sezione lavoro; sentenza 22 dicembre 1988, n. 7007; Pres. Valente, Est. Senese, P.M. Benanti(concl. conf.); Coco (Avv. Magrini) c. Papotto e Inail; Inail (Avv. L. Mancini, La Manna,Pignataro) c. Coco e Papotto; Papotto (Avv. Martino, Damigella) c. Inail e Coco. Cassa Trib.Catania 19 luglio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 3467/3468-3469/3470Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184319 .
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3467 PARTE PRIMA 3468
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 dicem
bre 1988, n. 7007; Pres. Vaiente, Est. Senese, P.M. Benanti
(conci, conf.); Coco (Avv. Magrini) c. Papotto e Inail; Inail
(Avv. L. Mancini, La Manna, Pignataro) c. Coco e Papot to; Papotto (Avv. Martino, Damigella) c. Inail e Coco. Cas
sa Trib. Catania 19 luglio 1985.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Domande
proposte contro il terzo chiamato in causa — Specificazione
negli atti notificati (Cod. proc. civ., art. 414, 420). Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Domanda
nuova — Improponibilità — Rilevabilità d'ufficio (Cod. proc.
civ., art. 414, 420).
Appello civile — Improponibilità di domande nei confronti del
chiamato in causa — Omesso rilievo nel giudizio di appello — Rinuncia — Esclusione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art.
346, 420).
Nel rito del lavoro le domande che le parti in giudizio intendono
proporre nei confronti del chiamato in causa devono essere com
piutamente specificate negli atti a lui notificati. (1) Nel rito del lavoro l'improponibilità della domanda nuova, pro
posta nel corso del giudizio di primo grado, è rilevabile
d'ufficio. (2) Nel rito del lavoro è rilevabile d'ufficio dal giudice di appello
l'inammissibilità di domanda nuova proposta in primo grado contro il terzo chiamato in causa, quando su tale domanda
il giudice di prime cure non si sia pronunciato (per essere la domanda rimasta assorbita dal rigetto della domanda principa le e logicamente antecedente, ancorché l'eccezione di inammis sibilità della domanda non sia stata sollevata dal terzo chiama to in primo grado come in appello). (3)
(1) Non constano precedenti in termini. In tema di chiamata in causa del terzo, v. Cass. 30 ottobre 1981, n.
5736, Foro it., Rep. 1981, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 219, nel senso che l'art. 420, 9° comma, c.p.c. prevede per la chiamata del terzo la notifica del ricorso introduttivo e dell'atto di costituzione del convenuto, ma non impone che verso il terzo siano formulate espresse domande.
Si veda inoltre Cass. 10 dicembre 1986, n. 7338, id.. Rep. 1986, voce cit., n. 233, la quale ha ritenuto che l'attore può chiedere anche all'udien za di discussione la condanna dell'interventore (nella specie iussu iudicis) se tale domanda è la stessa introdotta col ricorso.
(2) Orientamento ormai consolidato. '
Inizialmente la Cassazione aveva dato rilevanza all'accettazione del con traddittorio sulle domande nuove: v. Cass. 19 giugno 1981, n. 4048, Foro it.. Rep. 1981, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 210; 29 aprile 1980, n. 2862, id., Rep. 1980, voce cit., n. 180; 20 gennaio 1979, n. 464, id., Rep. 1979, voce cit., n. 205. Successivamente le sezioni unite con la sentenza 4 dicembre 1981, n. 6423, id., 1982, I, 1339, con nota di richiami, hanno espresso il principio accolto anche dalla sentenza in rassegna e che non è più stato abbandonato dalla giurisprudenza successi va; v. Cass. 15 luglio 1987, n. 6195, 24 aprile 1987, n. 4068, id., Rep. 1987, voce cit., nn. 187, 188; 21 maggio 1986, n. 3380, 7 marzo 1986, n. 1545, 15 gennaio 1986, n. 196, 7 gennaio 1986, n. 9, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 250, 251, 177, 252; 12 novembre 1985, n. 5546, 4 aprile 1985, n. 2337, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 235, 189; 9 maggio 1984, n. 2843, id., Rep. 1984, voce cit., n. 199; 19 dicembre 1983, n. 7488, ibid., n. 200 e Giusi, civ., 1984, I, 1524; 4 novembre 1983, n. 6514, 5 agosto 1983, n. 5251, Foro it., Rep. 1983, voce cit., nn. 265, 266.
