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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 28 aprile 1988, n....

Date post: 31-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 28 aprile 1988, n. 3218; Pres. Nocella, Est. D'Alberto, P.M. Benanti (concl. conf.); Iogna Prat (Avv. Guidi, Slavich) c. Credito italiano (Avv. Ielpo, Volli, Florio). Conferma Trib. Trieste 28 febbraio 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 1907/1908-1915/1916 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184047 . Accessed: 28/06/2014 17:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.31 on Sat, 28 Jun 2014 17:13:06 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 28 aprile 1988, n. 3218; Pres. Nocella, Est. D'Alberto, P.M. Benanti(concl. conf.); Iogna Prat (Avv. Guidi, Slavich) c. Credito italiano (Avv. Ielpo, Volli, Florio).Conferma Trib. Trieste 28 febbraio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1907/1908-1915/1916Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184047 .

Accessed: 28/06/2014 17:13

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1907 PARTE PRIMA 1908

tale diritto — con la morte di lui — non poteva non trasmettersi

alle sue eredi.

L'eccezione sollevata in giudizio in forza delle clausole di «in

trasmissibilità» del diritto agli eredi non aveva altra funzione che

quella di negare alle donne di far valere un diritto.

È evidente che «la clausola» limitativa della responsabilità pa

trimoniale della società assicuratrice per un fatto estraneo (al dan

no) all'oggetto del contratto ed inserito nelle condizioni generali

di polizza (assicurativa) alterava il normale equilibrio contrattua

le a vantaggio dell'assicuratrice anche se visto nella sola conve

nienza di sottrarsi all'immediata esecuzione della prestazione in

attesa fiduciosa del verificarsi dell'evento causativo dell'estinzio

ne della sua obbligazione giuridica. Sicché tale «clausola», onerosa nel senso che, modificando la

comune disciplina contrattuale, avvantaggiava la condizione del

predisponente in danno della parte assicurativa e dei suoi eredi,

non poteva sottrarsi all'imperativo del 2° comma dell'art. 1341

c.c., che ne subordina l'efficacia all'approvazione specifica per

iscritto.

La sentenza, pertanto, va cassata e la causa va rimessa alla

Corte d'appello di Bologna per il riesame dei fatti alla stregua

del seguente principio: «la clausola, inserita nelle condizioni ge

nerali di polizza assicurativa, con la quale si esclude che il diritto

all'indennità per invalidità permanente dell'assicurato sia trasmis

sibile agli eredi, dev'essere specificamente approvata per iscritto,

giacché essa non prevede un limite del "danno" afferente all'og

getto del contratto, ma una limitazione della responsabilità patri

moniale dell'assicuratore per un evento (morte dell'assicurato)

estraneo all'indicato oggetto».

L'accoglimento dei primi due motivi del ricorso induce a rite

nere e a dichiarare assorbito il terzo, la cui doglianza investe la

pretesa falsa interpretazione della intera clausola 17 della polizza.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 28 aprile

1988, n. 3218; Pres. Nocella, Est. D'Alberto, P.M. Benanti

(conci, conf.); Iogna Prat (Avv. Guidi, Slavich) c. Credito

italiano (Avv. Ielpo, Volli, Florio). Conferma Trib. Trieste

28 febbraio 1985.

Lavoro (rapporto) — Categorie e qualifiche — Funzionario di

banca — Sottoscrizione di «benestare bancari» — Poteri di fir

ma in via continuativa — Insussistenza (Cod. civ., art. 1362,

2095, 2103).

È correttamente motivata la sentenza del giudice di merito che

abbia escluso il diritto di un impiegato bancario ad essere in

quadrato nella categoria dei funzionari (con riferimento alla

declaratoria contrattuale delle banche aderenti all'Assicredito),

negando che la pur prevalente adibizione al rilascio dei «bene

stare■» bancari potesse integrare il presupposto della facoltà di

firma sociale in via continuativa. (1)

(1-2) Le decisioni, per porre in dubbio la conclusione attinta dal giudi ce di merito, fanno leva su due affermazioni ampiamente accreditate nel

la giurisprudenza di legittimità: a) quella secondo cui non possono essere

dati formali intrinseci a connotarne l'appartenenza alla categoria di fun

zionario di un'azienda di credito (nel caso di Cass. 9226/87 si trattava

della definizione contenuta nell'art. 10 1. 745/38 sull'ordinamento dei monti

di credito su pegno); b) l'altra alla cui stregua al medesimo scopo è indi

spensabile il conferimento dei poteri di firma in via continuativa e non

poteri limitati alla sottoscrizione di singoli atti o categorie di atti.

In senso conforme, in particolare con riferimento all'affermazione rias

sunta sub b), da ultimo, Cass. 11 marzo 1987, n. 2551, Foro it., Rep. 1987, n. 799 (e in Orient, giur. lav., 1987, 341); 9 aprile 1987, n. 3523, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 819 menzionate in motivazione, ambe

due, in conformità a Cass. 3218/88, nel senso di escludere che la sotto

scrizione del «benestare bancario» possa integrare gli estremi della

concessione dei poteri di firma in via continuativa; 20 agosto 1987, n.

6968, ibid., n. 795; 26 agosto 1987, nn. 7032, 7135, ibid., nn. 796, 797; 5 novembre 1987, n. 8145, ibid., n. 817, che ha ritenuto spettare la quali

1l Foro Italiano — 1989.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 dicem

bre 1987, n. 9226; Pres. Menichino, Est. Aliberti, P.M. Tri

dico (conci, diff.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Scognamiglio) c. Mondani (Avv. Marucchi, Comporti). Cas

sa Trib. Siena 4 dicembre 1985.

Lavoro (rapporto) — Categorie e qualifiche — Funzionario di

banca — Sottoscrizione di polizze di pegni — Poteri di firma

in via continuativa — Insussistenza (Cost., art. 39; cod. civ.,

art. 2095, 2103; 1. 10 maggio 1938 n. 745, ordinamento dei

monti di credito su pegno, art. 10).

