(1) Con la decisione in rassegna la Corte di cassazione applica lo ius
superveniens rappresentato da Corte cost. 24 marzo 1988, n. 332 (Foro it., 1989, I, 642, con nota di richiami) ad un'ipotesi di astensione obbli
gatoria dal lavoro di dipendente per affidamento preadottivo antecedente
(1979) l'emanazione di tale pronuncia. Va sottolineato che nella parte motiva della presente sentenza è richiamato il capo della decisione 332/88 cit. che riguarda l'astensione facoltativa dal lavoro (e quindi la caduca zione degli art. 7, 1° comma, e 15 1. n. 1204 del 1971), anziché quello concernente l'astensione obbligatoria (e quindi l'illegittimità dell'art. 4, 1° comma, lett. c, 1. cit.).
In tema di astensione obbligatoria dal lavoro delle lavoratrici madri, cfr. Corte cost. 19 ottobre 1988, n. 972, id., 1988, I, 3165, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cato all'affidamento preadottivo ex art. 314/20, e che, pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale in violazione del
l'art. 6 1. 9 dicembre 1977 n. 903, il diritto della lavoratrice all'a
stensione obbligatoria dal lavoro spetti anche nella prima ipotesi. Il ricorso è fondato, sulla base dello ius superveniens rappre
sentato da Corte cost. 24 marzo 1988, n. 332 (Foro it., 1989,
I, 642), la quale ha dichiarato incostituzionali gli art. 7, 1° com
ma, e 15 1. 1204/71, nella parte in cui non prevedono che il dirit
to della lavoratrice madre all'astensione facoltativa dal lavoro e
alla relativa indennità spetti altresì alla lavoratrice alla quale sia
stato affidato provvisoriamente un minore ai sensi dell'art. 314/6
c.c.
Come, del resto, ha già provveduto anche il legislatore a rico
noscere (ma per periodo successivo a quello cui si riferisce la pre
sente causa) con la 1. 4 maggio 1983 n. 184, contenente nuova
disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, il cui art.
80, col disporre l'applicazione agli affidatari, fra l'altro, degli
art. 6 e 7 1. 903/77, ha in tal modo esteso anche all'ipotesi del
l'affidamento temporaneo le disposizioni oggetto dell'anzidetta
pronuncia della Corte costituzionale.
In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va dunque
cassata, con rinvio della causa ad altro giudice che farà applica
zione ad essa della suddetta nuova disciplina normativa discen
dente dalla sentenza delle Corte costituzionale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 giu gno 1989, n. 2707; Pres. Sandulli, Est. Maltese, P.M. Pao
lucci (conci, conf.); Min. comm. estero (Avv. dello Stato Onu
frio) c. Soc. Empremar (Avv. Benedetti, Tesauro, Boglio
ne), Soc. Costa ed altri. Conferma Cons. Stato, sez. VI, 11
dicembre 1986, n. 891.
Giustizia amministrativa — Merci in partenza dall'Italia su navi
cilene — Autorizzazione d'imbarco — Provvedimento ministe
riale — Annullamento — Decisione del Consiglio di Stato —
Difetto di giurisdizione — Insussistenza — Estremi
Annullando la disposizione ministeriale di autorizzazione d'im
barco per le merci in partenza dall'Italia su navi di società cile
na, perché adottata nell'erroneo presupposto della esistenza in
Cile di legge limitativa della libertà dei traffici marittimi, il Con
siglio di Stato non pronuncia su materia sottratta alla sua giu
risdizione né travalica i limiti esterni della stessa, stanti il carat
tere di atto amministrativo e non politico del provvedimento
impugnato e la verificabilità delle sue premesse giustificative
da parte del medesimo consiglio. (1)
(1) Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 1986, n. 891, ora confermata,
è riassunta in Foro it., Rep. 1987, voce Navigazione marittima ed interna
(ordinamento), nn. 12, 13.
Le sezioni unite hanno risolto la questione controversa nel senso della
massima, escludendo la possibilità di ricondurre il provvedimento mini
steriale adottato nella specie fra gli atti politici, alla stregua della defini
zione datane dalla remota Cass. 12 luglio 1968, n. 2452, id., 1969, I,
479, con nota di richiami. Secondo tale pronuncia, la cui impostazione in parte qua risulta integralmente ripresa dalla riportata sentenza, «nella
categoria degli atti politici rientrano», infatti, «senz'altro ed in primo
luogo, gli atti che vengono compiuti dallo Stato nel regolamento delle
relazioni internazionali e che si sottraggono totalmente al sindacato sia
della giurisdizione amministrativa che della giurisdizione ordinaria. Ed
invero, la preminenza assoluta degli interessi della collettività organizzata
a Stato, che con tali atti sono tutelati, vieta che nel compimento degli
atti medesimi sia imposto il minimo limite alla discrezionalità degli orga
ni, che li pongono in essere».
Ma la or riprodotta definizione, che si sofferma particolarmente su
una delle possibili connotazioni degli atti politici, non ne esaurisce l'àm
bito, se è vero che, anteriormente e successivamente alla menzionata Cass.