Lo stesso principio del resto è stato applicato con riferimento alle nuo ve eccezioni del convenuto: v. Cass. 9 luglio 1984, n. 4000, id., Rep. 1984, voce cit., n. 182.
La dottrina è conforme; v. di recente Tarzla, Manuale del processo del lavoro3, Giuffrè, Milano, 1987, 105; G. Pezzano (V. Andrioli, C.M. Barone, A. Proto Pisani), Le controversie in materia di lavoro2, Zanichelli-Foro italiano, Bologna-Roma, 1987, 660.
(3) Non constano precedenti nei termini esatti. Tuttavia in senso conforme alla sentenza in epigrafe, v. Cass. 28 aprile
1981, n. 2585, Foro it., Rep. 1981, voce Appello civile, n. 9; 2 aprile 1980, n. 2140, id., Rep. 1980, voce cit., n. 96; in quella occasione si ritenne non necessario riproporre espressamente le eccezioni attinenti al merito sollevate in primo grado, poiché la domanda era stata rigettata per una ragione pregiudiziale (inammissibilità); 23 febbraio 1979, n. 1213, id., Rep. 1979, voce Impugnazioni civili, n. 68; 15 maggio 1976, n. 1727, id., Rep. 1976, voce Appello civile, n. 102; 26 ottobre 1968, n. 3583, id., Rep. 1969, voce cit., n. 194. Si può cosi notare che il principio gene rale affermato costantemente in giurisprudenza, per il quale la parte vit toriosa appellata ha l'onere di riproporre tutte le eccezioni già proposte in primo grado, siano esse state respinte o dichiarate assorbite (cfr., solo
Il Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. — La signora Carmela Papotto con veniva dinanzi al Pretore di Catania l'Inail, chiedendo il ricono
scimento del diritto alla rendita di cui all'art. 85 t.u. 1124/65
in relazione all'infortunio mortale occorso il 6 maggio 1981 al
proprio marito Salvatore Mascali mentre lo stesso era intento ad
eseguire, per conto dell'impresa Coco Vincenzo, lavori di demoli
zione del cornicione della chiesa madre del comune di Malvagna con un martello pneumatico.
Costituendosi, l'istituto chiedeva preliminarmente la sospensio ne del procedimento sino alla definizione di quello penale pro mosso nei confronti di Vincenzo Coco in relazione all'imputazio ne di omicidio colposo in danno del Mascali; e in linea subordi
nata chiedeva che fosse chiamato in causa il Coco per l'integrazione del contraddittorio; nel merito, contestava la domanda per difet to di prova in ordine all'esistenza di un rapporto di lavoro tra il Coco e il Mascali.
Il pretore, rigettata la richiesta di sospensione, disponeva la
chiamata in causa del Coco, il quale — costituendosi a sua volta — assumeva di essersi limitato a prendere in locazione, dal Ma
scali, un compressore, senza mai aver impiegato il predetto alle
proprie dipendenze, e concludeva, aderendo alla posizione difen
siva dell'Inail, per il rigetto della domanda «per mancanza dei
presupposti per l'esistenza dell'obbligo assicurativo».
Ammessa ed espletata prova testimoniale, veniva concesso alle
parti termine per note prima dell'udienza di discussione. In tali
note, mentre la Papotto ed il chiamato in causa ribadivano le richieste già formulate, l'Inail chiedeva in linea principale il riget to della domanda e, in via subordinata, avanzava domanda di
regresso nei confronti del Coco ove questi fosse stato ritenuto datore di lavoro dell'infortunato.
Con sentenza 4/13 dicembre 1984, il pretore rigettava la do manda proposta dalla Papotto ritenendo che il Mascali non svol
gesse attività di lavoro subordinato e non rientrasse nemmeno tra le ulteriori categorie di lavoratori previste dall'art. 4 t.u. 1164/65. Tale sentenza, peraltro, appellata dalla Papotto, era ri formata dal Tribunale di Catania, il quale — con decisione 21
maggio - 19 luglio 1985 — dichiarava il diritto dell'appellante ad ottenere dall'Inail la rendita richiesta e condannava il Coco a rivalere l'istituto di quanto lo stesso sarebbe stato tenuto ad ero
gare in dipendenza della stessa pronuncia. (Omissis)
Quanto poi alla domanda di regresso dell'Inail nei confronti del Coco il tribunale ne motivava l'accoglimento osservando che il «Coco, quale datore di lavoro del Mascali responsabile dell'in fortunio a lui occorso, è tenuto, a norma degli art. 11 e 12 t.u. 1124/65 a rivalere l'Inail di quanto sarà tenuto a erogare in ese cuzione della presente sentenza».
