sezione lavoro; sentenza 16 febbraio 1989, n. 937; Pres. Pontrandolfi, Est. Alibrandi, P. M.Martone (concl. conf.); Soc. Plasmec (Avv. Ozzola, Consalter) c. Checchin (Avv. Manzi,Emanuele, Cattibini). Regolamento di competenza avverso Trib. Torino 29 giugno 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2229/2230-2233/2234Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184102 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
gente come oggetto diretto della convenzione di comunione. E,
malgrado ciò, l'inciso relativo alla comunione patrimoniale fra
i coniugi non è stato mantenuto nell'art. 70: si deve, inoltre, con
siderare che, a differenza dell'art. 675 c. comm. del 1865 e del
l'art. 782 c. comm. del 1882, i quali non erano che la traduzione
fedele dell'art. 542 code de commerce, il testo dell'art. 70 è il
risultato di un'approfondita meditazione, tanto che esso presen
ta, oltre che sensibili miglioramenti formali e concettuali, la du
plice innovazione normativa di rendere il principio riferibile agli acquisti effettuati dal «coniuge del fallito» e non soltanto, come
si prevedeva nella legislazione precedente, a quelli operati dalla
«moglie del fallito» (il che ha consentito, appunto, alla norma
di sopravvivere alla Costituzione: Corte cost. n. 195 del 1975,
Foro it., 1975, I, 1889) e di limitarne l'applicazione ai soli acqui sti verificatisi nel quinquennio anteriore alla dichiarazione di fal
limento. Ma anche con l'affermazione della difesa del fallimento
resistente secondo la quale il predetto inciso è scomparso dal te
sto dell'art. 70 «per la scarsissima operatività del regime di co
munione» si finisce con il riconoscere che l'art. 70 fu elaborato,
discusso ed inserito nel testo dell'odierna legge fallimentare nel
presupposto che esso era destinato di fatto a trovare applicazione
nell'ambito del regime di separazione, che non è più quello attua
to o maggiormente attuato nella pratica.
Occorre precisare che di fronte al ricorso da parte dell'impren
ditore (che viene, poi, dichiarato fallito) all'acquisto, direttamen
te o tramite il coniuge, di beni destinati a cadere nella comunione
in danno dei propri creditori, il fallimento, malgrado l'inapplica
bilità dell'art. 70, dispone di strumenti idonei per aggredire nella
loro totalità i beni predetti. Il codice stabilisce (art. 179, 1° com
ma, lett. f), che «i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento
dei beni personali» (cioè non costituenti oggetto della comunio
ne, previsti nello stesso articolo) «o con il loro scambio», «pur
ché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto», non
cadono nella comunione. Lo stesso principio deve valere nell'ipo
tesi di impiego, nella pendenza della comunione, dei proventi del
l'attività separata o dei redditi dei beni personali (art. 177, lett.
b e c) nonché di redditi o di somme ricavate dalla vendita di
beni che erano impiegati nell'azienda di appartenenza del solo
coniuge fallito. Se in tutte le ipotesi sopraindicate — di investi
mento di somme di appartenenza personale del coniuge impren
ditore — non sia stata effettuata la predetta dichiarazione e non
sia stata cosi impedita la caduta nella comunione del bene acqui
stato, si deve ritenere che il fallito abbia effettuato un'attribuzio
ne gratuita al coniuge per la metà del bene. E ciò sia che l'atto
di acquisto sia stato stipulato dal coniuge imprenditore sia che
sia stato perfezionato da lui e dal coniuge congiuntamente sia,
infine, che sia stato concluso da quest'ultimo soltanto. È eviden
te che l'ipotesi qui configurata rientri nell'ambito dell'art. 64 1.
fall, e il curatore per ottenere la declaratoria di inefficacia del
l'attribuzione (che consegue ope legis) deve soltanto provare che
i mezzi patrimoniali impiegati nell'acquisto del bene o dei beni
erano di appartenenza personale del fallito, non certo nel senso
generico, come ai fini dell'art. 70, bensì nel senso sopraspecifica
to; e rientra inoltre, l'ipotesi medesima, nella previsione dell'art.
2901, 1° comma, n. 1, c.c.
