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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 22 marzo 1989, n....

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sezione lavoro; sentenza 22 marzo 1989, n. 1435; Pres. Menichino, Est. Alicata, P.M. De Tommaso (concl. diff.); Castagneto (Avv. Vesci, Pacchiani) c. Min. lavoro. Conferma Pret. Nizza Monferrato 15 dicembre 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 3445/3446-3453/3454 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184315 . Accessed: 28/06/2014 12:17 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.191 on Sat, 28 Jun 2014 12:17:27 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 22 marzo 1989, n. 1435; Pres. Menichino, Est. Alicata, P.M. De Tommaso (concl. diff.); Castagneto (Avv.

sezione lavoro; sentenza 22 marzo 1989, n. 1435; Pres. Menichino, Est. Alicata, P.M. DeTommaso (concl. diff.); Castagneto (Avv. Vesci, Pacchiani) c. Min. lavoro. Conferma Pret. NizzaMonferrato 15 dicembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 3445/3446-3453/3454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184315 .

Accessed: 28/06/2014 12:17

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 marzo

1989, n. 1435; Pres. Menichino, Est. Alicata, P.M. De Tom

maso (conci, diff.); Castagneto (Avv. Vesci, Pacchiani) c. Min.

lavoro. Conferma Pret. Nizza Monferrato 15 dicembre 1986.

Sanzioni amministrative e depenalizzazione — Ordinanza

ingiunzione di pagamento — Opposizione — Natura — Sen

tenza — Impugnazione — Fattispecie (L. 18 dicembre 1973 n.

877, nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio, art. 1; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 23).

È ammissibile, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, l. 24 novem

bre 1981 n. 689, il ricorso in Cassazione avverso la sentenza

con cui il pretore, in funzione di giudice del lavoro, ha respinto

l'opposizione a ordinanza-ingiunzione in materia di previdenza e assistenza, poiché il rimedio esperibile contro la pronuncia

giurisdizionale deve essere individuato in base al tipo di proce dimento adottato (nel merito, è stato ritenuto legittimo il prov vedimento con cui l'ispettorato provinciale del lavoro ha in

giunto al datore di lavoro di pagare la sanzione prevista per l'omessa consegna al lavoratore a domicilio del modello costi

tuente la denuncia annuale di retribuzione). (1)

L'opposizione avverso ordinanza-ingiunzione non configura un 'im

pugnazione dell'atto amministrativo, ma introduce un ordina

(1) Sull'ammissibilità del ricorso in Cassazione contro la sentenza con

cui il pretore, in funzione di giudice del lavoro, decide sull'opposizione avverso ordinanza-ingiunzione in materia di previdenza e assistenza, v.

Cass. 12 febbraio 1988, n. 1496, Foro it., 1988, I, 2980, cui adde nel

contrario senso dell'impugnabilità di detta sentenza con appello al tribu

nale territorialmente competente: Cass. 27 giugno 1988, n. 4348, ibid.,

2571, con nota di C.M. Barone, e Informazione prev., 1988, 1624, con

nota di De Angelis, nonché Cass. 1° dicembre 1988, n. 6516, Foro it.,

Rep. 1988, voce Sanzioni amministrative e depenalizzazione, n. 129; 15

novembre 1988, n. 6184, ibid., n. 131; 5 novembre 1988, n. 5992, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 375; 27 ottobre 1988, n. 5828,

ibid., voce Previdenza sociale, n. 1114.

In generale, sulla notifica del ricorso per cassazione avverso la sentenza

che conclude il giudizio di opposizione contro ordinanza-ingiunzione, ol

tre alle sentenze richiamate in motivazione, si veda, per un'ampia rico

struzione delle oscillazioni della giurisprudenza della prima sezione, la

nota a Cass. 18 novembre 1988, n. 6254, che sarà riportata in un prossi mo fascicolo, in cui le sezioni unite, sulla scia di altra precedente decisio

ne conforme, sembrano risolvere ogni dubbio al riguardo. Sui criteri di identificazione della speciale figura di lavoro subordinato

che è il lavoro a domicilio, v. Cass. 15 gennaio 1988, n. 293, 15 luglio

1987, n. 6197, 11 giugno 1987, n. 5112, Foro it., Rep. 1988, voce Lavoro

(rapporto), nn. 618-620, tutte commentate da P. Morgera, Lavoro a

domicilio tra decentramento produttivo e flessibilità del lavoro, in Mass.

giur. lav., 1988, 260, cui adde, sui criteri distintivi tra lavoro subordinato

e lavoro autonomo, Cass. 24 gennaio 1987, n. 685, Foro it., 1988, I,

220, con nota di L. Turci Castelvetri. In particolare, sulla nozione

di lavoro a domicilio come forma di decentramento produttivo attraverso

l'organizzazione di energie lavorative in funzione sostitutiva o comple mentare rispetto al lavoro eseguito all'interno dell'azienda, Cass. 20 otto

bre 1987, n. 7745, id., Rep. 1987, voce cit., n. 673, nonché Cass. 24

giugno 1986, n. 4201, ibid., n. 677, conforme alla sentenza qui riportata nel definire l'oggetto della prestazione del lavoratore non come risultato

(opus), ma come energie lavorative (operae). Nel senso che la sopravve nienza della legge-quadro per le imprese artigiane n. 443/85 non ha mo

dificato il criterio secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto del lavoro a domicilio, deve aversi riguardo ad una serie di elementi di

fatto e non alla qualità di chi effettua la prestazione, Cass. 5 maggio

1986, Fattore, ibid., n. 672.

Sui requisiti di una corretta motivazione della sentenza del giudice di

merito al fine di escludere la configurabilità del rapporto di lavoro a

domicilio, cfr. Cass. 5 giugno 1981, n. 3639, id., 1981, I, 2441.

