sezione lavoro; sentenza 28 aprile 1988, n. 3218; Pres. Nocella, Est. D'Alberto, P.M. Benanti(concl. conf.); Iogna Prat (Avv. Guidi, Slavich) c. Credito italiano (Avv. Ielpo, Volli, Florio).Conferma Trib. Trieste 28 febbraio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1907/1908-1915/1916Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184047 .
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1907 PARTE PRIMA 1908
tale diritto — con la morte di lui — non poteva non trasmettersi
alle sue eredi.
L'eccezione sollevata in giudizio in forza delle clausole di «in
trasmissibilità» del diritto agli eredi non aveva altra funzione che
quella di negare alle donne di far valere un diritto.
È evidente che «la clausola» limitativa della responsabilità pa
trimoniale della società assicuratrice per un fatto estraneo (al dan
no) all'oggetto del contratto ed inserito nelle condizioni generali
di polizza (assicurativa) alterava il normale equilibrio contrattua
le a vantaggio dell'assicuratrice anche se visto nella sola conve
nienza di sottrarsi all'immediata esecuzione della prestazione in
attesa fiduciosa del verificarsi dell'evento causativo dell'estinzio
ne della sua obbligazione giuridica. Sicché tale «clausola», onerosa nel senso che, modificando la
comune disciplina contrattuale, avvantaggiava la condizione del
predisponente in danno della parte assicurativa e dei suoi eredi,
non poteva sottrarsi all'imperativo del 2° comma dell'art. 1341
c.c., che ne subordina l'efficacia all'approvazione specifica per
iscritto.
La sentenza, pertanto, va cassata e la causa va rimessa alla
Corte d'appello di Bologna per il riesame dei fatti alla stregua
del seguente principio: «la clausola, inserita nelle condizioni ge
nerali di polizza assicurativa, con la quale si esclude che il diritto
all'indennità per invalidità permanente dell'assicurato sia trasmis
sibile agli eredi, dev'essere specificamente approvata per iscritto,
giacché essa non prevede un limite del "danno" afferente all'og
getto del contratto, ma una limitazione della responsabilità patri
moniale dell'assicuratore per un evento (morte dell'assicurato)
estraneo all'indicato oggetto».
L'accoglimento dei primi due motivi del ricorso induce a rite
nere e a dichiarare assorbito il terzo, la cui doglianza investe la
pretesa falsa interpretazione della intera clausola 17 della polizza.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 28 aprile
1988, n. 3218; Pres. Nocella, Est. D'Alberto, P.M. Benanti
(conci, conf.); Iogna Prat (Avv. Guidi, Slavich) c. Credito
italiano (Avv. Ielpo, Volli, Florio). Conferma Trib. Trieste
28 febbraio 1985.
Lavoro (rapporto) — Categorie e qualifiche — Funzionario di
banca — Sottoscrizione di «benestare bancari» — Poteri di fir
ma in via continuativa — Insussistenza (Cod. civ., art. 1362,
2095, 2103).
È correttamente motivata la sentenza del giudice di merito che
abbia escluso il diritto di un impiegato bancario ad essere in
quadrato nella categoria dei funzionari (con riferimento alla
declaratoria contrattuale delle banche aderenti all'Assicredito),
negando che la pur prevalente adibizione al rilascio dei «bene
stare■» bancari potesse integrare il presupposto della facoltà di
firma sociale in via continuativa. (1)
(1-2) Le decisioni, per porre in dubbio la conclusione attinta dal giudi ce di merito, fanno leva su due affermazioni ampiamente accreditate nel
la giurisprudenza di legittimità: a) quella secondo cui non possono essere
dati formali intrinseci a connotarne l'appartenenza alla categoria di fun
zionario di un'azienda di credito (nel caso di Cass. 9226/87 si trattava
della definizione contenuta nell'art. 10 1. 745/38 sull'ordinamento dei monti
di credito su pegno); b) l'altra alla cui stregua al medesimo scopo è indi
spensabile il conferimento dei poteri di firma in via continuativa e non
poteri limitati alla sottoscrizione di singoli atti o categorie di atti.
In senso conforme, in particolare con riferimento all'affermazione rias
sunta sub b), da ultimo, Cass. 11 marzo 1987, n. 2551, Foro it., Rep. 1987, n. 799 (e in Orient, giur. lav., 1987, 341); 9 aprile 1987, n. 3523, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 819 menzionate in motivazione, ambe
due, in conformità a Cass. 3218/88, nel senso di escludere che la sotto
scrizione del «benestare bancario» possa integrare gli estremi della
concessione dei poteri di firma in via continuativa; 20 agosto 1987, n.
6968, ibid., n. 795; 26 agosto 1987, nn. 7032, 7135, ibid., nn. 796, 797; 5 novembre 1987, n. 8145, ibid., n. 817, che ha ritenuto spettare la quali
1l Foro Italiano — 1989.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 dicem
bre 1987, n. 9226; Pres. Menichino, Est. Aliberti, P.M. Tri
dico (conci, diff.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Scognamiglio) c. Mondani (Avv. Marucchi, Comporti). Cas
sa Trib. Siena 4 dicembre 1985.
Lavoro (rapporto) — Categorie e qualifiche — Funzionario di
banca — Sottoscrizione di polizze di pegni — Poteri di firma
in via continuativa — Insussistenza (Cost., art. 39; cod. civ.,
art. 2095, 2103; 1. 10 maggio 1938 n. 745, ordinamento dei
monti di credito su pegno, art. 10).