Sono necessarie alcune ulteriori precisazioni. Non è necessario che sia data dal curatore la prova di un con
creto intento liberale del coniuge imprenditore, poiché è suffi
ciente il fatto oggettivo che l'attribuzione sia avvenuta senza un
corrispettivo, perché questa venga sottoposta al regime previsto
per gli atti gratuiti. Non è di ostacolo ai fini dell'applicabilità dell'art. 64 1. fall,
e dell'art. 2901, 1° comma, n. 1, c.c. che l'attribuzione non si
realizzi mediante un contratto, bensì' mediante l'omissione della
dichiarazione prevista nella lett. / del 1° comma dell'art. 179 c.c.
in connessione con l'automatica operatività del principio che ogni
acquisto effettuato, in regime di comunione legale, da uno dei
coniugi, cade immediatamente, per la metà indivisa, nel patrimo
nio dell'altro. Infatti le norme sulla revocatoria hanno in genere
carattere di norme materiali, cioè tendono a colpire il risultato
economico prodotto, qualunque sia la finalità tipica ed istituzio
nale dell'altro impiegato a produrlo, indipendentemente, cioè, dallo
specifico strumento adoperato.
Qualora all'acquisto non provveda personalmente il coniuge im
prenditore, ma l'altro, pagando il prezzo con mezzi personali del
primo, la prospettiva non muta, giacché attraverso questo espe
diente si sottrae alla garanzia dei creditori dell'imprenditore un
Il Foro Italiano — 1989.
bene che, in quanto acquistato con denaro personale di quest'ul
timo, doveva rimanere per intero riservato al loro soddisfacimen
to. Il coniuge agisce nell'ipotesi come strumento dell'altro. Ed
è sufficiente che il curatore anche in tale ipotesi, per rendere inef
ficace l'attribuzione gratuita o comunque senza corrispettivo, provi
che il denaro versato al venditore era di appartenenza personale
del coniuge imprenditore, sempre nel senso specifico sopra indi
cato. Questa è sostanzialmente la soluzione adottata dal legis
latore francese con l'art. 56 1. 13 luglio 1967 n. 536, cui fa richiamo
genericamente la difesa del fallimento resistente per ribadire ulte
riormente la tesi della compatibilità dell'art. 70, cosi come è at
tualmente strutturato, con il regime della comunione.
Se, invece, il bene viene acquistato con denaro della comunio
ne, i creditori del coniuge fallito possono soddisfarsi, in base al
l'art. 189 varie volte citato, sul valore della metà del bene e se,
infine, viene pagato il prezzo con denaro di appartenenza perso
nale di tutti e due i coniugi, la soluzione non muta, salva la pro
va del fallimento che l'apporto del coniuge fallito è stato maggiore
e in tale ipotesi ovviamente i creditori hanno diritto di rivalersi
sul bene sino al valore corrispondente alla quota di prezzo sbor
sata dal fallito medesimo.
La sentenza impugnata, avendo fatto applicazione dell'art. 70
1. fall, malgrado i rapporti patrimoniali fra i coniugi fossero re
golati dal regime di comunione legale, va cassata, con rinvio,
anche per le spese di questa fase, ad altra sezione della stessa
Corte d'appello di Bari.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 febbraio
1989, n. 937; Pres. Pontrandolfi, Est. Alibrandi, P. M. Mar
tone (conci, conf.); Soc. Plasmec (Avv. Ozzola, Consalter)
c. Checchin (Aw. Manzi, Emanuele, Cattibini). Regolamen
to di competenza avverso Trib. Torino 29 giugno 1987.
Competenza civile — Controversie in materia di lavoro — Con
venuto contumace in primo grado — Questione d'incompeten
za territoriale sollevata in appello — Preclusione — Regolamento — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 42, 428).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Questione
di incompetenza territoriale sollevata in appello — Preclusione
(Cod. proc. civ., art. 42, 428). Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Disciplina
dell'incompetenza territoriale nel rito lavoro — Questione ma
nifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 25;
cod. proc. civ., art. 428).
È ammissibile il ricorso per regolamento di competenza avverso
la sentenza che abbia dichiarato precluso il potere della parte,
contumace in primo grado, di sollevare la questione d'incom
petenza territoriale nel rito del lavoro per la prima volta in
grado d'appello. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti specifici in termini.