In dottrina, si vedano G. Mannacio, La subordinazione nel lavoro

a domicilio, in Dir. e pratica lav., 1988, 389; V. A. Poso, La tutela pena le del lavoro a domicilio, in Nuovo dir., 1987, 253; M. Montanari, Orien

tamenti giurisprudenziali e dottrinali sull'applicabilità della disciplina li

mitativa dei licenziamenti ai rapporti di lavoro a domicilio, in Riv. giur.

lav., 1987, II, 66; V. A. Poso, Il lavoro a domicilio, in Giust. civ., 1986,

II, 3; G. Caracciolo, Inesistenza di limiti settoriali al campo di applica

zione della tutela del lavoratore a domicilio, in Dir. lav., 1986, I, 318;

P. Morgera, Lavoro autonomo, lavoro subordinato e lavoro a domici

lio, in Giust. civ., 1986, I, 253; M. Papaleoni, Subordinazione tecnica

e lavoro a domicilio, in Riv. it. dir. lav., 1985, II, 810; P. Morgera,

Sui criteri di individuazione del lavoro subordinato a domicilio, ibid.,

560; O. Mazzotta, Lavoro a domicilio: storia di una legge nata male

e rappezzata peggio, in Foro it., 1981, V, 41.

Il Foro Italiano — 1989.

rio giudizio sul fondamento della pretesa fatta valere con il

provvedimento, analogo al giudizio instaurato con l'opposizio ne a decreto ingiuntivo, nel quale le vesti sostanziali di attore

e convenuto, anche ai fini della ripartizione dell'onere della

prova, spettano all'amministrazione e all'opponente, fermo re

stando l'ampio potere del pretore di disporre qualsiasi mezzo

di prova. (2)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 dicem

bre 1987, n. 9262; Pres. Granata, Est. Tilocca, P.M. Ami

rante (conci, diff.); Prefettura di Potenza (Avv. dello Stato

Polizzi) c. Guarino (Aw. Appella). Cassa Pret. Chiaromonte

22 giugno 1983.

Circolazione stradale — Confisca di veicolo circolante sprovvisto di carta di circolazione — Opposizione — Poteri istruttori del

giudice ordinario (D.p.r. 15 giugno 1959 n. 393, t.u. delle nor

me sulla circolazione stradale, art. 58; 1. 24 novembre 1981

n. 689, art. 23).

Nel giudizio di opposizione, l'ordinanza-ingiunzione di confisca di veicolo colto a circolare senza carta di circolazione può esse

re revocata dal pretore cui viene integralmente devoluta la co

gnizione sulla pretesa della pubblica amministrazione, e che può

disporre qualsiasi mezzo di prova. (3)

(2-3) Sull'ampiezza della giurisdizione ordinaria nel giudizio di opposi zione e sulla facoltà del pretore di disporre anche ex officio di mezzi

di prova, v. Cass. 8 settembre 1986, n. 5468, Foro it., 1987, I, 489, con nota di richiami.

Nella sentenza 9262/87 la Cassazione ribadisce il principio, secondo

cui il giudizio di opposizione dinanzi al pretore avverso l'ordinanza pre fettizia di confisca di un mezzo di trasporto sorpreso a circolare senza

carta di circolazione importa la totale devoluzione della controversia alla

cognizione del giudice, da cui consegue la facoltà di questi di disporre in giudizio di qualsiasi mezzo probatorio. Cfr., in senso conforme: Cass.

12 novembre 1987, n. 8327, id., Rep. 1988, voce Sanzioni amministrative

e depenalizzazione, n. 119, nonché Cass. 9 dicembre 1985, n. 6219, id.,

Rep. 1985, voce Contravvenzione, depenalizzazione e sanzioni ammini

strative, n. 48. In senso contrario: Cass. 16 luglio 1985, n. 4192, ibid., n. 49, nonché

Cass. 28 ottobre 1983, n. 6381, id., Rep. 1983, voce Sentenza civile, n.

28. Nel senso che il pretore, annullata l'ordinanza di confisca del veicolo, non può ordinarne la restituzione al proprietario, esulando or-. dai poteri

attribuitigli in via d'eccezione dalla 1. 689/81, v. Pret. Mode .k. 52 marzo

1983, id., Rep. 1984, voce Circolazione stradale, n. 136 ( on nota di

S. Guarino, L'annullamento dell'ordinanza di confisca di ve,:ciò circo

lante, in violazione dell'art. 58, 8° comma, cod. strad. all'inzuputa del

proprietario, in Giur. merito, 1984, 304).

Sull'obbligatorietà della confisca del mezzo ir tutte le ipotesi, v. Cass.

20 maggio 1987, n. 4614, Foro it., 1987, I, 2610, con nota di riehiarù.

Sulla necessità di distinguere fra diverse ipotesi, v. Cass. 20 marzo 1987, n. 2771, ibid., in cui, la confisca viene ritenuta obbligatoria soltanto nel

l'ipotesi di cui all'art. 58, 9° comma, del codice della strada, ossia

caso di circolazione di «veicolo per il quale non è stata rilasciata la carta

di circolazione» e non anche in quella prevista dall'art. 64 stesso codice, di circolazione di «veicolo per il quale siano in corso le operazioni di

approvazione ed immatricolazione», per la quale, sarebbe applicabile so

lo il provvedimento di sequestro ex art. 13, 3° comma, 1. 689/81; per altri riferimenti in materia, v. Cass. 13 giugno 1989, n. 2852 e 18 novem

bre 1988, n. 6254 (che saranno riportate in un prossimo fascicolo), le

quali confermano l'indirizzo adottato da Cass. 2771/87 cit.

Poco dopo l'entrata in vigore della 1. 689/81, alcuni giudici di merito

avevano sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento

all'art. 3 Cost., dell'art. 21, 3° comma, nella parte in cui prevede la

confisca obbligatoria del veicolo circolante privo di carta di circolazione

anche nel caso in cui possegga tutti i requisiti per ottenere l'immatricola

zione, ovvero la carta sia rilasciata successivamente. La questione è stata

risolta dalla Corte costituzionale in diverse pronunce, tutte concordi nel

senso della manifesta infondatezza della questione. Si veda, per tutte:

Corte cost., ord. 16 aprile W87, n. 142, id., 1987, I, 2609. In dottrina

si vedano, oltre ai richiami in nota a Corte cost. 142/87, da ultimo citata'

L. Rubini, Depenalizzazione e confisca del veicolo, in Riv. giur. circolaz.

e trasp., 1987, 553; R. D'Ippolito, Illecito amministrativo e garanzie pro

cessuali nel giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione, in Riv. giur.

polizia locale, 1987, 53; D. Bonaccorsi, Appunti in tema di comporta menti processuali della pubblica amministrazione rilevanti ne! giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione dell'autorità amministrativa in

materia di violazioni depenalizzate, in Riv. polizia, 1986, 241; M. L. Sì

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3447 PARTE PRIMA 3448

Ill

PRETURA DI DESIO; sentenza 4 ottobre 1988; Giud. Galioto; Galli c. Prefettura di Milano.