Erra il giudice di merito che abbia ritenuto spettare ad un impie
gato bancario il diritto all'inquadramento nella categoria dei
funzionari (sulla base della declaratoria contrattuale delle ban
che che aderiscono all'Assicredito) fondando prevalentemente
il proprio convincimento sul potere conferito al medesimo di
sottoscrivere le polizze di pegno in collegamento con la previ
sione di cui all'art. 10 I. 745/38, secondo cui queste ultime
devono essere sottoscritte dal legale rappresentante del monte
di pegno, ovvero dal funzionario delegato, senza considerare
che comunque la firma delle polizze è pur sempre inerente ad
una sola categoria di atti (e quindi non vi è conferimento di
poteri di firma in via continuativa) e che la legge invocata non
ha valore risolutivo, essendo la categoria dei funzionari auto
nomamente creata dalla contrattazione collettiva. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 10 set
tembre 1981, Ivo Iogna Prat conveniva davanti al Pretore di Trieste
il Credito italiano s.p.a., alle cui dipendenze assumeva di lavora
re dal 1° settembre 1967 con la qualifica di impiegato di prima
categoria, instando affinché, in considerazione della sua addizio
ne a mansioni comportanti in via continuativa la facoltà di firma
sociale in rappresentanza della banca, concretantesi nell'espleta
mento di una complessa attività finalizzata al rilascio dei cosid
detti «benestare» bancari, venisse accertato e dichiarato il suo
fica di funzionario al responsabile della sezione pegni di un istituto di
credito alla stregua della previsione dell'art. 10 1. 745/38; 1° agosto 1986,
n. 492, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 750 (e in Notiziario
giur. lav., 1987, 36), secondo cui non è sufficiente che il lavoratore abbia
«contatti esterni con terzi», ma occorre il conferimento di poteri di rap
presentanza (nel caso viene escluso il diritto alla qualifica di funzionario
per l'impiegato che era l'unico responsabile della contabilità); 12 giugno
1986, n. 3923, 28 maggio 1986, n. 3612, 1° marzo 1986, n. 1311, Foro
it., Rep. 1986, voce cit., nn. 751, 752, 755; 1° marzo 1985, n. 1757,
id., 1986, I, 1040, con nota di Carriero, Brevi note sul funzionario di
aziende di credito, nella quale si esclude che l'esercizio di fatto della fa
coltà di firma sociale al di là dei limiti consentiti nell'atto di delega possa determinare il diritto alla promozione. V. altresì Cass. 8 febbraio 1988, n. 1353 (Orient, giur. lav., 1988, 346) che esclude la rilevanza allo scopo la sigla apposta sui documenti aziendali ai fini dell'identificazione del
dipendente cui è affidata la pratica; 28 aprile 1988, n. 3219 (ibid., 701), che ha escluso il diritto alla qualifica di funzionario nei confronti di un
cassiere con facoltà di firma delle operazioni di pagamento per mezzo
della stanza di compensazione presso la Banca d'Italia.
Nella prospettiva riassunta sub a), v. Cass. 7 luglio 1987, n. 5911 (Foro
it., Rep. 1987, voce cit., n. 798, che ha ritenuto irrilevante, al di fuori
dell'esercizio in concreto delle relative mansioni, un mero confronto con
la posizione di altri lavoratori cui era attribuita la qualifica di funziona
rio; Cass. 27 novembre 1987, n. 8834, Notiziario giur. lav., 1988, 171, secondo cui l'esercizio continuativo di firma sociale non è rinvenibile ove
il lavoratore eserciti tale incombenza in assenza momentanea del direttore
di filiale o anche in sua presenza pur se non via sia sostituzione integrale del responsabile in tutte le funzioni direttive, di coordinamento e di con
trollo (la decisione ha cassato Trib. Firenze 2 aprile 1985, Foro it., Rep.
1986, voce cit., n. 757 e in Giur. it., 1986, I, 2, 162). In dottrina, v., da ultimo, F. Liso, Inquadramento, qualifiche, man
sioni, in Problemi giuridici del lavoro bancario (a cura di O. Mazzotta),
Padova, 1987, 47 (ed ivi, 73 v. altresì: Conti, / funzionari e le aziende di credito e la legge 13 maggio 1985 n. 190), Colecchia, Il funzionario di banca nella più recente giurisprudenza della Corte di cassazione. Ulte
riori prospettive, in Giur. it., 1987, 1, 1; 859; Chericoni, La promozione a funzionario nelle aziende di credito, in Lavoro e prev., 1987, 1615.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
diritto ad essere inquadrato, con decorrenza gennaio 1976, nella
superiore categoria di funzionario e fosse ricostruita la carriera
con il pagamento anche delle differenze retributive.
In subordine l'attore chiedeva che venisse riconosciuto il pro
prio diritto al grado di capo-ufficio o vice capo-ufficio, con con
seguente condanna dell'istituto convenuto ad effettuare il relativo
inquadramento ed a pagare le differenze retributive provvisoria mente quantificate in lire 3.500.000, con interessi legali e rivalu
tazione.
Ritualmente costituitosi, il Credito italiano resisteva all'avversa
domanda e ne chiedeva l'integrale rigetto, deducendo che le man
sioni espletate dall'attore, peraltro non in via continuativa e pre valente sulle altre a lui istituzionalmente attribuite, dirette al rilascio
del benestare bancario, non avevano carattere negoziale, né com
portavano esercizio alcuno di autonomia e discrezionalità e non
implicavano alcun potere di firma sociale in rappresentanza della
banca onde esse non potevano essere in alcun modo ricondotte
alla superiore categoria di funzionario, cosi come disciplinata e
prevista dalla contrattazione collettiva del settore.
Esauritasi la fase istruttoria con l'interrogatorio libero delle parti e l'assunzione di testimoni, il pretore rigettava la domanda.