Sull'ammissibilità del regolamento di competenza nei confronti della
sentenza emessa in grado d'appello, si consideri: — Presupposto essenziale per l'applicazione dell'art. 42 c.p.c. è che
vi sia una pronuncia sulla competenza (a questo proposito la legge parla
di sentenza, ma in giurisprudenza si guarda normalmente al contenuto
sostanziale e alla natura del provvedimento, che ha deciso sulla compe
tenza del giudice adito, anche se questo, rivesta la forma dell'ordinanza:
Cass. 16 febbraio 1984, n. 1173, Foro it., Rep. 1984, voce Competenza
civile, n. 137; 27 giugno 1983, n. 4403, id., Rep. 1983, voce cit., n. 188;
11 dicembre 1980, n. 6393, id., Rep. 1980, voce cit., n. 193). La pronun
cia oggetto di regolamento può essere stata emessa anche in sede d'impu
gnazione, non distinguendo l'art. 42 c.p.c. tra sentenze di primo e di
secondo grado (cosi Cass. 19 gennaio 1984, n. 456 e 16 aprile 1984, n.
2463, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 130, 161; contra, Satta, Commenta
rio, Milano, 1966, I, 183). — Nella determinazione di cosa si intenda per pronuncia sulla compe
tenza e pronuncia sul merito, ai fini dell'art. 42 c.p.c., si utilizza il termi
ne «merito» nella sua più lata accezione, fino a comprendervi, oltre alle
stauizioni sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ogni decisione ri
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2231 PARTE PRIMA 2232
Nel rito del lavoro l'incompetenza per territorio non può essere
eccepita per la prima volta in grado d'appello. (2) È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24 e 25
Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 428
c.p.c., dal momento che a) è regola generale che il contumace,
che si costituisce nei successivi gradi del giudizio, debba accet
tare il processo nello stato in cui si trova; ugualmente, la diver
sità di disciplina della competenza territoriale inderogabile del
giudice ordinario e del giudice del lavoro è conseguenza di una
scelta legislativa in ordine alle caratteristiche della competenza
per territorio nei due diversi tipi di procedimento-, b) il diritto
di difendersi in giudizio non può implicare per il contumace
(al di là delle ipotesi tassativamente previste) una generale riam
missione in termini in caso di costituzione tardiva o in un di
verso grado di giudizio; c) infine, la nozione di giudice naturale
non riguarda la competenza per territorio dei diversi giudici. (3)
Fatto e diritto. — Con ricorso depositato il 25 marzo 1986,
Patrizia Checchin conveniva davanti al Pretore di Torino in fun
zione di giudice del lavoro la Plasmec s.n.c. chiedendone la con
danna al pagamento di somme dovute a vario titolo in relazione
al rapporto di lavoro intercorso tra le parti, nonché al versamen
to dei contributi previdenziali relativi.
La società convenuta non si costituiva in giudizio. Con sentenza del 18 giugno 1986 il pretore accoglieva le do
mande della Checchin.
Avverso questa decisione la Plasmec proponeva appello avanti
al Tribunale di Torino chiedendo che venisse accertata l'incom
guardante questioni, sostanziali e processuali, diverse dalla competenza, salva l'ipotesi che l'esame di questioni pregiudiziali sia stato compiuto in via incidentale ed in funzione strumentale per la decisione sulla compe tenza medesima (vedi, da ultimo, Cass. 22 luglio 1987, n. 6387 e 21 di cembre 1987, n. 9524, Foro it., Rep. 1987, voce cit., nn. 135, 137). Cosi è nel caso in cui il giudice abbia esaminato la questione della preclusione circa l'eccezione d'incompetenza territoriale tardivamente sollevata dalla
parte (Cass. 27 gennaio 1956, n. 264, id., Rep. 1956, voce cit., n. 425). — Un problema che si dà ripetutamente nella pratica consiste nello
stabilire se sia pronuncia sulla competenza o sul merito la decisione, emessa in sede di gravame, che abbia dichiarato ammissibile o inammissibile l'ap pello avverso una pronuncia di primo grado in punto di competenza: dopo un decennio di contrasti giurisprudenziali [cui la dottrina aveva re
plicato auspicando che «la confusione delle lingue, della quale fan spese i litiganti, (cessasse) una buona volta, non importa come»: Martinelli, osservazione alla sent. 10 gennaio 1966, n. 192, id., 1966, I, 617], La Cassazione ha finalmente deciso nel senso del ricorso in via ordinaria, anziché del regolamento di competenza, ritenendo che la questione decisa non fosse quella della competenza del giudice, ma piuttosto dell'indivi duazione del mezzo di gravame consentito (Cass. 30 marzo 1973, n. 881, id., 1973, I, 1366; contra, Cass. 26 maggio 1971, n. 1553, id., 1971, I, 1461, e pronunce ivi richiamate; da ultimo, Cass. 15 novembre 1986, n. 6739, id., Rep. 1986, voce cit., n. 143). Nella sentenza riportata, tutta
via, il giudice di appello non si è posto il problema del tipo di gravame esperibile avverso la sentenza del pretore giudice del lavoro, avendo deci so unicamente sulla tardività dell'eccezione d'incompetenza sollevata dal la parte.