Circolazione stradale — Multa per divieto di sosta su strada pri vata — Ingiunzione prefettizia — Difetto di potere (D.p.r. 15

giugno 1959 n. 393, art. 3, 4).

Deve essere disapplicata, perché emanata in assoluto difetto di

potere, l'ingiunzione prefettizia irrogatila delle sanzioni previ ste dal codice della strada per il parcheggio in divieto di sosta, ove tale divieto sia stato illegittimamente disposto con ordinan

za sindacale su strada di proprietà privata. (4)

I

Motivi della decisione. — Preliminarmente la corte deve occu

parsi della questione dell'ammissibilità del ricorso che ha forma

to oggetto dell'esposizione orale delle conclusioni motivate del

procuratore generale. Il ricorso è ammissibile. L'ammissibilità del ricorso per cassa

zione viene qui in discussione con riferimento alla natura di vio lazione in materia di previdenza e assistenza, o meno, dell'infra

zione di cui all'ordinanza-ingiunzione che ha formato oggetto del

giudizio di opposizione davanti al Pretore di Nizza Monferrato.

E ciò perché, mentre per l'art. 23, ultimo comma, 1. 689/81 la

sentenza, che conclude il giudizio di opposizione all'ordinanza

ingiunzione davanti al pretore, «è inappellabile, ma è ricorribile

per cassazione», per l'art. 35, 4° comma, della stessa legge, quando ricorre la violazione in materia di previdenza e assistenza obbli

gatorie, l'opposizione dell'ordinanza-ingiunzione va proposta da vanti al pretore in funzione di giudice del lavoro. La sentenza da questi pronunziata a conclusione del giudizio di opposizione in questione è appellabile, come si ritiene in dottrina e giurispru denza, alla stessa stregua di quelle che il giudice del lavoro pro nunzia nell'ambito della sua competenza, dato che la norma in

questione espressamente prevede che «il giudizio di opposizione è regolato ai sensi degli art. 442 ss. c.p.c.».

Ma prima di passare all'esame della violazione contestata per stabilire se ricorra o meno l'ipotesi di cui all'art. 35 1. 689/81

e, nel caso che ricorra, svolgere l'indagine ulteriore, ai fini del

l'appellabilità o ricorribilità della sentenza impugnata, relativa al valore della causa, dal quale a norma dell'art. 440 c.p.c., appli cabile anche alle controversie previdenziali per il rinvio contenuto

Monetti, La confisca obbligatoria nella l. 24 novembre 1981 n. 689; cin

que anni dopo, in Nuova rass., 1986, 2480; R. Vinata, Problemi di tute la giurisdizionale nei confronti delle sanzioni amministrative pecuniarie, in Dir. proc. ammin., 1986, 388.

(4) La sentenza, nell'affermare il principio secondo cui la proprietà della strada in capo alla pubblica amministrazione costituisce il presuppo sto necessario perché possa legittimamente esercitare la potestà autoritati va di vietare il parcheggio lungo la stessa, ha un precedente conforme (nella fattispecie si trattava di transito, e non di sosta) in Cass. 23 feb braio 1979, n. 1215, Foro it., Rep. 1979, voce Circolazione stradale, n. 24, nonché in Pret. Bolzano 24 febbraio 1976, id., Rep. 1980, voce cit., n. 42.

Sui limiti della legittimità di imposizione, da parte della pubblica am ministrazione, di servitù di uso pubblico (nella specie: denominazione to

ponomastica, affissione di numeri civici, realizzazione delle reti fognarie, idriche, ecc.) su strada di proprietà del privato, v. App. Catanzaro 28 marzo 1987, id., Rep. 1987, voce Strade, n. 7.

Sulla nozione di uso pubblico di strada privata, v. Cons. Stato, sez. V, 4 luglio 1986, n. 351, ibid., n. 14.

Sui limiti di tale uso, cfr. Cass. 14 gennaio 1985, n. 30, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 8, 9, nel senso che la semplice facoltà di transito, come oggetto di ius in re aliena della pubblica amministrazione, esclude la pos sibilità di adozione di provvedimenti di concessione di accesso alla strada stessa a favore dei frontisti o un uso eccezionale, difforme da quello normale, l'unico acquisito sul bene altrui; nonché Cass. 28 gennaio 1984, n. 676, id., Rep. 1984, voce cit., n. 16; 11 luglio 1983, Urbano, ibid., voce Circolazione stradale, n. 38.

Sulla nozione di violazione dell'art. 4 codice stradale, v. Pret. Roma 20 giugno 1984, id., 1984, I, 3054.

In dottrina cfr., da ultimo, C. Lapiccirella, Strade (disciplina della circolazione sulle), voce del Novissimo digesto, appendice, 1987, VII, 564; R. Guaraldo, Strade (illeciti in materia di circolazione sulle), ibid., 570; L. Orusa, Strade pubbliche, private e vicinali, ibid., 578.

Il Foro Italiano — 1989.

nello stesso art. 442 c.p.c., dipende l'uno o l'altro tipo di impu

gnazione, va accertato il tipo di procedimento in concreto adotta

to, giacché è in base a questo che va individuato il rimedio espe ribile contro la pronunzia giurisdizionale, secondo il principio af

fermato anche di recente da questa Corte suprema a sezioni unite

(sent. n. 1496 del 12 febbraio 1988, Foro it., 1988, I, 2980) che

questo collegio ritiene di seguire in mancanza di valide ragioni

per discostarsene.

E poiché dalla stessa sentenza impugnata e dagli atti proces suali risulta che il procedimento adottato in concreto è stato quello

previsto e disciplinato dagli art. 22 e 23 1. 689/81 e non quello di cui agli art. 442 ss. c.p.c., l'applicazione del principio anzidet

to conduce all'affermazione dell'ammissibilità del ricorso a nor

ma dell'art. 23, ultimo comma, già richiamato. (Omissis) Si può passare, cosi, all'esame dei motivi di ricorso.

Con il primo motivo si denunzia «violazione e falsa applicazio ne dell'art. 18 1. 24 novembre 1981, n. 689» e con il secondo

«insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla addot

ta motivazione dell'art. 18, 2° comma, 1. 689/81».