Avverso la sentenza del Tribunale di Catania ricorre per cassa zione il Coco deducendo quattro mezzi di annullamento. Resisto no l'Inail e la Papotto con controricorso. L'Inail ha, a sua volta,
proposto ricorso incidentale avverso il capo della sentenza che ha affermato il diritto della Papotto alla rendita, affidando ad un unico motivo. Tanto il Coco quanto l'Inail hanno presentato memorie.
Motivi della decisione. — 1. - Disposta preliminarmente la riu nione dei ricorsi, la corte ritiene di esaminare innanzitutto il pri mo motivo del ricorso principale con il quale il Coco — denun ciando violazione e falsa applicazione dell'art. 420 c.p.c., commi
per limitarsi alle più recenti, Cass. 26 maggio 1987, n. 3521, id., Rep. 1987, voce cit., n. 85 e Foro pad., 1987, I, 350; 24 febbraio 1987, n. 1934, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 86, e Arch, locazioni, 1987, 280; 15 marzo 1986, n. 1769, 17 febbraio 1986, n. 940, Foro it., Rep. 1986, voce cit., nn. 67,76; 14 febbraio 1985, n. 1434, id., Rep. 1985, voce cit., n. 53; 16 febbraio 1984, n. 1173, id., Rep. 1984, voce cit., n. 66; 28 novembre 1983, n. 7138, 20 giugno 1983, n. 4231, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 73, 72; 17 novembre 1982, n. 6164, id., Rep. 1982, voce cit., n. 82; 10 aprile 1978, n. 1667, id., 1979, I, 41, con nota di C.M. Barone) incontra un limite nel senso che la decadenza ex art. 346 c.p.c. opera solo nell'ambito della materia controversa decisa nel giudizio di prime cure. Ciò che invece è devoluto alla cognizione del giudizio del gravame, senza essere stato conosciuto neppure per implicito dal giudice del pre gresso giudizio, non abbisogna di espressa riproposizione affinché possa essere deciso in appello. D'altra parte si è affermato che se l'impugnazio ne investe la sentenza in tutta la sua estensione, la parte totalmente vitto riosa non è tenuta a riproporre tutte le sue ragioni, anche se il giudice ha accolto le sue conclusioni ma per ragioni diverse: v. Cass. 17 giugno 1982, n. 3699, id., 1982, I, 2165, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1°, 9° e 10°, in relazione all'art. 414 e 416 stesso codice — dedu
ce l'improponibilità-inammissibilità della domanda di regresso con
tro di lui proposta dall'Inail e quindi la nullità della sentenza
impugnata nel relativo capo (art. 360, n. 4, c.p.c.). Si duole al
riguardo il ricorrente che la domanda di regresso dell'Inail sia
stata avanzata per la prima volta nei suoi riguardi non già al
momento in cui l'istituto aveva chiesto l'integrazione del con
traddittorio con la partecipazione di esso Coco al giudizio ovvero
(al più tardi) all'udienza in cui il pretore ne dispose la chiamata
in causa, ma solo nelle note autorizzate in vista dell'udienza di
discussione, dopo la sua costituzione in giudizio, la proposizione delle sue difese, l'ammissione e l'espletamento delle relative pro ve testimoniali. Ad avviso del Coco, non potrebbe sussistere dub
bio sul punto che l'art. 420/9 e 10 — nel richiamare espressa mente gli art. 415 e 416 c.p.c. — attribuisca al chiamato in causa
l'identica posizione processuale del convenuto, con la conseguen za che la proposizione di domande nei suoi confronti soggiace alle medesime preclusioni previste per la domanda proposta nei
confronti del convenuto dagli art. 414 e 420/1 c.p.c.; il che com
porta l'ulteriore conseguenza che una domanda nuova proposta nei riguardi del chiamato, dopo la definizione del thema dispu tandum e gli accertamenti istruttori a questo correlati, è inam
missibile e tale inammissibilità deve essere rilevata dal giudice. Né alla denuncia di tale inammissibilità in questa sede potrebbe fare ostacolo la circostanza che il ricorrente non abbia proposto la relativa eccezione nel resistere all'atto di appello, sia perché il contenuto della sentenza pretorile (che, avendo rigettato la do