Erra il giudice di merito che abbia ritenuto spettare ad un impie

gato bancario il diritto all'inquadramento nella categoria dei

funzionari (sulla base della declaratoria contrattuale delle ban

che che aderiscono all'Assicredito) fondando prevalentemente

il proprio convincimento sul potere conferito al medesimo di

sottoscrivere le polizze di pegno in collegamento con la previ

sione di cui all'art. 10 I. 745/38, secondo cui queste ultime

devono essere sottoscritte dal legale rappresentante del monte

di pegno, ovvero dal funzionario delegato, senza considerare

che comunque la firma delle polizze è pur sempre inerente ad

una sola categoria di atti (e quindi non vi è conferimento di

poteri di firma in via continuativa) e che la legge invocata non

ha valore risolutivo, essendo la categoria dei funzionari auto

nomamente creata dalla contrattazione collettiva. (2)

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 10 set

tembre 1981, Ivo Iogna Prat conveniva davanti al Pretore di Trieste

il Credito italiano s.p.a., alle cui dipendenze assumeva di lavora

re dal 1° settembre 1967 con la qualifica di impiegato di prima

categoria, instando affinché, in considerazione della sua addizio

ne a mansioni comportanti in via continuativa la facoltà di firma

sociale in rappresentanza della banca, concretantesi nell'espleta

mento di una complessa attività finalizzata al rilascio dei cosid

detti «benestare» bancari, venisse accertato e dichiarato il suo

fica di funzionario al responsabile della sezione pegni di un istituto di

credito alla stregua della previsione dell'art. 10 1. 745/38; 1° agosto 1986,

n. 492, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 750 (e in Notiziario

giur. lav., 1987, 36), secondo cui non è sufficiente che il lavoratore abbia

«contatti esterni con terzi», ma occorre il conferimento di poteri di rap

presentanza (nel caso viene escluso il diritto alla qualifica di funzionario

per l'impiegato che era l'unico responsabile della contabilità); 12 giugno

1986, n. 3923, 28 maggio 1986, n. 3612, 1° marzo 1986, n. 1311, Foro

it., Rep. 1986, voce cit., nn. 751, 752, 755; 1° marzo 1985, n. 1757,

id., 1986, I, 1040, con nota di Carriero, Brevi note sul funzionario di

aziende di credito, nella quale si esclude che l'esercizio di fatto della fa

coltà di firma sociale al di là dei limiti consentiti nell'atto di delega possa determinare il diritto alla promozione. V. altresì Cass. 8 febbraio 1988, n. 1353 (Orient, giur. lav., 1988, 346) che esclude la rilevanza allo scopo la sigla apposta sui documenti aziendali ai fini dell'identificazione del

dipendente cui è affidata la pratica; 28 aprile 1988, n. 3219 (ibid., 701), che ha escluso il diritto alla qualifica di funzionario nei confronti di un

cassiere con facoltà di firma delle operazioni di pagamento per mezzo

della stanza di compensazione presso la Banca d'Italia.

Nella prospettiva riassunta sub a), v. Cass. 7 luglio 1987, n. 5911 (Foro

it., Rep. 1987, voce cit., n. 798, che ha ritenuto irrilevante, al di fuori

dell'esercizio in concreto delle relative mansioni, un mero confronto con

la posizione di altri lavoratori cui era attribuita la qualifica di funziona

rio; Cass. 27 novembre 1987, n. 8834, Notiziario giur. lav., 1988, 171, secondo cui l'esercizio continuativo di firma sociale non è rinvenibile ove

il lavoratore eserciti tale incombenza in assenza momentanea del direttore

di filiale o anche in sua presenza pur se non via sia sostituzione integrale del responsabile in tutte le funzioni direttive, di coordinamento e di con

trollo (la decisione ha cassato Trib. Firenze 2 aprile 1985, Foro it., Rep.

1986, voce cit., n. 757 e in Giur. it., 1986, I, 2, 162). In dottrina, v., da ultimo, F. Liso, Inquadramento, qualifiche, man

sioni, in Problemi giuridici del lavoro bancario (a cura di O. Mazzotta),

Padova, 1987, 47 (ed ivi, 73 v. altresì: Conti, / funzionari e le aziende di credito e la legge 13 maggio 1985 n. 190), Colecchia, Il funzionario di banca nella più recente giurisprudenza della Corte di cassazione. Ulte

riori prospettive, in Giur. it., 1987, 1, 1; 859; Chericoni, La promozione a funzionario nelle aziende di credito, in Lavoro e prev., 1987, 1615.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

diritto ad essere inquadrato, con decorrenza gennaio 1976, nella

superiore categoria di funzionario e fosse ricostruita la carriera

con il pagamento anche delle differenze retributive.

In subordine l'attore chiedeva che venisse riconosciuto il pro

prio diritto al grado di capo-ufficio o vice capo-ufficio, con con

seguente condanna dell'istituto convenuto ad effettuare il relativo

inquadramento ed a pagare le differenze retributive provvisoria mente quantificate in lire 3.500.000, con interessi legali e rivalu

tazione.

Ritualmente costituitosi, il Credito italiano resisteva all'avversa

domanda e ne chiedeva l'integrale rigetto, deducendo che le man

sioni espletate dall'attore, peraltro non in via continuativa e pre valente sulle altre a lui istituzionalmente attribuite, dirette al rilascio

del benestare bancario, non avevano carattere negoziale, né com

portavano esercizio alcuno di autonomia e discrezionalità e non

implicavano alcun potere di firma sociale in rappresentanza della

banca onde esse non potevano essere in alcun modo ricondotte

alla superiore categoria di funzionario, cosi come disciplinata e

prevista dalla contrattazione collettiva del settore.

Esauritasi la fase istruttoria con l'interrogatorio libero delle parti e l'assunzione di testimoni, il pretore rigettava la domanda.