(2-3) Per giurisprudenza costante della Cassazione, nel rito del lavoro
l'incompetenza territoriale del giudice adito non può in alcun modo esse re eccepita per la prima volta dal convenuto in sede d'impugnazione (ve di, da ultimo, sent. 14 gennaio 1987, n. 214, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro e previdenza, (controversie), n. 116), né il divieto subisce deroga nei confronti di chi sia rimasto contumace durante il primo grado del
giudizio (vedi Cass. n. 4406/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 485, citata in motivazione, e ad essa adde Cass. 20 aprile 1984, n. 2602, id., 1985, I, 214, con ampia nota di richiami). L'esercizio del diritto di difesa, in
fatti, può essere regolato ragionevolmente dal legislatore entro limiti tem
porali ben definiti (Cass. 4406/82, cit.), senza che vi sia la necessità di una generale remissione in termini del contumace costituito, in sede d'im
pugnazione, al di là delle ipotesi già previste dalla legge (la sentenza in
epigrafe sembra cosi dar per scontata l'applicabilità dell'art. 294 c.p.c. anche alle controversie in materia di lavoro). Sull'applicabilità al rito spe ciale del lavoro delle disposizioni che disciplinano la contumacia nel pro cesso ordinario di cognizione, v. A. Proto Pisani (V. Andrioi.i, C. M.
Barone, G. Pezzano), Le controversie in materia di lavoro '
Bologna Roma, 1987, 516 ss.; sul modo di operare dell'istituto della rimessione in termini, al di là del primo grado di giudizio, si veda G. Balena, La rimessione della causa al primo giudice, Napoli, 1984, 123 ss.
Sul significato del principio di cui all'art. 25 Cost., cfr., in dottrina, Romboli, Il giudice naturale, Milano, 1981.
Il Foro Italiano — 1989.
petenza territoriale del detto pretore, con conseguente dichiara
zione che la impugnata sentenza era «priva di giuridico effetto».
Con sentenza del 29 giugno 1987 il tribunale, ritenuta preclusa
all'appellante la possibilità di proporre per la prima volta in gra do di appello la questione di competenza territoriale, respingeva
l'appello e confermava la sentenza di primo grado. Avverso questa decisione la Plasmec ha proposto istanza di
regolamento di competenza; la Checchin ha depositato scrittura
difensiva. In data 1° febbraio 1988 il procuratore generale cosi
concludeva:
«1) Deve essere esaminata in primo luogo la questione relativa
all'ammissibilità del ricorso.
La decisione impugnata, infatti, pur non avendo affrontato il
merito della controversia, non ha, peraltro, deciso direttamente
in ordine al giudice competente, ma si è limitata a dichiarare che, ai sensi dell'art. 428 c.p.c., doveva ritenersi preclusa al convenu
to, contumace in primo grado, la possibilità di sollevare per la
prima volta con l'atto di appello la questione della competenza
per territorio ex art. 413 c.p.c.
Ora, ad avviso della Checchin, tale decisione, in quanto relati
va ad una questione pregiudiziale e non sulla competenza, sareb
be stata impugnabile soltanto con il ricorso ordinario e non anche
con il regolamento di competenza. Tale assunto è infondato. Per pronuncia sulla competenza, ai
sensi dell'art. 42 c.p.c., deve intendersi non soltanto quella che
abbia deciso direttamente in ordine alla individuazione del giudi ce della singola controversia, ma anche quella che abbia comun
que statuito in ordine alla ammissibilità e tempestività della relativa
eccezione e abbia esaminato, quindi, una questione strumentale
alla soluzione della detta questione. Una diversa opinione, oltre a non essere imposta dalla lettera
della legge (che parla di «questione sulla competenza» e non sul
giudice competente), contrasterebbe con le finalità perseguite dal
l'istituto del regolamento di competenza, in quanto precludereb be in numerose ipotesi la possibilità di ottenere la sollecita e
definitiva soluzione della questione (ad esempio, in tutti i casi
in cui il giudice abbia erroneamente dichiarato tardiva — o co
munque preclusa o inammissibile — l'eccezione di incompetenza
proposta dalla parte). Né argomenti in contrario possono essere desunti dalle prece
denti decisioni della Corte di cassazione richiamate dalla Checchin.