Deduce parte ricorrente che l'ordinanza-ingiunzione sarebbe ca

rente di motivazione in quanto non reca l'enunciazione nemmeno

sommaria, delle circostanze che avrebbero indotto l'ispettorato emittente a ritenere sussistente il rapporto di lavoro subordinato

tra la società e la Filippone, che costituisce il presupposto del

l'obbligo di consegna dei mod. 01/M, la cui violazione forma

oggetto dell'ordinanza-ingiunzione medesima che, in conseguen za, doveva considerarsi nulla e, comunque illegittima per viola

zione dell'art. 18 1. 689/81, che ne prescrive espressamente la mo

tivazione (primo motivo). E si duole che il pretore abbia rigettato la relativa eccezione con motivazione insufficiente e contradditto

ria (secondo motivo), osservando, prima, che dal testo del prov vedimento opposto emergevano elementi sufficienti per rendere edotta parte opponente circa il fatto contestato e che l'ingiunzio ne era stata emessa dopo che l'ispettorato aveva proceduto a lun

ga e minuziosa indagine e, poi, contraddittoriamente, che, en

trando nel merito della vicenda, l'unica questione che occorre

qui risolvere è l'accertare se la lavoratrice de qua sia da ritenere

autonoma o a domicilio.

Con ciò impingendo nel vizio di motivazione denunziato, per ché non sarebbe dato comprendere il criterio logico attraverso

il quale perviene, in mancanza di qualsiasi riferimento all'esisten

za del rapporto di lavoro subordinato, a ritenere che la motiva

zione del provvedimento era sufficiente per rendere edotta la ri

corrente in ordine al presupposto del fatto contestato, peraltro senza specificare gli elementi che sarebbero emersi dall'istruttoria

dell'ispettorato del lavoro, nella quale non vi sarebbe stato moti

vo, o necessità ai fini di accertare l'esistenza del rapporto dipen dente, di ricercarli se fossero stati anche genericamente enunciati

nel provvedimento opposto. I due motivi presentano correlazioni logiche che ne consiglino

l'esame congiunto. Essi sono infondati. La motivazione della sentenza impugnata,

anche se succinta, appare sufficiente ad evidenziare l'iter logico seguito dal pretore per rigettare l'eccezione di carenza di motiva zione dell'ordinanza-ingiunzione in violazione dell'art. 18 1. 689/81.

Invero, se si tiene conto che la censura è fondata solo sulla mancata enunciazione degli elementi che inducevano a qualificare il rapporto come subordinato e che non si contesta che il provve dimento contenesse l'enunciazione del fatto sanzionato «omessa

consegna del mod. 01/M» alla Filippone, la determinazione della sanzione e l'ingiunzione del suo pagamento ed inoltre il richiamo del rapporto dell'ispettorato, non possono ritenersi sussistenti né la violazione di legge, né il vizio di motivazione.

Da un canto, infatti, va considerato che l'opposizione in que stione non configura impugnazione dell'atto amministrativo, co me sembra di ritenere parte ricorrente, ma introduce un ordina rio giudizio sul fondamento della pretesa fatta valere con il prov vedimento (analogo al giudizio instaurato con l'opposizione a

decreto ingiuntivo) nel quale le vesti sostanziali di attore e conve

nuto, anche ai fini della ripartizione dell'onere della prova, spet tano rispettivamente all'amministrazione e all'opponente (salvo restando, ai sensi del 6° comma dell'art. 23 1. 689/81, l'ampio potere del pretore di disporre d'ufficio qualsiasi mezzo di prova), sicché l'opposizione può esaurirsi anche nella semplice contesta zione della pretesa per poter devolvere al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e fondatezza della pretesa medesima.

Dall'altro che l'obbligo di motivazione imposto dall'art. 18 ci

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tato può essere soddisfatto anche per relationem (cfr. Cass. n.

2885/87, Foro it., Rep., 1987, voce Sanzioni amministrative e

depenalizzazione, n. 47). Sicché la motivazione del provvedimento può ben ritenersi suf

ficiente con il richiamo del rapporto dell'ispettorato per la parte che si pretende omessa e quella della sentenza impugnata per rite

nerla tale lo è anch'essa per effetto del riferimento, nella sicura

consapevolezza del richiamo al rapporto dell'ispettorato contenu

to nell'ordinanza-ingiunzione in questione, alla lunga e minuzio

sa indagine istruttoria in contraddittorio con le parti, a conclu

sione della quale era stato emesso il provvedimento opposto. Né può cogliersi contraddittorietà nel fatto che subito dopo

aver escluso la carenza di motivazione denunziata il pretore af

ferma che nel merito della vicenda l'unica questione da risolvere

era se si trattava di lavoratrice autonoma o a domicilio, giacché era proprio su questa base che veniva contestata la pretesa del

l'amministrazione ed era, pertanto, preciso compito del giudice risolvere la questione che ne sorgeva.

Con il terzo motivo si denunzia «violazione e falsa applicazio ne dell'art. 2128 c.c. e dell'art. 1 1. 18 dicembre 1973 n. 877;

omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisi

vo della controversia» e si deduce l'errore del pretore, il quale,

pur ribadendo i concetti espressi dalla giurisprudenza di questa

corte, non si sarebbe curato di accertare se l'attività della Filip

pone fosse o meno inserita nel ciclo produttivo dell'azienda «in

funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all'in

terno dell'azienda» medesima. E avrebbe omesso di considerare

che le circostanze indicate nella motivazione della sentenza non

sono idonee a dimostrare questo particolare elemento della su

bordinazione prevista dall'art. 1 1. 877/73, configurando, al più,

semplici indizi circa l'esistenza della subordinazione prevista dal

l'art. 2094 c.c., che è cosa diversa.

Con il quarto ed ultimo motivo parte ricorrente, denunziando

«omessa, insufficiente motivazione in ordine ai punti decisivi del

la controversia», deduce, in via strumentale, che il pretore nel

l'affermare che: 1) la Filippone «era tenuta ad osservare le rigo

rose direttive dell'imprenditore circa le modalità del lavoro affi

datole» e 2) «il materiale da lavorare era fornito dalla committente

che provvedeva al ritiro medesimo con mezzi autonomi», aveva

omesso di consideare che la Filippone, escussa come teste, aveva

dichiarato che nella lavorazione era autonoma e non subordinata

e che aveva confermato il capo 6 della memoria 23 ottobre 1984

con cui era stato dedotto: «il trasporto veniva effettuato indiffe

rentemente dalla committente e dalla commissionaria». E non ave

va altresì considerato che essendo emersa dalla deposizione della

Filippone che la volontà delle parti era di porre in essere un rap

porto di lavoro autonomo, doveva, secondo la giurisprudenza di

questa corte (cita la sent. n. 3310/85, id., Rep. 1985, voce Lavo

ro (rapporto), n. 371), tener conto, nel determinare il carattere

autonomo o subordinato del rapporto, di tale volontà.