Con ricorso depositato il 22 aprile 1983 Iogna Prat impugnava la sentenza del pretore, deducendo: 1) il requisito della generalità

degli atti oggetto del potere di firma sociale non può essere inteso

in senso assoluto ed assorbente; se, infatti, è incontestabile che

tale potere-dovere è conferito in relazione ad una pluralità inde

terminata di atti, essa non è di certo qualitativa, bensì' solo quan

titativa; 2) il requisito predetto esprime piuttosto l'attributo della

continuità, riferito alla facoltà di firma che comporta stabile le

gittimazione al compimento di una serie indeterminata di atti e

non facoltà attribuita in via eccezionale o episodica ma stabil

mente; 3) l'aggettivo «sociale» non può essere riferito a tutti gli atti rientranti nell'oggetto della società, ma rappresenta una sem

plice anticipazione del concetto di rappresentanza che deve, ap

punto, essere sociale cioè riguardare la società bancaria; 4) il

requisito fondamentale risiede nell'essere la firma sociale conferi

ta in rappresentanza dell'azienda ed utilizzata nei rapporti esterni

per il compimento di atti giuridici coinvolgenti la volontà e la

responsabilità della banca; 5) è di tutta evidenza la decisiva im

portanza che il benestare bancario assume nel sistema valutario,

essendo questo il documento attraverso il quale sono consentite

alle dogane determinate operazioni; 6) la prevalente giurispruden za individua nel benestare bancario un'autorizzazione ammini

strativa in senso tecnico, vale a dire un atto di volontà negoziale

della pubblica amministrazione; 7) né va sottovalutato che l'erra

ta o fraudolenta emissione del benestare bancario implica una

serie di responsabilità di ordine penale e amministrativo; 8) il

benestare, oltre che avere natura di atto autorizzatorio, ha natura

di atto negoziale, non potendosi qualificare mero atto della pub

blica amministrazione, bensì atto amministrativo produttivo di

conseguenze giuridiche, sia nei confronti dei terzi, sia nei con

fronti della stessa pubblica amministrazione di cui la banca era

agente; 9) in conseguenza di tutto quanto affermato, il pretore

erroneamente non ha ritenuto che la concessione della facoltà

di firma dei benestare bancari implica un conferimento di firma

sociale in rappresentanza della azienda, e, a norma dell'art. 2

punto 1 del ccnl, attribuisce al dipendente, il quale eserciti il cor

relato potere, la qualifica di funzionario; 10) contrariamente a

quanto sostenuto dal pretore, il benestare bancario implica auto

nomia, valutazioni discrezionali ed assunzione di responsabilità.

Si costituiva anche nel giudizio di appello il Credito italiano,

deducendo l'infondatezza dei motivi del gravame, del quale chie

deva il rigetto. Con sentenza 6 dicembre 1984-28 febbraio 1985 il Tribunale

di Trieste rigettava l'appello e confermava integralmente la deci

sione di primo grado. Contro questa pronuncia Ivo Iogna Prat ha proposto ricorso

per cassazione affidato ad un motivo, oltre che alle stesse ragioni

già dedotte nell'atto di appello. Il Credito italiano ha proposto

controricorso le cui ragioni ha illustrato anche con memoria.

Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di ricorso si

addebitano alla sentenza impugnata violazione e falsa applicazio

ne delle regole di ermeneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c.),

contraddittorietà logico-giuridica della motivazione, travisamento

ed erronea interpretazione di circostanze determinanti ai fini del

la soluzione della controversia, «violazione e falsa applicazione

Il Foro Italiano — 1989.

di legge con riferimento alla 1. 786/56, d.p.r. 43/72 1. 159/76,

nonché successive modifiche e norme d'integrazione» (il tutto al

la stregua dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). A sostegno delle censure enunciate in tali termini il ricorrente

— trascritto il principio di diritto a tenore del quale nell'interpre tazione del contratto collettivo di lavoro «la comune volontà del

le parti deve essere seguita... in funzione di ciò che nelle clausole

contrattuali appare obiettivamente voluto, sicché l'elemento lette

rale... è il primo e fondamentale criterio per indagare quale sia

stata la comune intenzione... con la conseguente preclusione del

ricorso ad altri criteri ermeneutici quando d'individuazione di es

sa sia consentita da espressioni testuali sufficientemente chiare,

precise ed adeguate» — afferma che siffatto criterio vale per la

declaratoria del ccnl applicabile nel caso e di cui all'art. 2, n.

1; nella quale, soggiunge, è stabilita che «sono funzionari coloro

ai quali è conferita la facoltà di firma sociale in via continuativa — anche congiuntamente — in rappresentanza dell'azienda, con

le eccezioni di (...) coloro ai quali è conferita la facoltà di firma

per quietanze e girate dei recapiti di cassa e delle cambiali, non

ché dei preposti a filiali con non più di due dipendenti». Oltre a ribadire quanto già dedotto nell'atto di appello nei ter

mini cennati nella normativa che precede, insiste il ricorrente,

infine, nel vantare il diritto all'inquadramento nella superiore qua

lifica di funzionario, avendo egli svolto di fatto le mansioni cor

relate all'esercizio del potere di firma dei «benestare bancari

Export-Import», in modo continuativo, sin dal gennaio 1976, e

cioè, a suo dire, funzioni che «per le loro caratteristiche formali

e sostanziali implicano la facoltà di firma sociale in rappresen tanza dell'azienda cosi come richiesto dal ccnl applicato al

rapporto». Il Credito italiano ha dedotto preliminarmente nel controricor

so la inammissibilità dell'impugnazione proposta ex adverso, rile

vando che nel ricorso sono stati trascritti testualmente i motivi

di appello. Ciò posto, il collegio osserva che il ricorso non merita accogli

mento e che si appalesano certo inammissibili le censure concer

nenti le denunciate violazioni dei canoni legali di ermeneutica

contrattuale, perché generiche ed enunciate nei termini surriferiti

solo nella rubrica dei «motivi» preannunciati nel ricorso stesso,

in guisa da non consentire d'intendere il significato e la portata delle censure medesime, come di quelle, parimenti mancanti del

prescritto requisito delle specificità (art. 366, n. 4, c.p.c.), relati

ve agli adombrati difetti di attività (ex art. 360, n. 5, c.p.c.).

Giova porre in risalto, comunque, che il tribunale, a confuta

zione di quanto tuttavia assunto da Ivo Iogna Prated a sostegno della sua pronuncia di rigetto dell'appello proposto dallo stesso

lavoratore, ha, tra l'altro, osservato: che alla stregua del tenore

letterale della disposizione contrattuale collettiva (ossia dell'art.