Tali decisioni, infatti, sono relative ad ipotesi in cui oggetto del ricorso era la dichiarazione di inammissibilità dell'appello pro
posto avverso una sentenza di primo grado che aveva deciso solo
sulla competenza (v. Cass. 21 aprile 1976, n. 1424, Foro it., Rep. 1976, voce Competenza civile, n. 190, e 23 marzo 1977, n. 1123,
id., Rep. 1977, voce cit., n. 158, cui adde, da ultimo, Cass. 15
novembre 1986, n. 6739, id., Rep. 1986, voce cit., n. 143) o,
comunque, la mancata dichiarazione di inammissibilità del detto
appello (v. Cass. 7 ottobre 1976, n. 2310, id., Rep. 1976, voce
Lavoro e previdenza (controversie), n. 145); in altri termini, a
seguito del ricorso, la corte era chiamata ad esaminare non una
questione di competenza, ma una questione pregiudiziale attinen
te al rito e in particolare alla individuazione del mezzo di grava me consentito.
Nel caso in esame, invece, il ricorso per regolamento di compe tenza non pone in discussione problemi di ordine processuale, ma riguarda esclusivamente l'ambito di operatività delle preclu sioni previste dall'art. 428 c.p.c.
Le argomentazioni prima esposte avrebbero dovuto indurre il
Tribunale di Torino a dichiarare inammissibile e non a rigettare
l'appello proposto contro la sentenza di primo grado esclusiva
mente per motivi attinenti alla competenza (v. Cass. 13 ottobre
1986, n. 5978, id., Rep. 1986, voce Competenza civile, n. 144); la circostanza che sia stato invece trattato l'appello sul punto, non può, peraltro, non far ravvisare in quella in esame una deci
sione sulla competenza (nei sensi prima indicati) come tale impu
gnabile con regolamento di competenza. E ciò anche perché, ai
fini dell'ammissibilità dell'istanza di regolamento di competenza, non può rilevare — soprattutto in mancanza di una apposita im
pugnazione sul punto — l'eventuale error in procedendo del giu dice d'appello, ma deve comunque farsi riferimento al contenuto
della sentenza emessa (v., per argomenti in tal senso, Cass. 11
marzo 1977, n. 990, id., Rep. 1977, voce cit., n. 167).
2) Il ricorso, se ammissibile per le considerazioni che precedo no, non è, peraltro, meritevole di accoglimento.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte di cassazione ha più volte affermato che nelle contro
versie soggette al rito del lavoro l'incompetenza per territorio del
giudice adito deve essere eccepita dal convenuto nella memoria
difensiva di cui all'art. 416 c.p.c., ovvero rilevata dal giudice non
oltre l'udienza di trattazione della causa, e non può invece essere
eccepita e rilevata d'ufficio, per la prima volta in grado di appel lo (v. Cass. 29 novembre 1984, n. 6260, id., Rep. 1984, voce
Lavoro e previdenza (controversie), n. 134), anche nel caso in
cui la parte sia rimasta contumace in primo grado (v. Cass., sez.
un., 5 settembre 1986, n. 5430, id., Rep. 1986, voce cit., n. 483). È questo un orientamento che trova piena giustificazione nella
lettera dell'art. 428 c.p.c., nonché nelle finalità che hanno ispira to la riforma del 1973 (caratterizzata dalla introduzione di un
ragionevole sistema di preclusioni e di decadenza e della «restri
zione» dell'ambito del giudizio d'appello, considerate come con
dizioni essenziali per assicurare la celerità del giudizio) (v. Cass. 19 aprile 1984, n. 2585, id., Rep. 1984, voce cit., n. 421).
La stessa «inderogabilità» della competenza territoriale del giu dice del lavoro, cosi come disciplinata nell'art. 428 c.p.c., non
ha il carattere assoluto che presenta quella prevista dall'art. 38, 1° comma, c.p.c.