1 motivi appaiono connessi e, pertanto, vanno esaminati con

giuntamente. Essi non sono fondati. Le censure in esame risultano dirette

contro l'accertamento del rapporto di lavoro a domicilio, ritenu

to dal pretore. La sentenza impugnata però non le merita, in quanto perviene

alla decisione attraverso un iter logico argomentativo ampiamen te sviluppato ed immune dai vizi denunziati.

Infatti, muove dalla constatazione che l'art. 1 1. 18 dicembre

1973 n. 877 definisce il lavoratore a domicilio con criteri cosi

ampi da ritenere che la qualifica di lavoratore autonomo possa

essergli riconosciuta solo quando ne siano provati rigorosamente i presupposti, costituendo quasi una forma di presunzione a fa

vore del lavoratore a domicilio (dipendente), rispetto a quello au

tonomo. A sostegno di questa interpretazione di base richiama

la giurisprudenza di questa Corte suprema e in particolare le sent,

nn. 5096/83 (id., Rep. 1983, voce cit., nn. 461-466) e 2533/86

(id., Rep. 1986, voce cit., nn. 637, 638) (cui potrebbero aggiun

gersi anche sentenze più recenti come la 4201 e la 5348/86, ibid.,

nn. 635, 633). Passa, quindi alla descrizione della situazione di fatto come

nel corso del processo, mettendo in evidenza tutte le caratteristi

che del lavoro svolto e della concreta attuazione del rapporto.

Accerta che la Filippone, al tempo cui risale l'infrazione conte

stata, non era iscritta all'albo artigiani ed eseguiva da sola, senza

apprendisti, un semplicissimo lavoro manuale di assemblaggio di

parti elettriche che richiedeva, oltre ai macchinari avuti in uso

Il Foro Italiano — 1989.

gratuito dalla datrice di lavoro, a suo carico solo l'uso di attrez

zature minute, come pinze, cacciavite, ecc., e non anche capacità od organizzazione di lavoro particolari, contro il compenso di

un tot a pezzo, senza rischio di impresa e con il solo costo a

carico di locali ed energia elettrica. Ma, soprattutto, senza alcuna

inziativa personale dato che era tenuta ad osservare le rigorose direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione del la

voro affidatole.

E conclude per effetto delle valutazioni (qui non censurabili) delle circostanze e degli elementi accertati, escludendo che possa

configurarsi una situazione di dubbio sulle caratteristiche del la

voro svolto (la quale, alla stregua dei principi affermati dalla giu

risprudenza ed evidenziati all'inizio, si sarebbe, comunque, risol

ta a favore della qualifica del lavoro a domicilio) dato che la

quantità notevole di elementi positivi e concreti riscontrati con

sentiva di ritenere che la Filippone, con il preciso vincolo della

subordinazione di cui al capoverso dell'art. 1 1. 877/73, fu utiliz

zata dalla imprenditrice «in funzione complementare e sostitutiva

del lavoro eseguito all'interno dell'azienda per una mera esigenza di decentramento produttivo, sicché l'oggetto della prestazione lavorativa venne in rilievo non come risultato (opus) ma come

semplice e pura energia lavorativa (operae)».

Questa ampia, chiara e completa motivazione appare, in modo

evidente, esaustiva anche con riferimento a quanto forma ogget to delle censure in esame sia per quanto attiene all'accertamento

dell'inserimento dell'attività della Filippone nel ciclo produttivo

dell'azienda, espressamente evidenziato nelle conclusioni, sia per

quanto riguarda le affermazioni della Filippone della sua deposi

zione anche con riguardo alla volontà delle parti del rapporto,

implicitamente valutate, ma soverchiate nell'apprezzamento valu

tativo del pretore dalla quantità notevole degli elementi positivi e concreti riscontrati e valorizzati a sostegno della decisione

adottata.

Per il resto, cioè per quanto delle censure possa incidere sulle

valutazioni attraverso le quali il giudice di merito è pervenuto

alla decisione impugnata, non può esservi ingresso in questa sede

di legittimità dove è precluso l'ulteriore esame del merito che cosi

si intenderebbe provocare. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Il controricorso, in

vece, dichiarato inammissibile.

II

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo la prefettura ricorrente deduce la nullità del procedimento per violazione degli

art. 178, 186, 187, 188, 202, 244, 245 c.p.c. in relazione all'art.

360, n. 4, c.p.c. per avere il pretore assunto l'interrogatorio della

Guarino e sentiti i testi senza alcuna richiesta in tal senso del

legale del ricorrente e senza uno specifico provvedimento che ne

disponesse l'assunzione, in violazione del principio del contrad

dittorio e del diritto di difesa. Il motivo è infondato. L'art. 23, 6° comma, 1. 24 novembre

1981 n. 689, in deroga al principio dispositivo (art. 115, 1° com

ma, c.p.c.) cui s'informa in tema di prove il nostro processo civi

le, attribuisce al pretore, nel giudizio di opposizione contro

l'ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione amministra

tiva pecuniaria e contro l'ordinanza di confisca, emesse ai sensi

degli articoli precedenti, un illimitato potere di disporre ex offi cio mezzi di prova di qualsiasi specie (e non soltanto la prova

testimoniale come, invece, prevede per il normale giudizio preto rile l'art. 317, 1° comma, c.p.c.) nonché la citazione (anche al

di fuori del presupposto richiesto dal citato art. 317, 1° comma)

di testimoni pure senza la formulazione di capitoli. Nella specie, il pretore si è avvalso proprio di tale facoltà e

pertanto l'assunzione dei due testi e dell'interrogatorio dell'oppo

nente, cui egli ha proceduto prescindendo dall'iniziativa del me

desimo, si palesa pienamente legittima. È evidente, poi, che il pretore, provvedendo all'assunzione dei

predetti mezzi di prova, abbia implicitamente disposto la loro

assunzione e l'aver provveduto in tal modo non gli impediva poi

di revocare o modificare eventualmente la propria valutazione né

impediva all'odierno ricorrente di riproporgli in sede di decisione

della causa la questione delle prove raccolte o di dedurre altri

mezzi di prova. L'assunzione e l'implicita pronuncia dell'ordinanza di ammis

sione dell'interrogatorio e dei due testi sono state effettuate all'u

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3451 PARTE PRIMA 3452

dienza ritualmente fissata, alla quale, peraltro, ha partecipato il difensore del prefetto.