2 del ccnl 18 febbraio 1974 per il personale direttivo delle aziende

di credito e finanziarie, sostanzialmente riprodotto nei successivi

contratti), il funzionario di banca si caratterizza per l'attribuzio

ne, non di un qualsiasi potere di firma, bensì della facoltà di

firma sociale, quale manifestazione di una rappresentanza nego

ziale presso terzi di carattere generale e continuativo; che le man

sioni svolte in concreto dall'appellante, il quale era stato adibito

dal gennaio 1976, in via prevalente, al rilascio dei benestare ban

cari non erano tali, come esattamente ritenuto dal pretore, da

comportare l'attribuzione della qualifica di funzionario; che ap

pariva evidente la differenza tra la legittimazione rappresentativa

del funzionario cui fosse stata conferita formalmente la facoltà

di firma sociale, generale ed in via continuativa in rappresentan

za della banca e quella dell'impiegato cui fosse stato affidato il

compito di firmare, apponendovi il «visto in calce», il benestare

bancario, all'esito dei controlli previsti dalla disciplina valutaria,

e cioè un compito assegnato al dipendente con un semplice ordi

ne di servizio della direzione della filiale dell'istituto di credito,

«non legittimata per statuto alla nomina di funzionario o al con

ferimento della facoltà di firma con le suddette caratteristiche»;

che, giusta l'acquisito parere dell'ufficio italiano cambi in data

11 gennaio 1983, il detto benestare ha una funzione meramente

attestativa di un eseguito controllo di legittimità nell'ambito dei

poteri-doveri della banca alla stregua della normativa valutaria

in materia e delle circolari dello stesso ufficio italiano cambi,

dalle quali risulta evidente che negli adempimenti richiesti per

il rilascio dei benestare la banca non è dotata di alcuna di

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PARTE PRIMA 1912

screzionalità amministrativa; che, infatti, il benestare bancario è

il documento rilasciato dalla Banca d'Italia, o dalle aziende di

credito autorizzate a fungere da agenzia di questa, il quale deve

accompagnare le merci in importazione ed esportazione e che co

stituisce la prova della regolarità valutaria del rapporto commer

ciale per cui è rilasciato (cfr. art. 1 d.m. 12 marzo 1981); che

il contenuto dei moduli di benestare bancario è però stabilito con

decreto ministeriale e comprende le seguenti indicazioni: banca

intermediaria, parti commerciali, autorizzazioni e certificazioni

preliminari, termini di validità del benestare e regolamento delle

merci, operazioni doganali eseguite; che il rilascio del benestare

è subordinato alla verifica dell'esistenza di tutte le condizioni sta

bilite per l'operazione commerciale con l'estero ed è obbligatorio

quando l'addetto al servizio ne accerti tale corrispondenza, men

tre, nel caso contrario, la pratica deve essere inviata all'ufficio

estero della banca, che ne cura la trasmissione all'ufficio italiano

cambi, cosicché, nel caso di eventuali dubbi, la banca non ha

alcuna facoltà di dirimerli; che è evidente, dunque, come il rila

scio del benestare bancario, lungi dal costituire esercizio di poteri di ampia discrezionalità e di rappresentanza generale e continua

tiva dell'istituto di credito delegato dalla Banca d'Italia, si risolva

in una autorizzazione dichiarativa o — conformemente alla pre valente giurisprudenza

— in un atto amministrativo volontario

di conoscenza, privo di contenuto negoziale, avente quale punto di riferimento una attestazione su ciò che forma oggetto di un

accertamento semplice, ovvero di un «visto» (od anche di una

serie di visti) «certificante che l'operazione commerciale è con

forme alle prescrizioni legislative e ministeriali in materia di im

portazione ed esportazione della merce, ponendosi come

un'attenzione dell'avvenuto controllo di atti singoli, secondo la

competenza specifica dell'impiegato addetto al servizio».

Emerge da quanto precede che il Tribunale di Trieste nel riget

tare l'appello proposto dal ricorrente si è correttamente informa

to al consolidato indirizzo giurisprudenziale, espresso, nella

soggetta materia, da questa Suprema corte e dal quale non sussi

ste ragione di dissentire.

È appena il caso di ricordare, infatti, il principio per il quale nella contrattazione collettiva del settore delle aziende di credito

e finanziarie, la figura del «funzionario» di banca, di esclusiva

origine contrattuale, collocata in posizione inferiore rispetto al

dirigente, ma ricompresa anch'essa nell'ambito del personale di

rettivo, distinto da quello impiegatizio, è caratterizzata, in fuori

della particolare ipotesi di investitura formale della qualifica o

della preposizione ad agenzie di città o di filiali con un determi

nato organico di personale dalla «facoltà di firma sociale», cioè

dal conferimento, da parte del datore di lavoro, di un potere di rappresentanza, da esercitarsi anche congiuntamente, in via ge nerale e continuativa nel nome e per conto della banca, in rela

zione a mansioni che comportano il compimento, ai vari livelli

di competenza e nei limiti statutari, di atti di contenuto gestiona le pertinenti all'esercizio dell'impresa. Ove, invece, la facoltà di

firma sia attribuita rispetto a predeterminati singoli atti ed opera

zioni, che rientrano nei limiti delle specifiche mansioni impiegati zie assegnate al dipendente e che di esse costituiscono il necessario

completamento, deve negarsi che possa individuarsi la figura del

funzionario (cfr. sent. 13 maggio 1977, n. 1921, Foro it., Rep.

1977, voce Lavoro (rapporto), n. 315; 10 gennaio 1979, n. 167,

id., Rep. 1979, voce cit., n. 338; 11 gennaio 1980, n. 248, id.,

Rep. 1980, voce cit., n. 580; 29 agosto 1980, n. 5000, ibid., n.