2452 del 1969, la giurisprudenza, avendo peraltro come primario punto
di riferimento l'art. 31 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, ha evidenziato ulte
riori, e più generali, caratteristiche degli atti in questione. Cosi, per sez.
un. 29 marzo 1956, n. 896, id., 1956, I, 699, con altre indicazioni, «sono
qualificabili come atti di potere politico, solo quegli atti di pubblica pote
II Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. — La società cilena «Empresa Mari
tima de Estado, Empremar», propose ricorso al Consiglio di Sta
to per ottenere, in riforma della sentenza 21 febbraio 1983, n.
477 del Tar del Lazio, l'annullamento del provvedimento 11 mar
zo 1982 Rap/bb-v/702615/650 gen. col quale il ministro per il
commercio con l'estero aveva assoggettato ad autorizzazione d'im
barco — ai sensi dell'art. 1 1. 4 marzo 1963 n. 388 — merci
in partenza dall'Italia su navi gestite dalla ricorrente.
Con sentenza 7 novembre - 11 dicembre 1986, il Consiglio di
Stato, in riforma della decisione impugnata, annullò il provvedi
mento del ministero, osservando che, mentre la commissione in
terministeriale (sul cui parere esso appariva basato) presupponeva
l'esistenza in Cile di una legge che giustifica l'adozione, in Italia,
di misure restrittive nei confronti di navi battenti bandiera cilena
o equiparate, viceversa nel corso del giudizio era stato dimostrato
dalla soc. Empremar che una legge posteriore cilena del 21 di
cembre 1979, n. 3059 — seguita da un decreto ministeriale cileno
— non comprendeva l'Italia fra gli Stati soggetti a limitazioni
nella disciplina della concorrenza dei traffici marittimi interna
zionali. Pertanto, in mancanza del necessario presupposto normativo
— consistente nell'attuale vigenza di una legge cilena limitativa
della libera concorrenza nei traffici marittimi, con pregiudizio per
la marina mercantile italiana — il provvedimento ministeriale im
pugnato non appariva conforme alla legge nazionale n. 388 del
1963 e doveva essere, di conseguenza, annullato, in riforma della
sentenza del Tar.
Contro tale decisione hanno proposto ricorso alle sezioni unite
di questa corte il ministero per il commercio con l'estero, il mini
stero degli esteri e la presidenza del consiglio dei ministri, chie
dendone l'annullamento per motivi attinenti alla giurisdizione. Re
siste l'Empremar con controricorso. Le parti hanno presentato
memorie.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo, che si articola
in due diversi profili di censura, la ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione dell'art. 1 1. 4 marzo 1963 n. 38, sostituito
dall'art, unico 1. 8 aprile 1976 n. 215, nonché dall'art. 31 t.u.
26 giugno 1924 n. 1054, in relazione all'art. 36 1. 6 dicembre
1971 n. 1034 e 360, n. 1, c.p.c. Sotto il primo profilo, sostiene che con la decisione impugnata
sarebbero stati superati i limiti dei poteri giurisdizionali attribuiti
dalla legge al Consiglio di Stato, essendo definibile il provvedi
mento ministeriale annullato come atto politico, la cui cognizione
è sottratta dall'art. 31 t.u. n. 1054 del 1924 alla competenza del
supremo organo della giustizia amministrativa.
Sotto il secondo profilo, sostiene che il Consiglio di Stato, in
terpretando e applicando la legge straniera in contrasto con l'ap
prezzamento dell'autorità politica italiana, sarebbe incorso in ec
cesso di potere per travalicamento dei limiti esterni della giurisdi
zione. (Omissis)
stà che hanno la loro causa oggettiva nell'indeclinabile esigenza di tutela
re gli interessi supremi dello Stato in situazioni contingenti che possono
turbarne la vita od il funzionamento nell'ordine interno od internaziona
li», con la testuale precisazione che «l'elemento che caratterizza l'atto
politico è quello causale e non già il suo aspetto formale», mentre per
Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 1981, n. 340 (confermata da sez. un. 21
aprile 1982, n. 2476, id., 1982, I, 1256, con osservazioni di C. M. Baro
ne), id., 1981, III, 415, con nota di richiami (cui adde, in giurisprudenza,
Cass. 14 novembre 1974, n. 3608, id., 1975, I, 1158, con nota redazionale
e, in dottrina, Grottanelli De' Santi, Atto politico e atto di governo,
voce dell'Enciclopedia giuridica Treccani, 1988, IV, 1, 4) «l'esclusione,
sancita dal ripetuto art. 31, della ricorribilità dinanzi al Consiglio di Sta
to degli atti emanati dal governo nell'esercizio del potere politico, ha
indotto ad una individuazione del tutto restrittiva di tali atti, circoscri
vendoli soltanto in quelli che costituiscano espressione della libertà (poli
tica) commessa dalla Costituzione ai supremi organi decisionali dello Sta
to per la soddisfazione di esigenze unitarie ed indivisibili a questo inerenti».
Per quanto riguarda, invece, l'altro profilo dedotto dalle ammministra
zioni ricorrenti a sostegno del prospettato difetto di giurisdizione, è il
caso di rilevare che lo stesso (profilo) è stato agevolmente disatteso dalla
corte alla stregua del suo consolidato orientamento in tema di individua
zione dei motivi inerenti alla giurisdizione, che consentono di impugnare
in Cassazione le decisioni del Consiglio di Stato (fra le tante, sez. un.
30 luglio 1983, n. 4990, Foro it., 1983, I, 2115, con richiami e osservazio
ni di C. M. Barone; 9 maggio 1983, n. 3145, ibid., 1792, con ulteriori
indicazioni).
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