Di conseguenza, si deve escludere che vi sia stata violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa

applicazione dell'art. 101 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice per avere la sentenza impugnata accolto l'op posizione sulla base di una causa petendi diversa da quella pro spettata nel ricorso del Guarino.

Anche tale motivo va respinto. In effetti il Guarino aveva im

pugnato l'ordinanza di confisca sostenendo che non può dispor si, per la violazione dell'art. 58, 8° comma, t.u. delle norme sulb

circolaziuone stradale, la confisca del veicolo (art. 21, 3° comma, 1. n. 689 del 1981) quando questo sia un trattore, mentre il preto re ha accolto l'opposizione ritenendo, sulla base delle prove as

sunte, che il trattore sorpreso a circolare senza la carta di circola zione era condotto dal Ferraioli, all'insaputa dell'opponente.

Nella giurisprudenza di questa corte alcune pronunce (sent. n. 6381/83 Foro it., Rep. 1983, voce Sentenza civile, n. 28, con

riferimento, però, alla precedente legge di depenalizzazione n. 317 del 1967, e altre) escludono che il pretore possa accogliere l'op posizione per una causa petendi diversa da quella prospettata dal

l'opponente ed altri, invece, ritengono che il giudice di merito abbia il potere-dovere, anche di ufficio ed indipendentemente da una specifica richiesta dell'opponente, di riscontrare la conformi tà a legge dell'ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecu niaria amministrativa al fine della disapplicazione della medesima

(sent. n. 6219/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 48). A sua volta la sent. n. 5985/86 (id., 1986, I, 2211) afferma che la mancanza nell'atto di opposizione avverso l'ordinanza irrogativa di sanzio ne amministrativa di una compiuta esposizione dei fatti e delle

ragioni delle domande, che venga colmata con i successivi scritti

dell'opponente, non spiega effetti invalidanti.

Osserva primariamente questo collegio che l'opposizione ex art. 22 e 23 1. n. 689 del 1981 non si configura come impugnazione di un atto amministrativo (qual è, in effetti, l'ordinanza opposta) con congnizione del giudice ordinario limitata alla legittimità del l'atto medesimo e alla sua eventuale disapplicazione, bensì come strumento per la riconduzione della fattispecie davanti al giudice ordinario per un riesame integrale, sotto tutti i profili, della me desima e perciò, non solo e non tanto sui vizi eventuali dell'atto

opposto, ma anche sulla pretesa punitiva esercitata con tale atto dalla pubblica amministrazione e persino sull'entità della sanzio ne (si tratta, perciò, di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario).

Proposta l'opposizione nel termine di legge e presentatosi l'op ponente alla prima udienza (art. 23, 5° comma), s'instaura un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione su quella pretesa della pubblica amministrazione, nel quale l'ordinanza opposta viene considerata carente di ogni presunzione di legittimità (art. 23, penultimo comma) non esplicandovi alcuna influenza e nel quale la pubblica amministrazione assume la veste di attore (e l'oppo nente, viceversa, quella di convenuta) ai fini anche della normati va sulla ripartizione dell'onere della prova (la norma or ora cita

ta), pur se il pretore sia investito d'ufficio di un ampio potere istruttorio.

Con te. sentenza che decide sull'opposizione il pretore può ri o accoglierla, in quest'ultimo caso «annullando in tutto

o in parte l'ordinanza o modificandola anche limitatamente al l'entità della sanzione dovuta» (art. 23, 11° comma).

Il pretore — precisa la legge citata (art. 23, 11° comma) —

«accoglie l'opposizione» (ovviamente annullando l'ordinanza) «quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità del

l'opponente» (donde la duplice conseguenza che l'ordinanza op posta non esplica nel processo alcuna influenza in relazione al

principio della presunzione di legittimità e che la posizione di

attore, con i relativi oneri, spetta alla pubblica amministrazione.

Nell'ipotesi di rigetto dell'opposizione il pretore implicitamente pronuncia una decisione di convalida dell'ordinanza opposta (art. 23, 8° comma).

In sostanza, la disciplina dell'opposizione ex art. 22 e 23 1. n. 689 del 1981 si modella, con i necessari adattamenti, su quella predisposta dal codice di procedura civile per l'opposizione al decreto ingiuntivo e per alcuni particolari profili su quella dettata dal codice di procedura penale per l'opposizione al decreto pena le di condanna.

La predetta legge, in considerazione del rilievo che la maggior parte delle violazioni punibili con sanzioni amministrative costi

li. Foro Italiano — 1989.

tuivano ab origine illeciti penali la cui giurisdizione spettava al

giudice ordinario, ha voluto non privare, malgrado la disposta depenalizzazione, coloro che con atto della pubblica amministra

zione, in base della legge stessa, vengono assoggettati a sanzioni

amministrative, della garanzia della cognizione piena del predetto giudice, solo che assolvano all'onere dell'opposizione, cosi come

essa, sul piano sostanziale, ha fissato per le violazioni ammini strative una serie di principi generali, palesemente mutuati dal codice penale e senza dubbio più favorevoli per il trasgressore

rispetto a quelli che sarebbero derivati dalla loro natura ammini strativa (e non più, nella maggior parte dei casi, penale).

Proprio per ciò si è parlato sopra, a proposito dell'atto di op posizione, come di uno strumento previsto dalla 1. n. 689 del 1981 per la riconduzione della fattispecie punitiva amministrativa nell'ambito del processo ordinario di cognizione che si svolge in un unico grado di merito.

L'opposizione, che ha la forma di ricorso e che, sovrapponen dosi all'atto amministrativo entro il termine perentorio fissato dalla

legge, impedisce che esso acquisti l'intangibilità e l'incontroverti

bilità, si sostanzia in una domanda di riesame, sotto ogni possibi le profilo, della pretesa punitiva esercitata con l'atto opposto dal la pubblica amministrazione cosi come l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo, pur se ha la forma dell'atto di citazione ed

opera sul decreto ingiuntivo con l'efficacia tipica di una impu gnazione in quanto ne preclude il passaggio in cosa giudicata, ha in pratica il contenuto della comparsa di risposta, ossia pro pone una domanda di rigetto della pretesa dedotta con il ricorso

d'ingiunzione.