567; 4 settembre 1981, n. 5050, id., Rep. 1981, voce cit., n. 447; 2 febbraio 1982, n. 623, id., Rep. 1982, voce cit., n. 543; 25

luglio 1984, n. 4376, id., Rep. 1984, voce cit., n. 513; 1° marzo

1985, n. 1757, id., Rep. 1985, voce cit., n. 706; 25 marzo 1986, n. 2126, id., Rep. 1986, voce cit., n. 868; 28 maggio 1986, n.

3612, ibid., n. 752; 1° agosto 1986, n. 4942, ibid., n. 750; 11 marzo 1987, n. 2551, id., Rep. 1987, voce cit., n. 789).

Quanto alla specifica questione concernente la natura giuridica del «benestare bancario», poi, non appare frustraneo osservare

che, come fondatamente si deduce nel controricorso e nella me

moria da parte del resistente Credito italiano, le sezioni unite di

questa Suprema corte hanno statuito, con sent. 21 ottobre 1983, n. 6177 (id., 1984, I, 129, in motivazione), che tale «benestare

costituisce attestazione della conformità dell'operazione alle nor

me valutarie». E tale statuizione scaturisce, invero, dal rilievo

contenuto della detta sentenza, secondo il quale mentre la pubbli ca amministrazione delegante resta fornita di ampi poteri discre

II Foro Italiano — 1989.

zionali, nel rilascio delle autorizzazioni, in considerazione delle

esigenze di politica valutaria e monetaria devolute alla cura dei

supremi organi di governo del settore, invece le banche delegate

non hanno alcun potere discrezionale, sono soggette ad un rap

porto di supremazia speciale e devono sottostare alla puntuale osservanza delle norme emanate, tanto che «debbono declinare

tutte le operazioni sulle cui regolarità sostanziale agli effetti valu

tari sussistono fondati dubbi», anche se si tratta di operazioni rientranti nel novero di quelle autorizzate in via generale (cosid

dette «ad iniziativa»), come detta l'art. 11 della circolare dell'uf

ficio italiano cambi. Per completezza basti, quindi, rimarcare che esattamente il giu

dice a quo ha ritenuto, nel caso, che la firma del cosiddetto bene

stare bancario non fosse idonea a configurare quel potere di «firma

sociale», previsto dalla contrattazione collettiva di cui si è detto

per l'attribuzione della qualifica di funzionario. E ciò, avuto ri

guardo — conformemente a quanto già precisato in varie pro nunzie di questa Suprema corte sul punto — al duplice, assorbente

rilievo che trattasi di firma che è limitata ad una sola categoria di atti ed è, per sua natura, non negoziale (vedi sent. 1° marzo

1986, n. 1311, id., Rep. 1986, voce cit., n. 755; 11 marzo 1987,

n. 2551, cit.; 9 aprile 1987, n. 3523, id., Rep. 1987, voce cit.,

n. 819. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

II

Svolgimento del processo. — Fabrizio Montiani adiva il Preto

re di Siena con ricorso depositato il 6 dicembre 1983 con il quale,

esponendo, tra l'altro, che, assunto dal Monte dei Paschi di Sie

na in data 1° luglio 1974, nel 1975 era stato preposto all'ufficio

prestiti su pegno della filiale di Siena (nel 1976 era stato assunto

altro impiegato, che era il secondo nell'ufficio, nel cui organico

esisteva un terzo addetto, impiegato d'ordine), che egli periziava

l'oggetto offerto in pegno e decideva il prestito da accordare e

che stipulando e sottoscrivendo ogni giorno contratti di prestito su pegno aveva la facoltà di firma in via continuativa in rappre sentanza dell'istituto e, quindi, il diritto alla qualifica di funzio

nario ex art. 1, n. 1, ccnl per i funzionari delle aziende di credito

e finanziarie, chiedeva dichiararsi il suo diritto al conseguimento della qualifica di funzionario, grado settimo iniziale, da epoca da accertare e condannarsi il Monte dei Paschi di Siena alla rico

struzione della carriera e della posizione pensionistica, nonché al

la corresponsione in suo favore di tutte le differenze retributive

e degli emolumenti dovuti nei limiti della prescrizione quinquen

nale, con rivalutazione ed interessi.

Il Monte convenuto resisteva. Il pretore rigettava la domanda.

Proponeva appello il Montiani, cui resisteva l'appellato. Il Tribunale di Siena, con sentenza non definitiva 30 ottobre -

4 dicembre 1985, dichiarava che il Montiani aveva diritto al con

seguimento della qualifica di funzionario, grado settimo iniziale, a far data dal 1° gennaio 1976 con conseguente diritto alla rico

struzione della carriera e della posizione pensionistica, condanna

va il Monte dei Paschi di Siena a corrispondergli tutte le differenze

retributive a partire dal 4 novembre 1978 e disponeva con separa ta ordinanza consulenza tecnica d'ufficio al fine di accertare l'am

montare di tali differenze retributive.

Osservava (per quanto rileva ora) che funzionario (qualifica non prevista espressamente dal codice civile, v. art. 2095) di ban

ca, oltre ad altri casi espressamente previsti nei ccnl, è colui il

quale ha il potere di firma continuativa in rappresentanza dell'i

stituto. Cosi stabilisce anche lo statuto (art. 28) del Monte dei

Paschi di Siena. Riteneva che tale potere significa che il dipen dente (che tale potere si vede conferito) possa impegnare l'istituto

bancario contrattualmente nei confronti dei terzi. Riteneva, quin

di, di non condividere la posizione assunta dal giudice di primo

grado in primo luogo perché la firma apposta dal Montiani sulle

polizze di pegno suggella un vero e proprio contratto bancario

che impegna la banca con il cliente, previa autonoma scelta del

rappresentante dell'istituto e non può essere paragonata ad una

sottoscrizione apposta per quietanza da un cassiere. Osservava,

poi, che ciò che porta a non condividere la tesi del pretore è

la previsione normativa di cui all'art. 10, 2° comma, 1. 10 mag

gio 1938 n. 745 per la quale la polizza di pegno deve essere firma

ta o dal legale rappresentante del Monte oppure da un funzionario

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

all'uopo delegato dal consiglio e dal perito. Osservava che non

è tanto il termine «funzionario» (che a giudizio del pretore sareb

be stato adoperato fuori della sua accezione tecnica) quanto l'ac

costamento che la norma fa, circa il potere di firma, tra il

rappresentante legale dell'istituto e la persona delegata: se le po lizze devono essere firmate dal rappresentante dell'istituto, è chiaro

che con ciò si vuole impegnare direttamente l'istituto per cui la

stessa portata e funzione va riconosciuta alla firma del legato,

e, siccome è incontroverso che il Montiani ha tale potere di firma

in via continuativa, sembra chiaro che debba aver riconosciuta

la qualifica di funzionario, grado settimo, secondo la previsione del ccnl di categoria.