Né può ragionevolmente sostenersi che le preclusioni per il giu dice e per la parte, contenute nell'art. 428, operino soltanto nel
giudizio di primo grado. Sarebbe veramente singolare che una incompetenza non più ri
levabile dal giudice di primo grado nel corso della fase istruttoria
e al momento della decisione (quando potrebbero essere stati ac
quisiti anche sul punto elementi decisivi, mancanti in limine litis),
possa invece essere rilevata dal giudice (o eccepita dalla parte) nei successivi gradi di giudizio. In questa prospettiva le preclusio ni di cui all'art. 428 c.p.c. finirebbero col nuocere e non giovare all'andamento del processo.
L'esposta interpretazione dell'art. 428 c.p.c. costantemente ese
guita dalla Corte di cassazione non è, infine, in contrasto con
gli art. 3, 24 e 25 Cost., come invece sostiene la Plasmec in sede
di ricorso.
Manifestamente non sussiste la prospettata diversità di tratta
mento tra convenuto contumace e convenuto costituito nel giudi zio di primo grado, in quanto è regola generale (del tutto
ragionevole) che il contumace, che si costituisce nei successivi gradi del giudizio, non può che accettare il processo nello stato in cui
si trova.
Egualmente, la diversità di disciplina della competenza territo
riale inderogabile del giudice ordinario e di quella del giudice del
lavoro è ragionevole conseguenza di una scelta del legislatore in
ordine alle caratteristiche della competenza per territorio nei due
diversi tipi di procedimento. Il diverso grado di inderogabilità che la competenza per terri
torio presenta nel nostro sistema processuale in relazione al di
verso tipo di controversia, inoltre, non è, sotto alcun profilo, in contrasto con l'art. 24 Cost., in quanto il diritto di difendersi
in giudizio non può implicare per il contumace (al di là delle
ipotesi tassativamente previste) una generale riammissione in ter
mini in caso di costituzione tardiva o di un diverso grado di giu dizio (v. Cass. 6 agosto 1982, n. 4406, id., Rep. 1982, voce cit.,
n. 485). Per quanto riguarda, infine, alla prospettata violazione dell'art.
25, 1° comma, Cost., è sufficiente ricordare come la Corte costi
tuzionale (v., da ultimo, sent. 28 novembre 1986, n. 251, id.,
1986, I, 2969) abbia più volte affermato come la nozione di giu dice naturale richieda la precostituzione per legge del giudice at
traverso una normativa dettata anteriormente al giudizio, ma non
riguardi la competenza per territorio dei diversi giudici. Per questi motivi, chiede che la Corte di cassazione, in camera
di consiglio, a) ritenuta manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale indicata in motivazione; ti) rigetti il ricorso».
La corte, condividendo le suesposte considerazioni, che fa pro
prie, decide in conformità.
Il Foro Italiano — 1989.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 gennaio
1989, n. 370; Pres. Zappulli, Est. D'Alberto, P.M. Martone
(conci, conf.); Menotti (Avv. Salis) c. Soc. Agip (Aw. Cava
liere). Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Milano 5
ottobre 1985.
Termini processuali in materia civile — Sospensione feriale —
Controversie di lavoro — Esclusione — Questione manifesta
mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc.
civ., art. 409,1. 7 ottobre 1969 n. 742, sospensione dei termini
processuali nel periodo feriale, art. 3).
La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, previ sta dall'art. 1 l. 7 ottobre 1969 n. 742, non si applica, ai sensi
dell'art. 3 della stessa legge, alle controversie di lavoro (nella
specie, è stata dichiarata l'inammissibilità del ricorso in Cassa
zione notificato oltre il termine annuale), e la questione di le
gittimità costituzionale di detto art. 3, in riferimento agli art.
3 e 24 Cost., è da ritenersi manifestamente infondata. (1)
(1) Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione conferma un
consolidato indirizzo secondo il quale la sospensione dei termini proces suali nel periodo feriale, prevista dall'art. 1 1. 7 ottobre 1969 n. 742, non si applica, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge, alle cause di lavoro, anche con riferimento al termine per la proposizione del ricorso in Cassa
zione; conferma inoltre la dichiarazione di manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 1. 742/69, in riferimento
agli art. 3 e 24 Cost. Numerosi i precedenti citati in motivazione: Cass.
16 luglio 1987, n. 6268, Foro it., Rep. 1987, voce Termini processuali civili, n. 21; 19 maggio 1987, n. 4588, ibid., n. 22; 17 settembre 1986, n. 7639, id., Rep. 1986, voce cit., n. 24; 15 novembre 1985, n. 5613,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 25; 8 febbraio 1984, n. 966, id., Rep. 1984, voce cit., n. 28; 16 luglio 1983, n. 4925, id., Rep. 1983, voce cit., n.