Con ricorso depositato il 22 aprile 1983 Iogna Prat impugnava la sentenza del pretore, deducendo: 1) il requisito della generalità
degli atti oggetto del potere di firma sociale non può essere inteso
in senso assoluto ed assorbente; se, infatti, è incontestabile che
tale potere-dovere è conferito in relazione ad una pluralità inde
terminata di atti, essa non è di certo qualitativa, bensì' solo quan
titativa; 2) il requisito predetto esprime piuttosto l'attributo della
continuità, riferito alla facoltà di firma che comporta stabile le
gittimazione al compimento di una serie indeterminata di atti e
non facoltà attribuita in via eccezionale o episodica ma stabil
mente; 3) l'aggettivo «sociale» non può essere riferito a tutti gli atti rientranti nell'oggetto della società, ma rappresenta una sem
plice anticipazione del concetto di rappresentanza che deve, ap
punto, essere sociale cioè riguardare la società bancaria; 4) il
requisito fondamentale risiede nell'essere la firma sociale conferi
ta in rappresentanza dell'azienda ed utilizzata nei rapporti esterni
per il compimento di atti giuridici coinvolgenti la volontà e la
responsabilità della banca; 5) è di tutta evidenza la decisiva im
portanza che il benestare bancario assume nel sistema valutario,
essendo questo il documento attraverso il quale sono consentite
alle dogane determinate operazioni; 6) la prevalente giurispruden za individua nel benestare bancario un'autorizzazione ammini
strativa in senso tecnico, vale a dire un atto di volontà negoziale
della pubblica amministrazione; 7) né va sottovalutato che l'erra
ta o fraudolenta emissione del benestare bancario implica una
serie di responsabilità di ordine penale e amministrativo; 8) il
benestare, oltre che avere natura di atto autorizzatorio, ha natura
di atto negoziale, non potendosi qualificare mero atto della pub
blica amministrazione, bensì atto amministrativo produttivo di
conseguenze giuridiche, sia nei confronti dei terzi, sia nei con
fronti della stessa pubblica amministrazione di cui la banca era
agente; 9) in conseguenza di tutto quanto affermato, il pretore
erroneamente non ha ritenuto che la concessione della facoltà
di firma dei benestare bancari implica un conferimento di firma
sociale in rappresentanza della azienda, e, a norma dell'art. 2
punto 1 del ccnl, attribuisce al dipendente, il quale eserciti il cor
relato potere, la qualifica di funzionario; 10) contrariamente a
quanto sostenuto dal pretore, il benestare bancario implica auto
nomia, valutazioni discrezionali ed assunzione di responsabilità.
Si costituiva anche nel giudizio di appello il Credito italiano,
deducendo l'infondatezza dei motivi del gravame, del quale chie
deva il rigetto. Con sentenza 6 dicembre 1984-28 febbraio 1985 il Tribunale
di Trieste rigettava l'appello e confermava integralmente la deci
sione di primo grado. Contro questa pronuncia Ivo Iogna Prat ha proposto ricorso
per cassazione affidato ad un motivo, oltre che alle stesse ragioni
già dedotte nell'atto di appello. Il Credito italiano ha proposto
controricorso le cui ragioni ha illustrato anche con memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di ricorso si
addebitano alla sentenza impugnata violazione e falsa applicazio
ne delle regole di ermeneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c.),
contraddittorietà logico-giuridica della motivazione, travisamento
ed erronea interpretazione di circostanze determinanti ai fini del
la soluzione della controversia, «violazione e falsa applicazione
Il Foro Italiano — 1989.
di legge con riferimento alla 1. 786/56, d.p.r. 43/72 1. 159/76,
nonché successive modifiche e norme d'integrazione» (il tutto al
la stregua dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). A sostegno delle censure enunciate in tali termini il ricorrente
— trascritto il principio di diritto a tenore del quale nell'interpre tazione del contratto collettivo di lavoro «la comune volontà del
le parti deve essere seguita... in funzione di ciò che nelle clausole
contrattuali appare obiettivamente voluto, sicché l'elemento lette
rale... è il primo e fondamentale criterio per indagare quale sia
stata la comune intenzione... con la conseguente preclusione del
ricorso ad altri criteri ermeneutici quando d'individuazione di es
sa sia consentita da espressioni testuali sufficientemente chiare,
precise ed adeguate» — afferma che siffatto criterio vale per la
declaratoria del ccnl applicabile nel caso e di cui all'art. 2, n.
1; nella quale, soggiunge, è stabilita che «sono funzionari coloro
ai quali è conferita la facoltà di firma sociale in via continuativa — anche congiuntamente — in rappresentanza dell'azienda, con
le eccezioni di (...) coloro ai quali è conferita la facoltà di firma
per quietanze e girate dei recapiti di cassa e delle cambiali, non
ché dei preposti a filiali con non più di due dipendenti». Oltre a ribadire quanto già dedotto nell'atto di appello nei ter
mini cennati nella normativa che precede, insiste il ricorrente,
infine, nel vantare il diritto all'inquadramento nella superiore qua
lifica di funzionario, avendo egli svolto di fatto le mansioni cor
relate all'esercizio del potere di firma dei «benestare bancari
Export-Import», in modo continuativo, sin dal gennaio 1976, e
cioè, a suo dire, funzioni che «per le loro caratteristiche formali
e sostanziali implicano la facoltà di firma sociale in rappresen tanza dell'azienda cosi come richiesto dal ccnl applicato al
rapporto». Il Credito italiano ha dedotto preliminarmente nel controricor
so la inammissibilità dell'impugnazione proposta ex adverso, rile
vando che nel ricorso sono stati trascritti testualmente i motivi
di appello. Ciò posto, il collegio osserva che il ricorso non merita accogli
mento e che si appalesano certo inammissibili le censure concer
nenti le denunciate violazioni dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale, perché generiche ed enunciate nei termini surriferiti
solo nella rubrica dei «motivi» preannunciati nel ricorso stesso,
in guisa da non consentire d'intendere il significato e la portata delle censure medesime, come di quelle, parimenti mancanti del
prescritto requisito delle specificità (art. 366, n. 4, c.p.c.), relati
ve agli adombrati difetti di attività (ex art. 360, n. 5, c.p.c.).
Giova porre in risalto, comunque, che il tribunale, a confuta
zione di quanto tuttavia assunto da Ivo Iogna Prated a sostegno della sua pronuncia di rigetto dell'appello proposto dallo stesso
lavoratore, ha, tra l'altro, osservato: che alla stregua del tenore
letterale della disposizione contrattuale collettiva (ossia dell'art.