Ricorre avevrso tale sentenza il Monte dei Paschi di Siena con

un unico mezzo di annullamento. Il Montiani resiste con contro

ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione. — Il ricorrente denunzia violazione e

falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. nel nuovo testo, degli art.

1362 ss. in riferimento altresì all'art. 39 Cost., nonché all'art.

10 1. 10 maggio 1938 n. 745, carenza e contraddittorietà della

motivazione su un punto essenziale della controversia.

Deduce che l'esercizio in via continuativa del potere di firma

in rappresentanza dell'azienda, che è una delle mansioni proprie del funzionario secondo la contrattazione collettiva del settore, deve essere intesa nel senso dell'esercizio di un potere di rappre sentanza in via generale e continuativa, qualificandosi sostanzial

mente come un funzionario chi ha i poteri, ovvero esercita le

mansioni di un procuratore dell'istituto: tale non può considerar

si chi sottoscrive atti in nome e per conto dell'istituto, nell'ambi

to delle sue mansioni di ufficio ed esercita, in ipotesi, una attività

di rappreesentanza tecnica, limitata cioè all'espletamento delle man

sioni rispetto alle quali il potere di firma è strumentale, con rife

rimento di conseguenza a singoli atti. Deduce anche che il tribunale

non ha considerato che al Montiani non era stato conferito alcun

potere di rappresentanza dell'istituto, non ritenendosi che occor

resse uno specifico atto di delega per abilitarlo alla sottoscrizione

delle polizze di pegno, quanto tale facoltà era implicita nell'eser

cizio delle mansioni affidategli e si risolveva nella sottoscrizione

di singoli atti (sempre ed esclusivamente consistenti nelle polizze di pegno)

In ordine alla previsione normativa di cui all'art. 10, 2° com

ma, 1. 745/38 deduce che, fermo restando, e la sentenza lo ha

ammesso, che l'uso dell'espressione «funzionario», oltretutto ri

salente al lontano 1938, non può dirsi risolutivo, la previsione che una polizza sia firmata dal legale rappresentante o da un

suo delegato, se implica che la firma sia di rappresentanza, non

significa che con il relativo potere di firma, implicito nelle man

sioni di addetto all'ufficio operante nel settore, sia attribuito al

dipendente (a questo ed in questo senso soltanto delegato) il po tere di firma sociale in via continuativa.

Né la questione può ritenersi risolta in punto di merito dall'af

fermazione del tribunale secondo cui sarebbe incontroverso che

11 Montiani ha tale potere di firma in via continuativa, perché la frase va intesa nel senso, risultante dall'intero contesto della

motivazione, che il Montiani era addetto come estimatore all'uf

ficio che operava nel settore delle polizze su pegni e, pertanto, come addetto a quell'ufficio, firmava occasionalmente i singoli atti di polizza su pegno.

La corte ricorda che la qualifica di funzionario non è di origi ne legale (non essendo prevista dall'art. 2095 c.c.), ma è di deri

vazione contrattuale.

La contrattazione collettiva del settore, oltre i casi di conferi

mento espresso e di attribuzione connessa a preposizione ad agenzie di città, nonché a filiali il cui personale è costituito, oltre il capo, di almeno tre elementi, senza tenere conto del personale ausilia

rio, assegna la qualificazione di funzionario a coloro ai quali è

conferita la firma sociale in via continuativa, anche congiunta

mente, in rappresentanza dell'azienda (con le eccezioni indicate).

L'ipotesi che qui interessa è, appunto, quella della firma sociale.

AI riguardo va riscontrato che questa corte, quando ha dovuto

esaminare la nozione di firma caratterizzante le mansioni del fun

zionario di banca, ha ritenuto che tale firma implica la manife

stazione di un potere esercitato in via generale e continuativa (cfr.,

in tali sensi, Cass. 1921/77, Foro it., Rep. 1977, voce Lavoro

(rapporto), n. 315; 248/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 580;

5000/80, ibid., n. 567; 623/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 543; 3523/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 819): il che comporta che

Il Foro Italiano — 1989.

deve sussistere un potere di compiere in nome e per conto della

banca, ai vari livelli di competenza, gli atti pertinenti all'esercizio

dell'impresa di credito e che, quindi, la facoltà di firma che qui interessa non è identificabile con quella spettante per singoli e

predeterminati atti (ossia per una sola categoria di atti).

Pertanto, nella fattispecie, l'idoneità della firma inerente le po lizze di pegno a configurare quella firma sociale contrattualmente

necessaria per qualificare le mansioni del funzionario, doveva es

sere perciò valutata alla stregua di tale principio, tenendosi conto

che la firma delle polizze è pur sempre inerente ad una sola cate

goria di atti. L'interpretazione della norma contrattuale data dal

tribunale non è sorretta da sufficiente motivazione, oltre che ca

rente di adeguata ricerca della comune intenzione delle parti, se

condo il criterio logico-letterale, che porta a definire il contenuto

della facoltà di firma come delega dei poteri d'impresa del datore

di lavoro e perciò come manifestazione di un potere di rappresen tanza esercitato in via generale e continuativa verso i terzi, e non

per singoli atti.

La corte osserva, quindi, che va esaminata la questione se, nel

la fattispecie, possa esplicare influenza la norma di cui all'art.

10, 2° comma, 1. 10 maggio 1938 n. 745, che cosi dispone: «La

polizza di pegno, anche se contenga il nome, è al portatore e

deve essere firmata dal rappresentante legale del Monte, o da

un funzionario all'uopo delegato dal consiglio e dal perito». Oc

corre esaminare, quindi, se è configurabile l'attribuzione della qua lifica di funzionario fuori della previsione contrattuale.