41; 12 luglio 1983, n. 4717, ibid., n. 42; 25 maggio 1983, n. 3636, ibid., n. 43; 25 maggio 1982, n. 3195, id., Rep. 1982, voce cit., n. 30; 25 no
vembre 1981, n. 6274, id., Rep. 1981, voce cit., n. 40; 21 maggio 1981, n. 3342, ibid., n. 17; sez. un. 29 aprile 1977, n. 1660, id., Rep. 1977, voce cit., n. 60; 8 gennaio 1977, n. 60, ibid., n. 61, tutti riferiti al termine
per la proposizione del ricorso in Cassazione. Tra le altre pronunce della corte sull'art. 3 1. 742/69 meritano di essere
segnalate: — Cass., sez. un., 9 maggio 1983, n. 3147, id., 1983, I, 3081, con
nota di M. Orsenigo e in Giur. it., 1984, I, 1, 677, con nota di Sandul
li, che esclude l'applicabilità della sospensione feriale al termine per la
proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione nelle controver
sie di lavoro, e Cass. 20 gennaio 1984, n. 499, Foro it., Rep. 1984, voce
cit., n. 30, che conferma l'indirizzo delle sezioni unite con riferimento
al regolamento di competenza; — Cass. 30 maggio 1986, n. 3662, id., Rep. 1986, voce cit., n. 26
e Cass. 30 maggio 1986, n. 3661, id., 1987, I, 498, con nota di richiami, le quali hanno escluso che l'entrata in vigore della 1. 11 agosto 1973 n.
533 abbia determinato l'abrogazione tacita per incompatibilità dell'art.
3 1. 742/69 nella parte in cui esclude l'applicabilità della sospensione dei
termini processuali nel periodo feriale alle cause di lavoro, ritenendo tale
norma perfettamente compatibile con la nuova disciplina del processo del lavoro;
— Cass. 30 gennaio 1985, n. 583, id., Rep. 1985, voce cit., n. 22 e
Cass. 29 ottobre 1981, n. 5706, id., 1981, I, 2941, con nota di C. M.
Barone, sulla esclusione della sospensione dei termini processuali nel pe riodo feriale anche con riferimento a quelle cause che, soggette al rito
del lavoro, sono state trattate con il rito ordinario; contra, Cass. 14 no
vembre 1983, n. 6011, id., Rep. 1983, voce cit., n. 38 e sez. un. 10 no
vembre 1982, n. 5919, id., 1983, I, 63, per le quali una causa segue le
regole proprie del rito con cui è stata, sia pur erroneamente, trattata;
per l'ipotesi contraria (causa non compresa tra quelle indicate nell'art.
409 c.p.c., ma trattata secondo il rito del lavoro), v. Cass. 12 giugno
1986, n. 3924, id., Rep. 1987, voce cit., n. 23, e in Giust. civ., 1987,1, 1795; — Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 1986, n. 536, Foro it., Rep. 1986,
voce cit., n. 30 e in Cons Stato, 1986, I, 982, circa la non applicabilità dell'art. 3 1. 742/69 alle controversie dei pubblici dipendenti trattate dal
giudice amministrativo; — Cass. 1° luglio 1987, n. 5771, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n.
19; 8 maggio 1987, n. 4267, ibid., n. 20; 26 ottobre 1985, n. 5286, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 33; 28 agosto 1985, n. 4575, ibid., n. 20; 15
giugno 1984, n. 3593, id., Rep. 1984, voce cit., n. 25 e in Giust. civ.
1984, I, 3324, sull'applicabilità dell'art. 3 a tutte le controversie di cui
all'art. 409 c.p.c., ed in particolare a quelle indicate ai nn. 2 e 3; — Cass. 20 febbraio 1987, n. 1823, Foro it., Rep. 1987, voce cit.,
n. 10 e in Arch, locazioni, 1987, 291; 10 settembre 1986, n. 5530, Foro
it., Rep. 1986, voce cit., n. 21; 3 settembre 1984, n. 4741, id., 1985,
I, 1762; 11 novembre 1982, n. 5977, id., 1983, I, 336; 8 luglio 1982, n. 4067, ibid., 258, per le quali la dizione «procedimenti di sfratto» di
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