2 del ccnl 18 febbraio 1974 per il personale direttivo delle aziende
di credito e finanziarie, sostanzialmente riprodotto nei successivi
contratti), il funzionario di banca si caratterizza per l'attribuzio
ne, non di un qualsiasi potere di firma, bensì della facoltà di
firma sociale, quale manifestazione di una rappresentanza nego
ziale presso terzi di carattere generale e continuativo; che le man
sioni svolte in concreto dall'appellante, il quale era stato adibito
dal gennaio 1976, in via prevalente, al rilascio dei benestare ban
cari non erano tali, come esattamente ritenuto dal pretore, da
comportare l'attribuzione della qualifica di funzionario; che ap
pariva evidente la differenza tra la legittimazione rappresentativa
del funzionario cui fosse stata conferita formalmente la facoltà
di firma sociale, generale ed in via continuativa in rappresentan
za della banca e quella dell'impiegato cui fosse stato affidato il
compito di firmare, apponendovi il «visto in calce», il benestare
bancario, all'esito dei controlli previsti dalla disciplina valutaria,
e cioè un compito assegnato al dipendente con un semplice ordi
ne di servizio della direzione della filiale dell'istituto di credito,
«non legittimata per statuto alla nomina di funzionario o al con
ferimento della facoltà di firma con le suddette caratteristiche»;
che, giusta l'acquisito parere dell'ufficio italiano cambi in data
11 gennaio 1983, il detto benestare ha una funzione meramente
attestativa di un eseguito controllo di legittimità nell'ambito dei
poteri-doveri della banca alla stregua della normativa valutaria
in materia e delle circolari dello stesso ufficio italiano cambi,
dalle quali risulta evidente che negli adempimenti richiesti per
il rilascio dei benestare la banca non è dotata di alcuna di
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PARTE PRIMA 1912
screzionalità amministrativa; che, infatti, il benestare bancario è
il documento rilasciato dalla Banca d'Italia, o dalle aziende di
credito autorizzate a fungere da agenzia di questa, il quale deve
accompagnare le merci in importazione ed esportazione e che co
stituisce la prova della regolarità valutaria del rapporto commer
ciale per cui è rilasciato (cfr. art. 1 d.m. 12 marzo 1981); che
il contenuto dei moduli di benestare bancario è però stabilito con
decreto ministeriale e comprende le seguenti indicazioni: banca
intermediaria, parti commerciali, autorizzazioni e certificazioni
preliminari, termini di validità del benestare e regolamento delle
merci, operazioni doganali eseguite; che il rilascio del benestare
è subordinato alla verifica dell'esistenza di tutte le condizioni sta
bilite per l'operazione commerciale con l'estero ed è obbligatorio
quando l'addetto al servizio ne accerti tale corrispondenza, men
tre, nel caso contrario, la pratica deve essere inviata all'ufficio
estero della banca, che ne cura la trasmissione all'ufficio italiano
cambi, cosicché, nel caso di eventuali dubbi, la banca non ha
alcuna facoltà di dirimerli; che è evidente, dunque, come il rila
scio del benestare bancario, lungi dal costituire esercizio di poteri di ampia discrezionalità e di rappresentanza generale e continua
tiva dell'istituto di credito delegato dalla Banca d'Italia, si risolva
in una autorizzazione dichiarativa o — conformemente alla pre valente giurisprudenza
— in un atto amministrativo volontario
di conoscenza, privo di contenuto negoziale, avente quale punto di riferimento una attestazione su ciò che forma oggetto di un
accertamento semplice, ovvero di un «visto» (od anche di una
serie di visti) «certificante che l'operazione commerciale è con
forme alle prescrizioni legislative e ministeriali in materia di im
portazione ed esportazione della merce, ponendosi come
un'attenzione dell'avvenuto controllo di atti singoli, secondo la
competenza specifica dell'impiegato addetto al servizio».
Emerge da quanto precede che il Tribunale di Trieste nel riget
tare l'appello proposto dal ricorrente si è correttamente informa
to al consolidato indirizzo giurisprudenziale, espresso, nella
soggetta materia, da questa Suprema corte e dal quale non sussi
ste ragione di dissentire.
È appena il caso di ricordare, infatti, il principio per il quale nella contrattazione collettiva del settore delle aziende di credito
e finanziarie, la figura del «funzionario» di banca, di esclusiva
origine contrattuale, collocata in posizione inferiore rispetto al
dirigente, ma ricompresa anch'essa nell'ambito del personale di
rettivo, distinto da quello impiegatizio, è caratterizzata, in fuori
della particolare ipotesi di investitura formale della qualifica o
della preposizione ad agenzie di città o di filiali con un determi
nato organico di personale dalla «facoltà di firma sociale», cioè
dal conferimento, da parte del datore di lavoro, di un potere di rappresentanza, da esercitarsi anche congiuntamente, in via ge nerale e continuativa nel nome e per conto della banca, in rela
zione a mansioni che comportano il compimento, ai vari livelli
di competenza e nei limiti statutari, di atti di contenuto gestiona le pertinenti all'esercizio dell'impresa. Ove, invece, la facoltà di
firma sia attribuita rispetto a predeterminati singoli atti ed opera
zioni, che rientrano nei limiti delle specifiche mansioni impiegati zie assegnate al dipendente e che di esse costituiscono il necessario
completamento, deve negarsi che possa individuarsi la figura del
funzionario (cfr. sent. 13 maggio 1977, n. 1921, Foro it., Rep.
1977, voce Lavoro (rapporto), n. 315; 10 gennaio 1979, n. 167,
id., Rep. 1979, voce cit., n. 338; 11 gennaio 1980, n. 248, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 580; 29 agosto 1980, n. 5000, ibid., n.
567; 4 settembre 1981, n. 5050, id., Rep. 1981, voce cit., n. 447; 2 febbraio 1982, n. 623, id., Rep. 1982, voce cit., n. 543; 25
luglio 1984, n. 4376, id., Rep. 1984, voce cit., n. 513; 1° marzo
1985, n. 1757, id., Rep. 1985, voce cit., n. 706; 25 marzo 1986, n. 2126, id., Rep. 1986, voce cit., n. 868; 28 maggio 1986, n.