A tale proposito, va fatto un primo rilievo e cioè che la legge

suddetta, intitolata «ordinamento dei monti di credito su pegno», contiene la disciplina, appunto, dei detti monti di credito e delle

operazioni dei crediti su pegno: non è, quindi, una normativa

in tema di qualifica del personale. Tale rilievo è di non trascurabile importanza. Va considerato,

infatti, in particolare, che la disposizione dell'art. 10, 2° comma, suddetto non contiene una definizione della figura del funziona

rio (né avrebbe potuto, data la materia oggetto della legge), ma

prevede che un determinato atto (polizza di pegno) deve essere

firmato dal rappresentante legale del Monte o da un funzionario

all'uopo delegato. Come ben vedesi, per ritenere che è funziona

rio chi firma la polizza occorrerebbe giungere a tale conclusione

per via indiretta, cioè muovendo dalla considerazione che la legge

prevede che la firma della polizza deve essere apposta (ove a ciò

non provveda il legale rappresentante del Monte) da un dipen dente con qualifica di «funzionario».

Tale locuzione, peraltro, non può avere valore risolutivo di per sé sola, ma deve essere valutata nell'ambito della complessiva e

sistematica considerazione della questione. Non va trascurato che l'esigenza a base della norma in questio

ne è, in effetti, quella che la firma della polizza, ove non apposta dal legale rappresentante dell'ente, venga apposta da un dipen dente qualificato. Questa lettura della norma (in relazione alla

locuzione «funzionario») consente di non ravvisare contrasto con

la previsione della contrattazione collettiva (alla cui autonomia

negoziale compete la determinazione dei requisiti necessari per

l'appartenenza alle varie categorie e per l'attribuzione delle sin

gole qualifiche), in tema di qualifica di funzionario. È da rilevare anche che la contrattazione collettiva, nell'indica

re chi sono i funzionari ed i requisiti per l'appartenenza alla rela

tiva categoria, non ricorda in alcun modo i dipendenti che firmano

le polizze di pegno. Né vale obiettare che l'indicazione è già con

tenuta nella 1. 745/38 in quanto — devesi ripetere in contrario — tale legge non detta norme in tema di qualifiche (dal che di

pende il valore del tutto relativo dell'indiretto argomento da essa

desumibile; a tal riguardo è stato anche visto qual è, in effetti,

l'esigenza di fondo che si voleva soddisfare con la locuzione ado

perata: «funzionario») non senza evidenziare che se la qualifica

di funzionario discendeva per chi firma le polizze di pegno dalla

1. 745/38, le parti sociali avrebbero, verosimilmente, ricordato

tale ipotesi, con espressioni richiamanti la medesima in una sorta

di ricognizione della previsione legale (la norma contrattuale ap

pare, viceversa, chiusa nel senso di non considerare la concreta

esistenza di ipotesi di qualifica di funzionario di derivazione legale).

Del resto la motivazione dell'impugnata sentenza è fondata non

sul termine (funzionario) usato dal legislatore (il tribunale dice

«Non è tanto il termine funzionario...», con ciò dimostrando,

in sostanza, di non ritenere possibile far derivare la qualifica dal

l'espressione usata), quanto sul potere di firma in via continuativa

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1915 PARTE PRIMA 1916

da esso ritenuto: ma al riguardo è agevole osservare, come già visto, che l'esercizio della facoltà di firma è indicativo di mansio ni di funzionario, soltanto quando abbia i caratteri della genera lità e della continuità, non quando è riferito ad un singolo atto, sia pure reiteratamente compiuto. L'affermazione del tribunale

che è incontroverso il potere del Mondani di firma in via conti

nuativa non supera la carenza del requisito della generalità, l'esi

genza cioè che la firma non sia limitata ad una sola categoria di atti, ma si riferisca ad un complesso di atti, a più categorie di essi.

Anche sotto tale profilo, l'impugnata sentenza, la cui motiva

zione non si palesa congrua, non può essere condivisa.

Il ricorso va, pertanto, accolto.

L'impugnata sentenza va cassata, con rinvio ad altro tribunale, che si designa in quello di Arezzo.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18 aprile 1988, n. 3061; Pres. Longo, Est. Rebuffat, P.M. Marinelli

(conci, conf.); Pallone c. Motta. Regolamento di competenza di ufficio.

Locazione — Legge 392/78 — Domanda di determinazione del

canone — Domanda di accertamento della nullità della clauso

la contrattuale sulla durata del rapporto — Contestualità —

Competenza per materia del pretore — Esclusione — Conse

guenze (Cod. proc. civ., art. 8, 10, 12, 31, 295; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art.

1, 26, 45, 79).

Qualora davanti al pretore investito della domanda di determina

zione del canone sia contestualmente proposta domanda di ac

certamento con efficacia di giudicato della nullità della clausola

contrattuale sulla durata del rapporto e della soggezione di que sto alla normativa imperativa della l. 392/78, tale seconda do

manda, ove ecceda i limiti di valore della competenza pretorile, deve essere rimessa al giudice superiore, mentre il pretore deve

trattenere la causa di determinazione del canone, sospendendo la ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (1)

II

PRETURA DI MONZA; sentenza 18 febbraio 1989; Giud. Fra

sca; Oliveri (Avv. Simonetta) c. Soc. Marcar (Avv. Di Pisa).

Locazione — Legge 392/78 — Domanda di determinazione del canone — Domanda di accertamento della nullità di clausole contrattuali contrarie alla normativa imperativa — Contestua lità — Competenza per materia del pretore (Cod. proc. civ., art. 8, 10, 12, 31, 295; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 1, 26, 43, 45, 79).