manda della Papotto, non aveva neanche esaminato l'irrituale do
manda dell'Inail) «non dava spazio all'eccezione», e sia perché la rilevabilità d'ufficio di questa avrebbe imposto al giudice d'ap
pello di pronunciare l'inammissibilità della domanda stessa anche
in assenza di qualsiasi iniziativa di parte al riguardo. Il motivo è fondato. Deve preliminarmente osservarsi come non
sussista dubbio sul punto che, anche nei confronti del chiamato
in causa ex art. 420/9 c.p.c., siano operanti le medesime preclu sioni poste, nei confronti del convenuto, a carico dell'attore dagli art. 414 e 420/1 c.p.c.: ciò significa che le domande, che le altre
parti intendano proporre nei confronti del chiamato, devono es
sere compiutamente specificate negli atti a lui notificati ai sensi
del ricordato art. 420/9 codice di rito, in modo da consentirgli di svolgere compiutamente le sue difese ai sensi (e con le preclu sioni risultanti dal testo) dell'art. 416 c.p.c. Eventuali modifica
zioni di tali domande possono avvenire solo all'udienza di discus
sione fissata dal giudice con l'atto che ha autorizzato la chiamata
in causa a norma della prima parte del citato art. 420/9 c.p.c. Ciò posto, deve essere richiamato il principio (affermato dalle
sezioni unite di questa corte con sentenza 6423/81, Foro it., 1982,
I, 1339, e successivamente ribadito in numerose pronunce della
sezione lavoro) secondo cui «il rito ordinario e quello del lavoro
trovano proprio nella disciplina delle facoltà e degli oneri delle
parti uno dei punti di più caratterizzante diversificazione, poiché il secondo ha inteso reagire all'eccessiva lunghezza dei proces si .. . prescrivendo che una chiara e precisa esposizione di tutti
gli argomenti del contendere sia effettuata dalle parti sin dalla
loro costituzione in giudizio» ed ammettendo solo il temperamento di cui all'art. 420/1, seconda parte, già sopra ricordato. Con la
conseguenza che, se in relazione al processo ordinario, può giu stificarsi l'orientamento giurisprudenziale che ammette la propo nibilità di una nuova domanda persino in sede di precisazione delle conclusioni ove la controparte, invece di eccepirne l'irritua
lità, accetti su di essa il contraddittorio, nelle cause di lavoro
una simile «acquiescenza è di per sé irrilevante ai fini dell'amplia
mento del tema del dibattito, occorrendo che un tale effetto sia
reso possibile da una preventiva valutazione positiva del giudice
in ordine alla sussistenza di 'gravi motivi' idonei a giustificarlo»,
valutazione che può anche ravvisarsi in un contegno del giudice
che dia corso alle istanze delle parti purché risulti inequivocabil
mente dagli atti del processo compiuti prima della pronuncia del
la sentenza, perché è prima di tale momento che essa può e deve
essere effettuata (cosi sez. un. 6423/81, cit.).
Da un tale indirizzo discende la rilevabilità d'ufficio dell'im
proponibilità di nuova domanda proposta nel corso del giudizio
di primo grado al di fuori dei limiti come sopra segnati (cfr. Cass. 6514/83, id., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza (contro
versie), n. 265; 5546/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 235; 2843/84,
id., Rep. 1984, voce cit., nn. 199, 428), stante la rilevanza pub
blica degli interessi in vista dei quali il divieto di nuove domande
Il Foro Italiano — 1989.
è posto. Questa conclusione sembra al collegio preferibile all'al
tra (pure essa, a volte, ritenuta da questa corte: cfr. Cass. 4048/81,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 210) che ammette la possibilità di
sanare l'irrituale proposizione di nuove domande attraverso l'ac
cettazione del contraddittorio ad opera della controparte, in quanto
più coerente con le fondamentali diversità che caratterizzano il
rito del lavoro rispetto a quello ordinario secondo l'insegnamen to di sez. un. 6423/81 sopra richiamata.