3612, ibid., n. 752; 1° agosto 1986, n. 4942, ibid., n. 750; 11 marzo 1987, n. 2551, id., Rep. 1987, voce cit., n. 789).
Quanto alla specifica questione concernente la natura giuridica del «benestare bancario», poi, non appare frustraneo osservare
che, come fondatamente si deduce nel controricorso e nella me
moria da parte del resistente Credito italiano, le sezioni unite di
questa Suprema corte hanno statuito, con sent. 21 ottobre 1983, n. 6177 (id., 1984, I, 129, in motivazione), che tale «benestare
costituisce attestazione della conformità dell'operazione alle nor
me valutarie». E tale statuizione scaturisce, invero, dal rilievo
contenuto della detta sentenza, secondo il quale mentre la pubbli ca amministrazione delegante resta fornita di ampi poteri discre
II Foro Italiano — 1989.
zionali, nel rilascio delle autorizzazioni, in considerazione delle
esigenze di politica valutaria e monetaria devolute alla cura dei
supremi organi di governo del settore, invece le banche delegate
non hanno alcun potere discrezionale, sono soggette ad un rap
porto di supremazia speciale e devono sottostare alla puntuale osservanza delle norme emanate, tanto che «debbono declinare
tutte le operazioni sulle cui regolarità sostanziale agli effetti valu
tari sussistono fondati dubbi», anche se si tratta di operazioni rientranti nel novero di quelle autorizzate in via generale (cosid
dette «ad iniziativa»), come detta l'art. 11 della circolare dell'uf
ficio italiano cambi. Per completezza basti, quindi, rimarcare che esattamente il giu
dice a quo ha ritenuto, nel caso, che la firma del cosiddetto bene
stare bancario non fosse idonea a configurare quel potere di «firma
sociale», previsto dalla contrattazione collettiva di cui si è detto
per l'attribuzione della qualifica di funzionario. E ciò, avuto ri
guardo — conformemente a quanto già precisato in varie pro nunzie di questa Suprema corte sul punto — al duplice, assorbente
rilievo che trattasi di firma che è limitata ad una sola categoria di atti ed è, per sua natura, non negoziale (vedi sent. 1° marzo
1986, n. 1311, id., Rep. 1986, voce cit., n. 755; 11 marzo 1987,
n. 2551, cit.; 9 aprile 1987, n. 3523, id., Rep. 1987, voce cit.,
n. 819. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
II
Svolgimento del processo. — Fabrizio Montiani adiva il Preto
re di Siena con ricorso depositato il 6 dicembre 1983 con il quale,
esponendo, tra l'altro, che, assunto dal Monte dei Paschi di Sie
na in data 1° luglio 1974, nel 1975 era stato preposto all'ufficio
prestiti su pegno della filiale di Siena (nel 1976 era stato assunto
altro impiegato, che era il secondo nell'ufficio, nel cui organico
esisteva un terzo addetto, impiegato d'ordine), che egli periziava
l'oggetto offerto in pegno e decideva il prestito da accordare e
che stipulando e sottoscrivendo ogni giorno contratti di prestito su pegno aveva la facoltà di firma in via continuativa in rappre sentanza dell'istituto e, quindi, il diritto alla qualifica di funzio
nario ex art. 1, n. 1, ccnl per i funzionari delle aziende di credito
e finanziarie, chiedeva dichiararsi il suo diritto al conseguimento della qualifica di funzionario, grado settimo iniziale, da epoca da accertare e condannarsi il Monte dei Paschi di Siena alla rico
struzione della carriera e della posizione pensionistica, nonché al
la corresponsione in suo favore di tutte le differenze retributive
e degli emolumenti dovuti nei limiti della prescrizione quinquen
nale, con rivalutazione ed interessi.
Il Monte convenuto resisteva. Il pretore rigettava la domanda.
Proponeva appello il Montiani, cui resisteva l'appellato. Il Tribunale di Siena, con sentenza non definitiva 30 ottobre -
4 dicembre 1985, dichiarava che il Montiani aveva diritto al con
seguimento della qualifica di funzionario, grado settimo iniziale, a far data dal 1° gennaio 1976 con conseguente diritto alla rico
struzione della carriera e della posizione pensionistica, condanna
va il Monte dei Paschi di Siena a corrispondergli tutte le differenze
retributive a partire dal 4 novembre 1978 e disponeva con separa ta ordinanza consulenza tecnica d'ufficio al fine di accertare l'am
montare di tali differenze retributive.
Osservava (per quanto rileva ora) che funzionario (qualifica non prevista espressamente dal codice civile, v. art. 2095) di ban
ca, oltre ad altri casi espressamente previsti nei ccnl, è colui il
quale ha il potere di firma continuativa in rappresentanza dell'i
stituto. Cosi stabilisce anche lo statuto (art. 28) del Monte dei
Paschi di Siena. Riteneva che tale potere significa che il dipen dente (che tale potere si vede conferito) possa impegnare l'istituto
bancario contrattualmente nei confronti dei terzi. Riteneva, quin
di, di non condividere la posizione assunta dal giudice di primo
grado in primo luogo perché la firma apposta dal Montiani sulle
polizze di pegno suggella un vero e proprio contratto bancario
che impegna la banca con il cliente, previa autonoma scelta del
rappresentante dell'istituto e non può essere paragonata ad una
sottoscrizione apposta per quietanza da un cassiere. Osservava,
poi, che ciò che porta a non condividere la tesi del pretore è
la previsione normativa di cui all'art. 10, 2° comma, 1. 10 mag
gio 1938 n. 745 per la quale la polizza di pegno deve essere firma
ta o dal legale rappresentante del Monte oppure da un funzionario
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
all'uopo delegato dal consiglio e dal perito. Osservava che non
è tanto il termine «funzionario» (che a giudizio del pretore sareb
be stato adoperato fuori della sua accezione tecnica) quanto l'ac
costamento che la norma fa, circa il potere di firma, tra il
rappresentante legale dell'istituto e la persona delegata: se le po lizze devono essere firmate dal rappresentante dell'istituto, è chiaro
che con ciò si vuole impegnare direttamente l'istituto per cui la
stessa portata e funzione va riconosciuta alla firma del legato,
e, siccome è incontroverso che il Montiani ha tale potere di firma
in via continuativa, sembra chiaro che debba aver riconosciuta
la qualifica di funzionario, grado settimo, secondo la previsione del ccnl di categoria.