Se, dunque, l'opposizione ex art. 22 e 23 1. n. 689 del 1981 è un mezzo con il quale viene ad instaurarsi un normale giudizio di cognizione per l'esame della legittimità e della fondatezza della

pretesa punitiva esercitata dalla pubblica amministrazione con la ordinanza opposta, senza che da questa discenda alcuna preclu sione, se nel giudizio l'opponente assume la veste di convenire in senso sostanziale e, quindi, di resistente alla pretesa, è evide te che la devoluzione piena della controversia al pretore si realizza

indipendentemente dalle deduzioni formulate nell'atto di oppo sizione.

Questo in pratica ha un effetto totalmente devolutivo (sia pure con il limite del divieto della reformatio in peius giacché l'ordi nanza rimane come punto di riferimento della decisione sull'op posizione) nel senso che non si limita ai motivi denunziati; ciò non esclude, s'intende, che l'opponente deve dimostrare quegli elementi per i quali la legge, espressamente o implicitamente, po ne a suo carico l'onere probatorio, se non risultino già dagli atti. In particolare, presumendosi la colpa una volta che l'amministra zione opposta abbia provato la sussisterla del fatto costitutivo dell'illecito amministrativo e che esso sia stato commesso con co scienza e volontà, spetta all'opponente provare di aver agito sen za colpa o per errore incolpevole sul fatto.

In effetti l'art. 22, 4° comma, che specifica il contenuto del l'atto di opposizione, non richiede che siano indicati i motivi del medesimo e l'art. 23, a sua volta, non prevede fra le cause di inammissibilità dell'opposizione la mancata esposizione dei moti vi. (Cass. sent. n. 5985/84, id., Rep. 1984, voce Giurisdizione

civile, n. n. 42). E ciò diversamente dall'art. 6, n. 3, del reg. di procedura din

nanzi alle sezioni giurisdizionali del consiglio di Stato (approvato con r.d. 642/1907), applicabile, per il disposto dell'art. 19 1.

1034/71, ai giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali: la predetta norma, infatti, esige la specificazione dei motivi di ricorso a pena di inammissibilità poiché il ricorso davanti il giu dice amministrativo è un vero e proprio mezzo di impugnazione.

La non previsione nella 1. n. 689 del 1981 della specificità dei motivi dell'opposizione conferma proprio che il legislatore non abbia inteso configurare tale atto come mezzo di impugnazione dell'ordinanza amministrativa, bensì come mezzo per trasferire la cognizione sulla pretesa punitiva nell'ambito della giurisdizio ne ordinaria, al di fuori di ogni preclusione collegiabile alla natu ra autoritativa dell'ordinanza opposta e di ogni vincolo con il contenuto decisorio della medesima, con la possibilità, quindi, di un riesame totale autonomo ex integro e di un contraddittorio con la pubblica amministrazione su posizione di assoluta parità.

Perché abbia luogo tale translatio è sufficiente che l'opponente chieda l'instaurazione del giudizio davanti il pretore contestando anche genericamente la fondatezza dell'ordinanza amministrati

va, salvo il potere del pretore di trarre dall'eventuale contestazio

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ne generica argomenti di prova sulla responsabilità dell'opponente. È sintomatico in tal senso che l'art. 23, 4° comma, consente

espressamente, in deroga all'art. 82, 2° comma, c.p.c., che l'op

ponente (cosi come l'autorità che ha emesso l'ordinanza) stia, senza autorizzazione del pretore, in giudizio personalmente, rico

noscendo in tal modo che l'attività processuale dal medesimo espli cabile non richiede una particolare competenza giuridica: il che

spiega anche (unitamente, cioè, al rilievo che la pubblica ammini

strazione assume nel giudizio la veste di attore e può non costi

tuirvisi) l'illimitato potere istruttorio conferito al pretore dal 4°

comma dell'art. 23.

Occorre solo aggiungere, per la considerazione che la maggior

parte delle attuali infrazioni amministrative costituivano in origi

ne illeciti penali definibili con il procedimento monitorio, che la

Corte costituzionale anteriormente alla 1. n. 689 del 1981 aveva

già dichiarato (sent. n. 19/73, id., 1973, I, 1353) l'illegittimità costituzionale dell'art. 509, 2° e 3° comma, c.p.c. nella parte in cui prevedeva che alla mancata indicazione dei motivi conse

guiva l'inammissibilità dell'opposizione al decreto penale di con

danna, osservando che la «normativa sull'opposizione è distinta

e diversa dalla normativa sull'impugnazione mediante appello»,

giacché «mentre per quest'ultimo i motivi proposti delimitano l'am

bito della decisione, non è altrettanto per l'impugnativa di decre

to penale, la quale, con l'apertura del contraddittorio, consente,

nel pieno esercizio dei diritti di difesa, una cognizione ex novo

del fatto-reato . . .».

E a proposito della prevista indicazione dei motivi di opposi

zione la Corte costituzionale nella stessa sentenza aveva afferma

to che tale indicazione non è superflua «perché, anche nell'inte

resse dello stesso opponente, tende a conferire, ad ogni futuro

ed eventuale effetto valutativo di comportamento, veste di atten

dibilità all'atto con cui si richiede il passaggio dalla fase senza

contraddittorio a quella in contraddittorio.

Ciò senza che, come parimenti ritenuto in giurisprudenza, sia

necessario puntualizzare gli elementi dell'opposizione . . ., anche

considerato che lo stesso interessato ha facoltà di opporsi perso

nalmente senza l'assistenza di legale. Di superfluità può parlarsi soltanto nel significato di una non

incidenza in qualsiasi direzione, positiva o negativa, dei motivi

indicati sugli sviluppi successivi della procedura di opposizione.

La quale procedura sostanzialmente si risolve in una richiesta,

anche non formale, di dibattimento». (Omissis)

III

Motivi della decisione. — È assolutamente incontroverso tra

le parti, che l'opponente ha parcheggiato la propria vettura in

corrispodenza del segnale di divieto di sosta in Varedo, via Um

berto Maddalena, divieto disposto con l'ordinanza n. 138 emessa

dal sindaco in data 4 febbraio 1981.