Ai sensi degli art. 43 ss. I. 392/78, nella competenza funzionale del pretore rientrano, ove proposte contestualmente alla do

manda di determinazione del canone di locazione e funzionali rispetto a questa, anche le domande di accertamento della nul

lità di clausole contrattuali relative alla misura del canone e di accertamento della soggezione del contratto alla normativa

imperativa della l. 392/78 (nella specie, il ricorrente aveva chie

sto la determinazione dell'«equo canone» dell'immobile godu to, previa declaratoria del carattere simulatorio del contratto «ad uso foresteria» stipulato dalla società di cui era ammini stratore unico). (2)

(1-2) In senso analogo a Cass. 3061/88, ma implicitamente e con ri

guardo alla contestuale proposizione di una domanda di accertamento dell'esistenza o meno rapporto di locazione, v. Cass. 25 novembre 1988, n. 6342, Foro it., Mass., 947, che precisa che ai fini della richiesta di

Il Foro Italiano — 1989.

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 3 ottobre 1984

al Pretore di Acireale, Salvatore Pallone esponeva: di condurre

in locazione dal 1° giugno 1983, per il canone di lire 350.000 al mese, un appartamento sito in Acicastello, in via Nazionale,

32, concessogli, secondo una scrittura privata che produceva, per

esigenze transitorie (a norma dell'art. 26, 2° comma, 1. 27 luglio 1978 n. 392) e dunque per un solo anno, ma che in realtà aveva

costituito e costituiva la sua residenza; che la detta clausola fitti

zia gli era stata imposta dalla locatrice, Tania Motta, all'unico

scopo di eludere le norme di determinazione legale del canone; che il Pretore di Catania, adito il 30 settembre 1983, con ordi

nanza del 27 luglio 1984 si era dichiarato incompetente per terri

torio, indicando come competente il Pretore di Arcireale. Tanto

accertamento con valore di giudicato non sono necessarie formule specia li, ma sono sufficienti anche comportamenti concludenti. A tale ultimo

riguardo, v., anche, Cass. 26 marzo 1986, n. 2157, id., Rep. 1986, voce

Competenza civile, n. 78 e 21 dicembre 1983, n. 7534, id., Rep. 1983, voce cit., 124.

Il principio espresso nella massima tratta dalla pronunzia della Cassa zione è posto quale conseguenza del fatto che, in materia di locazioni di immobili urbani, la domanda di determinazione del canone rientra, ratione materiae, nella competenza del pretore mentre la domanda di ac certamento della durata del rapporto e della sua soggezione alla normati va imperativa della 1. 392/78 è retta invece dagli ordinari criteri di

competenza per valore e non presenta rispetto alla prima carattere ac cessorio.

Che le controversie per finita locazione sono rette dagli ordinari criteri di competenza per valore costituisce ormai ius receptum: v. Cass. 24 no vembre 1982, n. 6362, id., 1983, I, 335, con nota di richiami di D. Piom

bo; 21 agosto 1985, n. 4470, id., 1986, I, 2266, con ulteriori richiami; nonché Cass. 28 marzo 1986, n. 2209, id., Rep. 1986, voce Locazione, n. 743; 24 settembre 1986, n. 5735, ibid., n. 732; 27 febbraio 1987, n.

2113, id., Rep. 1987, voce cit., n. 488. In particolare, nel senso che dagli ordinari criteri di competenza per

valore sono rette anche le controversie di mero accertamento della durata del rapporto e della disciplina ad esso applicabile ed in genere del conte nuto negoziale e delie sue pattuizioni, v. Cass. 27 febbraio 1985, n. 1723, id., Rep. 1985, voce cit., n. 266; 18 dicembre 1987, n. 9435, id., Rep. 1987, voce Competenza civile, n. 79.

Il principio affermato dalla pronunzia del Pretore di Monza si pone su di un opposto versante interpretativo ed è essenzialmente fondato sul rilievo che, in base ad un diverso orientamento, verrebbero ad essere del tutto frustrate le finalità perseguite dal legislatore attraverso la previsione della competenza per materia e del rito speciale c.d. «locativo» per la causa di determinazione del canone. È da rimarcare che la stessa pronun zia puntualizza in modo esplicito che, ove autonomamente proposta, la domanda di accertamento della nullità di una clausola contrattuale con traria alla normativa imperativa della 1. 392/78 è retta dagli ordinari cri teri di competenza per valore.

Sulle azioni esperibili in caso di errore nella individuazione dei parame tri per la determinazione del canone previsti dagli art. 12 - 24 1. 392/78 e relativi criteri di competenza, v. Trib. Torino 19 febbraio 1987, id., 1987, I, 1312, con nota di richiami anche in tema di competenza sulle domande di annullamento del contratto di locazione per vizio del consen so ex art. 1427 c.c. e di rettifica del canone ex art. 1430 c.c.

Sulle controversie sulla determinazione del canone, con particolare ri

guardo alla natura del tentativo obbligatorio di conciliazione, v. Pret. Foggia 19 giugno 1987, id., 1988, I, 304, con nota di richiami.

In dottrina, per un'approfondita analisi della disorganicità dei criteri di competenza e di rito in materia locatizia ed i suoi negativi riflessi, v. G. Costantino, Controversie in materia di locazione di immobili ur

bani, voce del Novissimo digesto, appendice, 1981, 728, spec., 759, ss., e osservazioni a Cass. 11 febbraio 1982, n. 839, in Foro it., 1982, I, 1955; nonché A. Proto Pisani, Rapporti tra competenza, rito e merito nella legge n. 392 del 1978 (e nel rito speciale del lavoro), id., 1981, V, 185; Id., (Andrioli, C.M. Barone, G. Pezzano), Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 177 ss. In tema v., altresì:

Poggeschi, Aspetti processuali della nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, 767; e, con specifi co riguardo ai rapporti tra domanda di risoluzione per morosità e do manda di determinazione del canone, Consolo, Determinazione del canone locativo e risoluzione per morosità: è davvero inevitabile alla stregua de

gli art. 34 e 31 c.p.c. la biforcazione del processo e la sospensione neces saria del giudizio sulla risoluzione (nota a Cass. 11 febbraio 1982, n.

839), in Giur. it., 1982, I, 1, 637; C.M. Cea, I procedimenti locativi, in Foro it., 1985, V, 357, § 7; Garbagnati, Effetti sulla competenza della domanda riconvenzionale di terminazione del canone, in Giur. it., 1985, I, 1, 1128.

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