Ricorre avevrso tale sentenza il Monte dei Paschi di Siena con
un unico mezzo di annullamento. Il Montiani resiste con contro
ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione. — Il ricorrente denunzia violazione e
falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. nel nuovo testo, degli art.
1362 ss. in riferimento altresì all'art. 39 Cost., nonché all'art.
10 1. 10 maggio 1938 n. 745, carenza e contraddittorietà della
motivazione su un punto essenziale della controversia.
Deduce che l'esercizio in via continuativa del potere di firma
in rappresentanza dell'azienda, che è una delle mansioni proprie del funzionario secondo la contrattazione collettiva del settore, deve essere intesa nel senso dell'esercizio di un potere di rappre sentanza in via generale e continuativa, qualificandosi sostanzial
mente come un funzionario chi ha i poteri, ovvero esercita le
mansioni di un procuratore dell'istituto: tale non può considerar
si chi sottoscrive atti in nome e per conto dell'istituto, nell'ambi
to delle sue mansioni di ufficio ed esercita, in ipotesi, una attività
di rappreesentanza tecnica, limitata cioè all'espletamento delle man
sioni rispetto alle quali il potere di firma è strumentale, con rife
rimento di conseguenza a singoli atti. Deduce anche che il tribunale
non ha considerato che al Montiani non era stato conferito alcun
potere di rappresentanza dell'istituto, non ritenendosi che occor
resse uno specifico atto di delega per abilitarlo alla sottoscrizione
delle polizze di pegno, quanto tale facoltà era implicita nell'eser
cizio delle mansioni affidategli e si risolveva nella sottoscrizione
di singoli atti (sempre ed esclusivamente consistenti nelle polizze di pegno)
In ordine alla previsione normativa di cui all'art. 10, 2° com
ma, 1. 745/38 deduce che, fermo restando, e la sentenza lo ha
ammesso, che l'uso dell'espressione «funzionario», oltretutto ri
salente al lontano 1938, non può dirsi risolutivo, la previsione che una polizza sia firmata dal legale rappresentante o da un
suo delegato, se implica che la firma sia di rappresentanza, non
significa che con il relativo potere di firma, implicito nelle man
sioni di addetto all'ufficio operante nel settore, sia attribuito al
dipendente (a questo ed in questo senso soltanto delegato) il po tere di firma sociale in via continuativa.
Né la questione può ritenersi risolta in punto di merito dall'af
fermazione del tribunale secondo cui sarebbe incontroverso che
11 Montiani ha tale potere di firma in via continuativa, perché la frase va intesa nel senso, risultante dall'intero contesto della
motivazione, che il Montiani era addetto come estimatore all'uf
ficio che operava nel settore delle polizze su pegni e, pertanto, come addetto a quell'ufficio, firmava occasionalmente i singoli atti di polizza su pegno.
La corte ricorda che la qualifica di funzionario non è di origi ne legale (non essendo prevista dall'art. 2095 c.c.), ma è di deri
vazione contrattuale.
La contrattazione collettiva del settore, oltre i casi di conferi
mento espresso e di attribuzione connessa a preposizione ad agenzie di città, nonché a filiali il cui personale è costituito, oltre il capo, di almeno tre elementi, senza tenere conto del personale ausilia
rio, assegna la qualificazione di funzionario a coloro ai quali è
conferita la firma sociale in via continuativa, anche congiunta
mente, in rappresentanza dell'azienda (con le eccezioni indicate).
L'ipotesi che qui interessa è, appunto, quella della firma sociale.
AI riguardo va riscontrato che questa corte, quando ha dovuto
esaminare la nozione di firma caratterizzante le mansioni del fun
zionario di banca, ha ritenuto che tale firma implica la manife
stazione di un potere esercitato in via generale e continuativa (cfr.,
in tali sensi, Cass. 1921/77, Foro it., Rep. 1977, voce Lavoro
(rapporto), n. 315; 248/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 580;
5000/80, ibid., n. 567; 623/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 543; 3523/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 819): il che comporta che
Il Foro Italiano — 1989.
deve sussistere un potere di compiere in nome e per conto della
banca, ai vari livelli di competenza, gli atti pertinenti all'esercizio
dell'impresa di credito e che, quindi, la facoltà di firma che qui interessa non è identificabile con quella spettante per singoli e
predeterminati atti (ossia per una sola categoria di atti).
Pertanto, nella fattispecie, l'idoneità della firma inerente le po lizze di pegno a configurare quella firma sociale contrattualmente
necessaria per qualificare le mansioni del funzionario, doveva es
sere perciò valutata alla stregua di tale principio, tenendosi conto
che la firma delle polizze è pur sempre inerente ad una sola cate
goria di atti. L'interpretazione della norma contrattuale data dal
tribunale non è sorretta da sufficiente motivazione, oltre che ca
rente di adeguata ricerca della comune intenzione delle parti, se
condo il criterio logico-letterale, che porta a definire il contenuto
della facoltà di firma come delega dei poteri d'impresa del datore
di lavoro e perciò come manifestazione di un potere di rappresen tanza esercitato in via generale e continuativa verso i terzi, e non
per singoli atti.
La corte osserva, quindi, che va esaminata la questione se, nel
la fattispecie, possa esplicare influenza la norma di cui all'art.
10, 2° comma, 1. 10 maggio 1938 n. 745, che cosi dispone: «La
polizza di pegno, anche se contenga il nome, è al portatore e
deve essere firmata dal rappresentante legale del Monte, o da
un funzionario all'uopo delegato dal consiglio e dal perito». Oc
corre esaminare, quindi, se è configurabile l'attribuzione della qua lifica di funzionario fuori della previsione contrattuale.