È altresì pacifico in causa — posto che il prefetto non ha in

alcun modo contestato le affermazioni contenute al punto 1 della

narrativa dell'atto di opposizione — che la predetta via Umberto

Maddalena è strada in proprietà privata. Tale circostanza è stata

inoltre dimostrata dall'opponente, il quale ha esibito in giudizio

un atto notarile (n. 2945-3705 in data 13 agosto 1928 del notaio

Antonio Colleoni di Desio) dal quale si evince che l'area su cui

era stato ordinato il divieto di sosta appartiene a privati.

Ciò premesso in ordine ai fatti oggetto della presente contro

versia, va poi rilevato che appare fondata, e merita, pertanto,

d'essere condivisa la deduzione dell'opponente circa l'illegittimità

del provvedimento sindacale n. 138 del 4 febbraio 1981, con il

quale è stato disposto il divieto di sosta nell'area in questione.

L'art. 3 d.p.r. n. 393 del 1959 (c.d. codice della strada) preve

de infatti al 3° comma, lett. c, che l'ente proprietario della strada

può con ordinanza vietare o limitare la sosta, ovvero limitare

il parcheggio dei veicoli e degli animali su ciascuna strada o trat

to di essa. L'art. 4 dispone poi che il comune adotta con ordi

nanza i provvedimenti di cui all'art. 3, 1°, 2° e 3° comma, e

che per i tratti di strade non comunali attraversanti i centri abita

ti, i provvedimenti indicati nel 3° comma del precedente articolo

sono di competenza dell'ente proprietario della strada.

Considerato, pertanto, che la proprietà della strada in capo

alla pubblica amministrazione costituisce presupposto necessario

perché essa possa legittimamente esercitare la potestà autoritativa

di vietare il parcheggio, è evidente che nel caso di specie il sinda

II Foro Italiano — 1989.

co del comune di Varedo ha emanato l'ordinanza n. 138 del 1981

in assoluto difetto di potere. In applicazione dei principi generali di cui all'art. 5 1. n. 2248

del 1865, ali. E, tale provvedimento amministrativo va disappli cato in quanto emesso in carenza di potere, e deve quindi essere

considerato tamquam non esset.

Dalle considerazioni che precedono discende l'illegittimità del

provvedimento impugnato — perchè emerso da autorità ammini

strativa assolutamente incompetente — con il conseguente acco

glimento dell'opposizione. Devono pertanto essere annullate le

ordinanze-ingiunzioni nn. 33193, 33195, 33198, emesse in data

29 maggio 1987 dal prefetto di Milano.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 febbraio

1989, n. 795; Pres. Scanzano, Est. Caturani, P.M. Donna

rumma (conci, conf.); Soc. Patrasso (Avv. Guzzi) c. Fall. soc.

Patrasso (Avv. Giordano). Conferma App. Roma 1° luglio

1985.

Fallimento — Giudizio di opposizione — Stato di insolvenza —

Riferibilità al gruppo di imprese — Esclusione (R.d. 16 marzo

1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 1, 5).

Fallimento — Giudizio di opposizione — Stato di insolvenza —

Nozione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 5).

Fallimento — Giudizio di opposizione — Stato di insolvenza —

«Pactum de non petendo» — Rilevanza (R.d. 16 marzo 1942

n. 267, art. 5).

Ai fini della dichiarazione di fallimento di un'impresa inserita

in un gruppo di società, l'accertamento dello stato di insolven

za va condotto con esclusivo riferimento alla situazione econo

mica della singola società. (1) Lo stato di insolvenza di un 'impresa commerciale consiste in uno

stato di impotenza economica che si realizza quando l'impren

ditore non è più in grado di adempiere, con mezzi normali,

alle proprie obbligazioni, rimanendo del tutto indifferente sia

l'eventuale eccedenza dell'attivo sul passivo, sia la ragione del

dissesto. (2)

(1) La vicenda giudiziaria oggetto della decisione, si inserisce nel con

testo delle «disavventure» dei fratelli Caltagirone, assurti, recentemente,

di nuovo, agli onori della cronaca giornalistica (si veda il richiamo in

prima pagina su La Repubblica del 24 ottobre 1989), in seguito ad altra

pronuncia con la quale la Suprema corte, ribaltando i giudizi delle corti

di merito, ha annullato la sentenza di fallimento a carico degli imprendi tori romani.

Nella prima parte della motivazione, la corte ha ribadito il proprio convincimento secondo il quale, la valutazione dei presupposti per la di

chiarazione di fallimento e, segnatamente, l'insolvenza, vanno accertati

in capo alla singola impresa pur quando, la stessa, faccia parte di un

«gruppo di società». Per i precedenti si rinvia a Cass. 21 gennaio 1988, n. 423, Foro it., 1988, I, 1569, con nota di richiami, cui adde, Cass.

2 febbraio 1988, n. 957, ibid., 1898; 17 giugno 1988, n. 4142, id., Rep.

1988, voce Lavoro (rapporto), n. 1845; Trib. Napoli 14 febbraio 1987,

ibid., voce Liquidazione coatta amministrativa, n. 76. In dottrina, Di

Sabato, Ricostituzione e unificazione del gruppo nell'amministrazione

straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Dir. fallim., 1988, I, 343;

Calgano, Il fallimento delle società (aspetti sostanziali) in Trattato dir.

comm. e dir. pubbl. econ., Padova, 1988, 101, e, con particolare riguar

do al tema del gruppo di società e rapporto di lavoro, cfr. Cass. 3 no

vembre 1989, n. 4579, in questo fascicolo, I, 3420, con nota di richiami

di G. Amoroso.

Per vero, la motivazione si occupa anche del tema afferente la rilevan

za processuale, rispetto al giudizio di opposizione al fallimento, delle vi

cende relative all'insolvenza del gruppo, oggetto di altro accertamento

giudiziale, con una soluzione (di indifferenza) che pare contrastare con

il precedente, certo non remoto, costituito da Cass. 2 luglio 1988, n.

4408, Foro it., Rep. 1988, voce Amministrazione controllata, n. 23, con

nota di Stanghellini, Il fallimento all'interno dei gruppi di società: pro

poste per un coordinamento delle procedure, in Giur. comm., 1989, II,

546; con tale decisione, la corte ha riconosciuto la rilevanza giuridica,

sul piano processuale, dell'interdipendenza economica fra le società del

medesimo gruppo, nel contesto del giudizio di opposizione a sentenza

di fallimento.

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