Alla stregua delle suaccennate premesse, dev'essere risolta la
questione, che il motivo in esame pone, se l'omessa proposizione nel giudizio d'appello, da parte del Coco, dell'eccezione d'impro
ponibilità della domanda irritualmente contro di lui avanzata in
primo grado, implichi — ai sensi dell'art. 346 c.p.c. — rinuncia
della stessa, con conseguente inammissibilità del motivo attraver
so il quale egli oggi censura in questa sede la sentenza d'appello
per aver pronunciato sul punto. La soluzione all'anzidetta questione non può essere, ad avviso
di questa corte, se non nel senso dell'inapplicabilità alla fattispe cie in esame della citata disposizione dell'art. 346 c.p.c.; e quindi dell'esclusione dell'inammissibilità del motivo. Ciò, sulla scorta
del costante orientamento giurisprudenziale che esclude dall'am
bito di operatività dell'art. 346 c.p.c. le questioni inerenti alla
proponibilità dell'azione che sfuggono al potere dispositivo delle
parti e fa obbligo al giudice d'appello di rilevare d'ufficio tali
questioni, con il solo limite della preclusione determinata dall'ac
quiescenza della parte soccombente ovvero della mancata ripro
posizione della relativa eccezione ad opera della parte che, in quan to praticamente vittoriosa, non aveva l'onere dell'impugnazione
(cfr. Cass. 1650/62, id., Rep. 1963, voce Appello civile, n. 237;
2580/64, id., Rep. 1965, voce cit., n. 206; 2932/66, id., Rep.
1966, voce cit., n. 191; 1202/68, id., Rep. 1968, voce cit., n.
224; 3583/68, id., Rep. 1969, voce cit., n. 194; 3489/72, id., Rep. 1972, voce cit., n. 104; 1727/76, id., Rep. 1976, voce cit., n.
102; 1213/79, id., Rep. 1979, voce Impugnazioni civili, n. 68;
2585/81, id., Rep. 1981, voce Appello civile, n. 9; 1294/83, id.,
Rep. 1983, voce Giurisdizione civile, n. 89). Nella giurisprudenza ora citata il limite al potere-dovere del
giudice d'appello di rilevare d'ufficio l'improponibilità della do
manda viene individuato, con riferimento all'art. 346 c.p.c., nel
la circostanza che la relativa questione sia stata «proposta e deci
sa in primo grado» anche implicitamente (cosi rispettivamente, Cass. 3583/68; 1727/76; 1213/79 citate).
Nella specie, la questione, non solo non fu «proposta» in pri mo grado (avendo l'Inail spiegato la domanda di cui è discorso
solo nelle note autorizzate per l'udienza di discussione), ma non
fu neanche per implicito esaminata e decisa dal primo giudice, avendo questi arrestato la propria cognizione ad un accertamento
pregiudiziale all'esame della irrituafe domanda di regresso propo sta dall'Inail, e cioè all'accertamento negativo della sussistenza
del rapporto di lavoro la cui affermazione costituiva imprescindi bile antecedente logico-giuridico rispetto a quella domanda. Si
che, l'anzidetta questione, non rilevata né rilevabile dal primo
giudice, non rientra nella previsione dell'art. 346 c.p.c., perché in alcun modo essa può «intendersi rinunciata» (secondo la for
mula della disposizione citata); mentre, per altro verso, essa, in
quanto questione rilevabile d'ufficio, s'imponeva all'esame del
giudice d'appello, una volta che questi — risolto in senso oppo sto al primo giudice il punto della sussistenza del rapporto di
lavoro subordinato — era chiamato a pronunciarsi sulla doman
da irritualmente proposta dall'Inail.
Pertanto, il motivo che deduce l'omesso rilievo, da parte del
giudice d'appello, dell'improponibilità della domanda spiegata dal
l'Inail nei confronti del Coco, si presenta ammissibile, e, per le
ragioni sopra esposte, fondato. E, in quanto tale, dev'essere ac
colto, con annullamento senza rinvio (art. 382/3, ultima parte,
c.p.c.) del capo di sentenza concernente la suddetta domanda.
(Omissis)
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