A tale proposito, va fatto un primo rilievo e cioè che la legge
suddetta, intitolata «ordinamento dei monti di credito su pegno», contiene la disciplina, appunto, dei detti monti di credito e delle
operazioni dei crediti su pegno: non è, quindi, una normativa
in tema di qualifica del personale. Tale rilievo è di non trascurabile importanza. Va considerato,
infatti, in particolare, che la disposizione dell'art. 10, 2° comma, suddetto non contiene una definizione della figura del funziona
rio (né avrebbe potuto, data la materia oggetto della legge), ma
prevede che un determinato atto (polizza di pegno) deve essere
firmato dal rappresentante legale del Monte o da un funzionario
all'uopo delegato. Come ben vedesi, per ritenere che è funziona
rio chi firma la polizza occorrerebbe giungere a tale conclusione
per via indiretta, cioè muovendo dalla considerazione che la legge
prevede che la firma della polizza deve essere apposta (ove a ciò
non provveda il legale rappresentante del Monte) da un dipen dente con qualifica di «funzionario».
Tale locuzione, peraltro, non può avere valore risolutivo di per sé sola, ma deve essere valutata nell'ambito della complessiva e
sistematica considerazione della questione. Non va trascurato che l'esigenza a base della norma in questio
ne è, in effetti, quella che la firma della polizza, ove non apposta dal legale rappresentante dell'ente, venga apposta da un dipen dente qualificato. Questa lettura della norma (in relazione alla
locuzione «funzionario») consente di non ravvisare contrasto con
la previsione della contrattazione collettiva (alla cui autonomia
negoziale compete la determinazione dei requisiti necessari per
l'appartenenza alle varie categorie e per l'attribuzione delle sin
gole qualifiche), in tema di qualifica di funzionario. È da rilevare anche che la contrattazione collettiva, nell'indica
re chi sono i funzionari ed i requisiti per l'appartenenza alla rela
tiva categoria, non ricorda in alcun modo i dipendenti che firmano
le polizze di pegno. Né vale obiettare che l'indicazione è già con
tenuta nella 1. 745/38 in quanto — devesi ripetere in contrario — tale legge non detta norme in tema di qualifiche (dal che di
pende il valore del tutto relativo dell'indiretto argomento da essa
desumibile; a tal riguardo è stato anche visto qual è, in effetti,
l'esigenza di fondo che si voleva soddisfare con la locuzione ado
perata: «funzionario») non senza evidenziare che se la qualifica
di funzionario discendeva per chi firma le polizze di pegno dalla
1. 745/38, le parti sociali avrebbero, verosimilmente, ricordato
tale ipotesi, con espressioni richiamanti la medesima in una sorta
di ricognizione della previsione legale (la norma contrattuale ap
pare, viceversa, chiusa nel senso di non considerare la concreta
esistenza di ipotesi di qualifica di funzionario di derivazione legale).
Del resto la motivazione dell'impugnata sentenza è fondata non
sul termine (funzionario) usato dal legislatore (il tribunale dice
«Non è tanto il termine funzionario...», con ciò dimostrando,
in sostanza, di non ritenere possibile far derivare la qualifica dal
l'espressione usata), quanto sul potere di firma in via continuativa
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1915 PARTE PRIMA 1916
da esso ritenuto: ma al riguardo è agevole osservare, come già visto, che l'esercizio della facoltà di firma è indicativo di mansio ni di funzionario, soltanto quando abbia i caratteri della genera lità e della continuità, non quando è riferito ad un singolo atto, sia pure reiteratamente compiuto. L'affermazione del tribunale
che è incontroverso il potere del Mondani di firma in via conti
nuativa non supera la carenza del requisito della generalità, l'esi
genza cioè che la firma non sia limitata ad una sola categoria di atti, ma si riferisca ad un complesso di atti, a più categorie di essi.
Anche sotto tale profilo, l'impugnata sentenza, la cui motiva
zione non si palesa congrua, non può essere condivisa.
Il ricorso va, pertanto, accolto.
L'impugnata sentenza va cassata, con rinvio ad altro tribunale, che si designa in quello di Arezzo.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18 aprile 1988, n. 3061; Pres. Longo, Est. Rebuffat, P.M. Marinelli
(conci, conf.); Pallone c. Motta. Regolamento di competenza di ufficio.
Locazione — Legge 392/78 — Domanda di determinazione del
canone — Domanda di accertamento della nullità della clauso
la contrattuale sulla durata del rapporto — Contestualità —
Competenza per materia del pretore — Esclusione — Conse
guenze (Cod. proc. civ., art. 8, 10, 12, 31, 295; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art.
1, 26, 45, 79).
Qualora davanti al pretore investito della domanda di determina
zione del canone sia contestualmente proposta domanda di ac
certamento con efficacia di giudicato della nullità della clausola
contrattuale sulla durata del rapporto e della soggezione di que sto alla normativa imperativa della l. 392/78, tale seconda do
manda, ove ecceda i limiti di valore della competenza pretorile, deve essere rimessa al giudice superiore, mentre il pretore deve
trattenere la causa di determinazione del canone, sospendendo la ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (1)
II
PRETURA DI MONZA; sentenza 18 febbraio 1989; Giud. Fra
sca; Oliveri (Avv. Simonetta) c. Soc. Marcar (Avv. Di Pisa).
Locazione — Legge 392/78 — Domanda di determinazione del canone — Domanda di accertamento della nullità di clausole contrattuali contrarie alla normativa imperativa — Contestua lità — Competenza per materia del pretore (Cod. proc. civ., art. 8, 10, 12, 31, 295; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 1, 26, 43, 45, 79).
Ai sensi degli art. 43 ss. I. 392/78, nella competenza funzionale del pretore rientrano, ove proposte contestualmente alla do
manda di determinazione del canone di locazione e funzionali rispetto a questa, anche le domande di accertamento della nul
lità di clausole contrattuali relative alla misura del canone e di accertamento della soggezione del contratto alla normativa
imperativa della l. 392/78 (nella specie, il ricorrente aveva chie
sto la determinazione dell'«equo canone» dell'immobile godu to, previa declaratoria del carattere simulatorio del contratto «ad uso foresteria» stipulato dalla società di cui era ammini stratore unico). (2)
(1-2) In senso analogo a Cass. 3061/88, ma implicitamente e con ri
guardo alla contestuale proposizione di una domanda di accertamento dell'esistenza o meno rapporto di locazione, v. Cass. 25 novembre 1988, n. 6342, Foro it., Mass., 947, che precisa che ai fini della richiesta di
Il Foro Italiano — 1989.
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 3 ottobre 1984
al Pretore di Acireale, Salvatore Pallone esponeva: di condurre
in locazione dal 1° giugno 1983, per il canone di lire 350.000 al mese, un appartamento sito in Acicastello, in via Nazionale,
32, concessogli, secondo una scrittura privata che produceva, per
esigenze transitorie (a norma dell'art. 26, 2° comma, 1. 27 luglio 1978 n. 392) e dunque per un solo anno, ma che in realtà aveva
costituito e costituiva la sua residenza; che la detta clausola fitti
zia gli era stata imposta dalla locatrice, Tania Motta, all'unico
scopo di eludere le norme di determinazione legale del canone; che il Pretore di Catania, adito il 30 settembre 1983, con ordi
nanza del 27 luglio 1984 si era dichiarato incompetente per terri
torio, indicando come competente il Pretore di Arcireale. Tanto
accertamento con valore di giudicato non sono necessarie formule specia li, ma sono sufficienti anche comportamenti concludenti. A tale ultimo
riguardo, v., anche, Cass. 26 marzo 1986, n. 2157, id., Rep. 1986, voce
Competenza civile, n. 78 e 21 dicembre 1983, n. 7534, id., Rep. 1983, voce cit., 124.
Il principio espresso nella massima tratta dalla pronunzia della Cassa zione è posto quale conseguenza del fatto che, in materia di locazioni di immobili urbani, la domanda di determinazione del canone rientra, ratione materiae, nella competenza del pretore mentre la domanda di ac certamento della durata del rapporto e della sua soggezione alla normati va imperativa della 1. 392/78 è retta invece dagli ordinari criteri di
competenza per valore e non presenta rispetto alla prima carattere ac cessorio.
Che le controversie per finita locazione sono rette dagli ordinari criteri di competenza per valore costituisce ormai ius receptum: v. Cass. 24 no vembre 1982, n. 6362, id., 1983, I, 335, con nota di richiami di D. Piom
bo; 21 agosto 1985, n. 4470, id., 1986, I, 2266, con ulteriori richiami; nonché Cass. 28 marzo 1986, n. 2209, id., Rep. 1986, voce Locazione, n. 743; 24 settembre 1986, n. 5735, ibid., n. 732; 27 febbraio 1987, n.
2113, id., Rep. 1987, voce cit., n. 488. In particolare, nel senso che dagli ordinari criteri di competenza per
valore sono rette anche le controversie di mero accertamento della durata del rapporto e della disciplina ad esso applicabile ed in genere del conte nuto negoziale e delie sue pattuizioni, v. Cass. 27 febbraio 1985, n. 1723, id., Rep. 1985, voce cit., n. 266; 18 dicembre 1987, n. 9435, id., Rep. 1987, voce Competenza civile, n. 79.
Il principio affermato dalla pronunzia del Pretore di Monza si pone su di un opposto versante interpretativo ed è essenzialmente fondato sul rilievo che, in base ad un diverso orientamento, verrebbero ad essere del tutto frustrate le finalità perseguite dal legislatore attraverso la previsione della competenza per materia e del rito speciale c.d. «locativo» per la causa di determinazione del canone. È da rimarcare che la stessa pronun zia puntualizza in modo esplicito che, ove autonomamente proposta, la domanda di accertamento della nullità di una clausola contrattuale con traria alla normativa imperativa della 1. 392/78 è retta dagli ordinari cri teri di competenza per valore.
Sulle azioni esperibili in caso di errore nella individuazione dei parame tri per la determinazione del canone previsti dagli art. 12 - 24 1. 392/78 e relativi criteri di competenza, v. Trib. Torino 19 febbraio 1987, id., 1987, I, 1312, con nota di richiami anche in tema di competenza sulle domande di annullamento del contratto di locazione per vizio del consen so ex art. 1427 c.c. e di rettifica del canone ex art. 1430 c.c.
Sulle controversie sulla determinazione del canone, con particolare ri
guardo alla natura del tentativo obbligatorio di conciliazione, v. Pret. Foggia 19 giugno 1987, id., 1988, I, 304, con nota di richiami.
In dottrina, per un'approfondita analisi della disorganicità dei criteri di competenza e di rito in materia locatizia ed i suoi negativi riflessi, v. G. Costantino, Controversie in materia di locazione di immobili ur
bani, voce del Novissimo digesto, appendice, 1981, 728, spec., 759, ss., e osservazioni a Cass. 11 febbraio 1982, n. 839, in Foro it., 1982, I, 1955; nonché A. Proto Pisani, Rapporti tra competenza, rito e merito nella legge n. 392 del 1978 (e nel rito speciale del lavoro), id., 1981, V, 185; Id., (Andrioli, C.M. Barone, G. Pezzano), Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 177 ss. In tema v., altresì:
Poggeschi, Aspetti processuali della nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, 767; e, con specifi co riguardo ai rapporti tra domanda di risoluzione per morosità e do manda di determinazione del canone, Consolo, Determinazione del canone locativo e risoluzione per morosità: è davvero inevitabile alla stregua de
gli art. 34 e 31 c.p.c. la biforcazione del processo e la sospensione neces saria del giudizio sulla risoluzione (nota a Cass. 11 febbraio 1982, n.
839), in Giur. it., 1982, I, 1, 637; C.M. Cea, I procedimenti locativi, in Foro it., 1985, V, 357, § 7; Garbagnati, Effetti sulla competenza della domanda riconvenzionale di terminazione del canone, in Giur. it., 1985, I, 1, 1128.
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